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Felice Merlo e il legame con la tradizione negli studi giuridici

Nel documento TITOLO TESI / THESIS TITLE (pagine 56-61)

4. I commentari al Codice e le opere di comparazione: la continuità del

2.2 Felice Merlo e il legame con la tradizione negli studi giuridici

Tra le personalità di spicco del panorama accademico sabaudo che mostrarono qualche esitazione nell’abbandono del tradizionale sistema dell’insegnamento giuridico si può annoverare la figura di Felice Merlo: pur accogliendo con un certo favore la codificazione in materia civile, infatti, il giurista continuava a mostrare il suo attaccamento al diritto romano, del quale riconosceva l’incessante utilità, in funzione interpretativa delle norme del nuovo Codice223.

Professore del corso di Istituzioni civili dal 1827, Merlo basò il suo insegnamento sull’analisi delle Institutiones di Giustiniano e sull’illustrazione dei provvedimenti legislativi «patrii», concentrandosi in particolar modo sulle Costituzioni del 1770 e gli Editti regi emanati dal 1814 in poi. Le sue lezioni seguivano dunque il disposto dell’Instruzione del 1827, distaccandosi soltanto dal precetto di trascurare gli aspetti storici, che venivano al contrario analizzati con molta attenzione224.

221 Ai docenti era inoltre raccomandato di prestare una particolare attenzione nell’esporre le definizioni in lingua italiana e di attenersi quanto più possibile ad una traslitterazione letterale, al fine di evitare stravolgimenti di significato.

222 Lo stesso Albini attestava nel 1839 che «non si fece alcuna innovazione nell’ordine dell’insegnamento, e i professori continuano a trattare le stesse materie ma secondo la nuova legislazione confrontata col diritto romano», P.L.ALBINI, Saggio analitico sul diritto cit., p. 260.

223

Sulla figura di Felice Merlo, cfr. G.S.PENE VIDARI, Felice Merlo, in Dizionario biografico dei

giuristi italiani, II, pp. 1332-1333; ID., Felice Merlo, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXIII(2009), pp. 718-721.

224

Nel periodo compreso tra il 1815 e il 1837, l’insegnamento del diritto nella Facoltà di Giurisprudenza torinese era tornato a basarsi su quanto disposto dalle Regie Costituzioni: si tornava, dunque, a una formazione del giurista basata essenzialmente sul diritto giustinianeo per quanto concerneva la materia civile, mentre per quella canonica tornavano a ricoprire un ruolo centrale il Decretum di Graziano e le Decretali. Cfr. L.MOSCATI, Carlo Baudi di Vesme cit., p. 11; I.SOFFIETTI, Dalla pluralità all’unità cit, pp. 172-173.

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Successivamente all’entrata in vigore del Codice albertino invece, con l’adeguamento dell’insegnamento delle materie giuridiche alla nuova realtà normativa225, i docenti furono obbligati a impostare i loro corsi sulla spiegazione delle nuove disposizioni legislative, ed iniziarono a diffondersi trattati e commenti volti ad illustrare il nuovo testo. In questo filone si inseriscono le Iuris Civilis Insititutiones di Merlo del 1839, un trattato in lingua latina226 che esponeva la materia civile così come disciplinata dal nuovo Codice di leggi. La prima edizione dell’opera restò sostanzialmente incompiuta227

, e fu seguita nel 1841 da una seconda, questa volta in lingua italiana: le Istituzioni del diritto civile228.

Prendendo in esame l’introduzione dell’opera, denominata Introduzione allo studio del diritto civile, merita in primo luogo di essere evidenziata la sostanziale corrispondenza del capo V nelle due edizioni, intitolato Dei fonti del diritto positivo: dopo aver distinto il diritto constituendo dal diritto constituito, Merlo elencava ed analizzava le fonti dell’uno e dell’altro diritto229

. Alla prima categoria appartenevano il diritto naturale, delle genti e internazionale, e la storia del diritto positivo universale, ossia i costumi giuridici dei popoli; in tale prospettiva, si segnalava che la ragione della penetrazione di gran parte del romano nei codici civili moderni era dipesa dal fatto che

«una gran parte della civile sapienza romana poteva veramente chiamarsi la

ragione scritta»230.

Per quanto concerneva il «diritto presso di noi constituito», invece, questo ricomprendeva il Codice civile, il Codice penale, il Codice di commercio, le consuetudini, le Regie Costituzioni, gli Editti regi e le Lettere Patenti, gli statuti, ed infine il diritto romano e il diritto ecclesiastico231.

Merlo enunciava dunque alcune regole da osservarsi per l’uso corretto delle fonti: la prima regola concerneva l’utilizzo del diritto ecclesiastico, la seconda disponeva – conformemente all’art. 2415 del Codice civile – che nelle materie che formavano oggetto del Codice albertino doveva farsi riferimento

225 Si noti che anche Felice Merlo faceva parte di quella Commissione, presieduta dallo Sclopis, che aveva il compito di elaborare un progetto di riordinamento degli studi legali per l’Ateneo torinese.

226 L’utilizzo della lingua latina, ancora nel 1839, è una dimostrazione del legame che Merlo intendeva conservare con l’antica impostazione: cfr. G.S.PENE VIDARI, Felice Merlo, in DBGI cit., p. 1333.

227

Il trattato si interrompeva infatti all’esposizione della disciplina della cessazione del contratto di mandato.

228 F.MERLO, Instituzioni del diritto civile per Felice Merlo professore nella Regia Università di

Torino, Torino 1841. 229 Ivi, pp. 43-46. 230 Ivi, p. 44. 231

La distinzione del diritto romano e del diritto ecclesiastico rappresentava il superamento del binomio diritto romano-canonico (ius utrumque), e dunque anche dello ius commune; il diritto della Chiesa, per di più, era l’unica materia che non era stata travolta dall’introduzione dei codici.

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esclusivamente a quest’ultimo, con esclusione delle fonti anteriori espressamente abrogate:

«1°. In tutte le materie che formano l’oggetto del codice civile, il diritto positivo dee ricavarsi unicamente dal detto codice, perché in tali materie furono espressamente abrogate le leggi anteriori, cioè il diritto romano, gli statuti, le regie costituzioni, le consuetudini, ed ogni altra disposizione legislativa, salvo nei soli casi in cui il codice stesso vi si riferisce»232.

Del pari, erano espunte dal novero delle fonti del diritto le consuetudini future, essendo previsto il ricorso, in ultimo luogo, ai principi generali del diritto.

La terza e la quarta regola avevano ad oggetto il diritto penale e quello di commercio; la quinta, come norma di chiusura, esprimeva un principio di etero-integrazione dell’ordinamento, sancendo che, per tutte le materie che non formavano oggetto di alcuno dei detti Codici, era necessario ricorrere, secondo un rigido criterio gerarchico: alle consuetudini legittimamente introdotte; alle Regie Costituzioni, agli Editti regi o alle Lettere-Patenti; agli statuti che avevano conservato forza di legge; al diritto romano, in difetto di altre fonti. Secondo Merlo, infatti, dal momento che

«tutte queste leggi avevano vigore prima della promulgazione dei mentovati codici, e non essendo state abrogate nelle materie che formano il loro oggetto, continuano, rispetto alle medesime, a ritenere la stessa forza, che avevano prima»233.

Da questa enunciazione di principio è possibile evincere l’appartenenza di Merlo a quella schiera di giuristi che si sentivano ancora strettamente legati alla tradizione giuridica del passato, sulla quale si erano formati. L’affermazione della mancanza di completezza e di auto-integrazione dell’ordinamento anche successivamente all’introduzione dei codici, si accompagna, nel giurista, al recupero delle fonti del diritto comune. Un rinvio così ampio non era stato previsto dal legislatore sabaudo, eppure Merlo lasciava aperta la strada al recupero delle fonti del diritto di antico regime, in funzione integrativa della lacune dell’ordinamento234

.

Le stesse Appendici all’Introduzione costituiscono un altro esempio dell’attaccamento del giurista alle antiche fonti del diritto, ormai abrogate.

L’Appendice I, Delle Regie Costituzioni, dei Regi Editti, e delle Lettere-Patenti235, chiariva il ruolo di ognuna di queste fonti normative: le Costituzioni del 1770 conservavano forza di legge nelle materie non disciplinate dai codici; gli Editti e le Patenti necessitavano il rivestimento della forma prevista dagli artt. 4-7

232

F.MERLO, Instituzioni del diritto civile cit., 1841, p. 44.

233 Ivi, p. 46.

234

Cfr. I.SOFFIETTI, Dalla pluralità all’unità cit., pp. 172-173.

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del Codice civile, per essere ancora vigenti; infine, il giurista richiamava tre antiche collezioni di antiche leggi, alle quali giuristi e magistrati dovevano ancora far riferimento, ossia quelle del Sola236, del Della Chiesa237, del Borelli238 e del Duboin239.

L’Appendice II, Degli Statuti, conteneva la definizione delle norme statutarie ed affermava la loro abrogazione nelle parti contrastanti con il disposto delle Costituzioni del 1770, nonché la loro necessaria interpretazione restrittiva, in ragione della loro natura di legge singolare, contraria al diritto comune240.

Ancor più rilevante è però l’Appendice III, intitolata Del diritto romano, la quale mostrava il grande interesse di Merlo per questo diritto, in particolare in un momento nel quale il corso di Istituzioni civili aveva, con l’avvento del Codice del 1837, perso quell’impostazione romanistica che lo aveva caratterizzato per secoli. Si tratta, inoltre, di un argomento che non aveva trovato spazio nell’edizione del 1839, e che però veniva lungamente trattato in quella del 1841. Il giurista affermava in primo luogo la sua intenzione di esporre le nozioni principali della legislazione romana, riprendendo, di fatto, lo schema didattico tradizionale.

Degni di particolare attenzione sono due parti di questa Appendice, dedicate alla problematica dell’utilizzo del diritto romano in epoca moderna. Il primo paragrafo, In qual modo tolgansi le antinomie tra le varie parti del diritto romano, esponeva le tre regole alle quali attenersi per risolvere eventuali contrasti tra i testi romani: in prima battuta, era necessario interpretare e correggere la lezione viziata; poi, nel caso il contrasto permanesse, doveva preferirsi la legge posteriore, dunque riferirsi al diritto giustinianeo: innanzi tutto alle Novelle, quindi al Codice, al Digesto ed infine alle Istituzioni. Nel caso, infine, di contrasto tra parti di una stessa collezione, era opportuno dare priorità al testo confermato dai compilatori oppure, in mancanza, a quello più conforme ai principi generali del diritto. Nel secondo paragrafo, invece, Quale sia stata la sorte del diritto romano dopo Giustiniano, ripercorreva le tappe dello studio e dell’utilizzo del diritto romano dopo l’età giustinianea, mostrando un’approfondita conoscenza dei

236 A. SOLA, Commentarii in novas Constitutiones Ducales Patriae Cismontanae, tam iuris

studiosis quam pragmaticis ubique gentium perutiles, Augustae Taurinorum 1589.

237 G.A.DELLA CHIESA, Observationes forenses Sacri Senatus Pedemontani ad supremae curiae

praxim, 1653. 238

G.B.BORELLI, Editti antichi e nuovi de’ Sovrani Prencipi della Real Casa di Savoia, 1681.

239

F.A.DUBOIN, Raccolta per ordine di materie delle leggi, editti, manifesti della Real casa di

Savoia, Torino 1818.

240 I requisiti che doveva possedere uno statuto per avere forza di legge erano: la conferma da parte del Principe; la disciplina delle materie che non formavano oggetto dei nuovi codici; la conformità alle Regie Costituzioni del 1770; la prova della loro attuale osservanza, al fine di superare la generale presunzione di abrogazione per disuso. Cfr. C. MONTANARI, Gli statuti piemontesi:

problemi e prospettive, in Legislazione e società nell’Italia medievale per il settimo centenario degli statuti di Albenga (1288): Atti del convegno Albenga 18-21 ottobre 1988, Bordighera 1990,

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temi romanistici, nonché un tenace attaccamento alla formazione del giurista di antico regime241.

Di questa prima parte delle Instituzioni fu pubblicata una recensione di Alessandro Pinelli sulla rivista Annali di giurisprudenza242, della quale lo stesso Merlo era stato uno dei collaboratori ufficiali per l’annata 1838. Particolarmente significativo, al riguardo, è la parte in cui Pinelli concorda con Merlo nel considerare il diritto romano, «come fonte attuale di diritto in vigore»243. Ebbene, aderendo all’opinione del giurista fossanese, anche il compilatore degli Annali riteneva che la vigenza delle norme romane fosse possibile solamente in funzione sussidiaria rispetto al Codice, e manifestava il suo disappunto nei confronti di quella parte della giurisprudenza che ancora mostrava di riferirsi ad esso nella risoluzione delle controversie:

«sebbene talvolta siaci accaduto l’udire farsene soggetto di controversia, ci limiteremo a compatire chi forse non ha ancora ben colta l’immensa differenza fra l’autorità di legge positiva, e l’autorità, in vero non meno rilevante, ma affatto distinta, che si rivendicano segnatamente i libri del Digesto, e tanti altri frammenti di Romana Giurisprudenza, come Opera scientifica sul diritto»244.

Anche l’esperienza di Merlo, dunque, si inserisce in quella tendenza affermatasi in dottrina e in giurisprudenza a rigettare o perlomeno adattarsi con molta difficoltà al nuovo sistema imposto dalla codificazione. D’altro canto, è necessario constatare che nell’edizione del 1841 Merlo operava un frequente richiamo alle norme del Corpus giustinianeo e talvolta anche alla dottrina francese – in particolar modo Merlin, Zachariae, Duranton e Locré – mentre nel testo del 1844 i riferimenti ai giuristi romani si facevano più radi e venivano espunti i richiami alla Scuola dell’esegesi. Un chiaro segno, questo, dell’influenza del cambiamento di impostazione della materia, che con l’avvento del diritto codificato si era concentrata su un unico testo normativo, il Codice appunto.

241 In ultimo, al termine delle Appendici, Merlo affronta il tema della giurisprudenza, della quale dà diverse definizioni: dalla classica «notizia delle divine cose ed umane, scienza del giusto e dell’ingiusto», alla moderna «scienza delle regole di diritto secondo i suoi principii», nonché «usi forensi nell’applicazione del diritto». Per quanto concerne la giurisprudenza in questa sua ultima accezione, Merlo afferma che, a norma dell’art. 7 del Codice civile, non possa avere mai forza di legge, tuttavia non manca di «essere grande la sua autorità, e molto importante il suo studio, perché nella forense giurisprudenza principalmente consistono la spiegazione pratica, ed il compimento ultimo d’ogni legislazione»: p. 84.

242 A.PINELLI, recensione a Istituzioni del Diritto Civile per Felice Merlo, Professore nella Regia

Università di Torino, in Annali di giurisprudenza cit., VIII, 1841, pp. 359-363. 243

Ivi, p. 362.

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2.3 L’apertura al Codice degli ambienti accademici: Giuseppe

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