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Le donazioni

Nel documento TITOLO TESI / THESIS TITLE (pagine 101-105)

4 Sopravvivenze del diritto romano nel Regno di Sardegna: i casi

4.3 Analisi della casistica giurisprudenziale

4.3.2 Le donazioni

Anche in tema di donazioni la giurisprudenza sabauda è ricca di pronunce, una gran parte delle quali attestano la prassi, affermatasi negli anni ’20 e ’30 del XIX secolo, di effettuare delle donazioni in favore dei figli maschi. Dopo la parificazione tra i figli attuata dalla codificazione napoleonica, e in attesa della nuova legislazione del Regno, il numero considerevole di donazioni ai discendenti maschi rappresentava in maniera evidente l’intenzione di eliminare, o perlomeno temperare, i vantaggi che il Code aveva attribuito alle figlie. Data la consistenza di queste donazioni, la giurisprudenza successiva all’emanazione del Codice albertino annovera una vasta mole di pronunce concernenti la problematica degli effetti di tali donazioni, nella misura in cui intaccavano la legittima spettante agli altri figli, in particolare se di sesso femminile.

Si trattava di una questione transitoria assai rilevante in quegli anni, e in ragione di ciò fu trattata ampiamente anche negli Annali di giurisprudenza. Nel 1838, infatti, il compilatore Biagini indagò in un suo articolo405 quali fossero «i principii e le massime di ragion comune, quale Giurisprudenza che fu adottata allorché, promulgato il Codice Francese, nacquero le medesime controversie, quale infine il senso della legge transitoria406, pubblicata fra di noi sul finire dello scorso dicembre»407.

La ricostruzione delle origini delle donazioni inizia partendo dalle XII tavole a norma delle quali l’arbitrio illimitato del paterfamilias venne limitato dall’introduzione della querela per inofficioso testamento – passando per il rescritto imperiale di Alessandro Severo – che equiparava le donazioni esorbitanti ai testamenti inofficiosi408 – sino alle Novelle giustinianee 18 e 92 (che disponevano, rispettivamente, l’accrescimento della porzione legittima e le donazioni immensae, ordinando al padre di conservare per i figli tanta parte delle

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Annali di giurisprudenza cit., I, 1838, pp. 181-232. Biagini dedicò diversi articoli alle problematiche successorie, con particolare riguardo alle questioni concernenti i diritti ereditari spettanti alle donne. Cfr. anche Annali di giurisprudenza cit., II, 1839, pp. 73-76, e il puntuale commento agli articoli del giurista in tema di subingresso in E. MONGIANO, Patrimonio e affetti cit., pp. 393-407.

406 Il riferimento è alle Regie Patenti del 6 dicembre 1837.

407

Annali di giurisprudenza cit., I, 1838, p. 182.

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sue sostanze quanta sarebbe stata se non fosse intervenuta la donazione)409. Dopo aver illustrato, per grandi linee, la disciplina romanistica delle donazioni, Biagini riportava i contrasti interpretativi sorti in seno al diritto comune: mentre, infatti, Bartolo riteneva che la donazione a estranei con l’intento di nuocere ai figli dovesse essere rescissa e in tutti gli altri casi solamente ridotta, Azzone e Baldo ammettevano solamente la riduzione, mentre Donello riteneva che non potevano essere ridotte le donazioni che non fossero inofficiose, nel caso in cui il deterioramento del patrimonio fosse occorso per caso meramente fortuito. Tra tutte le interpretazioni del disposto delle Novelle giustinianee, il compilatore evidenzia infine quella di Johannes Voet come la più valida: le donazioni erano soggette a una condizione risolutiva, tale per cui la loro esistenza dipendeva dalla consistenza del patrimonio del donante al tempo della sua morte e dalla presenza dei legittimari410.

Finalmente, dopo aver considerato che «tale era lo stato della patria Legislazione non ha cessata in ordine alla materia»411, si giunge a ragionare sul Codice francese, e si afferma che tale testo aveva dei tratti comuni con il diritto romano: entrambi sancivano la riduzione delle donazioni eccedenti la porzione disponibile, ma la disciplina francese aveva accresciuto la porzione legittima, concedendola anche alle femmine diversamente da quanto disposto prima.

La questione si riduceva dunque a comprendere se, morto il donatore sotto il Codice, si potesse applicare alle donazioni anteriori la condizione nei termini e con l’estensione voluta dal testo codicistico, senza avere un effetto retroattivo e ledere un diritto acquisito. Se il legislatore avesse dichiarato riducibili le antiche donazioni, avrebbe sancito la retroattività delle nuove norme: bisognava chiarire se potessero applicarsi le nuove leggi alle antiche donazioni senza farle retroagire. Con l’entrata in vigore del Codice albertino, in considerazione della corrispondenza tra l’art. 1155 del Codice del 1837 e dell’art. 920 del Code in materia di riduzione delle donazioni412, allo stesso modo dovettero risolversi le questioni riguardanti la riduzione delle donazioni anteriori. La legge transitoria del

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Nov. 18.1; Nov. 92.1: Ut si quis donationem immensam in aliquem aut aliquos filiorum fecerit,

necessarium habeat in distributione hereditatis tantam unicuique filiorum servare ex lege partem, quanta fuit priusquam donationem pater in filium aut filios, quos ea honoravit, faceret.

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Conforme all’opinione di Voet era anche R.T.TROPLONG, Le droit civil expliqué, Paris 1835, lib. 3, tit. 3, n. 503.

411

Annali di giurisprudenza cit., I, 1838, p. 192.

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Codice civile albertino, art. 1155: «Le donazioni tra vivi anche fatte a contemplazione di matrimonio agli sposi, ed ai figli nascituri, vanno soggette a riduzione, quando al tempo della morte del donante si riconoscano eccedenti la porzione dei beni di cui può disporre lo stesso donante, secondo le norme stabilite nel titolo Delle successioni testamentarie, capo Della porzione

di cui si può disporre, ec.

Le regole che sono prescritte nell’art. 708 e negli articoli 730 e seguenti della stessa sezione per la riduzione delle disposizioni testamentarie, si osservano anche per la riduzione delle donazioni tra vivi».

Code Napoléon, art. 920: «Les dispositions, soit entre-vifs, soit à cause de mort, qui excéderont la

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6 dicembre 1837 prescrisse che per le successioni aperte dopo l’osservanza del Codice dovessero applicarsi alle donne maritate e dotate anteriormente gli articoli concernenti l’esclusione delle sorelle in favore dei fratelli, e i diritti spettanti alle sorelle escluse413. Per quanto riguarda le donazioni anteriori, la stessa legge prescrisse l’applicazione delle leggi anteriori in punto di revocabilità o riduzione414.

La questione venne risolta affermando che le femmine dotate e maritate prima dell’osservanza del Codice albertino non avrebbero potuto, alla morte dei loro genitori, chiedere la riduzione delle donazioni fatte a favore dei fratelli; inoltre, le donne ancora nubili al tempo dell’entrata in vigore del Codice avrebbero potuto ottenere tale riduzione, se necessaria per fornirle di una dote equivalente alla legittima che sarebbe spettata loro in virtù delle leggi precedenti.

Sulla medesima questione transitoria scrissero diversi compilatori degli Annali, a dimostrazione della rilevanza che veniva riconosciuta alla problematica in oggetto, in particolare sotto il profilo del diritto da applicare a quei rapporti giuridici che, dopo l’entrata in vigore del Codice del 1837, mutavano la loro disciplina. In un altro articolo415, sempre del 1838, si affermava che

«Le donazioni perfette prima dell’esecuzione del nuovo Codice Civile, ove ledano i dritti degli altri figli chiamati alla legittima, soffrir non debbano altra riduzione, che quella portata dal dritto Romano. […] Rimane quindi fissata la Giurisprudenza anteriore, secondo cui le donazioni, quantunque perfette ed irrevocabili, stavano soggette alla condizione risolutiva, perché così prescritta dalla legge, alla condizione cioè, che al tempo della morte del donante si sarebbero ridotte, di quanto risulterebbe necessario per formare la legittima dovuta ai figli»416.

Indubbiamente la problematica concernente la sorte delle donazioni anteriori al Codice si faceva più complessa quando si trattava di considerare la quota spettante per successione alle figlie femmine, in considerazione della regolamentazione tutta particolare dei diritti a loro spettanti417.

413 Legge transitoria 6 dicembre 1837, art. 13: «Le disposizioni degli articoli 942, 943, 944, 945, 946, 947 e 948, per quanto riguarda le successioni che si deferiranno posteriormente all’osservanza del Codice, sono anche applicabili alle femmine dotate e collocate in matrimonio anteriormente, senza riguardo alle consuetudinarie rinunce che nell’atto dotale avessero fatto conforme alle disposizioni della legge allora vigente, salvo al dotante di valersi della disposizione dell’articolo 1526 del Codice, per fare stabilire in suo vivente l’ammontare della dote. In tale caso si prenderà per base il patrimonio del dotante al tempo in cui fa la domanda, senza che però la dote costituita possa essere diminuita».

414 Legge transitoria 6 dicembre 1837, art. 15: «Le donazioni fra vivi divenute perfette prima dell’osservanza del Codice, saranno regolate dalle leggi anteriori in ciò che riguarda la revocabilità o riduzione di esse».

415 Annali di giurisprudenza cit., I, 1838, pp. 312-338.

416 Annali di giurisprudenza cit., I, 1838, p. 315.

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Annali di giurisprudenza cit., I, 1838, pp. 321-322: «Non vi ha dubbio, che secondo le leggi Romane, sotto l’impero delle quali furono fatte le donazioni, la riserva sussisteva in favore dei

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L’avvocato Fraschini affrontò negli Annali418

la questione relativa alla riduzione – a favore delle figlie – delle donazioni, nei casi in cui il padre avesse donato ai discendenti maschi prima dell’entrata in vigore del Codice, e fosse morto sotto l’impero della nuova legge di successione419.

Si esaminavano in primo luogo le disposizioni delle Regie Costituzioni relative alla problematica in oggetto: nel libro V, titolo III, il § 5 concedeva al figlio maschio legittimario la facoltà di estromettere le sorelle dal calcolo della quota della legittima420, e il § 7 disponeva che in caso di attribuzione di una porzione di legittima superiore a quella spettante per dote, l’eccesso sarebbe stato ceduto agli eredi o al legittimario421. Sottolineando che «la cessata regia legge non concedeva al padre libera disponibilità di quanto sulla sua eredità in senso del diritto Romano era dovuto alle figliuole per compire la loro legittima»422, l’arbitrio del padre nell’attribuire agli eredi o ai legittimari il supplemento della legittima data alle figlie era vincolato da una tale disposizione, la quale imponeva il mezzo della istituzione di erede.

Con l’entrata in vigore del Codice, invece, fu restituito alle figlie escluse dalla successione il diritto di ottenere l’intera porzione legittima sull’eredità dei genitori. Da quel momento in poi, le figlie avrebbero potuto detrarre detta legittima da una donazione di non modico valore fatta dai genitori ai figli maschi quando ancora era in vigore la legislazione anteriore. In ragione di ciò, le donazioni fra vivi divenute perfette prima dell’osservanza del nuovo Codice sarebbero rimaste regolate dalle leggi anteriori, per quanto concerneva la loro riduzione, in conformità a quanti disposto dall’art. 15 del Codice albertino, il quale vietava alle nuove leggi di produrre effetti retroattivi.

Si afferma dunque che «accordando in forza della nuova legge alle figlie la legittima determinata dal diritto comune» non si faceva retroagire la legge, né si

maschi e delle femmine, senza distinzione fra di loro, siccome quelli, che senza distinzione erano ammessi alle successioni. Ora le donazioni, delle quali ragioniamo, furono pur esse fatte sotto l’impero delle leggi Romane, né ci risulta, che le patrie leggi ne avessero, per ciò che riguarda le donazioni, variate o sminuite le condizioni risolutive nei casi previsti dalla ragion comune; diremo di più, che le patrie leggi non portarono mutazione nelle successioni, ma ne moderarono solo in parte gli effetti».

418 Annali di giurisprudenza cit., I, 1838, pp. 653-669.

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Si trattava di una questione talmente dibattuta che lo stesso Fraschini affermava che avrebbe ben presso cessato di «vivere ipotetica nel gabinetto e nelle dissertazioni del Giureconsulto», per acquistare «vita reale nei recinti del Foro»: ivi, pp. 653-654.

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RR.CC. 1770, lib. V, tit. III, § 5: «Le figliuole, che ne’ casi prescritti dalle nostre Costituzioni verranno escluse dalla successione, faranno, o non faranno numero per computare la legittima ad elezione del legittimario: eleggendo esso, ch’elleno non facciano numero, non si computeranno nello stato ereditario le loro doti ricevute, o promesse per conoscere la quantità della legittima; ma eleggendosi, che facciano numero, si considererà nella massa ereditaria tutto quello, ch’esse avranno avuto, a solo fine di far numero a favor de’ legittimarj per calcolare la legittima suddetta».

421 RR.CC. 1770, lib. V, tit. III, § 7: «Nel caso, che faranno numero, se la porzione toccante alle figlie escluse fosse maggiore di quella, che loro sia stata data, che loro si deva per dote, cederà in pro dell’erede, se sarà agnato, o del legittimario, se l’erede sarà estraneo».

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sminuivano i diritti acquistati dai donatari, ma si osservava l’ordine di successione prescritto dalla legge vigente all’apertura della successione dei genitori donatori, senza che potesse aver luogo il subingresso.

La materia delle donazioni, strettamente legata a quella successoria nelle controversie che più frequentemente si presentavano davanti ai giudici delle Corti sabaude, mostra dunque una tenace resistenza delle fonti previgenti, in particolar modo del diritto romano, che costituiva il substrato normativo della nuova regolamentazione introdotta con il Codice albertino. La grande frequenza con la quale si presentavano davanti ai giudici controversie in materia successoria caratterizzate dall’esistenza di donazioni disposte prima dell’entrata in vigore della codificazione, determinava di fatto una grande libertà interpretativa nei fori: la magistratura sabauda, infatti, trovandosi di fronte a fattispecie che si ponevano a cavallo tra il vecchio e il nuovo ordinamento, non esitava, nella maggior parte dei casi, ad individuare la soluzione della questione in una norma di diritto romano o delle Regie Costituzioni. Anche nei casi in cui l’applicazione degli articoli del Codice avrebbe rappresentato la scelta più semplice, la preferenza per il diritto di antico regime si manifestava in maniera spiccata, a voler ribadire lo scetticismo con il quale il ceto forense guardava alla codificazione.

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