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Colpa grave e problemi di precisione

Nel documento Linee guida e colpa del medico (pagine 93-97)

8. La colpa grave

8.1. Responsabilità del medico e colpa grave

8.1.3. Colpa grave e problemi di precisione

Tratteggiato nei termini che precedono il discrimen fra colpa lieve e colpa grave, è ora d’obbligo domandarsi se lo sforzo interpretativo compiuto sia stato sufficiente per segnare una linea ermeneutica che indichi con chiarezza il perimetro dell’area del penalmente rilevante o se, invece, il limite della gravità della colpa continui a

affermare che la regola alternativa disattesa era particolarmente riconoscibile e convincente, a dispetto delle contrarie indicazioni di linee guida accreditate presso la comunità scientifica». L’Autore sembra dunque patrocinare una lettura del novum legislativo tutta imperniata sulla valorizzazione del profilo soggettivo della colpa e, a monte, sulla necessità di valutare con minor rigore la colpa del medico che si sia attenuto alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica in quanto il sanitario, uniformando la propria condotta ai dettami di una fonte particolarmente autorevole e qualificata, verserebbe in una condizione di “buona fede qualificata”.

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rappresentare un parametro evanescente e la cui concretizzazione sia tuttora rimessa, in ultima istanza, all’attività determinativa del singolo giudice182.

Un simile interrogativo si riscontra anche nel corpo motivazionale della sentenza Cantore laddove, dopo aver cercato di dare solidità dogmatica al concetto di colpa grave, si osserva che «la ponderazione demandata al giudice acquisisce una misura di maggiore determinatezza o, forse, solo di minore vaghezza. Infatti non può essere taciuto che, per quanto ci si voglia sforzare di congegnare la valutazione rendendola parametrata a dati oggettivi, a regole definite, e quindi non solo intuitiva, resta comunque un ineliminabile spazio valutativo, discrezionale, col quale occorre fare i conti».

182 Fortemente critici circa la legittimità costituzionale dell’impiego di concetti quali «gravità» o «levità» per individuare elementi costitutivi del reato sono G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Corso di diritto

penale, Milano, 2001. Affermano gli Autori che «concetti descrittivi irrimediabilmente imprecisi sono

infine quelli racchiusi in espressioni quantitative di natura non numerica, e d’altra parte non individuabili con l’aiuto di altri criteri desumibili dalla legge. È il caso, ad esempio, di formule come “area di piccola estensione”, “limitata estensione dei volumi illegittimamente realizzati”, “limitate modifiche dei volumi esistenti” utilizzate dal provvedimento di amnistia del 1981 (art. 2, comma 2 lett, c, n.1 del D.P.R. 18 dicembre 1981, n. 744) per individuare le ipotesi di reati urbanistico-edilizi comprese nell’amnistia. Ancora, è il caso della locuzione “alterare in misura rilevante il risultato della dichiarazione” dei redditi, che compariva nell’art. 4 comma 1 lett. z del d.l. 10 luglio 1982 n. 429, convertito con legge n. 516 del 1982 in materia di repressione dell’evasione fiscale. Si tratta di formule tanto elastiche da rendere il giudice sovrano della decisione – in materia urbanistico ambientale – se punire o considerare il reato estinto per amnistia ovvero – in materia fiscale – se considerare integrato o no il delitto di frode fiscale». Con specifico riguardo all’art. 3 della legge 189/2012, osserva G. PAVICH, op. cit., p. 911, che «nella giurisprudenza si tende a qualificare come colpa grave l’errore inescusabile, derivante o dalla mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali dell’arte medica o nel difetto di quel minimo di abilità e perizia tecnica che non deve mai mancare in chi esercita la professione sanitaria; si è anche vista la nozione descrittiva fornita dal progetto elaborato dal Centro Studi Federico Stella. Sebbene con tale nozione si sia cercato di circoscrivere nel modo più chiaro possibile la linea di discrimine tra colpa grave e colpa lieve, e sebbene tale linee di discrimine non sia del tutto nuova agli occhi dell’operatore del diritto penale (quanto meno sotto il profilo della gradazione della colpa), essa tuttavia presenta margini di apprezzamento soggettivo molto, forse troppo ampi, che nella specie verrebbero a segnare la demarcazione fra ciò che è penalmente rilevante e ciò che non lo è. La presenza di numerose aggettivazioni di tipo descrittivo gioca sicuramente un ruolo chiave anche in altre nozioni penalistiche, ma, con riferimento all’apprezzamento dell’errore in campo medico, essa rischia di porre il giudice alla mercé dei contributi scientifici peritali, che è proprio ciò che si vorrebbe evitare anche attraverso il ricorso alle linee guida». Valutazioni critiche fondate su ragioni sostanzialmente analoghe a quelle riportate si rinvengono anche nella Circolare 5 febbraio 1986 della Presidenza del Consiglio dei Ministri contenente «criteri orientativi per la scelta tra delitti e contravvenzioni e per la formulazione delle fattispecie penali», in Cassazione penale, 1986, p. 624, laddove si legge: «un caso non infrequente di indeterminatezza della fattispecie penale dipende dall’uso di espressioni “quantitative” quando il parametro al quale occorre riferirsi per accertare la sussistenza o meno dell’elemento quantitativo non solo non è espresso dalla legge, ma non è neppure ricavabile in via interpretativa, in particolare a causa della “estraneità” o “lontananza” tra l’elemento quantitativo medesimo e ratio legis. Così che, in sede applicativa, si apre la scelta tra più parametri di quantificazione tutti diversi. Si tratta dunque di ipotesi di legiferazione “apparente”, che vanno evitate mediante determinazione legislativa dei parametri di quantificazione, peraltro da esprimere non necessariamente in forma numerica».

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Proprio sullo spazio discrezionale che permane in capo all’organo giudicante si incentra una delle principali critiche mosse all’articolo 3 della legge 189/2012 dal Tribunale di Milano nell’ordinanza di remissione alla Corte Costituzionale.

La questione oggetto di esame, come evidente, si ricollega strettamente alla concezione normativa della colpa e alla ormai acquisita consapevolezza che tale elemento del reato non esplica i suoi effetti solo all’interno della colpevolezza, ma incide direttamente anche sulla tipicità del fatto183.

Al di là delle specifiche problematiche connesse al tema della colpa, ad ogni modo, nel nostro ordinamento non sono infrequenti i casi di ricorso ai concetti di gravità o tenuità per fondare, o per meglio graduare, la responsabilità penale184.

Senza alcuna pretesa di esaustività, possono essere ricordati, a titolo esemplificativo:  l’art. 61 n. 7) c.p., che prevede un’aggravante comune per i casi un cui, nei

delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, l’agente abbia cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità;

 l’art. 62 n. 4) c.p., che, in maniera simmetrica rispetto alla disposizione sopra citata, prevede una circostanza attenuante comune da applicarsi qualora, nei delitti contro il patrimonio o che comunque offendono il patrimonio, l’agente abbia cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità;

 l’art. 323 bis c.p., che, in tema di reati contro la pubblica amministrazione, stabilisce una speciale circostanza attenuante da applicarsi qualora i fatti realizzati siano di particolare tenuità;

 l’art. 423 bis, co. 4, c.p., che prevede l’aumento della metà delle pene previste dai primi due commi del medesimo articolo se dall’incendio deriva un danno grave (oltre che esteso e persistente) all’ambiente;

183M. GALLO, voce “colpa”, in Enciclopedia del diritto, VII, 1960, p. 637; G. MARINUCCI, Il reato

come azione, Milano, 1971, p. 157. V. anche nota n. 2.

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 l’art. 609 bis, co. 3, c.p., che introduce un’attenuazione della pena in misura non eccedente i due terzi per chi abbia commesso un fatto di violenza sessuale ritenuto di minore gravità;

 l’art. 648, co. 2, c.p., che prevede una circostanza attenuante speciale in favore di chi abbia commesso un fatto di ricettazione di particolare tenuità;

 l’art. 73, co. 5, D.P.R. 309/90, che prevede un reato autonomo in materia di sostanze stupefacenti qualora, per la modalità o le circostanze dell’azione, ovvero per la qualità e la quantità delle sostanze, i fatti puniti dal medesimo articolo risultino essere di lieve entità;

 l’art. 217, co. 1 n. 4), l. fall., che prevede la responsabilità dell’imprenditore che abbia aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o “con altra grave colpa”;

 l’art. 217, co. 1 n. 3), l. fall., che prevede la medesima responsabilità dell’imprenditore per l’ipotesi in cui questi abbia compiuto operazioni di grave imprudenza al fine di ritardare il fallimento;

 l’art. 217, co. 1, n. 2) l. fall., che prevedere la responsabilità dell’imprenditore qualora questi abbia consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni manifestamente imprudenti;

 l’art. 64 c.p.c., in cui si sancisce espressamente la responsabilità penale del consulente tecnico nell’ambito del processo civile unicamente qualora questo versi in uno stato di colpa grave.

Sebbene la sola diffusione di determinate espressioni normative non possa di per sé valere ad attribuire a queste ultime una patente di legittimità costituzionale, tuttavia è evidente che all’impiego di formule siffatte è sottesa la necessità di garantire alla fattispecie penale l’elasticità necessaria per meglio attagliarsi alla porzione di realtà concreta che si intende prendere in esame.

Come rilevato185, nel corso degli anni gli incidenti di legittimità afferenti la presunta indeterminatezza di norme punitive, seppur sollevati con una notevole frequenza da

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parte dei giudici di merito, sono stati accolti dalla Consulta in un numero limitatissimo di casi. Secondo il costante insegnamento della Corte Costituzionale, infatti, l’interprete ha il compito preliminare di «attuare il procedimento ordinario di interpretazione, anche se diretto ad operare l’inserzione del caso concreto in una fattispecie molto ampia e di non agevole interpretazione».186 Prendendo le mosse da tali premesse, i giudici costituzionali hanno poi affermato che per garantire la compatibilità di una norma penale con le sovraordinate coordinate dettate dalla Carta Fondamentale è sufficiente che «la descrizione del fatto incriminato consenta comunque al giudice – avuto riguardo alle finalità perseguite dall’incriminazione ed al più ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca – di stabilire il significato di tale elemento (cioè della formula in discussione) mediante un’operazione interpretativa non esorbitante dall’ordinario compito a lui affidato, sorretta da un fondamento ermeneutico controllabile»187.

8.2 La restrizione della responsabilità per i soli casi di colpa grave in riferimento ai

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