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Gli Annali di giurisprudenza e l’aderenza alla tradizione

Nel documento TITOLO TESI / THESIS TITLE (pagine 77-82)

3 Una visione d’insieme sulla pratica giuridica nei tribunali sabaudi

3.2 I periodici e le raccolte giurisprudenziali dopo la codificazione albertina

3.2.1 Gli Annali di giurisprudenza e l’aderenza alla tradizione

L’importanza dei periodici giuridici del XIX secolo sta appunto nel fatto che questi rappresentarono degli essenziali strumenti per i pratici del diritto, i quali, attraverso la consultazione di queste opere, potevano non soltanto aggiornarsi, ma anche comprendere approfonditamente i testi normativi che ne costituivano l’oggetto di studio315. Dopo l’entrata in vigore del Codice albertino, in particolare, la circolazione di tali riviste giuridiche rappresentò il canale preferenziale per la diffusione delle conoscenze giuridiche, nonché un mezzo essenziale attraverso il quale giungere all’uniformità interpretativa, uno degli scopi principali del codificatore sabaudo316.

In questo filone rientrano i famosi Annali di giurisprudenza317, periodico giurisprudenziale avviato da una società di avvocati e causidici che, tra il 1838 e il 1843, pubblicarono questa rassegna annotata di «giurisprudenza dei Magistrati Supremi», corredata da diversi articoli sulle questioni giuridiche più problematiche e discusse. Ebbene, la disamina di questi Annali è particolarmente interessante in quanto i compilatori del periodico affrontavano alcune problematiche di significativo rilievo, che occuparono le riflessioni dei giuristi proprio negli anni immediatamente successivi all’emanazione del testo codicistico.

Il primo problema che si poneva immediatamente davanti ai pratici del diritto era quello degli effetti determinati dal passaggio da una legislazione a un’altra:

«Nei primi periodi della vita di una nuova Legislazione si denno necessariamente presentare alcuni dissensi fra quelli che sono chiamati a farne l’applicazione. Figlia delle passate esperienze e delle nuove meditazioni ella appare a taluno come riproduzione modificata della preesistente sanzione; a tal altro come concetto del tutto nuovo: quegli risalendo alle origini interpreta secondo lo spirito della Legislazione precedente; questi

315

L’esempio francese era stato, anche in questo campo, preponderante: le raccolte del Dalloz e del Sirey, nonché il Journal du Palais, infatti, costituivano il principale riferimento dei giuristi sabaudi per l’avvio delle principali pubblicazioni periodiche di giurisprudenza.

316

Cfr. G.S. PENE VIDARI, La magistratura e i codici cit.; ID., Studi sulla codificazione in

Piemonte cit., pp. 275 ss.; L.MOSCATI – G.S.PENE VIDARI, La cultura giuridica e la Deputazione

di Storia Patria, in U.LEVRA – R.ROCCIA (a cura di) Milleottocentoquarantotto. Torino, l’Italia,

l’Europa, Torino 1998, pp. 283 ss.

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Annali di giurisprudenza, raccolta mensile pubblicata da una società di avvocati e di causidici,

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partendo da un sistema preconcepito di progressiva innovazione sceglie quell’interpretazione, che al nuovo sistema meglio secondo la sua mente si coordina»318

. Si trattava, infatti, ancora una volta, di conciliare il contrasto tra quanti ritenevano la codificazione un prodotto legislativo del tutto nuovo, in rottura con il passato, e quanti invece si ostinavano ad individuare le fondamenta di quel sistema nel diritto previgente, in linea di continuità con la tradizione giuridica. L’accoglimento dell’una o dell’altra impostazione aveva importanti ripercussioni sul piano applicativo: secondo alcuni, infatti, il Codice doveva essere interpretato e dunque applicato alla luce delle intenzioni del legislatore, senza ricercare in altre fonti la ratio delle nuove disposizioni; secondo altri, invece, non solo era possibile ma addirittura necessario avvalersi del diritto previgente per ricavare quei principi giuridici che dovevano servire all’interprete per comprendere e applicare correttamente il diritto, ora presentato nella forma del codice.

È opportuno però sottolineare che i compilatori degli Annali mostrano complessivamente di aderire alla seconda corrente di pensiero, affermando in più occasioni che per risolvere molti quesiti giuridici è indispensabile risalire alle origini degli istituti, indagare la regolamentazione previgente, esaminare le tendenze giurisprudenziali e le interpretazioni dei giuristi, per poter trarre il principio giuridico valido e adatto a risolvere la questione controversa.

«È in molti casi indispensabile riandare i monumenti legislativi, che la storia ci ha conservati intorno ad instituzioni identiche od analoghe a quelle delle quali si cerca la ragione. Risalendo all’origine loro, rintracciandone il progresso, il pensiero morale, e le stesse anomalie, tutto ciò, il più delle volte non poco conduce a far discernere il vero spirito ed intendimento delle nuove leggi che vi hanno relazione»319.

Fu in particolare Agostino Biagini ad affermare il ruolo ancora di spicco della legislazione anteriore, in particolare del diritto romano: secondo l’avvocato piemontese, infatti, il diritto passato era la fonte per eccellenza di quelle massime giuridiche, eterne e immutabili, alle quali si era ispirato e sulle quali si era fondato anche il nuovo Codice320. Su tali premesse Biagini formula una proposta, quella di elaborare un «elenco compiuto ed ordinato di principii, o regole»321 della tradizione giuridica sabauda, al fine di fornire un prezioso strumento per la pratica del foro, «il più utile e luminoso commento […] animato dal vero spirito della legge»322.

318

Annali di giurisprudenza cit., I, 1838, p. 579.

319 Annali di giurisprudenza cit., II, 1839, p. 97

320

Annali di giurisprudenza cit., I, 1838, p. XII: «L’indagine sulle origini, per quanto serve all’interpretazione, equivale alla ricerca di quelle massime che dominarono nei primordii dello stabilimento di una legge, e che più o meno manifeste ed importanti vestigia hanno di certo segnato anche nelle riforme, e nelle modificazioni ulteriori della stessa legge».

321

Annali di giurisprudenza cit., I, 1838, p. XV.

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Il compilatore non intende certamente affermare la superiorità del diritto previgente, ed è ben lungi dal dichiarare che i giudici dovrebbero fondare le loro sentenze su un diritto ormai abrogato: il Codice resta la primaria fonte di riferimento per la risoluzione dei casi controversi in materia civile, ma da solo non basta e necessita anzi del supporto dei principi giuridici consolidati nella tradizione del passato.

«Sarà questo lo studio principale ed indefesso dei Magistrati e dei Giureconsulti, che dovranno profferir sentenza o dar consiglio sull’applicazione del nuovo Codice civile, tanto più che per espresso precetto, ove per la decisione di una controversia non sia bastante la parola od il senso naturale della legge, debbesi aver precipuo riguardo ai

fondamenti di altri leggi analoghe. Ed i Compilatori degli Annali nel riferire i giudicati e

nel discutere le questioni che occorreranno non dimenticheranno mai di volger l’occhio ai principii da cui saranno rette».323

Sul piano dell’applicazione giurisprudenziale, dunque, Biagini specificava che era lodevole che i giudici ricorressero al diritto passato, purché però lo facessero con «maturo giudizio», per non correre il rischio di richiamarle senza alcun criterio, e senza compiere quella indispensabile ponderazione che permetteva di comprendere correttamente la loro ratio. Se così non fosse stato, infatti, si sarebbe ricaduti nell’eccesso opposto, quello di citare senza alcun discernimento le fonti antiche solo per la loro autorità324, senza valutare a fondo il ragionamento giuridico che era alla base della formulazione di un dato principio325.

Nella prefazione agli Annali, infatti, Biagini dichiarava che tutti i compilatori si affermavano persuasi che l’entrata in vigore dei nuovi Codici avrebbe posto fine a quello stato di incertezza del diritto che aveva caratterizzato l’antico regime326

, ma ciò non rappresentava affatto una volontà di distaccarsi

323 Annali di giurisprudenza cit., I, 1838, vol. I, p. XVI. 324

«Un difetto che troppo facilmente si insinua nelle forensi discussioni, quando sono rivolte ad applicare una legge che esiste da molto tempo, ed a seguitare le traccie di una Giurisprudenza da lungo tempo formata, è necessariamente questo, che i principii, le origini, e con esse il vero spirito di quella Legislazione, se non vanno quasi in dimenticanza, cessano però di essere oggetto di meditazione e di discorso»: Annali di giurisprudenza cit., I, 1838, p. III.

325

Le massime del diritto romano, infatti, «passando di mano in mano come tradizioni per le quali è superflua ogni disamina, perdono a poco a poco il loro genuino carattere ed il loro valore; si adoprano indifferentemente e si applicano a cose ed a materie affatto disparate; diventano perfino suppellettile di quei pochi, che scarsi di ogni altro sussidio osano avventurarsi alla pratica e all’esercizio di una scienza, che non possiedono abbastanza. Anche ai provetti ed ai dotti non è sempre agevole il risalire alle remoti sorgenti del Diritto attraverso alle occorse modificazioni ed alle alterazioni troppo numerose, spesse volte poco discernibili, e non sempre il tentarlo sarebbe senza taccia di soverchio, o di inopportuno. Di qui lo sfavore nel quale sembra caduta la frequenza delle citazioni», Annali di giurisprudenza cit., I, 1838, pp. III-IV.

326 «Alle quali cose i compilatori di questo Giornale riflettendo, sono persuasi che l’attivazione dei nuovi Codici porrà la Giurisprudenza sulla via di schivare con maggior facilità e sicurezza i difetti che erano proprii del periodo or ora terminato, il che non sarà senza grande vantaggio, pur che si sappiano evitare i difetti opposti»: Annali di giurisprudenza cit., I, 1838, p. IV.

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completamente dal passato. Al contrario, si riconosceva apertamente che i «contenuti» sarebbero stati «analoghi al certo nella sostanza, perché le nuove leggi sono una riforma, e non già un sovvertimento delle precedenti»327: un rinnovamento, dunque, e non uno stravolgimento.

Il richiamo ai «fondamenti di altre leggi analoghe» auspicato da Biagini non può non ricondurre al diritto romano, del quale si legittimava il richiamo come fonte autorevole di principi giuridici immutabili e certamente non superati anche dopo l’avvento della codificazione328

.

Eppure il diritto romano non rappresentava l’unico modello di riferimento, poiché a fungere da termine di paragone era anche il diritto francese, ricco di decisioni «applicabili al Codice patrio per identità di disposizioni legislative»329.

Il continuo dialogo tra la vecchia e la nuova disciplina è reso evidente dalla frequenza con la quale i compilatori degli Annali facevano riferimento ora al diritto romano, ora a quello napoleonico, nell’affrontare e risolvere le questioni giuridiche più problematiche e che si presentavano sovente davanti ai giudici.

In tutti i casi, infatti, in cui si trattava di dover interpretare e applicare un istituto regolamentato dal Codice albertino, ma la cui disciplina serbava ancora dei punti oscuri, la soluzione doveva essere individuata ponendo a confronto la disposizione codicistica con la «Legislazione Romana, Francese e patria». La risoluzione delle controversie era indubbiamente più semplice laddove le diverse discipline fossero concordi nei contenuti330, mentre si ponevano dei problemi nel caso in cui non vi fosse comunanza di principi: si trattava, infatti, di

«due sistemi affatto diversi: quello della Giurisprudenza Romana, e quello della Giurisprudenza Francese; ambidue avevano retto a diversi tempi questi Stati, ed ancora recentissimamente erano ambidue in vigore in diverse parti di questi»331.

Le difficoltà maggiori nascevano, ancora una volta, quando un diritto nasceva sotto una determinata disciplina e poi, con l’entrata in vigore di una

327 Annali di giurisprudenza cit., I, 1838, p. IV. 328

In tale prospettiva, del diritto romano viene sottolineata la mai tramontata autorità, in virtù del fatto che sui giureconsulti romani «potrebbe dirsi che immediatamente dalla retta ragione abbiano quegli uomini assennati ricevute le lorodottrine». In ragione di ciò, Biagini giustifica la perdurante opportunità – e direi quasi necessità – di ricorrere al patrimonio giuridico romano nell’applicazione pratica del diritto: «l’indagine delle origini, per quanto serve all’interpretazione, equivale alla ricerca di quelle massime che dominarono nei primordii dello stabilimento di una legge», ed hanno una valenza fondamentale in quanto il diritto romano «fonda la base della Legislazione di quasi tutta Europa»: Annali di giurisprudenza cit., I, 1838, vol. I, p. XI.

329

Annali di giurisprudenza cit., III, 1839, p. 630.

330

In diverse materie, infatti, la comunanza di principi permetteva alla normativa recentemente introdotta di esser vicina «al Romano sistema, o piuttosto coerente ai dettami della ragion naturale per quanto riguarda la dipendenza delle persone; non alieno dal sistema Francese», Annali di

giurisprudenza cit., I, 1838, p. 579.

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diversa regolamentazione, veniva in dubbio la sua stessa esistenza. Tali questioni transitorie, dunque, venivano spesso risolte proprio grazie al ricorso al diritto romano e a quello francese, esponendo sulla fattispecie in esame

«quale siano i principii e le massime di ragion comune, quale la Giurisprudenza che fu additata allorché, promulgato il Codice Francese, nacquero le medesime controversie. […] operare lo studio delle fonti, a cui le sue disposizioni [del Codice] sono state attinte e l’osservazione circa le modificazioni che in esse abbia provato il diritto anteriore»332.

In tali situazioni, dunque, il Codice non bastava più da solo a fornire la soluzione al caso controverso, poiché non era sufficiente individuare una disposizione nel nuovo testo legislativo, ma era piuttosto opportuno risalire ai principi regolatori dell’istituto in oggetto, al fine di ricavare una regola che permettesse di risolvere la questione. Lo studio della problematica attraverso l’indagine delle origini dell’istituto e la ricostruzione della sua evoluzione rappresentavano, infatti, «idonei mezzi per mettere in piena luce il principio che è prevalso in ciascuna disposizione; principio a cui, nelle questioni che occorrono alla giornata, devono tener rivolta la mira il Giureconsulto e il Giudice»333. A tal fine, il diritto romano si mostrava il miglior patrimonio di esperienza giuridica al quale attingere, accompagnato – seppur in misura minore – dal Codice napoleonico.

A proposito del ricorso al diritto d’oltralpe, il compilatore Matteo Pescatore formulava una proposta sullo Studio delle decisioni della giurisprudenza francese, e individuava dei criteri ai quali i giudici sabaudi dovevano attenersi ogniqualvolta intendessero far riferimento alle raccolte giurisprudenziali francesi334. In primo luogo, era necessario operare una distinzione tra le pronunce che non si dimostravano utili ai fini pratici, ad esempio quelle aventi ad oggetti parti del Codice napoleonico che non conservavano alcun punto di analogia con quello albertino, e quelle che invece avevano un’indubbia utilità. Tra queste ultime, Pescatore prescriveva di distinguere: le decisioni «applicabili al Codice patrio per identità di disposizioni legislative»335; quelle che in realtà non erano applicabili analogicamente «per effetto di variazioni che si siano introdotte in altre parti del Codice patrio»336; quelle relative «non ad un testo positivo di legge, ma ai principi generali»337, e che potevano essere accostate per analogia o identità di principi al Codice albertino; quelle che invece, «malgrado

332 Ibidem, pp. 312-314.

333

Annali di giurisprudenza cit., I, 1838, p. 267.

334

Annali di giurisprudenza cit., IV, pp. 645-658.

335 Ivi, p. 656.

336

Ibidem.

82 qualunque apparenza d’identità di principii»338

, non dovevano essere introdotte per insanabile diversità; infine, quelle «concorrenti a sanzionare un’interpretazione o un principio, intorno a cui il patrio legislatore abbia poi creduto conveniente di spiegarsi espressamente in senso o uniforme o diverso per far cessare ogni controversia ulteriore»339. Su tale ultima categoria di pronunce, il compilatore affermava che erano anch’esse di grande interesse, «benché meramente storico»340.

In un altro articolo, Giovanni Battista Badariotti si soffermava ad analizzare il disposto dell’art. 15 del novello Codice albertino341

, concentrandosi in particolar modo sul significato della formula «principi generali del diritto». Ebbene, nel disciplinare i criteri ermeneutici ai quali il giudice doveva ricorrere per la risoluzione dei casi non contemplati espressamente dal Codice, il legislatore sabaudo rimetteva ad un concetto vago e indeterminato, senza specificare il significato e la portata di tali «principi». Secondo l’opinione dominante, accolta dal compilatore, l’espressione «principi generali del diritto» intendeva far riferimento a quegli «assiomi o regole riconosciuti presso tutte le Nazioni, assiomi o regole che emersero di tempo in tempo, mediante una retta applicazione dell’idea del giusto alle azioni umane e più generali»342

. Alla luce di ciò, non è privo di significato il costante richiamo dei giuristi al diritto romano – i cui caratteri distintivi erano appunto la sua universalità e giustizia, caratteri che lo rendevano perfetto a supplire l’eventuale mancanza di una norma specifica che disciplinasse la fattispecie – e al diritto francese, nella misura in cui si fondava sulle stessi canoni di giustizia universalmente riconosciuti.

3.2.2 La Giurisprudenza del Codice civile di Cristoforo Mantelli: il

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