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Coltivazione delle piante da legno in Piemonte

Nel documento Cronache Economiche. N.003-004, Anno 1974 (pagine 64-67)

Bruno Pusterla

11 legno si dimostra sempre più una materia prima essenziale. Il suo consumo è in continuo aumento mentre, a livello mondiale, la sua dispo-nibilità sta dimostrandosi sempre più inadeguata. Nell'ambito CEE nel 1950, il passivo in fatto di produzione legnosa è stato di oltre 20 milioni di metri cubi; nel 1960 esso è salito a 45 milioni per passare a circa 60 al termine del passato de-cennio; per l'ormai prossimo 1975 è prevedibile un passivo di oltre 80 milioni di metri cubi.

Passando all'esame della situazione italiana va ricordato che la nostra produzione copre appena un terzo del fabbisogno annuo: conseguentemente il valore delle importazioni di legno, salito da 230 miliardi nel 1966 a 350 nel 1970, si è ormai attestato sull'elevatissima cifra di 400 miliardi di lire.

Il deficit di materiale legnoso copre quindi il 3° posto nel passivo della Bilancia dei Pagamenti ed è preceduto solamente dai prodotti alimentari e da quelli petroliferi.

Lo schematico quadro offerto da questi dati sottolinea la necessità e l'urgenza di u n vasto programma di intervento che miri all'incremento del patrimonio arboreo attraverso le due forme classiche: quella della selvicoltura tradizionale — che investe oltre al problema produttivo anche quello della difesa e della conservazione del suo-l o — e quesuo-lsuo-la desuo-lsuo-la cosuo-ltura accesuo-lerata di piante da legno che riveste essenzialmente finalità pro-duttive.

La nostra regione offre ampie possibilità pedo-climatiche per entrambe le forme di intervento.

Poiché il settore della selvicoltura classica rien-tra nella competenza specifica del Corpo Forestale,

cui va dato atto, nonostante la carenza di uomini e di mezzi di cui dispone, di operare con senso di responsabilità è nel settore dell'arboricoltura spe-cializzata che può attivamente esprimersi l'inter-vento dell'imprenditore agricolo. Nelle nostre zone l'arboricoltura da legno con finalità produt-tive si esprime attraverso la coltura dei pioppi e delle resinose a rapido accrescimento.

La pioppicoltura che ricordiamo per inciso concorre con oltre il 5 0 % alla produzione nazio-nale di legno per uso industriale interessa in pro-vincia di Torino, secondo i dati dell'annuario di Statistica Forestale, circa 9000 ettari. La cifra indicata è certamente inferiore alla realtà, sia per la difficoltà di un esatto rilevamento, sia perché molte superfici boscate, nonché le piantagioni di ripa, sfuggono al censimento.

È risaputo come il pioppo esiga terreni profondi e fertili, irrigui o dotati di naturale freschezza: il suo ambiente d'« elezione » rimane la golena se pure sono ottenibili ottimi risultati produttivi an-che in molte zone agrarie al di fuori di quelle poste lungo l'asta dei fiumi.

A differenza del passato la pioppicoltura, per la specializzazione cui è andata incontro e per la diffusione di nuovi numerosi agenti patogeni, ri-chiede, in funzione di buoni risultati produttivi colturali, cure assidue ed un'attenta sorveglianza; in condizioni favorevoli la coltura del pioppo è in grado di esprimere produzioni unitarie di note-vole interesse e agli attuali prezzi competitive, nei confronti di altre, se si aggiunge anche la pos-sibilità di complementizzare, nei primi anni di impianto, la coltura arborea con altre colture a ciclo annuale, mais in modo particolare.

Per raggiungere risultati di soddisfazione, va sottolineato che, al di là di tutti gli interventi colturali necessari, un'importanza fondamentale riveste la scelta del tipo di pioppo da mettere a dimora. Infatti il risultato produttivo di questa o quella varietà varia da zona a zona, a seconda delle caratteristiche del terreno e dell'incidenza di alcune malattie.

Ricordiamo a questo proposito che in Piemonte opera l'Istituto di Sperimentazione per la Pioppi-coltura di Casale Monferrato dell'Ente Nazionale per la Cellulosa e la Carta: a detto Ente i pioppi-coltori possono rivolgersi per avere tutte quelle utili indicazioni per i loro impianti.

Entrando sinteticamente nel merito delle ope-razioni fondamentali, va innanzitutto detto che

nella scelta del terreno da destinare alla pioppi-coltura si dovrà tener conto di questi due prin-cipi: che il pioppo possa agevolmente espandere il suo possente apparato radicale e che sia in gra-do di trovare nel substrato una sufficiente dispo-nibilità di acqua, sia naturale sia attraverso la pratica dell'irrigazione.

Dopo l'esecuzione dell'impianto, realizzato nor-malmente con una densità variabile da 250 a 350 piante ad ettaro, dovrà mettersi in atto una se-rie di cure colturali: arature ed erpicature avran-no il compito di mantenere soffice ed arieggiato il terreno e di eliminare le erbe infestanti; irri-gazioni e concimazioni consentiranno di esaltare le capacità produttive delle piante, mentre le po-tature, distribuite lungo il turno, permetteranno l'ottenimento di fusti diritti, lisci e senza nodi, tali da garantire l'abbattimento di assortimenti le-gnosi di pregio e ben remunerati.

Basilare è anche la lotta contro gli attacchi parassitari •— capaci di ridurre fino a l l ' 8 0 % il valore del legno — che deve essere indirizzata essenzialmente contro due tipi di parassiti: gli insetti xilofagi e le malattie fogliari da crittogame, con particolare attenzione alla temibile

Marsso-nina brunnea.

Se tutti gli interventi colturali saranno stati tempestivamente messi in atto, sarà possibile ave-re, al momento dell'abbattimento, produzioni di tutto pregio: con un turno di 12 anni non è in-fatti impossibile ottenere masse legnose utilizza-bili di 250-300 metri cubi ad ettaro.

Essendo la pioppicoltura una coltura a turno relativamente lungo, l'agricoltore costretto a com-piere notevoli anticipazioni di capitale, dovrebbe poter beneficiare dei finanziamenti agevolati e di quelle previdenze normalmente concesse per le al-tre colture in caso di calamità naturali.

In sede regionale, essendo state decentrate per delega le competenze concernenti le coltivazioni arboree, spetterà al Comitato Regionale del Piop-po mettere a punto e proPiop-porre tutti gli interventi necessari alla tutela e alla diffusione della pioppi-coltura anche in considerazione del notevole ruo-lo che tale attività svolge nell'ambito dell'econo-mia locale.

Abbiamo già ricordato come il secondo filone dell'arboricoltura di legno sia rappresentato dalla coltura accelerata di resinose a rapido accresci-mento: anche queste colture possono svolgere un ruolo attivo nella nostra economia, se si considera che l'importazione di legnami da opera è rappre-sentata per circa I ' 8 0 % da conifere.

L'opera di sperimentazione e di diffusione di questo tipo di arboricoltura viene svolta in modo particolare dall'Istituto Nazionale Piante da Le-gno « Giacomo Piccarolo » di Torino che ha prov-veduto alla costituzione, nella sola regione pie-montese, di oltre 3000 nuclei dimostrativi per un totale di 2.500.000 piante, aventi lo scopo di veri-ficare la adattabilità e la capacità produttiva delle diverse essenze in sperimentazione.

I tre milioni ed oltre di ettari attualmente del tutto o quasi inutilizzati, potrebbero essere rimbo-schiti con tali essenze utili non solo alla produ-zione legnosa ma altresì per la difesa idrogeologi-ca. Una buona parte di tali superfici è rappresenta-ta da quei terreni agrari marginali abbandonati o in via di abbandono, poiché non più suscettibili di coltivazioni remunerative; tali terreni presentano normalmente una giacitura che li rende ancora atti ad accogliere investimenti agricolo-forestali. Su tali superfici, che nella sola regione piemon-tese superano ampiamente i 50.000 Ha, possono essere introdotte con ottime prospettive le tecni-che della coltura accelerata. Si tratta sostanzial-mente di sfruttare la più intensa attività vegeta-tiva di molti alberi forestali, quando questi sono allevati in località poste ad altitudine notevol-mente inferiore rispetto a quella del loro habitat d'origine. Le specie vegetali che si sono dimo-strate più adatte a tale tipo di coltura sono rap-presentate dal Pinus strobus, Pinus excelsa, Pseu-do-tsuga Douglasii, Larix leptolepis ed altre an-cora. Nella coltura accelerata le distanze tra pian-ta e pianpian-ta a dimora sono notevolmente superiori a quelle adottate in selvicoltura: normalmente si collocano circa 1000 piante ad Ha, in file regolari per poter praticare le lavorazioni negli interfilari e procedere poi, circa a metà del turno, ad un re-golare diradamento. Lavorazione negli interfilari durante i primi anni e potatura rappresentano gli interventi agronomici fondamentali per questo tipo di piantagione.

Per abbreviare il turno della coltura vengono messe a dimora piante che hanno già da 4 a 5 anni di età: in tal modo, in adatte condizioni ambientali, si riesce a realizzare il diradamento già al 10°-12° anno, mentre il taglio definitivo può essere effettuato intorno al 25°-30° anno dimez-zando cosi i turni classici della selvicoltura tradi-zionale, e con incrementi medi annui intorno ai 15 metri cubi ad ettaro.

La zona pedemontana piemontese (sino circa agli 800 metri di quota) nonché molte delle nostre zone collinari si prestano egregiamente a tale tipo

di investimento, come stanno a dimostrare i risul-tati ottenuti con i primi impianti sperimentali.

La Camera di commercio di Torino, sensibile ai problemi interessanti i settori produttivi e quindi anche a quello della produzione legnosa, bandisce annualmente un concorso per la diffu-sione della coltura di resinose a rapido accresci-mento, mettendo a disposizione dei richiedenti un contributo finanziario per le spese di impianto. Sviluppando opportunamente gli incentivi, e rial-lacciandoci alla premessa, è opportuno insistere ancora una volta sulla necessità di una valida poli-tica di forestazione. Molte nazioni a noi vicine hanno già da tempo intrapreso vasti programmi in tal senso: la Francia, attraverso l'attività del

« Fond Forestier National » ha già ampiamente superato il traguardo del milione di ettari rimbo-schiti; la Germania, la Spagna, la Jugoslavia e molte altre nazioni europee hanno in corso im-portanti piani ^di rimboschimento incentivati e sovvenzionati dallo Stato attraverso varie forme.

Questa appare l'unica via possibile, soprat-tutto per un paese come il nostro che nell'ambito comunitario presenta il più basso indice di bo-scosità (20,2%), per porre rimedio alla situa-zione, sempre più deficitaria, dell'approvvigiona-mento del « legno » e per impedire che un ulte-riore aggravarsi di tale situazione determini con-seguenze insanabili per le numerose industrie uti-lizzatrici e per le loro possibilità occupazionali.

Nel documento Cronache Economiche. N.003-004, Anno 1974 (pagine 64-67)