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A livello nazionale, il primo elemento che voglio sottolineare del risultato elettorale è che il Movimento 5 Stelle ha preso le stesse percentuali

Nel documento cambia il mondo, cambia la scuola (pagine 26-34)

dappertutto, al Nord come al Sud, in città come in provincia, nelle zone ric-che come in quelle schiacciate dalla crisi. Si tratta di un aspetto inedito per un paese come l’Italia, dove il voto registra normalmente molte differenze da re-gione a rere-gione. Forse è un dato da mettere in relazione all’orizzontalità della rete e all’approccio che un certo settore dell’elettorato ha all’informazione on-line. O forse dimostra semplicemente che l’Italia è un paese molto più omo-geneo di quanto si pensi, nonostante le differenze tra le sue parti.

C’è un altro fattore poi che era evidente anche a piazza San Giovanni, la sera del comizio conclusivo di Grillo, come rilevato in seguito da Renato Mannheimer: al di là della questione se il M5S abbia sottratto maggiormente voti al centrosinistra o al centrodestra, la questione più rilevante è che dei cir-ca 8 milioni e mezzo di voti che il M5S ha ottenuto, il 20% proviene da per-sone che in precedenza si sono astenute, e il 16% dai giovani che hanno votato per la prima volta. Tale dato si evince anche confrontando la differenza dei vo-ti ottenuvo-ti tra Camera e Senato. Alla Camera, dove votano anche gli elettori Strumenti

Strumenti tra i 18 e i 25 anni, il M5S ha ottenuto un milione e quattrocentomila voti in

più, cioè più o meno il 16% di cui parla Mannheimer.

Davanti a noi c’è quindi un voto giovanile precisamente orientato. Elemen-to confermaElemen-to anche da un ricerca Tecnè: se a livello nazionale Grillo ha pre-so il 25,5%, il Pd il 25,4%, il Pdl il 21,5%, tra gli under trenta Grillo ha prepre-so il 38% e il Pd il 26%, mentre il Pdl è un partito quasi da anziani. Ma tra gli studenti – e questo è il dato più impressionante – Grillo ha preso il 54,8%, il Pd il 22% e il Pdl l’11%. Tra i disoccupati, tra i giovani disoccupati, Grillo ha preso invece il 41%. I dati dicono questo. E Grillo, che rimane uno con del fiuto, quest’aspetto l’ha colto subito, fin dal primo commento post-elettorale:

è un commento intelligente, politicamente criticabile ma intelligente. “Gli italiani non votano a caso”. “In Italia”, ha argomentato Grillo, “ci sono due blocchi sociali. Il primo blocco, che chiameremo Blocco A, è fatto di milioni di giovani senza un futuro, con un lavoro precario, disoccupati spesso laurea-ti che sentono di vivere sotto una cappa, sotto un cielo plumbeo come quello di Venere (...). A questo blocco appartengono anche gli esclusi, gli esodati, co-loro che percepiscono una pensione da fame e i piccoli e medi imprenditori strozzati. Il secondo blocco sociale, il Blocco B, è costituito da chi vuole man-tenere lo status quo, da tutti coloro che hanno passato indenni la crisi” (ovvia-mente per lui in tale blocco ci sono tutti i lavoratori dipendenti). “Il Blocco A vuole il rinnovamento, il Blocco B la continuità, il Blocco A ha votato in mas-sa per il Movimento 5 stelle”. Al di là della ricostruzione pro domo sua, in re-altà Grillo ha colto degli elementi di verità. La cosa interessante di questo post è che tra i cinquemila commenti che sono seguiti, nell’80% dei casi la gente scriveva “Beppe io sono un professore e ho votato per te”, oppure “io appar-tengo al Blocco B e ho votato per te”.

Secondo me ci sono due aspetti in questo fenomeno da cui è necessario partire. Il primo è che nel M5S c’è una forte componente peronista (non nel senso del populismo, del giustizialismo, elementi che pure ci sono): la cosa che più colpisce è questa capacità di raccogliere gente di destra e di sinistra, o gente che non ha mai votato, e di incorporare una destra e una sinistra al pro-prio interno, ovviamente in una dimensione liquida, frullando insieme le due cose; quest’aspetto costituisce qualcosa di radicalmente nuovo. Se vogliamo ri-manere nel suo schema, in realtà Grillo ha preso voti sia nel Blocco A che nel Blocco B. Per quanto lui racconti il proprio movimento come un movimento di rottura, in realtà io credo che il 25% dei voti non li ha ottenuti con la “rot-tura”, e neanche con la voglia di cambiamento come dice, ma catalizzando que-sto rancore sordo, plurale, che è percepibile nel paese. Ovviamente il rancore

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va sempre interpretato, sociologicamente, perché ci dice 1) che non è stato ca-pito dai grandi partiti e 2) che, per quanto spesso negato, esso esiste davvero.

Poi ovviamente dobbiamo chiederci chi è Beppe Grillo e in che modo egli lo interpreta, che cosa propone in concreto...

Tuttavia, e qui veniamo al secondo aspetto, è indubbio che – al di là della trasversalità del movimento – il Blocco A, come lo chiama Beppe Grillo, dati alla mano, ha votato in massa per lui. La cosa interessante, che poi noi possia-mo interpretare in vari possia-modi, è che paradossalmente tra i giovani, quelli che hanno votato veramente in massa per Beppe Grillo sono gli studenti. Come interpretare questo dato molto importante? Cosa significa, che lo studente ha una maggiore percezione della sua esclusione sociale? Che egli percepisce una situazione di massa senza sbocchi? Detto questo, proprio perché sono studen-ti, bisognerebbe capire il rapporto tra questo movimento e i movimenti di cri-tica al sistema capitalista che c’erano prima e che sembrano falliti in pochi anni.

E nel mezzo sarebbe interessante vedere anche, alla luce di queste percentuali del voto studentesco e del voto degli esclusi, il rapporto che ci può essere tra il voto grillino e l’esaurirsi dell’Onda studentesca.

La Piazza grillina di San Giovanni

La prima domanda che mi sono fatto quando sono stato a San Giovanni, alla fi-ne della campagna elettorale di Grillo, è stata: quanti di quei 300-400mila par-tecipanti potevano stare in un’altra piazza san Giovanni, diciamo “di sinistra”?

Ovviamente non proprio il concertone o una manifestazione nazionale della Cgil, ma prendiamo l’esempio dei girotondi o di una manifestazione per l’ac-qua pubblica. L’idea immediata è stata: non più del 20%. Ed è esattamente la percentuale che ha dato il Censis: un 20-25% del voto grillino viene da sinistra, Pd, Sel e Idv, il resto è altro. È vero anche che il Pdl ha perso molti voti, però la vera “base” del Movimento 5 Stelle, il suo corpus, è un altro, e su questo biso-gna interrogarsi. In questo corpus la percentuale giovanile è molto forte.

Non bisogna demonizzare il M5S ma piuttosto biasimare Grillo, non in quanto persona, come spauracchio, ma come capopopolo anti-democratico che estremizza i toni plumbei della distruzione, delle macerie, per occupare il vertice del potere. Questo è l’aspetto che trovo ambiguo in Grillo, perché non vi è alcuna critica radicale della politica volta alla trasformazione della politi-ca. Nei fatti Grillo vuole distruggere il palazzo per entrarci lui, nel palazzo. Ha buon gioco a dire “ah, ma noi siamo il movimento delle proposte, leggiti il pro-gramma”: Grillo dovrebbe riconoscere, come i più intelligenti dei suoi eletti, che con queste proposte si ottiene il 4-5% dei voti; il 25% è stato ottenuto

Strumenti grazie alla furia antipolitica. Sarebbe bastato fare l’applausometro di piazza San

Giovanni, quando diceva “Tutti a casa, apriremo il Parlamento come una sca-tola di tonno, siete dei ladri, dei morti che camminano...” Lo dico proprio senza nessuna remora, oggettivamente è un tono nazista, nel senso del nazi-smo o del fascinazi-smo delle origini. Si stimola una reazione trasformando la piaz-za in una corrida.

Poi ovviamente c’è anche altro. Quando hanno sfilato per pochi secondi i suoi candidati, c’era quello che diceva “acqua pubblica, reddito di cittadinan-za” e sembrava in linea con i movimenti, e quello che subito dopo rispondeva

“sovranità monetaria”, e sembrava appena uscito da CasaPound. Questa è la pluralità che chiamo peronista, una pluralità di gente che in qualche modo nel movimento è entrata e ci ha anche intravisto una buona dose di movimenti-smo. Ma c’è un forte stridore tra questa pluralità e la verticalità Grillo-eletto-ri, una verticalità molto riduttiva, carismatica e oggettivamente populista.

Infatti la prima mossa politica di Grillo, che questa cosa l’ha capita, è stata quella di dire: “Imponiamo la legge del vincolo di mandato dei parlamentari”.

È vero che, come notava qualcuno, gli ultimi parlamenti sono stati particolar-mente trasformisti, ma la Costituzione italiana, scritta da ex detenuti politici, impone la libertà di coscienza, un “no” preciso al vincolo di mandato perché imporlo vorrebbe dire darla vinta al partito totalitario. La cosa curiosa di Gril-lo è che quando sostiene queste cose non si rende conto di sostenere esatta-mente le cose che Simone Weil criticava nel Manifesto per la soppressione dei partiti politici che lui invece cita come suo testo di riferimento. Simone Weil criticava non l’istituzione dei partiti tout court per sostituirli con un partito so-lo, ma criticava il partito staliniano, cioè il partito in cui l’uno, il singolo can-didato eletto, è totalitariamente vittima della decisione del gruppo dirigente, del capo, che paradossalmente è proprio quello che Grillo vuole fare.

Qui c’è una impasse della politica: oggettivamente noi potremmo andare – e Grillo lavorerà per questo – verso un governo delle grandi intese, o delle piccole intese, da cui loro staranno fuori; ma in ogni caso questo governo avrà vita breve, si riandrà a votare e loro presumibilmente potrebbero diventare il primo partito in assoluto, mantenendo il Porcellum perché gli conviene: po-trebbero infatti avere la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera con dieci-mila voti in più.

La situazione è effettivamente grave, siamo davanti a un punto di rottura del sistema. Ciò ripropone il problema: che sarà del Movimento 5 Stelle?

Quale attrito si creerà tra la pluralità interna e il decisionismo grillino? È co-me un buco nero: c’è un nuovo partito con centocinquanta parlaco-mentari, il cui

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obiettivo politico è la distruzione totale del sistema, cioè creare le macerie su cui erigere un governo unico, il loro. Identificando la democrazia diretta con la distruzione dei corpi intermedi (partiti, sindacati), questo movimento non propone alcuna alternativa, bensì ha un’idea oggettivamente totalitaria e ver-ticistica della partecipazione politica.

Destra, sinistra e verdi

Dire che “destra e sinistra sono uguali” – discorso che Grillo è stato bravo a in-tercettare ma che viene fatto anche da tanti altri – è esattamente ciò che ha di-strutto la politica in questo paese. Il che non vuol dire rifarsi pedissequamente a Bobbio o a un’interpretazione statica della contrapposizione politica. Grillo in realtà minimizza il berlusconismo. Un conto è dire “c’è stato Berlusconi da una parte e dall’altra il Pd – cioè D’Alema, Veltroni e compagnia bella non hanno interpretato l’opposizione come doveva essere fatta”; però il grillismo non dice questo, forse un elettore grillino su dieci dirà “il Pd non ci ha difeso contro Berlusconi, perciò voto Grillo”. In realtà la posizione grillina dice “è tutto uno schifo, tranne Grillo; tutti hanno rubato, tranne Grillo; Pdl e Pd(me-no elle) soPd(me-no due facce della stessa medaglia...” Altra espressione tipica di Gril-lo è quella storicamente adottata da ogni politica reazionaria, di destra, camuffata da presunta oggettività: “Non esistono idee di sinistra o di destra, esistono so-lo idee buone o cattive”. Tutto ciò porta alla riduzione della complessità socia-le a una logica binaria.

In realtà queste cose sono sempre esistite nelle viscere della maggioranza silenziosa, nella pancia dei movimenti reazionari. È il mito della presunta equi-distanza. Quando don Milani dice che l’equidistanza tra ricchi e poveri, tra op-presso e opop-pressore, è una mistificazione (perché se tu sei equidistante tra il più debole e il più forte sei a favore del più forte) dice qualcosa che oggi po-trebbe smascherare immediatamente il grillismo.

La novità è che ora, per la prima volta, questo discorso è stato incorpora-to in un movimenincorpora-to che ha introdotincorpora-to anche tematiche proprie dei movimen-ti ecologismovimen-ti. Ma in che modo? Il M5S appare un aggregatore di sindromi Nimby, cioè di istanze localistiche e egoistiche. Non solo non esistono più i Verdi, ma non esistono più un pensiero ecologista e una politica ecologista che siano in-nanzitutto universalisti, che siano in grado di mettere insieme questioni eco-logiche, questioni politico-globali, questioni sociali, questioni universali – quello che insomma facevano Ivan Illich o Alex Langer. Nei confronti di questa plu-ralità di sindromi Nimby, Grillo ha avuto – come dice anche Giuliano Santo-ro in Un Grillo qualunque. Il Movimento 5 Stelle e il populismo digitale nella crisi

Strumenti dei partiti italiani (Castelvecchi 2012) – la capacità di inglobare i movimenti,

snaturandoli e mettendogli il cappello in testa. Per esempio nel libro Il Grillo canta sempre al tramonto. Dialogo sull’Italia e il Movimento 5 stelle di Beppe Gril-lo, Dario Fo e Gianroberto Casaleggio (Chiarelettere 2013), il No Tav in Val di Susa viene raccontato come esperienza unicamente prodotta dal M5S, quin-di c’è anche un atteggiamento molto staliniano nei confronti delle altre forze in campo.

Secondo me c’è un discorso di fondo fa fare, quello dell’eliminazione del-le questioni sociali e la loro sostituzione con altro. Nel successo del Movimen-to 5 Stelle c’è la vitMovimen-toria di una cultura molMovimen-to prossima agli ediMovimen-toriali de “Il Fatto quotidiano”, cioè la sostituzione del tema dell’ingiustizia sociale col te-ma della corruzione.

Questa logica regressiva ha portato alla fine della sinistra in Italia. Questo sussulto è stato politicamente interpretato prima da Di Pietro e adesso da Grillo, in maniera oceanica e molto più radicale, perché lui non sostiene il partito della procura: la sua è un’idea di forca molto più brutale e allo stesso tempo più sofisticata. Se fossi un intellettuale vicino al M5S mi interrogherei sul fatto che il successo è stato sì dato da un voto di cambiamento, ma che na-sceva da questo rifiuto collerico. Questo è un dato di fatto. Anche la rivoluzio-ne francese, che i grillini citano spesso, è nata sull’odio sociale, sul fatto che le masse a un certo punto sono esplose, e questo possiamo dirlo di qualsiasi ri-volgimento sociale: lì però c’era, accanto a quello molto forte sull’universalità, un discorso sulle classi che non esiste nel M5S.

Grillo fa spesso un elenco di tutti i drammi possibili e immaginabili, no-minando gli imprenditori che si suicidano, ma non ha mai dedicato un solo rigo agli operai che si suicidano. Per me l’uso della parola “operaio” è un test nell’Italia di oggi, perché quando tu praticamente parli di tutti i problemi – che oggettivamente ci sono – ma non parli di operai e proponi una singolare alleanza tra incazzati, esclusi, disoccupati, malati, piccoli risparmiatori e pic-coli imprenditori, da cui sono escluse le vittime dello sfruttamento lavorativo, la cosa deve farci insospettire. Lo stesso si può dire per le questioni che riguar-dano il tema cittadinanza-uguaglianza: il M5S è spaventosamente sordo da-vanti alla questione dell’immigrazione.

Come ripartire

La domanda che dobbiamo porci, al di là di che cosa può essere la politica, al di là di come risalire la china, è: “quale alternativa al modello Grillo dare a un ventenne”. La domanda più ovvia che uno si può porre commendando le

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zioni è “perché un ventenne avrebbe dovuto votare Bersani?” Non è una do-manda irrispettosa o ironica, è reale; quando Bersani pensa di fare il simpati-co citando una brutta canzone di Vassimpati-co Rossi, quando parla davvero simpati-come se fossimo nella Bassa padana degli anni trenta, mostra un enorme vuoto di ca-pacità comunicativa. Non c’è comunicazione. Non c’è prima di tutto con l’Italia che non appartiene all’elettorato Pd e che non viene da quella tradizio-ne politica e culturale, e in secondo luogo non c’è con i più giovani. Si potradizio-ne a una distanza enorme.

Sul fatto che molti giovani – non tanti, per la verità, perché anche questo mito va sfatato – dicessero “se ci fosse stato Renzi, l’avrei votato”, ho idee for-se minoritarie. Non credo che con Renzi si sarebbe invertito il risultato, tan-t’è vero che quella era paradossalmente una ipotesi formulata da un politico di destra, e Renzi in fondo è un politico della destra interna del partito. Tuttavia anche tutti i vecchi dirigenti, che ora chiedono sotto voce le dimissioni di Ber-sani o le dimissioni dei segretari locali, di tutti insomma tranne che di se stes-si, ripropongono la stessa logica perdente.

La domanda “perché un ventenne avrebbe dovuto votare Bersani?” è im-portante; l’autocritica avrebbe dovuto riguardare non solo Bersani ma tutti – il che non vuol dire dare spazio automaticamente ai quarantenni come Renzi o ai “giovani-vecchi” come li chiamano, Matteo Orfini e simili.

Detto questo, c’è ovviamente dell’altro. C’è una nuova generazione che io e i Tq facciamo fatica a comprendere, i ventenni. C’è stata una frattura in Ita-lia in questi dieci anni. Da una parte chi ha oggi vent’anni ed è nato nel 1993, è nato sotto Berlusconi ma è diventato adulto molto dopo Genova, e molto dopo la fine dei movimenti contro la globalizzazione liberista. Sono nati in un’epoca in cui effettivamente il dominio di Berlusconi era assoluto e l’assen-za di una opposizione di sinistra era evidente; viceversa la liquidità della rete, che è una cosa che esiste per quanto non vada né demonizzata né esaltata, è in una fase di crescita inarrestabile. È sempre il solito discorso, io credo che Fa-cebook, Twitter, i social network, i blog, l’informazione online siano degli straordinari strumenti di comunicazione e a volte anche di controinformazio-ne; rimane però un dato lapalissiano: un conto è che a utilizzare i social net-work e i blog sia un trentenne o un quarantenne che viene dal vecchio mondo e accanto al nuovo continua a usare la carta, i libri, le riviste; un conto è una generazione che è nata solo all’interno di questo universo. Effettivamente si è generata una mutazione. E la vittoria del Movimento 5 stelle viene in parte dal-l’aver assorbito e interpretato questa mutazione; ovviamente con profondissi-me contraddizioni, perché profondissi-mentre i Piraten tedeschi sono una moviprofondissi-mento più

Strumenti lineare, qui stiamo parlando di qualcosa messo in piedi da due miliardari

ses-santenni sulla base di una struttura verticistica.

Due sono gli aspetti che mi premono. In che modo i ragazzi di oggi pos-sono elaborare una dimensione critica per criticare il grillismo? Voglio dire:

perché tante cose che a noi, almeno a una parte di noi, sembrano evidenti nel-l’autoritarismo di Grillo, per i ventenni non lo sono? Forse è tanto forte la di-stanza nei confronti di quella che è stata percepita come vecchia politica che la vittoria della rete, anche attraverso un capo autoritario, ti sembra una cosa comunque più vicina... Io ho l’impressione che il decisionismo di Grillo pos-sa creare maggiori attriti fra gli eletti, o una parte degli eletti, che hanno forse una maggiore coscienza critica, che non fra gli elettori. E questo è un aspetto.

L’altra impressione è che effettivamente molti ventenni non sanno che sia esi-stita una storia d’Italia prima del 2000, non hanno nessuna memoria; ovvia-mente non ne hanno una “privata”, perché erano bambini, ma non ne hanno neanche una storica. Sembrano non essere a conoscenza del fatto che in Italia siano esistiti altri movimenti che criticavano lo status quo. Questo lavoro di chiarimento, di racconto, francamente non so chi possa farlo. Non lo fa la scuo-la, non lo fa l’università, non lo fanno i giornali. Non lo fanno i trentenni...

Probabilmente un racconto si è interrotto. Il problema è che ovviamente – e su questo i Wu Ming hanno ragione – abbiamo a che fare con un movimento che non vuole elaborare un orizzonte politico anticapitalista, o prendere atto delle divergenze e delle profonde iniquità di classe. Il problema è quanto gua-dagna il politico, cioè la vecchia logica di destra: per certi versi Grillo ridice

Probabilmente un racconto si è interrotto. Il problema è che ovviamente – e su questo i Wu Ming hanno ragione – abbiamo a che fare con un movimento che non vuole elaborare un orizzonte politico anticapitalista, o prendere atto delle divergenze e delle profonde iniquità di classe. Il problema è quanto gua-dagna il politico, cioè la vecchia logica di destra: per certi versi Grillo ridice

Nel documento cambia il mondo, cambia la scuola (pagine 26-34)