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L’apertura al Codice degli ambienti accademici: Giuseppe Buniva

Nel documento TITOLO TESI / THESIS TITLE (pagine 61-64)

4. I commentari al Codice e le opere di comparazione: la continuità del

2.3 L’apertura al Codice degli ambienti accademici: Giuseppe Buniva

In posizione sostanzialmente favorevole alla codificazione si poneva la figura di Giuseppe Buniva245: avvocato e professore di diritto nell’Ateneo torinese, la sua produzione scientifica si incentrò interamente sul Codice civile, soffermandosi in particolar modo su diversi istituti del diritto delle persone, sull’educazione pubblica e su alcune tematiche di diritto ecclesiastico.

Nel 1849, incaricato dal sovrano Vittorio Emanuele II di prender parte ad una commissione per le riforme universitarie, che aveva il compito di elaborare un progetto per il riordinamento della facoltà giuridica torinese, pronunciò una prelezione246 davanti agli studenti del primo anno, nella quale affermava l’importanza dello studio dell’Enciclopedia e della Storia del diritto, corsi dei quali era stato nominato professore effettivo. Pur favorevole alla codificazione – della quale in ogni occasione decantava le lodi – Buniva affermava l’importanza dello studio storico del diritto, poiché

«come inesperto e malaccorto sarebbe il legislatore, il quale nell’accingersi a dotare il popolo di leggi novelle si argomentasse di far compiuta astrazione di quelle le quali hanno precedentemente governata la nazione, così sarebbe stranamente mutilata la scienza del diritto, se da essa gli studii storici ne venissero eliminati»247.

Al tempo stesso, però, Buniva si poneva in posizione polemica nei confronti del pensiero savigniano, del quale contrastava la critica alla codificazione. Nella sua Enciclopedia del diritto248, infatti, il giurista sabaudo contestava le accuse al Codice mossa dagli esponenti della Scuola storica del diritto249, affermando con veemenza che il diritto codificato non avrebbe affatto

245 Sulla figura di Giuseppe Buniva, si veda la voce biografica di A. Abena in Dizionario

biografico dei giuristi italiani, II, pp. 359-360. 246

G.BUNIVA, Prelezione detta il 6 novembre 1849 agli studenti del primo anno di leggi, Torino 1850.

247

G.BUNIVA, Prelezione detta il 6 novembre 1849 cit., p. 10. Ivi: «il sopprimere nella scienza della legislazione e della giurisprudenza l’elemento storico equivalga al supporre che le nazioni non abbiano come gl’individui una vita loro propria cioè un’infanzia, un’adolescenza, una gioventù e una vecchiaia, è quindi lo stesso che niegare il successivo svolgimento e sviluppo del proprio carattere delle nazioni, il quale specialmente nelle loro leggi si manifesta secondo che si tratta del vario stato in cui si trovano, proposizione questa che sarebbe, come ognun vede, evidentemente assurda».

248

G. BUNIVA, Enciclopedia del diritto, ossia Introduzione generale alla scienza del diritto, Torino 1853. L’Enciclopedia fu indirizzata, in primo luogo, agli studenti per fornire loro delle nozioni preliminari allo studio del diritto: in ragione di ciò, nella prima parte, quella generale, si esponevano le nozioni fondamentali sul diritto e la giurisprudenza; nella seconda, quella speciale, si soffermava sulle diverse parti del diritto, nonché sulle discipline affini.

249

G.BUNIVA, Enciclopedia del diritto cit., p. 52: «L’arbitrio del legislatore parve prepotenza, e si disse orgogliosa pretesa dei tempi nostri quella di sanzionare un corpo di leggi da aver forza per quella età in cui la scienza del diritto avrà toccata maggior perfezione».

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urtato con la volontà del popolo, bensì avrebbe fornito un ordinato corpo di leggi, in accordo con i costumi e gli usi consolidati. Inoltre, Buniva non aderiva dunque alla tesi dell’inconciliabilità tra la scienza giuridica e la forma codice, affermando invece, in polemica con il pensiero della Scuola, che

«la scienza deve informare l’opera del legislatore: e poiché la legge anche codificata non è per sua natura perpetua e immutabile, vorranno i codici acconciamente essere emendati, se le loro prescrizioni, col progredire dei tempi, più non si trovino a livello della scienza»250.

La prospettiva del Buniva è dunque interamente incentrata sul Codice, del quale accoglie con grande favore l’introduzione nell’ordinamento sabaudo251

, tanto da non mostrare alcuna difficoltà nel fondare il suo insegnamento sul testo codicistico, secondo le disposizioni di riordinamento degli studi giuridici nella Facoltà torinese. L’impostazione del giurista, divenuto titolare dell’insegnamento del Diritto civile dal 1857, emerge in maniera chiara dall’esame dei sunti delle sue lezioni, raccolte a cura di un allievo nel testo Delle leggi in generale e del diritto delle persone252.

In primo luogo, l’opera apre riportando il Programma di insegnamento dell’epoca, approvato dal Consiglio Superiore di Pubblica Istruzione per l’anno accademico 1857-58, ed è subito evidente come il corso di Diritto civile non inizi più con le nozioni storiche sulle origini dell’ordinamento, bensì con l’illustrazione della legge positiva vigente nei Regi Stati secondo quanto disposto dal Codice. Si abbandonava, dunque, la ricostruzione storica delle vicende che sfociarono nella nuova codificazione, che per Merlo e diversi altri giuristi dei decenni precedenti aveva rappresentato l’introduzione all’insegnamento della materia civilistica253

. Il Programma era molto dettagliato, nella precisa enumerazione degli argomenti che i docenti erano tenuti a trattare nelle loro lezioni, e dove non vi era alcuno spazio per altro diritto che non fosse quello codificato.

Ciò è talmente evidente, che nelle Nozioni generali, in apertura del corso, Buniva coglieva nuovamente l’occasione per esporre il pensiero della Scuola storica di Savigny e di confutarlo: si affermava, infatti, che anche la codificazione poteva essere aderente alla volontà del popolo, perché si trattava pur sempre di una legge emendabile, ma che garantiva quella certezza del diritto che una

250

Ivi, p. 53.

251

Ivi, pp. 53-54: «Intanto è segnalato vantaggio della legge codificata che i diritti e le obbligazioni dei cittadini siano chiaramente e uniformemente formolati, e scemato così l’arbitrio dei giudici, pieno sempre di pericoli per la civile libertà dei cittadini. […] il diritto codificato ne presenta la forma più utile per la sicurezza e il vantaggio dei cittadini».

252

G. BUNIVA, Delle leggi in generale e del diritto delle persone. Sunti delle lezioni di diritto

civile, Torino 1858. 253

Buniva non rispetterà pedissequamente il disposto di escludere le nozioni di carattere storico, richiamandole di rado e sempre al fine di dimostrare il perfezionamento della legislazione sabaua dopo il 1838.

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consuetudine non poteva certo ottenere254. In quest’ottica, la codificazione era apertamente difesa dalle critiche di tutti quei giuristi che si mostravano ancora legati al tradizionale assetto delle fonti normative di antico regime, affermando che «la forma di Legge codificata è quella che fu preferita presso di noi e presso le nazioni più civili d’Europa»255

.

Ma è il capo V a rivestire un grande interesse, poiché, destinato alla trattazione delle «fonti del diritto positivo negli Stati sardi», a proposito del diritto romano Buniva riteneva che questo si ponesse, insieme al diritto ecclesiastico, sull’ultimo gradino della scala gerarchica delle «fonti esterne del nostro Diritto positivo»256: il diritto romano, nella sua accezione comprensiva non soltanto del Corpus iuris giustinianeo, ma anche di «tutti i frammenti genuini di questo Diritto»257, doveva ritenersi abrogato nelle materie non contemplate dal Codice, e in tutti i casi in cui non si fosse potuto ricorrere alle Regie Costituzioni, ai Regi editti, alle Lettere Patenti e agli Statuti locali, posti più in alto nella scala gerarchica dei diritti in funzione sussidiaria258. Del resto, Buniva riconosceva che per quanto concerneva l’interpretazione delle norme,

«il Diritto Romano, con tanta verità chiamato la ragione scritta, segna molte norme d’interpretazione, a cui con sommo vantaggio potranno sempre ricorrere gli applicatori della Legge»259.

In questa stessa ottica, è opportuno sottolineare che la considerazione del diritto romano come ratio scripta era già stata espressa qualche anno prima nella sua Enciclopedia del diritto, dove addirittura il giurista era arrivato ad affermare che

«buona parte delle leggi attualmente esistenti altro non sono che la riproduzione fedele delle disposizioni del romano diritto, a cui quindi di necessità convien risalire per formarsene un adeguato concetto. È infine a ricordare che in alcune parti della nostra legislazione ancora non è abrogato il diritto romano, e conserva forza di legge»260.

254

G.BUNIVA, Delle leggi in generale e del diritto delle persone cit., pp. 31-32: «Anche secondo la nostra Teoria il Legislatore stretto dovere di studiare l’indole e i costumi del popolo, nonché di informare la Legge alla condizione speciale della nazione; e perché dunque la Legge da lui promulgata non sarà conforme ai voti del popolo cui la impone? D’altronde, siccome, anche codificata, la Legge non è perpetua ed immutabile, così, se le prescrizioni dei Codici non si trovino più al livello della scienza, esse potranno facilmente ed opportunamente venire emendate».

255

Ivi, p. 31.

256 Ivi, p. 125.

257

Ivi, p. 128.

258 In termini sostanzialmente identici si era già espresso Buniva nella sua Enciclopedia del diritto cit., p. 209.

259

G.BUNIVA, Delle leggi in generale e del diritto delle persone cit., pp. 141-142.

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Anche Buniva dunque, in un’ottica interamente proiettata sulla codificazione, poneva il diritto romano come ultima fonte alla quale ricorrere, in virtù del riconoscimento di quella autorità che lo rendeva, anche dopo l’emanazione del Codice, un elemento imprescindibile per il giurista261

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