CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA
Le preoccupazioni
sono il peggior compagno di viaggio.
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CASSA DI RISPARMIO
DI TORINO
cronache
economiche
rivista della camera di commercio industria artigianato e agricol-tura di forino numero 3 / 4 anno 1 9 7 4sommario
P. Condulmer3 Carlo Bossoli - Arte e battaglie G. Cansacchi
10 Le imprese multinazionali nel diritto internazionale G. Zandano
20 Le recenti vicende del sistema monetario internazionale: dall'agosto 1971 alla Conferenza di Nairobi
A. Trincheri
36 Aspetti psicologici nell'analisi economica G. Fabbri
39 La struttura dell'occupazione in Piemonte F. Alunno
50 Domanda ed offerta d'istruzione nella scuola d'obbligo E. Battistelli
58 II sopraggiunto problema della carta B. Pusterla
62 Coltivazione delle piante da legno in Piemonte A. Salvo
65 Comunità Montane e Regione 69 Tra i libri
77 Dalle riviste
C o r r i s p o n d e n z a , m a n o s c r i t t i , pubblicazioni d e b -b o n o e s s e r e indirizzati alla D i r e z i o n e della Ri-vista. L ' a c c e t t a z i o n e degli articoli d i p e n d e dal giudizio insindacabile della D i r e z i o n e . Gli scritti f i r m a t i o siglati rispecchiano s o l t a n t o il p e n -siero d e l l ' A u t o r e e non i m p e g n a n o la D i r e z i o n e della Rivista né l ' A m m i n i s t r a z i o n e C a m e r a l e . Per le recensioni le pubblicazioni d e b b o n o es-sere inviate in duplice copia. È vietata la ri-p r o d u z i o n e degli articoli e delle n o t e senza l ' a u t o r i z z a z i o n e della D i r e z i o n e . I m a n o s c r i t t i
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Carlo Bossoli - La battaglia di Palestro (1859).
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1
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Carlo Bossoli • Arte e battaglie
Piera Condulmer
Guardare un quadro del Bos-soli è come spalancare una fine-stra: questa può dare su di una via, su di una piazza, su di un vicolo, o su la campagna aperta. Ma è sempre su qualcosa di vivo, di vitale, di fruizione sociale, e t'invita a partecipare al banchet-to della vita.
A ben pensarci ogni quadro è un'avventura dello spirito, e in quest'avventura quante cose si possono incontrare! Si pos-sono incontrare uomini e cose, animali e piante, città e campa-gne, palazzi e tuguri, villici e sol-dati, che stabiliscono differenti rapporti fra loro, di consenso, di dissenso, di armonia e di disar-monia, di pace e di guerra; quan-do il rapporto è neutro il quadro risulta statico, e la disposizione dei fenomeni è paratattica e non sintattica.
Quest'ultima situazione è cer-to che nel Bossoli non si verifica mai, per cui la fiera della vita vi è sempre immensamente vita-le; spesso mondo umano e mon-do vegetale stabiliscono un dia-logo che acquista tutti gli accen-ti e tutaccen-ti i toni, fino all'urlo, e il quadro assume un dinamismo pittorico irresistibile e drammati-co, in cui i colori acquistano una potenza plastica, e le forme, pur perfettamente individuate, si identificano con il movimento, cielo e terra sono chiamati allo stesso tumulto. Lo sfondo paesi-stico non è mai inerte, talvolta sembra essere partecipe attivo dell'azione che si svolge, tal
al-tra, nella sua immacolata sereni-tà, sembra un monito solenne al delirio umano.
Nello studiare un autore, per quanto è possibile si tenta sem-pre di seguire una cronologia, tenendola come guida per indivi-duare la graduale maturazione ed evoluzione del suo pensiero e della sua tecnica. Ma questo cri-terio mi pare non possa valere molto per il Bossoli, in quanto le sue caratteristiche di vitalità e di realismo trasfigurato, le ri-scontriamo nella prima fase co-me nell'ultima, in continua iden-tità con se stesso. Questa è la sua forza e, si capisce, il suo li-mite, in quanto a lui non si può chiedere la modulazione psicolo-gica, la disamina graduale di un sentimento individuale o collet-tivo vissuto attraverso il segno
ed il colore, nella coscienza; egli ha la perennità della vita, l'urge-re della vita, valida in ogni suo aspetto, in ogni suo attimo, per-ché è esistere, l'esistere; su tutto si posa l'occhio dell'uomo e la luce del cielo. Potremmo defini-re il suo un gioioso defini-realismo esi-stenziale, gioioso perché istinti-vamente fantasticato, non alte-rato, ma soprattutto amato.
Ancora a questo ripensavo, sfogliando il libro che ho testé fatto uscire, con il quale ho volu-to far riscoprire il Bossoli a tanti dimentichi; e dopo aver osserva-to, studiaosserva-to, trattato per due an-ni buoan-ni questo pittore, mi sono sorpresa a guardare ancora con il gusto della novità alcuni dei quadri più perfettamente ripro-dotti.
Ecco, è questa perenne
zione di freschezza d'impressio-ne, quella che avvince lo spetta-tore al quadro del cittadino luga-nese, che dopo aver ritratto i paesaggi di mezzo mondo, per ragioni politiche è venuto a tro-vare anche lui, come molti suoi concittadini, e come molti spiri-ti liberi d'Europa, il suo porto d'approdo nella mecca d'Italia, Torino. E vi è vissuto trent'anni, e vi è morto nel 1884 guardando al Monviso, spettacolo di poten-te bellezza. E vivendoci, è diven-tato uno dei più fini, puntuali e sensibili interpreti della città ri-sorgimentale, colta nel momento culminante della sua storia.
Interpretazione storica e arti-stica, per quanto riguarda le il-lustrazioni delle guerre del
1859-'60-'61 estese a tutta l'Italia, e interpretazione intima, amorosa, per quanto riguarda Torino, che può vantare in lui un vedutista superbo, divenuto in alcuni casi emblematico. E se non c'è, si può dire, città europea e dell'A-sia euporea che non dell'A-sia stata da lui ritratta nei suoi aspetti più caratteristici, nessuna, neppure Venezia, neppure Parigi, neppu-re Londra, da lui molto amate e in cui fece lunghi soggiorni, ha
dato tanto calore d'ispirazione, tanta potenza idealizzatrice del reale, tanta ricchezza d'immagini e di spunti amati, al nostro pitto-re, quanto Torino, che tante trac-ce e tanti ricordi conserva di tici-nesi in architetture civili e reli-giose. Architetti da Scala a Van-nelli, Maurizio da Lugano, Garo-ve, Richa, Frizzi, Buonvicini (di origine ticinese, allievo del Vit-tone), Mazzi, Somazzi, ecc., che lavorarono ancora alle fortifica-zioni eli Verrua, Vercelli, Casale, Demonte, Cuneo; e ancora i mol-ti scultori operanmol-ti a Torino, qua-li Plura, Gaggini, Bossi, Pozzo, Neurone, Vela, nonché l'infinita teoria di stuccatori abilissimi e fi-nitissimi che impreziosirono il castello del Valentino, Palazzo Reale, Palazzo Madama, Palaz-zo Carignano, le ville e i castelli piemontesi, con le dinastie dei Recchi, dei Bianchi, Casella, Car-toni, Quadro, Solaro ecc.
Ho preferito aprire il mio vo-lume, dopo l'inquadratura del pittore nel mondo artistico euro-peo in genere ed in quello pie-montese in specie (nel quale ven-ne ad operare), con la serie delle battaglie, perché questa è la par-te meno ignorata del nostro, e
T o r i n o - Piazza V i t t o r i o ( i n c i s i o n e ) .
perché il Museo nazionale del risorgimento di Torino è ricco di ben 105 opere di tale sogget-to; passarle in rassegna è passare ^dall'idillico al tempestoso
attra-verso tutta la gamma e le grada-zioni delle immagini. Di fronte ad esse ci si domanda spesso qua-le sia stato l'interesse prevaqua-lente di questo illustratore del reporter del Times, forse l'ultimo repor-ter-pittore prima di quello foto-grafico.
Nella splendida pagina che il geniale critico d'arte, Luigi Car-luccio, ha voluto regalare al mio libro, viene puntualizzata la po-sizione del Bossoli nella pittura di cronaca del tempo: « ... Rap-presenta un tipo di risposta, o di reazione alla sfiducia a suo tem-po diffusa circa le tem-possibilità di sopravvivenza dei valori tecnici ed espressivi della pittura. Un certo tipo di risposta; come una
sfida coraggiosa e volenterosa, perciò cosi vivace, calda e pate-tica ».
T o r i n o - L ' a r m e r i a R e a l e ( i n c i s i o n e ) .
sconvolta, nella pianta che mo-stra le radici doloranti.
L'uomo può cosi bene inserir-si con la sua arte, con il suo in-gegno nella natura, umanizzan-dola, piegandola ai suoi fini, per-ché vuole poi insultare all'opera sua?
Guardiamo per esempio il ponte di Valenza inserito come una baguette d'oro nel gioiello di un radioso mattino sul Po: un registro tenuissimo di rosati, di azzurrini, di verdini alla Wat-teau ne formano la cornice. E una preziosità mattinale che i-gnora ogni dramma. Passa qual-che giorno, ed ecco il ponte in primo piano, illuminalo nella li-vida notte solo dal bagliore degli scoppi delle mine che ne hanno fatto crollare due arcale. È l'as-surda violenza umana che di-strugge per interrompere ciò che
aveva costruito per unire. E i quadri in sequenza diventano di-scorso cronologico, storico e do-cumentario.
Nel presentare questa serie mi sono preoccupata non tanto di presentare dei quadri del-l'obliato pittore, quanto di non rompere, presentandoli, l'intima unità narrativa, che dopo la guer-ra del '59 prosegue con quelli del '60 e del '61, e che ho arti-colati con il capitolo dedicato alle parate, ai plebisciti, alle ac-coglienze ai grandi protagoni-sti nelle città d'Italia che via via venivano liberate. Una carrellata di grandi immagini in esaltazio-ni di gioia, che lo smagliare dei colori attesta e documenta, in ar-chitetture messe in risalto, in pa-diglioni improvvisati, in pavesi, in bandiere, in orifiamme, in po-licrome vele di navi, in folle
fe-stanti, in donne eleganti, in ba-gliori di fuochi d'artificio che in-cendiano tutto il quadro.
t i i t e g g l l f
T o r i n o - L ' A c c a d e m i a d e l l e S c i e n z e ( i n c i s i o n e ) .
che colori, suoni, profumi siano stati generati dallo stesso raggio di luce e che essi debbano riunir-si in un meraviglioso concerto ».
Questo concerto il Bossoli lo compone anche in un episodio di guerra, anche nella illustrazione di una linea ferroviaria, nella quale serie di vedute cerca sem-pre di non urtare troppo la natu-ra con l'invadenza tecnica del-l'uomo.
Per rendere tutto il sapore co-loristico del Bossoli occorreva una presentazione editoriale ade-guata, e la Editrice d'arte Dioni-si e la Nuova Fotolito l'hanno realizzata ('): di ciò sono loro grata, e credo non sarà discaro a nessun lettore svolgere in certi casi anche per 100 cm una ripro-duzione, che gli dispiega vertigi-nosi panorami appenninici o ma-rini o di città come Torino, alla quale ho dedicato tutta l'ultima parte elei libro, con quadri
asso-lutamente preziosi.
Perché se tutte le città euro-pee ed extraeuroeuro-pee balzano dal quadro del Bossoli con la vivez-za e la potenvivez-za plastica delle lo-ro più significative espressioni la città che egli più miniò con il
suo esperto pennello fu Torino. Torino nelle sue vie, nelle sue piazze, nei suoi palazzi, nei suoi monumenti; la Torino intima e silenziosamente schiva, e la To-rino trionfante di pavesi e di fe-stoni; la città dalla vita dignito-samente dimessa di ogni giorno, e la città gremita di popolo delle grandi giornate storiche vissute con consapevole orgoglio; la cit-tà delle pie processioni religiose e la città che scorta con il suo cuore, nobile o plebeo, i gloriosi reggimenti che partono verso i destini d'Italia.
« L'ambiente pittorico torine-se era in bilico fra passato e futu-ro. C'era Massimo d'Azeglio che però viveva molto a Roma, come aspirante rivoluzionario realisti-co; e lo fu, specialmente nell'am-bito piemontese, sia come valuta-zione sociale dell'artista, sia co-me concezione artistica: « Imma-ginavo vie nuove, nuovi concetti, non i quadri fatti con la ricetta dei manieristici del XVIII seco-lo », dice nei Miei ricordi. Ma nel contempo si rifiutava alla fotografia pittorica, escludeva « il brutto, non avendo anco-ra il realismo invaso la classe
elei paesisti ». Cosi egli non presenti a Torino né la pro-sa del vero della cosiddetta scuo-la di Vanchiglia e poi di Rivara, ^jté la poesia del vero di
Fontane-si, mentre si trovava ad essere contemporaneo della scuola di Posillipo o di Resina, tra il 1835 e il '40, e della scuola fiorentina di Pergentina. A Roma s'incon-travano Owerbeck e i Nazareni, mentre in Francia fioriva la scuo-la eli Barbizon, in Svizzera quel-la del Calerne che, attraverso quel-la conquista appassionata del suo paesaggio, senza astrazioni e sen-za sforsen-zature, farà di Ginevra uno dei poli di attrazione d'Eu-ropa.
Il Piemonte valorizzò la dina-mica del colore prima dei mac-chiaioli toscani, e non rimase chiuso nel suo guscio paesano, cristallizzato nella concezione del bello codificato dal Mengs, ma tutti i suoi artisti si misero a circolare per l'Europa, a respira-re arie diverse, anche orientali, a fare esperienze internazionali; si maturano perciò qui dei viaggia-tori, dei pellegrini artistici, quali furono Gamba, Piacenza, Perot-ti, Beccaria, Camino, Teodoro Valerio, Fagnani, Moia, Andrea Gastaldi, Pagliano, Ciani, insie-me a molti altri, i quali non era-no solamente artisti, ma uomini di cultura, che in fondo alla cas-setta dei colori tenevano ben pie-gato un attestato di laurea, di so-lito in legge o in medicina.
La natura dal vero è la loro ispiratrice, non cincischiata e non ricostruita, ma con la sua insita poesia, la sua gloriosa im-mediatezza. Edoardo Perotti in Svizzera assorbe dal Calarne ciò che gli occorre per poter dare forza ed espressione al paesag-gio piemontese, come dimostrerà
T o r i n o - La p a r t e n z a d e l l a B r i g a t a R e g i n a ( t e m p e r a - M u s e o del R i s o r g i m e n t o T o r i n o ) .
alle Esposizioni dal 1846 al '70, con freschezza e trasparenza di accenti, agilità e fermezza di di-segno. Francesco Gamba vuole andare a fonti ancora più intatte, fra gli animalisti e i marinisti nel nord, nei Paesi Bassi, nella Nor-mandia, nella Norvegia, popo-landone poi l'Esposizione della Promotrice del '51. Tra i pelle-grini, anzi nomadi dell'arte, è Teodoro Valerio, che fu romanti-co e veristiromanti-co insieme, forse la espressione più tipica della
vi-ta artistica dell'epoca sua: fu francese nella Francia elei Sa-lons, nomade con gli zingari mu-sicisti dell'Ungheria, rurale con i contadini serbi, passando dalla pittura ad olio al guazzo, alla tempera, con una maestria che Téophile Gautier definì « Fran-chezza e forza sorprendenti, che potrebbero essere solo superate da Decamps ». Pittura va a Gi-nevra alla scuola di Humbert.
Già abbiamo accennato alla evoluzione della sensibilità, nel
primo Ottocento piemontese in tema di paesaggio, iniziata con Massimo d'Azeglio, condivisa da C. Piacenza sensibile al paesi--~smo svizzero, da Fr. Gamba che
ebbe contatti con la scuola del Barbizon e i pittori romantici di Dusseldorf, e i forti paesaggisti olandesi con i loro problemi lu-ministici. Tutti giovani, con Bec-caria, Allason, Perotti, Camino, che riportano dalla guerra del '48 una intensa capacità d'osser-vazione del reale, senza fronzoli e senza accademismi, nella cui visione hanno scoperto tante pos-sibilità poetiche; da essi mature-ranno appunto « quelli della scuola di Rivara » preparando le leve per gli allievi di Fontanesi. Artisti piemontesi del primo Ot-tocento ricchi di fermenti, che non si fecero valere, disse già il Denina, scrivendo a Glie Derossi da Berlino: « Passando sotto si-lenzio il Piemonte nella storia delle arti, la critica attesta una lacuna nella cultura dei trattati-sti, non un'inferiorità dei subal-pini ».
nei copricapo e nei bragoni degli zuavi; mentre i verdi in tutte le gamme sono per le erbe, i ce-spugli, le piante isolate, i boschi, in sinfonie talvolta veramente or-chestrali ».
Ma oltre i quadri, oltre le do-cumentazioni ufficiali, interes-santissimo è nel Bossoli l'angolo dello humor. E questo lo ricavia-mo dai suoi tacquini di schizzi che durante l'azione bellica, o nelle marce di spostamento, o gettato sulla sua brandina, o ospite principesco e reale, egli copriva di disegni spesso acqua-rellati, con rapide notazioni di colore, pro-memoria. Anche qui passa tutta l'Italia; ma in essi la casualità, o il desiderio di
utiliz-zare tutti gli spazi liberi del fo-glietto, portano a curiosissimi accostamenti, che talvolta non possono fare a meno di suscitare ilarità. E il primo a divertirsene è lui, lo scanzonato pittore, figlio dello spaccaprede luganese che ha vissuto la sua infanzia e la sua giovinezza fra Odessa e la Crimea, che si è creato con il suo fervore e la sua sensibilità coloristica un inconfondibile sti-le pittorico; scolaro specifico di nessun grande, di nessuna scuo-la, elaboratore anche di una sua tecnica nell'uso della tempera e dei solventi. E forse per questa sua personalità indipendente, li-bero figlio della libera Svizzera e cittadino del mondo,
Le imprese multinazionali
nel diritto internazionale
Giorgio Cansacchi
È controversa in dottrina la nozione di « im-presa multinazionale ». Ritengo di doverne acco-gliere la nozione più ampia, cioè quella di im-presa produttiva che svolge la sua attività in molti Stati. Recentemente si è anche coniato il termine di « cosmoaziende » per indicare le im-prese statunitensi che svolgono il loro ciclo pro-duttivo e commerciale in tutto il mondo, raggiun-gendo con il loro fatturato cifre astronomiche.
L'impresa multinazionale presenta, di solito, una società « madre » con sede in uno Stato, detto
Stato di origine, e numerose ramificazioni
stabi-lite in diversi Stati, detti Stati di penetrazione; queste ramificazioni possono essere semplici suc-cursali della società madre, società « filiali » del-la medesima con propria autonomia aziendale o società « controllate » dalla società madre per una quota rilevante del loro capitale; può anche aversi una società holding (finanziaria) che con il proprio pacchetto azionario dirige tutto un vasto gruppo aziendale oppure numerose società fra di loro vincolate con accordi cartellistici, di produ-zione, di vendita ecc.
In sostanza, ciò che caratterizza l'impresa mul-tinazionale è un'attività produttiva programmata, esplicata da un gruppo di società site in diversi paesi, diretta da un unico centro decisionale, cioè dal consiglio di amministrazione della società madre. Sono, pertanto, multinazionali sia le im-prese che compiono le successive fasi della loro produzione in numerosi Stati, sia quelle, dette « integrate », che presentano un'economia di sca-la svolgentesi in diversi paesi (in alcuni ricavan-dovi le materie prime, in altri trasformandole, in altri smerciando i prodotti finiti e provvedendo ai servizi relativi).
Le imprese multinazionali, la cui struttura giu-ridica è sempre quella della società per azioni, si sono diffuse in questi ultimi t r e n t a n n i dira-mandosi dagli Stati industrialmente più sviluppati in quelli a livello industriale minore e nei sotto-sviluppati; le società madri si trovano in maggio-ranza negli Stati Uniti d'America, nel Canada, in
Inghilterra, in Germania, in Giappone, mentre le società da esse controllate hanno prevalente-mente la loro sede nell'Europa Occidentale, in America Centrale e Meridionale, in Africa ed in Asia.
Il capitale delle imprese multinazionali è in maggioranza di provenienza privata, ma si danno anche numerosi casi di partecipazione pubblica, specialmente statale; si hanno, pertanto, « con-nubi imprenditoriali » fra governi e gruppi pri-vati. Le multinazionali, con le loro numerose e possenti ramificazioni, tendono fatalmente ad as-sumere posizioni oligopolistiche nei rami produtti-vi praticati; il loro fatturato, dei prodotti o dei servizi resi, si eleva sovente alla più alta quota del fatturato complessivo dei paesi in cui esse operano.
cambio di materie prime o di determinati prodot-ti. Politologi, economisti e giuristi sono concordi nel rilevare che le imprese multinazionali costi-tuiscono, nel mondo attuale, formidabili centri di potere economico e politico. Questo potere, accentrato nella direzione della società madre, si estrinseca sia nell'ambito dello Stato di origine, sia in quelli degli Stati di penetrazione, dato che anche i quadri direttivi delle società locali sono controllati dalla direzione centrale.
Disponendo di ingenti capitali e di fondi oc-culti, azionando le più diverse leve di pressione economica, i dirigenti di queste imprese posso-no finanziare partiti politici e sindacati, corrom-pere funzionari pubblici ad ogni livello, effet-tuare campagne pubblicitarie, creare massicce ri-chieste di determinati prodotti, ottenere conces-sioni amministrative e appalti di opere, benefi-ciare di agevolazioni fiscali e creditizie ecc. Per-lo più si riscontra una convergenza di indirizzi politico-economici fra gli organi direzionali delle imprese multinazionali e i governi degli Stati di origine; in alcuni casi, almeno per certi periodi di tempo, può esservi, invece, un contrasto fra la strategia economica dell'impresa e la direttiva politica governativa; contrasti di questo genere si sono avuti — ad es. — tra alcune multinazionali statunitensi del campo estrattivo ed alimentare e il governo statunitense in oggetto alla loro poli-tica di penetrazione, di espansione o di recesso in paesi dell'America Centrale e Meridionale ed in Medio Oriente.
Più frequenti i motivi di attrito, nel campo po-litico-economico, fra le imprese madri e le loro controllate « estere », da un lato, ed i governi de-gli Stati di penetrazione, dall'altro, particolarmen-te quando questi Stati, accentuando il loro svi-luppo industriale, tendono a favorire industrie, commerci e servizi « nazionali ». Si è notata, al riguardo, maggior concordanza di intenti nel pe-riodo dei primi insediamenti e maggiori contrasti, invece, a penetrazione avvenuta e sviluppata.
È indubbio — e lo conferma il recente Rap-porto del Dipartimento degli affari economici e sociali delle N.U. di cui diremo più oltre — che le imprese multinazionali esplicano un ruolo di primo piano nelle relazioni internazionali con-temporanee, sia influenzando direttamente o in-direttamente la politica e l'azione sociale ed eco-nomica dei governi degli Stati di origine e di pe-netrazione, sia occasionando fra i medesimi, in quanto portatori di interessi contrapposti, con-troversie a carattere internazionale.
Gli Stati di penetrazione sono di solito pro-clivi ad incoraggiare l'insediamento, nei loro ter-ritori, di imprese multinazionali originarie dei paesi industrialmente progrediti, in quanto l'troduzione di capitali esteri e la creazione di in-dustrie, commerci e servizi locali sono fattori altamente positivi per il loro sviluppo economico. In un secondo tempo, però, sorgono motivi di dissenso. Anzitutto si lamenta che le decisioni imprenditoriali siano prese al di là delle fron-tiere degli Stati di penetrazione, senza che questi possano parteciparvi, tanto più quando queste de-cisioni « estere » favoriscono l'egemonia politico-economica degli Stati di origine ed impediscono ad imprese indigene di costituirsi od espandersi in settori-chiave della produzione e dei servizi. In secondo luogo, se può essere un vantaggio per lo sviluppo industriale locale l'aumentato im-piego della manodopera nelle industrie e nei ser-vizi, la creazione di città urbanisticamente fun-zionali con adeguate comunicazioni ed infrastrut-ture, l'aumento dei consumi, e quindi il più ele-vato tenore di vita delle popolazioni indigene, questi benefìci presentano una contropartita ne-gativa nell'eccessivo urbanesimo, nell'inquina-mento, nelle improvvise crisi di disoccupazione, nelle turbolenze sociali di un sottoproletariato indigeno, nell'eccessivo consumo di prodotti non necessari, nell'aumentato costo della vita ecc.
Nei paesi di penetrazione sono apprezzati l'in-troduzione di tecnologie più avanzate, la mag-gior qualificazione tecnica della manodopera lo-cale, l'intensificazione delle esportazioni e delle importazioni, il progressivo incremento del mer-cato interno, ma sono temuti, e quindi ostacolati, il depauperamento, non recuperabile, delle mate-rie prime, l'eccessiva concorrenza all'industria e al commercio indigeni, specialmente di natura artigianale, gli squilibrii della bilancia dei paga-menti, la corruzione della burocrazia statale in-digena ecc.
nocivi indebitamenti dei popoli dei paesi di pene-trazione.
Le multinazionli influenzano pure grandemen-te il funzionamento, nell'ambito degli Stati in cui operano, del sistema monetario e del regime degli scambi internazionali, sia a corto, sia a lungo termine; esse possono provocare subitanei sposta-menti di capitali da uno Stato ad un altro, origi-nando flussi valutari con intenti puramente spe-culativi. L'effettuazione su larga scala di transa-zioni inter-societarie negli scambi (fenomeno con-sueto nell'ambito di società consociate site in di-versi Stati) altera i normali meccanismi di aggiu-stamento monetario tra gli Stati in cui esse ope-rano, provocando squilibrii economici e tensioni nei cambi spesso dannosi per il governo che li subisce.
Ugualmente fonte di contrasti è il regime fisca-le. La fiscalità è diversamente regolata in ogni Stato relativamente alle imposte che colpiscono le imprese, alle detrazioni consentite, alla tassa-bilità o all'immunità dei redditi acquisiti all'este-ro, ai rimedi sulle duplicazioni d'imposte ecc. La diversità dei regimi fiscali nazionali, gravanti su società economicamente collegate, ma site ed agenti in Stati diversi, provoca l'adozione da parte delle società colpite di una moltitudine di espe-dienti per eludere l'onerosità complessiva fiscale, che altrimenti graverebbe sulla società madre; le imprese multinazionali sono abilissime nel ri-cercare le tassazioni meno gravose e nel raggiun-gere i cosiddetti « paradisi fiscali » (cioè far ap-parire acquisiti i redditi più elevati negli Stati di minor tassazione!). È intuitivo che questi strata-gemmi fiscali danneggiano gli Stati di penetrazio-ne i quali incassano gettiti fiscali inferiori a quelli che loro competerebbero.
I contrasti fra i governi degli Stati di penetra-zione e le direzioni delle imprese multinazionali vengono normalmente negoziati fra le parti inte-ressate e risolti mediante compromessi; queste conciliazioni sono più facilmente raggiungibili quando all'inizio dell'insediamento nello Stato di penetrazione vi sono stati accordi con i governi locali e precisi reciproci impegni. Nei casi, in-vece, in cui non si riesce a raggiungere un acco-modamento — e ciò può specialmente accadere quando non si sono avuti accordi iniziali o que-sti sono lacunosi o lo Stato di penetrazione ha ra-dicalmente mutata la propria politica economica — allora il contrasto assume facilmente natura internazionale, in quanto per lo più gli interessi e le pretese della società locale lesa vengono
so-stenuti dallo Stato di origine, cioè dallo Stato na-zionale della società madre del gruppo. Se —• per formulare un'ipotesi — lo Stato di penetra-zione nazionalizza le imprese straniere di un dato ramo produttivo o revoca in danno delle medesime anteriori concessioni o preclude ad esse un dato settore di attività lavorativa o impone più elevate royalties o blocca il rientro dei redditi 0 dei capitali ecc. — la società madre, non riu-scendo mediante trattative dirette a carattere pri-vato a raggiungere un compromesso soddisfacen-te, si rivolgerà alla protezione diplomatica del proprio Stato nazionale, il quale potrà intervenire con maggiore o minore risultato positivo a se-conda della sua forza politica e delle circostanze del momento.
In conclusione, l'aspetto più pericoloso della attività esplicata a raggio mondiale dalle imprese multinazionali consiste nella possibilità di creare contrasti fra i governi, in particolare fra i go-verni degli Stati di origine delle società madri e 1 governi degli Stati di penetrazione delle società controllate.
Questi contrasti involgono problemi di applica-zione di ordinamenti giuridici, internazionale ed interni, di competenza giurisdizionale dell'uno o dell'altro Stato, di immunità giurisdizionali, di liceità o meno di interventi governativi, di rappre-saglie, ritorsioni ecc.
Ne esaminiamo alcuni aspetti.
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Una preliminare constatazione è necessaria: le società multinazionali non hanno soggettività in-ternazionale. Ancorché esse agiscano in Stati di-versi, non sono titolari di capacità giuridica in-ternazionale; i loro rapporti con i governi, sia degli Stati di origine, sia degli Stati di penetra-zione, sono sempre ed unicamente riconducibili ad uno o ad un altro ordinamento giuridico sta-tale, nell'ambito del quale è loro riconosciuta una capacità negoziale e processuale. A questo prin-cipio non fanno neppure eccezione le società im-propriamente chiamate « internazionali » (costi-tuite da due o più Stati mediante trattato e bene-ficiami di uno statuto speciale) e quelle dette « transnazionali » (costituite da una società finan-ziaria con dirigenti di diversa cittadinanza e so-cietà controllate site in vari Stati).
strut-tura e nei suoi rapporti interni ed esterni dalla legge di questo Stato; le società ad essa collegate e con sede all'estero potranno, secondo i casi, essere riconosciute dagli Stati della loro sede co-me società estere oppure coco-me società nazionali. Queste società filiali hanno, in certi casi, interesse ad essere considerate « estere » dallo Stato di pe-netrazione, onde beneficiare — come diremo me-glio in seguito — della protezione diplomatica dello Stato nazionale della società madre; in altri casi, invece, opteranno per la nazionalità dello Stato di penetrazione al fine di ottenere il cosid-detto trattamento nazionale (cioè il più vantag-gioso trattamento fiscale e le agevolazioni crediti-zie e imprenditoriali concesse alle imprese nazio-nali).
Può anche accadere che la stessa società — la società madre od alcuna delle società controllate — venga da due o più Stati considerata come « propria », cioè abbia una « plurima » naziona-lità, in conseguenza dei diversi criteri di collega-mento adottati dagli Stati per attribuire alle so-cietà commerciali la propria nazionalità; ne con-seguirà la sottomissione degli stessi negozi giuri-dico-economici a normative di Stati diversi, spes-so contrastanti, specialmente in oggetto alle tra-sformazioni sociali e alle imposizioni fiscali. Le diversità di valutazione giuridica da Stato a Stato possono facilmente arrecare contrastanti effetti nel campo normativo e giurisdizionale; potrà, ad es., accadere che, per le diverse norme di diritto internazionale privato vigenti negli Stati, lo stes-so negozio compiuto da una stes-società del gruppo multinazionale sia in uno Stato regolato da norme diverse da quelle che gli sono applicate in un altro; cosi pure questa società potrà essere con-venuta in giudizio in diversi Stati con la possibi-lità di sentenze contraddittorie sulla medesima questione controversa.
Questa situazione — che, d'altra parte, non è affatto eccezionale relativamente ai rapporti giu-ridici con carattere di « estraneità » — è soppor-tata con relativa facilità dalle imprese multinazio-nali che ne superano i lati negativi con vari espe-dienti, fra i quali si possono ricordare i meccani-smi di conciliazione e di arbitrato non soltanto all'interno del gruppo, ma anche all'esterno con i terzi, imprenditori e creditori; i contratti con-clusi da queste imprese portano, per lo più, la clausola di esclusività di un dato foro statale e più ancora la clausola arbitrale al fine di sottrar-re le possibili controversie ai giudici di un qual-siasi Stato.
Più delicata è la situazione giuridica degli ac-cordi a contenuto economico conclusi fra le im-prese multinazionali, direttamente dalla società madre o a mezzo di una filiale locale, con i go-verni degli Stati di penetrazione; fra i più impor-tanti ricordiamo gli accordi intercorsi con gli Stati in via di sviluppo all'inizio dell'insedia-mento.
Abbiamo l'esempio, in questo campo, dei con-tratti di sfruttamento petrolifero (ricerca, estra-zione, caricamento del greggio ecc.) conclusi da società di gruppi petroliferi con i governi degli Stati territorialmente sovrani. In questi casi si tende a svincolare totalmente l'accordo dalla le-gislazione dello Stato di penetrazione, sia dichia-rando nell'accordo che in caso di lacune del testo dovranno unicamente richiamarsi « i principi ge-nerali di diritto delle nazioni civili » (od altre norme o principi totalmente estranei alla legisla-zione dello Stato concedente), sia che la giurisdi-zione su eventuali controversie è unicamente de-voluta ad un arbitrato di tipo internazionale.
Alcuni giuristi hanno sostenuto che questi « speciali » accordi sono regolati da un diritto
« particolare » (chiamato extranazionale o sopra-nazionale); ma anche coloro che riconducono il
contratto al diritto interno dello Stato di penetra-zione, ritengono che in questo ordinamento sta-tuale si sia costituito, per detti accordi, un diritto « particolare », non riconducibile al diritto co-mune dello Stato. Il punto essenziale e di maggior contrasto è, però, l'immunità giurisdizionale ac-campata dalla società contraente in forza della clausola arbitrale. È intuitivo che questa clausola viene apposta dall'impresa contraente per sot-trarre l'eventuale controversia ai giudici dello Stato di penetrazione che si teme possano essere parziali a favore del proprio governo. Non sem-pre, però, questa clausola e la sua applicazione immunizzano le imprese multinazionali dai com-portamenti ostili dei suddetti governi: questi ul-timi possono sempre emanare leggi nazionalizza-trici od eversive in spregio ai contratti anterior-mente conclusi ed applicarle nel loro territorio sugli impianti, sui prodotti, sui beni delle imprese, rifiutando di sottomettersi all'arbitrato concor-dato o di ottemperarne le decisioni.
di protezione diplomatica sulla medesima. Il con-trasto diviene cosi un conflitto internazionale fra due governi che potrà essere pacificamente risolto in via conciliativa o giudiziaria (per es., con un lodo arbitrale o con una sentenza della Corte di Giustizia internazionale), ma anche — depreca-bilmente — dar luogo a rappresaglie di vario ge-nere ed entità.
Il tipo di controversia internazionale testé de-lineato può essere più complesso. Può, ad es., av-venire che la società filiale di un'impresa multi-nazionale, vittima del comportamento eversivo dello Stato di penetrazione, sia considerata da questo Stato come rivestita della propria naziona-lità e quindi insuscettiva di ottenere la protezione diplomatica dello Stato di origine, cioè dello Stato nazionale della società madre. In questo caso la controversia fra i due Stati interessati ver-tirà preliminarmente sull'ammissibilità o meno della protezione diplomatica. Può anche accadere che nella controversia intervengano altri Stati, quelli i cui cittadini siedono negli organi direzio-nali dell'impresa ed abbiano investiti forti capi-tali nella società vittima; fra lo Stato di penetra-zione e i suddetti Stati vi sarà ugualmente una contestazione sull'ammissibilità o meno della lo-ro plo-rotezione diplomatica in relazione alla « fit-tizietà » della nazionalità della società locale e si potranno ugualmente avere strascichi di rappre-saglie e ritorsioni.
Alcuni Stati del Centro e del Sud America, on-de escluon-dere la protezione diplomatica on-degli Stati di origine — essenzialmente degli U.S.A. —• ave-vano imposto alle imprese estere desiderose di svolgere attività nei loro territori l'accettazione della cosiddetta « clausola Calvo » per la quale queste imprese, preventivamente, rinunciavano a richiedere l'intervento protettivo del loro Stato nazionale contro qualunque comportamento lesi-vo dello Stato locale, purché questo comporta-mento non facesse discriminazione fra imprese cittadine e straniere. Questa clausola è stata, però, ritenuta invalida da molti arbitri internazio-nali, giacché il privato non può pregiudicare un diritto soggettivo internazionale del proprio Stato di nazionalità. Quindi, nonostante l'apposizione di clausole del genere ed accordi di carattere eco-nomico, permarrebbe sempre il diritto dello Stato di origine di una multinazionale di intervenire a protezione della medesima contro lo Stato di penetrazione che ne abbia violati indebitamente gli interessi.
In conclusione, l'eventualità di contrasti a
ca-rattere internazionale in oggetto all'attività a rag-gio mondiale esplicata dalle imprese multinazio-nali rappresenta un pericolo reale nel mondo mo-derno, tanto che, non soltanto il massimo ente di studi internazionali — l'Institut de droit
inter-nationcd — ne ha fatto oggetto di studio per una
prossima sessione, ma se ne sono occupati inten-samente, onde proporre adeguate soluzioni, tanto l'O.N.U, quanto alcune Organizzazioni interna-zionali a scopo economico, quali la Comunità Economica Europea.
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Il consiglio Economico e Sociale dell'Organiz-zazione delle Nazioni Unite con la sua Risolu-zione n. 1721 del 28 luglio 1972 aveva invitato il Segretario Generale a designare un gruppo di esperti, altamente qualificati, affidandogli lo stu-dio sia dell'importanza assunta dalle imprese mul-tinazionali nel processo di sviluppo dei paesi sot-tosviluppati, sia di rilevare le incidenze che que-ste imprese possono avere nelle relazioni interna-zionali, formulando delle proposte suscettibili di essere utilizzate dai governi nell'ambito delle loro politiche nazionali e delle raccomandazioni per un'azione internazionale appropriata. Il Diparti-mento degli affari economici e sociali del Segreta-riato Generale, per facilitare il compito di inda-gine e di proposte degli esperti, ha predisposto negli ultimi mesi del 1973 un rapporto dettagliato sull'attività e sugli effetti delle imprese multi-nazionali, diffondendolo largamente al fine di pro-muovere un contributo conoscitivo della mate-ria, il più ampio possibile, sia da parte dei gover-ni, sia da parte dei ceti imprenditoriali.
I redattori del Rapporto, dopo avere illustrato — come si è descritto — le relazioni di accordo e di dissenso fra le imprese multinazionali e gli Stati di penetrazione, hanno formulate alcune pro-poste allo scopo di conciliare i contrastanti inte-ressi delle due parti.
In secondo luogo si consigliano gli Stati di pe-netrazione a definire preventivamente, cioè an-teriormente all'insediamento, la politica econo-mica che essi intendono seguire nei confronti del-le imprese multinazionali straniere, eventualmente creando, nell'ambito della loro burocrazia mini-steriale, un organo apposito con il compito di trat-tare con le società insediate tutta la gamma dei problemi economici conseguenti, man mano che essi si presentano, al fine di risolverli amiche-volmente.
In terzo luogo si suggerisce alle direzioni delle imprese multinazionali di ammettere negli organi decisionali delle filiali site all'estero (consigli di amministrazione ed assemblee) aliquote di per-sonale indigeno, affinché i cittadini dello Stato di penetrazione non siano totalmente estranei al-l'attività imprenditoriale locale.
In quarto luogo si vuole escludere sul piano regionale, cioè fra Stati posti in una data area geografica, una sconsiderata concorrenza fra i medesimi diretta ad allettare l'insediamento di certe imprese nel loro territorio; una siffatta gara fra condizioni attraenti potrebbe danneggiare Sta-ti limitrofi in via di sviluppo.
In quinto luogo si invita il Consiglio Economi-co e Sociale delle N.U. a proseguire nella racEconomi-colta di dati sull'attività delle multinazionali e quindi pubblicarli facendone presenti i lati negativi e po-sitivi; potrebbe anche costituirsi un corpo di con-siglieri, versati in varie discipline, al fine di forni-re ai governi degli Stati di penetrazione delle in-formazioni e dei consigli in vista delle negoziazio-ni con le imprese multinazionali desiderose di in-sediarsi o già insediate nei loro territori.
In sesto luogo si suggerisce all'O.N.U. di pro-muovere la conclusione di appositi trattati fra gli Stati interessati in oggetto allo stabilimento e alla struttura delle società estere, al loro re-gime fiscale, alla eliminazione delle doppie im-posizioni, all'incoraggiamento degli investimenti esteri, all'armonizzazione delle leggi antimono-polistiche, allo sfruttamento delle materie prime ecc. In mancanza di veri e propri accordi interna-zionali, si auspica, quanto meno, la negoziazione di un « codice di comportamento » delle società multinazionali, al quale dovrebbero attenersi, an-corché con efficacia più morale che giuridica, tan-to le imprese multinazionali, quantan-to gli Stati, sia di origine che di penetrazione.
In settimo luogo si propone la registrazione (non obbligatoria ma facoltativa) delle multina-zionali presso un apposito ufficio delle N.U.;
que-sta registrazione dovrebbe comprendere gli atti più importanti dell'impresa e dare pubblica e periodica notizia dell'attività produttiva e dei suoi risultati. Questa pubblicità dovrebbe anche facoltizzare la direzione dell'impresa multinazio-nale a far conoscere a tutto il mondo, attraverso la pubblicità delle N.U., eventuali azioni eversive ed inique perpetuate dagli Stati di penetrazione in suo danno.
In ottavo luogo si consiglia — ove i tempi ne siano maturi — di concludere un trattato multila-terale che regoli un tipo di « società internazio-nale — un esempio ne sarebbero le società di telecomunicazione per via di satellite — la quale presenti uno statuto giuridico particolare, ricono-sciuto in tutti gli Stati di stabilimento.
Infine gli autori del rapporto consigliano quali mezzi appropriati per regolare le controversie fra Stati insorte a causa delle multinazionali, di ri-correre ai tradizionali sistemi della conciliazione e dell'arbitrato, unici mezzi adatti allo scopo, in-vitando pure i governi, in quanto possibile, a pre-venire i conflitti ed il loro pericoloso ampliamento con preventive negoziazioni appena si delinei un contrasto di interessi.
È prematuro prevedere quali di queste propo-ste del Dipartimento degli affari economici e so-ciali delle N.U. possano trovare totale o parziale accoglimento; le poco incoraggianti esperienze del recente passato non inducono all'ottimismo. Ritengo debba scartarsi a priori la possibilità che gli Stati addivengano, sotto gli auspici del-l'O.N.U., a stipulare convenzioni multilaterali sullo stabilimento delle imprese multinazionali, sulla rinuncia alla protezione diplomatica delle loro società madri nazionali e tanto meno sulla creazione di un tipo di « società internazionale ». Più probabilità di successo potranno avere sia la proposta di promuovere da parte del Consiglio Economico e Sociale delle N.U. una aggiornata raccolta di dati sulle imprese multinazionali e sulla loro attività, sia la negoziazione di un « co-dice di comportamento » accettabile come diret-tiva da parte delle multinazionali e degli Stati di penetrazione. Saranno, però, sempre misure di limitato rilievo e di scarsa utilità pratica. In con-clusione — come gli stessi redattori del Diparti-mento riconoscono — i mezzi normali di risolu-zione delle controversie fra gli Stati interessati saranno sempre quelli tradizionali della concilia-zione e dell'arbitrato.
im-prese multinazionali: l'O.I.L. (Organizzazione In-ternazionale del Lavoro). Il Consiglio di Ammini-strazione del Bureau International chi Travail (B.l.T.) ha deciso di promuovere un'inchiesta a raggio mondiale sulle relazioni intercorrenti fra le multinazionali ed i lavoratori. Più precisa-mente l'indagine dovrà vertere su questi punti: come le multinazionali si comportino in materia di salari, di durata del lavoro e di osservanza delle norme di lavoro; quali influenze esse possono avere sull'impiego di lavoratori nei paesi di pene-trazione; quali siano i loro comportamenti nei confronti dei professionisti e dei sindacati. Dai risultati di questa indagine dipenderà l'atteggia-mento degli organi dell'O.I.L. in oggetto all'ac-cresciuta espansione delle multinazionali.
A parte queste indagini e relative proposte dell'O.N.U e di alcuni Enti Specializzati, ritengo che un più valido e tempestivo intervento, sempre a livello internazionale, sulle imprese multinazio-nali, potrà ottenersi a mezzo delle Organizzazioni internazionali regionali a carattere economico, quali le Comunità Europee. Queste Organizza-zioni perseguono, anzitutto, una propria politica economica che si estrinseca anche riguardo alle imprese industriali estere operanti nel loro ambito territoriale; in secondo luogo, esse possiedono or-gani sociali facoltizzati a compiere atti — racco-mandazioni, decisioni, direttive, regolamenti ecc. — incidenti sulle imprese industriali sia come in-centivo, sia come ostacolo o correttivo alle loro attività produttive e di scambio.
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Dal 1945 ad oggi per un complesso di circo-stanze favorevoli le imprese multinazionali ame-ricane si sono assai diffuse in Europa creandovi società filiali od assumendo il controllo di società europee; si veda sul punto la ben nota opera di
S E R V A N - S C H R E I B E R , Le defi américain. Questo
vasto insediamento europeo ha generato fra le direzioni di dette imprese e i governi degli Stati di penetrazione quelle alterne situazioni di con-senso e di contrasto di cui già abbiamo trattato. Costituitasi la Comunità Economica del Carbo-ne e dell'Acciaio (C.E.C.A.) con il Trattato di Parigi del 18-4-1951 e successivamente la Comu-nità Economica Europea (C.E.E.) e la ComuComu-nità Economica per l'Energia Atomica (C.E.E.A.) con i Trattati di Roma del 25-3-1957, le conseguenze di questi insediamenti si sono imposti all'atten-zione sia dei governi degli Stati-membri (prima sei, ora nove), sia degli organi comunitari
(As-semblea parlamentare, Consiglio dei Ministri, Commissione esecutiva, ecc.).
Poiché tra i fini della Comunità Economica Europea (v. artt. 2 e 3 del Trattato di Roma) vi sono quelli dw< un graduale ravvicinamento delle politiche economiche degli Stati-membri » e di « uno sviluppo armonico delle attività eco-nomiche nell'insieme delle Comunità », ne con-seguiva un'azione comunitaria, preventivamente programmata, in oggetto a tutte le imprese indu-striali stabilite nel territorio comunitario al fine di eliminarne eventuali effetti nocivi connessi alla loro attività produttiva.
Fino al 1973 l'azione comunitaria non si è specificamente indirizzata alle imprese multina-zionali e ai loro particolari problemi, ma a tutte le imprese in generale operanti nel territorio degli Stati-membri.
Questo piano, formulato dal Commissario per 1 industria, Altiero Spinelli, venne presentato nel novembre 1973, dalla Commissione al Consiglio, con invito a farlo proprio, quale direttiva per successivi e coordinati provvedimenti da emanarsi sia dagli Stati-membri, sia dagli organi comuni-tari al fine di facilitare lo sviluppo delle imprese multilaterali nell'ambito comunitario e di con-trollarne adeguatamente l'attività in difesa dei governi-membri, dei singoli imprenditori e dei consumatori.
Il progetto di risoluzione afferma, preliminar-mente, l'utilità delle imprese multinazionali quali strumenti per lo sviluppo economico della Comu-nità; insiste sulla non discriminazione fra le mul-tinazionali europee e quelle americane circa la loro possibilità di espansione all'interno della Comunità e nei paesi terzi; riconosce la fonda-tezza delle preoccupazioni degli economisti per i perturbamenti politico-economici che ne possono derivare; insiste sulla necessità che le istituzioni comunitarie prendano adeguate e tempestive ini-ziative al fine di armonizzare le attività produt-tive delle imprese multinazionali con gli obiettivi economici e sociali degli Stati-membri e della Comunità. Queste iniziative, che secondo i casi dovranno tradursi in specifici accordi fra gli Stati-membri, in regolamenti comunitari, in deci-sioni, in direttive, in raccomandazioni ai governi ed essere emanati in termini di tempo ravvicinati, vertono su questi punti: misure protettive dei la-voratori in oggetto ai licenziamenti collettivi, al mantenimento dei loro diritti quesiti in caso di'fu-sioni o concentrazioni di imprese, all'azione sinda-cale; tutela degli interessi generali dei consumato-ri relativamente alla sicurezza degli approvvigio-namenti, all'equilibrio della bilancia dei pagamen-ti, alla stabilità monetaria, alla tutela degli azioni-sti e dei creditori; controlli sulle operazioni di la-voro, sulle operazioni bancarie, sugli investimenti, sul trasferimento di capitali tra imprese collegate' armonizzazione delle legislazioni nazionali sulle fusioni, sulle trasformazioni, sui collegamenti, sul-le liquidazioni delsul-le società, nonché sugli oneri fiscali; regime comune sulle cessioni dei pacchet-ti azionari e sui diritpacchet-ti di licenza, sulla regola-mentazione dei gruppi di società, sul divieto di assumere posizioni dominanti e monopolistiche; controllo comunitario sul rispetto delle regole di concorrenza e sul limite di alterare artificialmente le condizioni del mercato; creazione di un siste-ma di garanzia in favore degli Stati terzi nei quali le imprese estere svolgano attività produttive,
spe-cialmente degli Stati in via di sviluppo; obbligo di adeguata pubblicità sulle attività delle imprese collegate agenti in diversi Stati; parità nelle con-dizioni di recettività fra imprese aventi sede al-I interno e all'esterno della Comunità.
Fino ad ora gli organi comunitari — e parti-colarmente il Consiglio e la Commissione - non hanno emanato provvedimenti concreti per tra-durre in pratica questo programma così vasto ed ambizioso; i recenti dissensi fra i governi degli Stati-membri nel campo monetario, energetico agricolo, sociale ecc. non inducono all'ottimismo' tanto più che in molti dei settori succitati gli in-teressi degli Stati-membri non collimano.
Su di un solo argomento si è constatata una di-rettiva comunitaria ben definita, ancorché anco-ra oggetto di studio e bersagliata da numerose cri-tiche: concerne l'intervento comunitario sulle concentrazioni di imprese al fine di accertarne 1 incidenza in tema di concorrenza. In questo campo la Commissione della C.E.E. in ottempe-ranza all'art. 86 del Trattato di Roma che divieta « lo sfruttamento abusivo da parte di uno o più imprese di una posizione dominante sul mercato comune », ha svolto, in questi ultimi anni, sulle imprese operanti nel territorio comunitario una azione di controllo ed eventualmente divieto.
Essa è intervenuta in misura assai minore sulle
concentrazioni di imprese — le quali interessano
principalmente le multinazionali — che non sulle
intese industriali, cioè sugli accordi fra imprese
agenti in uno stesso Stato o in diversi Stati, diretti ad imporre prezzi di acquisto o di vendita, a limi-tare la produzione o le innovazioni tecniche, ad imporre condizioni limitative commerciali dan-nose ai consumatori; si veda, ad es., la recente decisione di divieto, emanata nel dicembre 1973 dalla Commissione, in oggetto al progettato ac-cordo di cooperazione nelle vendite fra la Kali und Salz A G (del gruppo BASF) e la Kali Chemie A G (del gruppo belga Solway) in tema di produ-zione e vendita della potassa. Sulle concentrazioni di^ imprese la Commissione, nonostante alcuni li-mitati interventi (v. quello recente del febbraio
La Commissione, salva la richiesta delle imprese interessate, aveva ritenuto necessario al riguardo una specifica regolamentazione comunitaria sulla base degli artt. 87 e 235 del Trattato di Roma.
Conseguentemente, nel luglio 1973, essa pre-sentò al Consiglio una proposta di regolamento comunitario sulle concentrazioni di imprese co-munque esse avvengano (mediante fusione di più società oppure con la creazione di una holding e il controllo dei pacchetti azionari oppure con accordi di collaborazione ecc.).
La Commissione premette di essere favorevole, in via di principio, alle concentrazioni di imprese in quanto valido strumento di integrazione dei mercati, ma ritiene di dover salvaguardare la libertà di scelta dei consumatori, dei fornitori e degli acquirenti; di qui la necessità di un rego-lamento comunitario che ne disciplini il controllo. Questo regolamento — emanato sulla base degli artt. 87 e 235 del Trattato di Roma •—• dovrebbe contenere le seguenti disposizioni: 1) le concen-trazioni, nelle quali le imprese partecipanti rea-lizzano un giro d'affari annuo totale inferiore ai 200 milioni di unità di conto e non raggiungono in alcun paese-membro una quota di mercato su-periore al 2 5 % , non necessitano di alcuna pre-ventiva autorizzazione comunitaria e sono esclu-se dalle limitazioni disposte dal regolamento; 2) le concentrazioni, nelle quali le imprese parte-cipanti realizzano nel loro insieme un giro d'affari annuo di almeno 1 miliardo di unità di conto, de-vono notificare preventivamente alla Commissio-ne il loro progetto di concentrazioCommissio-ne e sospender-ne la realizzaziosospender-ne per tre mesi dalla notifica; se, scaduto tale termine, la Commissione non avrà fatta opposizione, potranno attuare la concen-trazione; 3) le concentrazioni, nelle quali le im-prese partecipanti hanno un fatturato complessivo compreso fra i parametri di cui ai numeri 1 e 2, possono addivenire alla concentrazione proget-tata, ma hanno l'obbligo di notificarne la relativa delibera e le condizioni predisposte alla Com-missione, la quale, ove ritenga che la concentra-zione realizzata od in corso di realizzaconcentra-zione possa risultare incompatibile con il mantenimento di un'effettiva concorrenza, può iniziare una speciale procedura di istruzione e di accertamento della durata massima di nove mesi.
L'inizio della procedura di investigazione non ha normalmente effetto sospensivo della concen-trazione, a meno che la Commissione non prenda una decisione di sospensione fino alla decisione finale.
La Commissione al termine dell'istruzione può, secondo i casi, prendere le seguenti decisioni: archiviare la pratica (e quindi implicitamente ac-consentire alla concentrazione); constatare l'in-compatibilità dall'operazione di concentrazione con il regime di concorrenza ed ordinare, se del caso, misure di decentramento; consentire par-zialmente alla concentrazione e cioè ammettere le sole operazioni di concentramento indispensabili al conseguimento di obiettivi di interesse gene-rale della Comunità. Queste disposizioni mire-rebbero, in sostanza, a conferire alla Commissione un ampio potere discrezionale di valutazione.
Le critiche contro un siffatto progetto non sono mancate e se ne sono fatti promotori anche diversi membri del Parlamento europeo, nei primi mesi del 1974, in discussioni assembleari. Si è osservato che il potere discrezionale di valuta-zione della Commissione non è ancorato ad al-cuna direttiva precostituita e quindi non può es-sere che arbitrario; che gli interessi delle im-prese non possono considerarsi sufficientemente tutelati dalla facoltà di ricorso alla Corte di Giu-stizia europea, giacché anche questa non avrebbe elementi obiettivi per un giudizio imparziale. In secondo luogo si è rilevato che l'istruzione de-mandata alla Commissione, essendo di breve du-rata, non potrebbe altrimenti fondarsi che su dati incompleti e provvisori, onde il giudizio di man-cata concorrenzialità risulterebbe sempre opina-bile. In terzo luogo si è osservato che le concen-trazioni d'imprese limitano fortemente la con-correnza nei paesi in cui operano; ne consegue che, se dovessero prevalere criteri restrittivi, la Commissione non autorizzerebbe mai alcuna con-centrazione, specialmente quelle di un certo ri-lievo.
detto intervento troverebbe la sua giustificazione e i suoi limiti.
Non appare probabile che questo progettato in-tervento comunitario sulle concentrazioni di im-prese — almeno nella formulazione attuale — possa essere accolto dal Consiglio della C.E.E. e disciplinato in apposito regolamento.
* * *
Premesso quanto fin qui detto, possiamo addi-venire ad alcune osservazioni finali.
Gli economisti di ideologia marxista sono con-trari alle imprese multinazionali vedendo in esse strumenti possenti ed aberranti dell'economia ca-pitalista; i fautori dell'economia di mercato ne esaltano, invece, i lati positivi considerandole istituzioni indispensabili del moderno progresso industriale. Poiché il sistema economico liberista-capitalista appare tuttora fortemente consolidato nella maggior parte del mondo, è lecito preve-dere che le imprese multinazionali costituiscano un fenomeno irreversibile e che il loro numero, la loro potenza economica, la loro penetrazione nei più diversi paesi si accentueranno sempre mag-giormente.
La crescente « internazionalizzazione » dell'at-tività produttiva e di scambio di gruppi aziendali agenti in diversi paesi, conduce le direzioni dei medesimi a dover trattare con i governi interes-sati su di un piede di parità, quasi da governo a governo; esse sono ormai considerate centri di potere a raggio mondiale. D'altra parte i governi degli Stati, desiderosi di favorire un proprio svi-luppo industriale e commerciale per provvedere alle esigenze crescenti dei loro popoli, sono in-dotti a negoziare e ad accordarsi con i potenti gruppi aziendali « stranieri » che penetrano nei loro territori apportandovi benessere, ancorché non esente da conseguenze negative.
In alcuni casi — come si è detto — questi gruppi aziendali « sopranazionali » appaiono stru-menti politico-economici di alcune grandi poten-ze; nella maggioranza dei casi essi sono total-mente indipendenti, non hanno cioè dietro di sé alcun governo. In tutti i casi, però, le relazioni che si instaurano fra queste imprese ed i governi si adeguano sempre di più alla normativa interna-zionale, utilizzando gli istituti giuridici proprii in questo ordinamento, quali le negoziazioni, gli accordi, le conciliazioni, gli arbitrati e purtroppo anche gli interventi coercitivi, le rappresaglie e le ritorsioni.
B I B L I O G R A F I A
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dévelop-pement mondial - Publications of N.U. - New York,
1973.
II Rapporto sulla politica di concorrenza - Note d'informa-zione - Publications de la Commission des Communautés
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Proposta della Commissione in materia di società multi-nazionali - Note d'informazione - Publications de la
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Proposta di regolamento sul controllo delle concentrazioni d'imprese - Note d'informazione - Publications de la
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Le recenti vicende
del sistema monetario internazionale:
dall'agosto 1971 alla Conferenza di Nairobi
Gianni Zanclano
1. Premessa.
« Chi non ricorda il passato — dice un vec-chio adagio — è destinato a riviverlo ».
Quando ci si riferisce alle relazioni monetarie internazionali, rivivere il passato è senza dub-bio un'esperienza traumatizzante. Per questo, for-se può non esfor-sere opera vana procedere ad una rapida analisi critica delle recenti vicende mo-netarie, dalla sospensione della convertibilità del dollaro (agosto 1971) all'ultima assemblea an-nuale del FMI, svoltasi a Nairobi nel settembre-ottobre 1973.
2 . Il regime di Bretton W o o d s .
Per chiarire le cause remote ed occasionali del collasso monetario dell'agosto 1971 è necessario rifarsi brevemente ai principi fondamentali concordati nella Conferenza di Bretton Woods (1944).
Nella convinzione che la stabilità dei cambi — con un minimo di controlli ed altre restri-zioni —• costituisse il regime più adatto alla ripresa del commercio mondiale, gli estensori del-l'accordo di Bretton Woods stabilivano un regime di parità fìsse tra le varie monete, e procedure dettagliate per la pronta convertibilità dei saldi valutari originati dalle transazioni correnti. Se-condo le norme del Fondo monetario internazio-nale (FMI), i Paesi aderenti erano tenuti a fis-sare la parità delle rispettive monete in termini di contenuto aureo oppure, in alternativa, di dollaro USA, a sua volta rigidamente ancorato all'oro dall'impegno degli Stati Uniti di conver-tire in oro i dollari detenuti dalle Banche Cen-trali straniere al prezzo di 35 dollari l'oncia. Cia-scun Paese membro si impegnava a contenere le fluttuazioni del cambio della propria moneta en-tro un massimo dell'I % (in entrambe le dire-zioni) dalla parità dichiarata: in pratica,
l'inter-vento sul mercato valutario aveva luogo non ap-pena la variazione avesse raggiunto determinati livelli di guardia — ad es., lo 0 , 7 5 % — in modo da impedire il superamento dei limiti ufficiali consentiti. Le pressioni sui tassi di cambio di natura « temporanea » o transitoria dovevano essere fronteggiate attingendo alle riserve valu-tarie, integrate eventualmente dalle riserve del FMI. In caso di « squilibrio fondamentale » (una fattispecie, peraltro, mai esattamente definita) era consentita, nel rispetto di determinate procedure, la variazione della parità ufficiale.
Non v'è dubbio che il merito della straordina-ria espansione registrata dal commercio interna-zionale nel dopoguerra sia in parte ascrivibile a questo assetto monetario. Ma è altrettanto vero che le sue disfunzioni e la sua incapacità di ade-guarsi ad una realtà economica in continua evo-luzione sono all'origine delle ripetute crisi e dei ricorrenti « terremoti » valutari succedutisi da un decennio a questa parte, sino agli avvenimenti dell'agosto '71. Sarebbe troppo lungo discutere l'ampio ventaglio di cause che hanno portato alla successiva « bagarre » monetaria: diecine e die-cine di illustri specialisti si sono chinati al capez-zale del malato, come testimonia la fioritura di piani di riforma nati da quelle diagnosi. Tutta-via, alcune indicazioni sono indispensabili. Il re-gime di Bretton Woods era costruito su due pre-supposti fondamentali, l'uno esplicitato con chia-rezza, l'altro implicito nell'accordo:
a) la pronta disponibilità dei paesi mem-bri del FMI a variare la parità ufficiale delle ri-spettive monete ogni qualvolta le circostanze obiettive l'avessero richiesto (e giustificato);
b) il perdurare dell'eccezionale stato di sa-lute della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti e del dollaro, la moneta-chiave del sistema.