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Il sopraggiunto problema della carta

Nel documento Cronache Economiche. N.003-004, Anno 1974 (pagine 60-64)

Emanuele Battistelli

L'economia agricola e di ri-verbero quella industriale — giacché l'industria è figlia del-l'agricoltura sua figlia — è an-gustiata da problemi che asso-migliano a perturbazioni pigre a placarsi e risolversi, che si suc-cedono gli uni agli altri senza la-sciare intercorrere periodi di bo-naccia o di tregua.

Al sempre grave problema dell'alimentazione protidica — stante la penuria di carne di pro-duzione nazionale e l'onerosità di quella di provenienza stranie-ra — s'è aggiunto il problema del grano che sembrava definiti-vamente risolto. Quest'ultimo non si sarebbe riproposto se non fosse notevolmente aumentato il contingente ettariale dei poderi abbandonati più che altro in col-lina che è la sede forse più con-geniale alla pianta del pane.

Al problema di rifornimento dei grassi — data l'insufficiente e saltuaria produzione olearia e il mutato indirizzo suinicolo im-posto anche e più che altro dal-l'abolizione coattiva della mezza-dria e quindi degli allevamenti mezzadrili del maiale pesante da lardo — si è aggiunto l'arduo problema di reperimento del le-gname, specialmente di quello di maggior consumo. L'allusione è al legname leggero richiesto dal-la industria deldal-la cellulosa e del-la carta.

A fronte d'un incremento del consumo di carta da stampa — e non solo di questa ma anche di quella da imballaggio robusto e leggero, da cancelleria ecc. — sta il decremento delle disponibi-lità di legname sia di produzio-ne nazionale che di cittadinanza straniera.

La materia prima della carta è — come si sa — la cellulosa. Veicoli vegetali della quale so-no in massima parte i tronchi di legno dolce: di pioppo, di euca-lipto, di abete, di pino (special-mente delle sue specie esotiche nazionalizzate malgrado la re-sinosità); i sottoprodotti cereali-coli (paglia di grano) e quelli della lavorazione del cotone, del-la canapa, e del lino; del-la vecchia carta da ricupero e da macero; gli stracci.

Ma è sul legno di pioppo che l'industria della carta punta le sue richieste.

La genetica nazionale e quella straniera hanno cercato e cerca-no tuttora di accelerare il ritmo di accrescimento e la resistenza alla coorte affollata dei parassi-ti, creando specie ibride od ete-rozigote che, appunto per essere tali, hanno il vantaggio dell'ete-rosi o vigore ibrido, il quale im-prime una notevole vitalità ai cloni coltivati 1-154, 1-262, I-455, 1-476, 1-488 B, N N D , AD, 70 D, 74 D, CBD, ecc. Alcuni in-dustriali del legno sono però del parere di riabilitare i tipi puri canadesi e caroliniani. Peraltro, in futuro si farà assegnamento sui neo-cloni 1-63/61 ; 1-69/55;

1-72/58, resistenti alla bronza-tura delle foglie e alla defoglia-zione (Marssonina brunnea).

La timida ripresa della pioppi-coltura.

Or sono quasi dieci anni il

boom del pioppo, malgrado

ac-Nei p r i m i 4 a n n i il p i o p p e t o a m a la c o n s o c i a z i o n e con p i a n t e p r e f e r i b i l m e n t e l e g u m i n o s e : g r a t u i t e a p p o r t a t r i c i di a z o t o . La f o t o g r a f i a r i p r o d u c e la c o n s o c i a z i o n e di un p i o p p e t o di 3 a n n i con v i g n a s i n e n s i s .

cennasse a declinare e ad esau-rirsi, invitava ancora l'agricoltu-ra a moltiplicarne gli impianti in coltura specializzata e in coltura promiscua (o di ripa).

Ma già all'inizio del 1965 le quotazioni dei suoi assortimenti mercantili, sia da trancia che da cellulosa, iniziavano la lenta pro-gressiva discesa per cui l'anti-economicità della coltura appari-va in tutta la sua asprezza ed ironia.

Il materiale d'importazione era costituito da assortimenti mi-gliori dei nostri, i quali pertanto venivano negletti o deprezzati più di quanto non lo meritassero. Gli è che la maggior parte del nostro materiale mercantilmente maturo derivava da piantagioni collocate in terreni a scarsa o nulla vocazione pioppicola.

Il pioppo mentre non ha nes-suna tassativa esigenza climati-ca, anche se alle basse tempera-ture non sia insensibile, ha inve-ce molte pretese rispetto al ter-reno, che lo richiede fertile do-cile e fresco, come può esserlo il loess irriguo. Solamente terreni del genere imprimono alla pianta un febbrile ritmo vegetativo, tan-to febbrile da far sospettare che essa vegeti anche di notte, cioè in carenza di temperatura e in assenza di luce.

Ma il colpo di grazia alla pioppicoltura nazionale doveva-no darglielo due concomitanti cause parassitarie: l'apparizione della Marssonina, neo-malattia crittogamica autrice della bron-zatura fogliare, e la recrudescen-za delle infestioni xilofaghe (au-tori il Rodilegno rosso, la Saper-da maggiore, il Tarlo vespa) a controllare i quali la lotta biolo-gica affidata al picchio più non basta.

In tempi come gli odierni in cui si tenta a turno il rilancio di questo o di quel settore in crisi

A b b a t t i m e n t o di p i o p p i m a t u r i con v e r r i c e l l o a z i o n a t o da una t r a t t r i c e c i n g o l a t a .

quello pioppicolo trova in cam-pagna pigri cuori e dissueti orec-chi. Gli operatori agricoli hanno valide ragioni per preferirgli al-tri investimenti colturali, quelli soprattutto a rapida elaborazione di redditi.

È ben vero che « chi non cre-de nel domani non pianta albe-ri », ma come si fa a credere nel-le future fortune commerciali del pioppo, dopo la lunga delusione recente?

È anche vero che per ricava-re una massa legnosa al termine del turno (12-15 anni) pari a 600 me per ettaro (cui corrispon-de un accrescimento individuale annuo pari a 1 q) occorrono buo-na volontà ed esperienza, ma co-me è possibile avere pioppeti di eccezione senza poterne anticipa-re le forti spese d'impianto e di assistenza colturale? Le disponi-bilità di capitali mutuabili sono troppo limitate e troppo onerose perché si possa attingerle con fa-cilità a cuor leggero.

Dato e non concesso che ci si risolva — come pare che avven-ga — per una ripresa in grande della pioppicoltura

bisognereb-ge poter conciliare il hovus orcio colturale con le esigenze della zootecnia e la rarefazione della manodopera. La pioppicoltura specializzata o promiscua male si concilia con la vecchia e tutta-via nuova moda dell'allevamento brado dei bovini, i quali nella loro irrequietezza schiantano le giovani piante compromettendo pertanto la densità ideale del bo-sco. Lo scasso e il colturamento del suolo (fresature estive), i trat-tamenti antiparassitari, le pota-ture (dal 5° al 10° anno), l'abbat-timento dei tronchi, esigono una attrezzatura meccanica idonea e disponibilità di manodopera: spesso manca l u n a e più spesso manca l'altra.

È infine vero che l'industria chimica ha preparato fertilizzan-ti, (le piante di pioppo hanno bi-sogno di essere superconcimate nei primi 4 anni del loro colloca-mento a dimora), che hanno il pregio di sviluppare un'azione stimolante immediata successiva e ritardata, ponendo cosi le pian-te al coperto dai pericoli dell'as-sorbimento radicale claudicante, ma prima che l'Azorit (il

neo-fer-tilizzante cui si accenna) entri nel dominio della pratica ce ne vuole. Bisognerebbe poter fin d'ora impostare una campagna pubblicitaria o promozionale che però nell'attuale penuria di carta non è proponibile, né i mezzi di informazione di massa (radiote-levisivi) possono efficacemente surrogarla. La memoria aurico-lare è effimera. Meglio i dé-pliants, gli opuscoli consultabili al momento del bisogno.

Nello spinto frazionamento e nella non meno spinta dispersio-ne della proprietà fondiaria na-zionale il pioppo potrebbe valo-rizzare appezzamenti pressoché abbandonati, o sottoposti ora a coltivazione di rapina tramite la alternanza ininterrotta di mais e grano. Ma non risolvendosi a in-trodurvelo gli attuali proprietari, potrebbero sostituirsi a questi le aziende contermini a normale o febbrile attività di esercizio. Ma se esse volessero venirne in pos-sesso non lo potrebbero, perché nessun proprietario è disposto al-la vendita o all'affitto. La vendi-ta lo priverebbe d'un bene reale preferibile al controvalore

mo-netario ora che la moneta è sog-getta a un progressivo logorio; l'affitto gli riserverebbe un cano-ne irrisorio simile al classico piatto di lenticchie, a meno che non riesca ad avere sottobanco — cosa illegale e pericolosa — la differenza fra if canone legale iniquo e l'equo canone economi-co. Siamo in una situazione tale per cui l'agricoltura più non sod-disfa, ma tiene ugualmente av-vinti alla terra chi ne ha la pro-prietà.

L ' a v v e n t o delle c o n i f e r e a celere s v i l u p p o .

Per quanto possa essere cele-re lo sviluppo, o possano accele-rarlo le concimazioni organiche (Humus Burgo 80, Compost 50, letame) e le concimazioni azoriti-che (azotofosfopotassiazoriti-che), è ben difficile ricavare da piantagioni di pino strobo, di pino eccelso, di pino rigido, di larice giappo-nese, una massa legnosa a matu-razione economica prima dei 25-30 anni dal collocamento delle piante a dimora.

Pur potendo le sopraccennate

S c a s s o m e c c a n i c o a b u c h e p e r l ' i m p i a n t o di f r u g a l l s s i m e c o n i f e r e .

conifere sviluppare una massa legnosa sul ritmo di circa 20 me per anno/ettaro, tuttavia esse non potranno mai competere eco-nomicamente con la stakanovi-~sta pianta del pioppo: di qui la

convenienza di associarle a ter-reni sui quali, a causa della loro scarsa fertilità e delle anomalie di struttura e di reazione chimi-ca, il pioppo farebbe mala prova.

Ma le pinete sono anche esse inconciliabili con l'allevamento brado del bestiame bovino, anzi lo sono di più dei giovani piop-peti, la ramificazione dei quali è più alta di quella dei pini, e sono anche esposte al vandali-smo di chi va, con la complicità delle tenebre, al reperimento ar-bustivo degli alberi di Natale, e, più che altro, al pericolo degli incendi. Ai quali reagisce sol-tanto il pino rigido avendo una buona attitudine pollonifera che lo induce a ricacciare dal pedale. Ma la massa legnosa incendiata è sempre una massa perduta.

In ogni caso, il luogo econo-mico delle pinete è nelle pigole o resede risultanti dalla squadra-tura dei campi: squadrasquadra-tura im-posta dalla economia della mec-canizzazione (Cfr. in M. D'Alba « Le conifere a rapida crescita », Paravia, Torino).

L ' e u c a l i p t o e il salice b i a n c o .

Sul secondo la sperimentazio-ne fece inizialmente molto affida-mento, ma non pare che l'indu-stria della cellulosa ne possa pre-ferire la massa legnosa a quella del pioppo, né ci sia per gli ope-ratori agricoli la convenienza di coltivarlo. Può darsi tuttavia che l'affannosa ricerca di materia pri-ma cellulosica ne riproponga in prospettiva la sperimentazione e la coltivazione.

Sul primo l'agricoltura del nord non può fare affidamento

essendo, al pari del pino delle Canarie e del pino insigne o ra-diata, pianta delle località a cli-ma temperato caldo come quello che delizia il lungo litorale tir-renico e jonico. In quelle il suo luogo economico è nei terreni usufruenti di una falda acquife-ra non troppo profonda.

Comunque, esso essendo dota-to di una notevole attitudine pol-lonifera può essere governato a ceduo, dal quale, in turni di ap-pena 6-8 anni, si ricavano tron-chetti da cellulosa.

Una latifoglia che si presta be-nissimo a elaborare cellulosa per pasta meccanica è l'ailanto, vol-garmente chiamato albero del pa-radiso, sfondacielo. Ma è poco coltivato, sebbene possa essere governato anche a ceduo.

Alcuni trattatisti indicano nel-l'acero e nel càrpino altre due latifoglie da cellulosa. Sennon-ché il loro legno non è abbastan-za dolce per una utilizabbastan-zazione del genere.

Il c o n s u m o di carta indice di civiltà.

La produzione attuale e in prospettiva di materia prima per l'industria della cellulosa e della carta solleva problemi di impove-rimento valutario conseguenti all'importazione di legname dal-l'estero.

La domanda che ora qui si pone è pertinente e perentoria:

È possibile ridurre il consumo di carta?

La risposta è negativa. La carta — la cui materia pri-ma è dunque tratta dal pioppo, dall'eucalipto, dalle resinose

ce-C o n i f e r e i n d i g e n e e c o n i f e r e e s o t i c h e n a z i o n a l i z z a t e a l i m e n t a n o a n c h e e s s e l ' i n d u s t r i a d e l l a c e l l u l o s a e d e l l a c a r t a . Nella f o t o g r a f ì a a b b a t t i m e n t o d ' u n l a r i c e t o .

Ieri — ha un consumo multiva-rio e, si voglia o non si voglia, in continuo incremento.

Della sua produzione il 2 0 % è utilizzato dalla stampa di quo-tidiani e di periodici; il 3 0 % è utilizzato dall'attività editoria-le poligrafica, e dallo scambio re-ciproco di comunicazioni (car-teggio epistolare, ecc.); il 2 7 % dall'industria degli imballaggi; il 1 7 % dalla fabbricazione di la-minati plastici per l'industria edilizia (i laminati si ottengono da una serie di fogli impregnati con resine sintetiche e pressati a caldo); il 6 % dall'industria tes-sile (fabbricazione di abiti).

La produzione mondiale di carta supera i 70 milioni annui di tonnellate e l'Italia è, anzi era, inserita al 9" posto nella gra-duatoria generale con appena 2 milioni di tonnellate annue: un contingente che non può

bastar-le. Di qui il reperimento all'este-ro della materia prima di inte-grazione. Reperimento che insie-me con quello della carne appe-santisce terribilmente il passivo della bilancia commerciale.

Il problema della carne susci-ta le apprensioni dei poteri diri-genti che stanno perciò escogi-tando le misure intese a ridurne l'importazione senza comprimer-ne il consumo che è un indice di civiltà.

Altre misure — e cioè quelle di credito agevolato — dovreb-bero essere escogitate per pro-durre maggiormente in casa — senza peraltro sconfinare nell'au-tarchia — la materia prima delle cartiere, giacché il consumo prò

capite di carta è in continuo

inar-restabile incremento, ed è un in-dice di civiltà maggiore di quello riconosciuto al consumo di car-ne e a quello di sapocar-ne.

Coltivazione delle piante da legno

Nel documento Cronache Economiche. N.003-004, Anno 1974 (pagine 60-64)