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Il Codice civile del 1837 e il problema dell’abrogazione del diritto

Nel documento TITOLO TESI / THESIS TITLE (pagine 46-49)

Con l’editto introduttivo del testo definitivo del Codice albertino si enunciò che in quell’unico testo «alcune antiche prescrizioni si riformarono, altre nuove si introdussero con quella maturità di consigli a sì alta impresa richiesta» e si raccolse «la sapienza delle prime leggi prima variamente sparse, né in ogni luogo uniformi»182.

Nell’elaborazione del testo legislativo, infatti, la commissione prese a modello non solamente la codificazione napoleonica, ma anche quella napoletana e quella parmense, che in quegli anni erano state poste in vigore183, e considerò che questi codici, nel disciplinare la materia civile, ne offrivano

«una sposizione razionale, semplice, chiara, ed esatta di tutto ciò che vi ha di più evidentemente giusto ed utile nei precetti del diritto civile: le è quindi paruto opportuno di adottare molte parti di questi Codici, e soprattutto quelle che furono attinte dal corpo del diritto Romano, sgombro dalle sottigliezze e dagli accidenti proprii dei tempi in cui fu esso compilato»184.

Nella forma dunque si decise di non abbandonare il modello di codice proposto dai legislatori francesi, mentre nella sostanza si vollero recuperare le normative «conformi alle tradizioni sabaude», seppur con alcune indispensabili modifiche, dettate dalla necessità dei tempi185. Con l’art. 4 fu ribadito il ruolo esclusivo del sovrano nell’elaborazione ed interpretazione delle leggi186

, mentre con gli articoli 16 e 17 si ordinò che le sentenze dei magistrati non avessero più alcuna forza di legge187. Ma la disposizione certamente più importante è quella dell’art. 2415, il quale statuiva, secondo il modello francese, che:

182 Dal proemio del regio editto del 20 giugno 1837. Cfr. C.DIONISOTTI, Storia della magistratura

piemontese cit., II, pp. 52-67. 183

Cfr. G. ASTUTI, Gli ordinamenti giuridici degli stati sabaudi cit., pp. 546 ss.; D., Il Code Napoléon in Italia e la sua influenza cit., pp. 31-34; G.S. PENE VIDARI, Problemi e prospettive

della codificazione, in Ombre e luci della Restaurazione cit., pp. 174-218; P.NOTARIO,N. NADA,

Il Piemonte sabaudo cit., pp. 220-224. 184

Motivi dei Codici per gli Stati Sardi cit., p. X.

185 Motivi dei Codici per gli Stati Sardi cit., p. X: «L’esperienza di una simile legislazione tuttodì vigente in una parte dei Reali dominii ha fatto conoscere ciò che meglio riscontrava coi costumi e colle abitudini dei Regii sudditi, e quindi ciò che era utile di conservare in tali leggi e ciò che sarebbe stato pericoloso di mantenere, senza nuocere alla unità del sistema». Tuttavia Dionisotti nota che: «Il Codice francese servì di guida nella compilazione, e dove non fu seguito, segnò un regresso», C.DIONISOTTI, Storia della magistratura piemontese cit., II, p. 63.

186

Codice civile albertino, art. 4: «Al Re solo appartiene la podestà di fare le leggi dello Stato».

187

Codice civile albertino, art. 16: « Al Sovrano spetta l’interpretare la legge in modo per tutti obbligatorio: qualora i Magistrati supremi credano necessaria siffatta interpretazione, potranno fare al Re le opportune rappresentanze.

L’interpretazione che il Re stimerà di dare ad una legge, emanerà, e sarà pubblicata nel modo e colle forme prescritte per le leggi.

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«In tutte le materie che formano l’oggetto del presente Codice le leggi romane, e gli statuti sì generali che locali cesseranno di aver forza di legge. Cesseranno parimente di aver forza di legge in tali materie le Regie Costituzioni, gli Editti, le Lettere-Patenti ed altre Regie provvisioni, i regolamenti, usi e consuetudini, e qualunque altra disposizione legislativa, salvo nei soli casi in cui il Codice stesso vi si riferisce»188.

Nonostante il tenore della norma esprima una chiara volontà di prendere le distanze dal diritto previgente, i lavori preparatori al Codice testimoniavano come il diritto romano fosse sempre stato presente come fonte di principi di diritto. Infatti la Commissione legislativa incaricata della redazione del testo del Codice

«riconosceva nell’ordine dei tre libri […] un modello di classificazione degno di essere imitato, ma non si rattenne tuttavia dal modificarlo, quando le parve di scorgerne un giusto motivo. Riguardo poi alla sostanza delle disposizioni, […] i Codici moderni ne porgono una sposizione razionale, semplice, chiara, ed esatta di tutto ciò che vi ha di più evidentemente giusto ed utile nei precetti del diritto civile: le è quindi paruto opportuno di adottare molte parti di questi Codici, e soprattutto quelle che furono attinte dal corpo del diritto Romano, sgombro dalle sottigliezze e dagli accidenti proprii dei tempi in cui fu esso compilato»189.

Il riferimento ai «Codici moderni» mostrava inequivocabilmente la tendenza della Commissione al confronto con le legislazioni straniere – quali la francese e la austriaca – che sul piano sostanziale rappresentavano dei modelli a cui ispirarsi per la compilazione delle norme civili; d’altra parte, però, era apertamente ammessa la preferenza per quelle disposizioni che trovavano la propria origine nel diritto romano.

A tal proposito, è significativo ricordare che Federico Sclopis, membro della Commissione per la redazione del Codice, raccomandava infatti di «non lasciarsi sedurre dalla falsa opinione che per essersi ne’ moderni codici fatta più ordinata, compiuta e schietta la sposizione dei precetti della legge» il diritto fosse stato riformulato ex novo, in quanto

«i codici contengono i precetti, ma non ne danno la ragione. Per ben possedere la legge, è d’uopo ricorrere alle prime fonti, al sagro deposito in cui sta scolpito lo stemma

Tale interpretazione si applicherà a tutti i casi che sono da decidersi, a meno che non sia colla medesima altrimenti provvisto.

L’interpretazione non potrà mai applicarsi alle cose anteriormente transatte, o decise definitivamente».

Codice albertino, art. 17: «Le sentenze de’ Magistrati non avranno mai forza di legge».

188

Cfr. I.SOFFIETTI,C.MONTANARI, Il diritto negli Stati sabaudi cit., pp. 156-157.

189 Motivi dei codici per gli Stati Sardi cit., p. X. «L’esperienza di una simile legislazione tuttodì vigente in una parte dei Reali dominii ha fatto conoscere ciò che meglio riscontrava coi costumi e colle abitudini dei Regii sudditi, e quindi ciò che era utile di conservare in tali leggi e ciò che sarebbe stato pericoloso di mantenere, senza nuocere alla unità del sistema».

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della nazione togata del mondo. A questi libri detti per antonomasia la ragione scritta, sono venuti ad ispirarsi i più grandi legislatori de’ popoli inciviliti»190

. Di grande importanza è l’art. 15 del Codice albertino191

, il primo a riferirsi espressamente ai «principi generali del diritto» in qualità di fonte alla quale i giudici potessero ricorrere, in caso di lacuna normativa e laddove l’analogia non fornisse soluzioni adeguate:

«Qualora una controversia non si possa decidere né dalla parola, né dal senso naturale della legge, si avrà riguardo ai casi consimili precisamente dalle leggi decisi, ed ai fondamenti di altre leggi analoghe: rimanendo nondimeno il caso dubbioso, dovrà decidersi secondo i principi generali del diritto, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso»192.

Tuttavia è significativo notare come tale articolo, nel progetto del 1832, fosse formulato diversamente, sancendo che in tali casi i giudici avrebbero dovuto decidere «secondo i principi del diritto naturale, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso». Una formulazione ispirata al Codice civile austriaco, il quale aveva deciso di operare un richiamo così ampio e generico al fine di scongiurare il pericolo che il silenzio della legge fosse motivo di mancata decisione di una controversia, nonché per realizzare il proposito di «semplificare le disposizioni ed introdurre un’uniformità di giurisprudenza in tutto lo Stato»193

. La formulazione di tale norma fu oggetto di grandi dispute: il Senato di Piemonte, manifestando la propria perplessità nei confronti del riferimento al diritto naturale, suggerì di disporre il rinvio al «diritto comune, tutto fondato sul diritto naturale e delle genti» o, in subordine, ai «principi della ragione». Il Senato di Savoia propose invece di sostituire ai «principi del diritto naturale» i «principi dell’equità», richiamando dunque l’aequitas del diritto romano sul presupposto che «la loi Romaine disait aux juges: factorus quod eis visum fuerit justius et aequius»194. La Camera dei Conti fu fautrice di un rinvio alla «ragione naturale […], cioè quel fonte di regole che hanno la loro origine nella natura umana». Infine, il Consiglio di Stato, Sezione di Grazia e Giustizia, propose l’eliminazione dell’articolo in questione, giudicando troppo vaga l’espressione «principi del diritto naturale», ma soprattutto perché «divenendo ora il Codice la legge comune […] essi troveranno sempre regole sufficienti per giudicare, desumendole sia dal diritto romano considerato come ragione scritta, sia dai canoni di giurisprudenza

190

F. SCLOPIS, Dello studio e dell’applicazione delle leggi. Discorso detto dinanzi all’eccellentissimo R. Senato di Piemonte nella solenne apertura dell’anno corso giuridico, Torino

1844, pp. 12 ss.

191

Cfr. G.S.PENE VIDARI, Studi sulla codificazione in Piemonte cit., pp. 162-174.

192 Codice civile albertino, art. 15.

193

Cfr. per i progetti e le discussioni sul testo codicistico Motivi dei codici per gli Stati sardi, I, Genova 1856

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adottati dai Tribunali, sia finalmente dai principi di equità naturale». Nella redazione definitiva, si decise di richiamare i «principi generali di diritto», per affermare l’unità del diritto contrastando le spinte del tradizionalismo particolarista ed espressione del potere dei magistrati.

4. I commentari al Codice e le opere di comparazione: la continuità

Nel documento TITOLO TESI / THESIS TITLE (pagine 46-49)