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Sezione IV, sentenza n 24400 del 2006 (pres De Grazia; rel Iacopino; imp

Nel documento Linee guida e colpa del medico (pagine 129-132)

Con la sentenza in commento la Cassazione ha annullato la decisione con la quale la Corte d’Appello di Catania aveva riformato la pronuncia del Tribunale di Catania che, a sua volta, aveva assolto Roberto Cardillo e Filadelfo Di Salvo e Antonio D’Anna dal delitto loro ascritto ai sensi degli artt. 113, 589 c.p. .

Il 25 dicembre 1998 un paziente era rimasto implicato in un incidente stradale a seguito del quale era stato trasportato al Pronto Soccorso presso il quale prestavano servizio gli imputati. Il Cardillo, che era il medico di turno, gli aveva riscontrato «lieve trauma cranico con contusione ed ematoma in regione parieto occipitale sinistra. Trauma toracico con intensa sintomatologia dolorosa a sinistra ed in regione scapolare sinistra, impotenza funzionale della spalla sn».

Il sanitario aveva fatto sottoporre il paziente ad esami radiografici riguardanti cranio, torace, emitorace e spalla. Tali esami erano stati eseguiti dal dr. D'Anna e avevano evidenziato l’assenza di lesioni ossee craniche postraumatiche e fratture costali multiple. Era stato anche disposto un elettrocardiogramma che aveva poi attestato una aritmia completa, fibrillazione atriale, turbe della tripolarizzazione su verosimile base coronaria. Il Cardillo, infine, aveva richiesto una consulenza chirurgica per la quale il paziente era stato ricoverato presso la divisione di chirurgia dell'ospedale ove era di turno il Dr. Di Salvo.

Questi aveva raccolto l'anamnesi attestando, quanto al trauma cranico, che il paziente era orientato, che non riferiva precedente perdita di coscienza né episodi di vomito né amnesia retro anterograda. In considerazione del quadro complessivo così delineato, il medico non aveva ritenuto opportuno sottoporre il paziente ad esame TAC.

Alle ore 19 del 27 dicembre, però, il paziente aveva accusato una crisi ipertensiva, con emiparesi facio - brachio - curale destra, afasia e successivo stato di coma e poi tachiaritmia da fibrillazione astriale e sovraccarico ventricolare. Era quindi stato contattato dal medico di guardia il Di Salvo, che, preso atto della situazione, aveva disposto il trasferimento del paziente presso l'Ospedale Cannizzaro di Catania per

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sottoposizione a TAC dell’encefalo, non essendo il nosocomio di Giarre dotato di attrezzatura idonea.

Alle ore 21 il paziente era stato ricoverato presso il reparto di Neurochirurgia con diagnosi di «grave trauma cranico, ematoma susbdurale F.P.T. sn in paziente iperteso vasculo - patico - cerebrale con aneurisma». Veniva quindi deciso un intervento neurochirurgico urgente, ma questo non aveva avuto luogo perché, dopo l'intubazione del paziente, erano sorti problemi e se ne era constatato il decesso.

Sia al dr. Cardillo che al dr. Di Salvo era stato addebitato di avere per colpa, consistente in negligenza, imprudenza ed imperizia, omesso di trasferire il paziente presso diverso presidio ospedaliero adeguatamente attrezzato per l'effettuazione di ulteriori ed opportuni accertamenti, quali TAC e risonanza magnetica, provocando così l'aggravamento di un ematoma subdurale acuto insorto a seguito del trauma che ne aveva favorito il decesso.

Nel motivare la sentenza di assoluzione, il Tribunale aveva osservato che, secondo il consulente del P.M., negli ospedali attrezzati era prassi sottoporre a TAC i pazienti, seguendo delle linee guida dettate dalla scienza medica, anche se queste non erano obbligatorie ma solo indicative.

Dalle linee guida pubblicate dopo l'evento in questione, prodotte dalla difesa del Di Salvo, era risultato che rientrava nella categoria “0” un paziente con trauma cranico minore che appare orientato nel tempo e nello spazio senza reale perdita di coscienza né amnesia né cefalea diffusa.

Tali linee guida, si era precisato, consigliano di dimettere il paziente dopo una valutazione clinico assistenziale.

A seguito di impugnazioni del Procuratore della Repubblica e del Procuratore Generale, limitatamente alle posizioni del Di Salvo e del Cardillo, nonché del gravame proposto dal difensore di quest'ultimo, la Corte di Appello di Catania, in riforma della sentenza di primo grado, aveva dichiarato il Cardillo e il Di Salvo colpevoli del reato loro ascritto poiché in presenza di pazienti in età avanzata disabili era consigliata l'esecuzione della TAC.

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In accoglimento dei ricorsi presentati dagli imputati, i quali hanno soprattutto rimarcato di aver uniformato la propria attività ai suggerimenti diagnostico-terapeutici contenuti in autorevoli linee guida, la Suprema Corte ha invece annullato tale ultima pronuncia. I giudici di legittimità hanno affermato: «il paziente, in quanto persona anziana non disabile, non presentava alcun rischio aggiuntivo, dovendosi intendere per disabile un malato con un disturbo neurologico grave. I consulenti, secondo quanto si legge nella sentenza di primo grado, avevano fatto riferimento, nel formulare le loro considerazioni, alle linee guida per la gestione dei traumi cranici edite a cura della Società Italiana di neurochirurgia in un rivista del 1996, anche se le stesse sono da considerare solo suggerimenti atti ad orientare i sanitari nei comportamenti che devono porre in essere in relazione ai casi concreti. Poiché, sulla base delle dette linee guida, era suggerita solo l'osservazione clinica del paziente di grado zero, che nella specie era avvenuta, i giudici avrebbero dovuto spiegare se, avendo il Dr. Di Salvo seguito il paziente, vi sia stato un controllo delle condizioni del Vecchio adeguato alla situazione che si presentava ovvero se quest'ultimo abbia cominciato con progressività nel corso del ricovero a presentare i sintomi di carattere neurologico che ne hanno poi determinato il trasferimento nell'ospedale di Catania per l'effettuazione di una TAC oppure se il manifestarsi dei segni di sofferenza cerebrale sia sopravvenuto con repentinità, senza che alcun elemento prima lo evidenziasse. Inoltre, anche senza volere considerare, perché successive, le linee guida edite l'anno dopo l'evento de quo, i giudici di appello avrebbero dovuto spiegare le ragioni per le quali le considerazioni del consulente del P.M. erano da privilegiare rispetto a quelle dei consulenti del Dr. Di Salvo, che invece erano state tenute in conto dal Tribunale».

La Suprema Corte, in sostanza, pare affermare il principio secondo il quale le linee guida rappresentano uno standard comportamentale ideale al quale è ben lecito rifarsi per l’individuazione della regola cautelare da seguire nel caso concreto.

Pertanto, qualora non sia possibile evincere particolarità della singola vicenda che suggeriscono o impongono di discostarsi dalle indicazioni contenute nelle linee guida, la condotta ad esse conforme non può essere qualificata come colposa.

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3. Sezione IV, sentenza n. 19354 del 2007 (pres. De Grazia; rel. Piccialli; imp.

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