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Cure ideali e cure realisticamente erogabili: esiste un compromesso?

Nel documento Linee guida e colpa del medico (pagine 52-57)

3. Linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica

3.2. Linee guida ispirate (anche) da esigenze di contenimento della spesa

3.2.1. Cure ideali e cure realisticamente erogabili: esiste un compromesso?

Procedendo con ordine ed approfondendo la prima delle criticità evidenziate, è essenziale sottolineare che non necessariamente la garanzia del massimo corredo diagnostico e terapeutico nel caso particolare corrisponde ad assicurare l’optimum per il sistema salute complessivamente inteso95.

Detto più chiaramente: un conto è fare in modo che il singolo paziente sia sottoposto a tutti gli esami diagnostici (eventualmente anche quelli tesi ad accertare l’insussistenza di patologie sulla cui assenza il medico può confidare ragionevolmente anche senza l’ausilio di specifiche e costose indagini) e a tutte le terapie (se del caso anche quelle somministrate al solo scopo di porsi al riparo da eventuali rimproveri in sede medico legale) astrattamente ipotizzabili; un altro conto è fare in modo che, a parità di mezzi a disposizione del Sistema Sanitario, questi siano allocati in modo da assicurare a ciascun utente il miglior trattamento possibile avendo avuto riguardo alle risorse esistenti96.

95 F. GIUNTA, op. cit., p. 825, il quale osserva che «viviamo da tempo al di sopra delle nostre possibilità e molti dei nostri diritti – ivi compresi quelli fondamentali della salute e della sicurezza – hanno costi che probabilmente a breve non potremo più sostenere. Ma al di là dell’attuale (ammesso che sia tale) stato di crisi, non ci sono attività che possono confidare su risorse economiche illimitate. Non solo: l’ottimizzazione dei costi consente di ampliare il ventaglio e la fruizione dei servizi. Da qui l’importanza del risparmio economico, ovviamente avveduto, anche in un settore di fondamentale importanza per i diritti della persona».

96 Interessanti le considerazioni di G. COSMACINI, La medicina non è una scienza. Breve storia delle

sue scienze di base, Milano, 2008, p. 92, per il quale «molti principi, valori, metodi del management

aziendale sono, in questo settore, fuorvianti, impropri e pericolosi, Ma i budget devono restare, i bilanci devono restare e anzi essere perfezionati […] e devono restare i criteri di verifica economica e di misura dei rendimenti. Pensare al budget non è in conflitto con il pensare ai malati. Al contrario, è chi sperpera che fa il danno dei malati. Nessuna attività umana è, nel lungo termine, libera dal vincolo economico». Ha osservato in proposito G. MARTIELLO, La responsabilità penale del medico tra punti (quasi) fermi,

questioni aperte e nuove frontiere, in Criminalia, 2007, p. 346, che «le esigenze di contenimento della

spesa pubblica, segnatamente nel dispendioso campo della salute, oggi divenute pressanti per il mantenimento dello stesso Stato sociale, sembrano infatti orientare la politica sanitaria non già verso l’erogazione, sempre e comunque, del miglior trattamento medico possibile, bensì verso la somministrazione di un trattamento medio standard, che si rivolga secondo regole codificate per ciascun tipo di intervento»; D. MICHELETTI, La colpa del medico. Prima lettura di una ricerca “sul campo”, in

Criminalia, 2008, p. 205, per il quale «esiziale sarebbe cedere all’ipocrisia in questa materia: il vero è

infatti che un bilanciamento costi-benefici nel campo della sanità, là dove non sia perseguita da protocolli standard, finisce comunque per imporsi sugli operatori anche in ragione di tacite raccomandazioni degli organi amministrativi. Molto meglio dunque che esso trovi riscontro in una palese e generale disciplina positiva, la quale avrebbe se non altro il pregio di esonerare il singolo medico da un delicatissimo contemperamento tra esigenze contrapposte: un contemperamento peraltro che, essendo ritenuto sindacabile dalla recente giurisprudenza di legittimità, lo esporrebbe a una forma di responsabilità colposa».

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In altri termini: preso realisticamente atto che la capacità economica dello Stato non è illimitata, bisogna utilizzare i mezzi disponibili per ricavare i maggiori benefici possibili per tutti i pazienti97 che necessitano di accedere al servizio di cura pubblico. Come osservato da parte di attenta dottrina98, che non ha nascosto la propria contrarietà all’orientamento assunto nella sentenza Grassini99, le direttive dettate dalla Suprema Corte in tale pronuncia contrastano con i principi di coerente e responsabile distribuzione delle poche risorse economiche sulle quali si può contare100.

Nella vicenda analizzata dalla Cassazione, ha osservato l’Autore, i giudici avrebbero privilegiato «astratti principi di indole prettamente giuridica, ancora una volta informati alla massimalistica pretesa di una prudenza che non stentiamo a definire ossessiva, atteso che, nelle condizioni cliniche in atto alla dimissione del paziente infartuato di cui si trattava, non vi era alcun indizio o alcuna suggestione di una probabilistica imminenza di recidiva infartuale, quale quella verificatasi di lì a poco. Al loro ragionamento ci permettiamo di contro argomentare che, qualora fossero tecnicamente e scientificamente fondate le iper-prudenziali pretese da essi affermate, si dovrebbe allora disporre il trattenimento in ospedale a tempo indeterminato di tutti gli infartuati stabilizzati, pur in assenza di qualsivoglia suggestione o indizio dell’eventualità di una recidiva: cioè in una prospettiva assolutamente atecnica, in quanto meramente teorica e possibilistica».

Le critiche mosse all’opzione esegetica seguita dalla Cassazione (ricostruzione successivamente confermata e, allo stato, ribadita costantemente in sede di legittimità) ci paiono fondate e pienamente condivisibili.

Richiamando quanto affermato da altro Autore101, è possibile affermare che «se si dovesse dar seguito all’orientamento patrocinato dalla Corte regolatrice la medicina

97 M. WEINSTEIN - H. FINEBREG, L’analisi della decisione in medicina clinica, (edizione italiana a cura di Crupi-Bassi), Milano, 2008, p. 348.

98 F. BUZZI, Il malato perde chances e il medico perde l’autonomia della guida comportamentale delle

regole dell’arte, in Rivista italiana di medicina legale, 2011, 6, p. 590.

99 Cfr p. 130.

100 C. VALBONESI, Linee guida e protocolli per una nuova tipicità dell’illecito colposo, in Rivista

italiana di diritto e procedura penale, 2013, pp. 250-311, ciò accade, secondo l’autrice, in particolar

modo nell’ambito della diagnostica: «costituisce infatti circostanza di pubblico dominio come l’esigenza di un risparmio di spesa nel nostro settore sanitario, dalla quale discende l’obbligo per il medico, che non ne ravvisi l’assoluta immediata necessità, di posticipare od omettere verifiche particolarmente costose». 101 F. BUZZI, op. cit., 591.

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dovrebbe investire le poche risorse disponibili in base alle predette aleatorietà ed a scapito della razionale ricollocazione delle risorse stesse (dalla corte spregiata come “logica mercantilistica”) a motivato e dovuto beneficio di altri pazienti in attuale necessità di cure nosocomiali. Di fatto, dunque, un indirizzo giurisprudenziale del genere si pone in contrasto insanabile non soltanto con i ben noti principi di efficacia, efficienza e di economicità che devono informare la governante della sanità, ma anche con il principio di equità distributiva delle risorse. Un principio che, nella fattispecie, si sostanzia nel pari diritto di essere convenientemente assistiti anche da parte di coloro che siano stati successivamente colpiti da analoga mala sorte morbosa e che, alla stregua dell’interpretazione della Corte, vedrebbero ridursi drasticamente le opportunità di trovare un letto in cardiologia. Invero, se - come appunto affermato dalla Corte – non v’è dubbio che esiste “un diritto fondamentale dell’ammalato ad essere curato e rispettato come persona”, lo stesso identico diritto deve essere evidentemente riconosciuto in concreto a tutti i malati che hanno analoghe necessità di assistenza; e l’unico modo per realizzare questo compito consiste nell’allocare le risorse secondo predeterminati criteri sanitari e non secondo apodittiche congetture giuridiche».

Come osservato in un recente e approfondito studio102, «di fronte all’impennata dei costi sanitari legati alla c.d. rivoluzione tecnologica, proprio partendo dal presupposto della priorità del bene-salute, e puntando all’obiettivo di garantire l’assistenza medica ad una platea di utenti più ampia possibile (anziché a una quota, più o meno estesa, di soggetti abbienti), il mondo medico contemporaneo sembra porsi, piuttosto che il problema di assegnare o meno una (invero indiscutibile) priorità ai valori della persona su quelli economici, il problema di combinare, in un equilibrio sostenibile, i concetti di cure ideali (best) e di cure efficaci in termini di costi (cost-efficient)»103.

Se dovesse confermarsi l’impostazione che esclude qualsiasi rilievo a linee guida che tengano conto (anche) di esigenze di contenimento della spesa pubblica, nel medio- lungo periodo si verificherebbe il paradossale effetto per cui, nel vano tentativo di

102 A. DI LANDRO, Dalle linee guida e dai protocolli all’individualizzazione della colpa penale nel

settore sanitario. Misura oggettiva e soggettiva della malpractice, Torino, 2012, p. 19.

103 O. DI GIOVINE, La responsabilità penale del medico, dalle regole ai casi, in Rivista italiana di

medicina legale, 2013, 1, p. 81, per la quale «il trattamento ottimale deve cedere il passo al miglior

trattamento sul piano della difesa della salute, e questo è condizionato dalla disponibilità finanziaria del settore sanitario e delle strutture in cui è possibile operare».

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garantire il massimo standard terapeutico per il singolo paziente, si penalizzerà l’efficienza complessiva del Sistema Sanitario.

Inoltre, la scarsa condivisibilità della tesi che esclude dal perimetro dell’articolo 3 della legge 189/2012 le linee guida ispirate non esclusivamente a istanze di cura del singolo malato emerge non solo sulla base delle considerazione di carattere finanziario sopra esposte, ma anche in forza di argomentazioni di natura strettamente giuridica.

In tal senso, è importante ricordare che, al di là dell’ambiziosa intitolazione «promozione dello sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute», l’intero impianto del «decreto Balduzzi» è rivolto esplicitamente a garantire un risparmio di spesa nel settore della sanità.

Non sembra allora azzardato chiedersi se davvero l’articolo 3 possa considerarsi avulso e impermeabile alla logica che connota l’intero testo normativo104. Continuare ad

asserire che solo le linee guida che non si fanno carico delle esigenze di equilibrio di bilancio rappresentano un utile strumento nelle mani del giudice significa non tener conto che l’articolo 3 è inserito in uno scenario legislativo con finalità e obiettivi ben chiari che, mantenendo inalterata l’impostazione ad oggi dominante, verrebbero di fatto elusi e ignorati.

In aggiunta a questo primo argomento, per sostenere l’opportunità di valorizzare le raccomandazioni finora ignorate dalla Cassazione è utile operare alcune puntualizzazioni sulla possibilità di qualificare come regola cautelare i suggerimenti diagnostico-terapeutici contenuti nelle linee guida.

L’opinione allo stato prevalente ritiene che vadano attribuiti natura e rango di regola cautelare alle sole indicazioni che siano il precipitato modale di acquisizioni di provenienza scientifica e di finalità squisitamente curativa, rispondenti cioè alla sola logica del miglioramento delle cure, dell’assistenza e della salute del singolo paziente. Tale essendo la premessa, occorre tuttavia domandarsi se direttive comportamentali siffatte siano davvero la concretizzazione del comportamento che, in quelle date circostanze spazio temporali, avrebbe tenuto l’homo eiusdem condicionis et professionis

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o se, invece, esse rappresentino soltanto una condotta ideale e astratta, estrapolate da un utopistico libro dei sogni105.

A nostro avviso, proprio il riferimento alle “condiciones”106 dovrebbe suggerire di mettere in risalto tutte quelle situazioni di carattere contingente, fra le quali non può non essere annoverato anche lo stato economico della struttura dove il medico lavora, che necessariamente incidono sulla condotta ideale che l’agente era ragionevolmente in grado di osservare in quel determinato contesto107.

Se si focalizza l’attenzione sull’insieme delle condizioni ambientali e fattuali all’interno delle quali il sanitario svolge la propria opera, è evidente che sarebbe irrazionale ipotizzare una sorta di ontologica inapplicabilità del nuovo criterio di imputazione per il

105 Si chiede O. DI GIOVINE, op. cit., p. 82, «le guidelines devono quindi fissare la cautela sulla base di una ipotetica potenzialità illimitata, alla stregua di un modello astratto scientificamente evoluto e tecnologicamente illimitato di agente oppure devono calibrare la doverosità del prevedere ed evitare sulla disponibilità materiale di risorse economiche, secondo un giudizio di concreta inverabilità? Questo è il terreno accidentato su cui anche l’interprete si muove [...] pare ovvio, esemplificando rozzamente, che un sistema efficiente di linee guida dovrebbe prevedere un elevato numero di posti letto per i ricoverati (si pensi ancora al rischio di trasmissione di infezioni all’interno di alcuni reparti ospedalieri), ma, se la struttura non lo consente, la regola di comportamento non può recepire quella che rimarrebbe una lista dei sogni. Tantomeno la violazione della lista dei sogni dovrebbe poter fondare un giudizio di responsabilità penale a titolo di colpa per il singolo sanitario».

106 In proposito, F. ANGIONI, Note sull’imputazione dell’evento colposo con particolare riferimento

all’attività medica, AA.VV., Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di Dolcini Emilio, Paliero

Enrico, Milano, Giuffrè, 2006, p. 1294, per il quale «il riferimento alla “condicio” indica opportunamente il rilievo da attribuire realisticamente alle condizioni ambientali, spaziali, di urgenza, in cui di fatto il soggetto opera».

107 Nega che le linee guida aventi anche finalità di contenimento della spesa possano essere espressione di regole cautelari F. GIUNTA, Protocolli medici e colpa penale secondo il “decreto Balduzzi”, in Rivista

italiana di medicina legale, 2013, 1, p. 825, afferma che «le linee guida che mirano a bilanciare tra loro

coefficienti di rischio e riduzione della spesa non hanno natura cautelare in senso stretto, perché prendono in considerazione esigenze di natura economica che in via di principio sono antagonistiche rispetto alla massima finalità preventiva delle cautele. Si potrebbe ritenere, pertanto, che le linee guida abbiano rilevanza sul piano del rischio consentito, che per definizione incarna la logica del bilanciamento di interessi. Sennoché, alle tesi che vedono nel rischio consentito un ambito valutativo autonomo, rimesso ex

post al giudice, sono preferibili quelle prevalenti impostazioni secondo le quali il rischio consentito non

avrebbe autonomia funzionale rispetto a quanto facoltizzato ex ante dalla cautela, quale regola di condotta. Conseguentemente, le linee guida che contemperano la conformazione alle migliori cautele disponibili con esigenze di natura eterogenea, quali il contenimento dei costi, costituiscono una categoria molto variegata, talché a una loro valutazione in astratto deve preferirsi un esame in concreto, che, nei settori dove vengono in gioco i beni fondamentali della persona, tenga conto del primato dell’efficienza cautelare sul risparmio economico. Ciò significa che, segnatamente nel campo sanitario, il contenimento dei costi è un obiettivo perseguibile solo dopo aver conseguito il prioritario traguardo terapeutico. In breve: le linee guida possono contribuire a perimetrare l’ambito del rischio consentito nei limiti in cui non smentiscono i migliori protocolli terapeutici, in modo che questi vengano integrati e non sostituiti».

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solo fatto che egli abbia fatto ricorso a linee guida o protocolli che rispondano anche ad esigenze di carattere economico108.

L’approccio esegetico imperniato sulla logica dicotomica che vede confrontarsi su piani inconciliabili la tutela della salute e l’attenzione alla componente gestionale non ci sembra quindi sostenibile in quanto, come è stato sottolineato in dottrina109, «la rilevanza del fattore spesa nella condotta medica, ovvero il rapporto fra principio di economicità e tutela della salute, non può essere risolto attraverso la proclamazione di principi che, per quanto condivisibili, risultano lontani dalla realtà in cui viviamo. Consentire al medico di utilizzare le sole linee guida ed i soli protocolli che soddisfano esigenze esclusivamente curative significa non voler comprendere che, oggi, sanità ed economia sono due concetti interdipendenti. Anzi, si può assicurare un sufficiente servizio sanitario solo attraverso il rispetto di modelli economici che garantiscono un più ampio e diffuso intervento».

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