responsabilità pronunciata nel giudizio di merito a carico di Euro Pozzi per il delitto di omicidio colposo in danno di Ateo Cardelli.
La vicenda riguardava un episodio verificatosi all'interno di una comunità di cura, nella quale era ricoverato un paziente psicotico, Giovanni Musiani, che aveva aggredito con
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un coltello un educatore che prestava servizio presso la struttura, cagionandone la morte.
Al dott. Pozzi, medico psichiatra che svolgeva la sua attività terapeutica nella comunità, era stato addebitato di aver omesso di valutare adeguatamente i sintomi di aggressività manifestati dal Musiani (anche specifici nei confronti dell’educatore) e di aver ridotto - e poi sospeso - la somministrazione di una terapia farmacologica di tipo neurolettico in modo da renderla inidonea a contenere la pericolosità del paziente.
Il primo giudice aveva ritenuto che la condotta del medico fosse caratterizzata da colpa per avere prima ridotto e poi sospeso la somministrazione del farmaco (Moditen) che gli era stato somministrato senza un'adeguata anamnesi e senza una corretta valutazione della situazione di recrudescenza dei sintomi di aggressività che caratterizzavano il paziente e per non aver accompagnato la riduzione della terapia con misure di supporto. La Corte d'Appello di Bologna aveva confermato le valutazioni sulla natura colposa della condotta dell'imputato.
I giudici di secondo grado avevano condiviso il parere dei periti nominati dal primo giudice, i quali avevano rilevato che le linee guida internazionali prevedono la riduzione della terapia solo dopo cinque anni di mancanza di episodi psicotici. Questi episodi si erano invece verificati in tempi recenti, tanto che il precedente primario aveva raccomandato che non venisse ridotta la terapia somministrata a Musiani. Inoltre, la riduzione era avvenuta in modo non conforme alle prescrizioni delle linee guida, conducendo così il paziente ad uno scompenso conclamato come risultava da vari episodi.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato, il quale ha lamentato, fra l’altro, che il giudice di merito avrebbe erroneamente mosso un rimprovero per colpa in quanto il paziente era in remissione da oltre quindici anni e perché il dott. Pozzi non aveva affatto eliminato la terapia antipsicotica, ma l'aveva soltanto ridotta in una prospettiva di ridurre la sedazione cui Musiani era sottoposto da tempo.
La Suprema Corte ha tuttavia rigettato il ricorso ritenendo che la motivazione svolta dai giudici di merito in punto di colpa fosse logica ed esaustiva perché fondava il
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rimprovero su documenti, quali le linee guida, ritenute particolarmente qualificate ed attendibili.
Richiamando la stato patologico del Musiani a cui si è precedentemente fatto riferimento, la Corte ha affermato: «[…] In particolare, secondo il parere dei periti condiviso da entrambi i giudici di merito e fondato su autorevoli studi svolti anche a livello internazionale (nella sentenza di primo grado vengono riportate le linee guida dell'American Psychiatric Association che si esprimono in questo senso), la riduzione del farmaco neurolettico non si deve effettuare per percentuali superiore al venti per cento ogni volta e gli intervalli tra queste progressive riduzioni dovrebbero durare tra i tre e i sei mesi. Regole di cautela macroscopicamente violate dal dott. Pozzi che ha ridotto già inizialmente la terapia della metà e l'ha poi sospesa integralmente dopo poco più di un mese senza quindi verificare gli effetti per un periodo di tempo adeguato (anche in considerazione delle caratteristiche del farmaco a lento rilascio che richiederebbe un periodo di osservazione particolarmente prolungato per verificare i risultati quando il farmaco ha ridotto i suoi effetti) e senza intensificare le visite come richiesto dalle linee guida cui si è già accennato».
5. Sezione IV, sentenza n. 10454 del 2010 (pres. Rizzo; rel. Piccialli; imp. Esposito) La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi su una vicenda nella quale alcuni sanitari erano stati tratti a giudizio in ordine al reato di cui all’art. 589 c.p. in qualità, rispettivamente, di medico anestesista (la Esposito) e di medico-chirurgo (il Corcione), in servizio presso l'Ospedale Monaldi di Napoli, ove una paziente era stata ricoverata per essere sottoposta, dopo gli opportuni accertamenti, ad intervento di colecistectomia per via laparascopica. L'intervento non venne mai effettuato perché nel corso dell'anestesia per l'esecuzione della programmata operazione una reazione allergica della paziente ne aveva impedito la intubazione e dopo reiterati tentativi - condotti anche con l'applicazione di una sonda ed attraverso l'applicazione della maschera laringea che aveva provocato una lesione dell'esofago con conseguente immissione di aria nell'esofago - venne eseguita una tracheotomia da un otorinolaringoiatra appositamente chiamato nella sala operatoria, a venticinque minuti dalla induzione in
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anestesia. Il decesso si era poi verificato presso il reparto di rianimazione del medesimo nosocomio, dopo un ulteriore intervento chirurgico.
A carico della dott. Esposito erano stati individuati diversi profili di colpa, riguardanti sia la fase precedente alla fase preparatoria dell'intervento (in particolare l'avere omesso di svolgere i necessari accertamenti per la verifica della qualità di soggetto allergico della paziente, così somministrando farmaci che avevano provocato lo shock anafilattico) sia quella successiva allo shock anafilattico, con riferimento al suo colposo ritardo nella effettuazione della tracheotomia.
La colpa ascrivibile al dott. Corcione veniva invece individuata nell'avere omesso, quale chirurgo presente in sala operatoria, di procedere tempestivamente alla tracheomizzazione della paziente, pur essendosi venuta a creare - a causa dell'insuccesso dei tentativi di intubazione e dell'edema laringeo - una situazione di emergenza.
Nel pronunciarsi sul ricorso, ai fini che interessano nella presente trattazione, la Corte ha affermato: «il giudicante ha analizzato con argomenti satisfattivi le modalità dell'approccio avuto dalla prevenuta (in particolare la scelta di procedere a tre inutili tentativi di intubazione nonostante l'edema della laringe, che impediva l'evidenziazione della glottide) e gli effetti derivatine rispetto al mancato efficace contrasto dell'ipossia, evidenziando altresì che in presenza di una situazione di tale gravità non esenta da responsabilità il fatto che siano state seguite linee guida o siano stati osservati protocolli per una scelta alternativa all'unica scelta che in concreto si rendeva, nell'evidenza delle descritte manifestazioni conseguenti allo shock anafilattico, chiaramente risolutiva (la tracheotomia)».
6. Sezione IV, sentenza n. 8254 del 2011 (pres. Brusco; rel. Foti; imp. Grassini)