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Comunità Montane e Regione

Nel documento Cronache Economiche. N.003-004, Anno 1974 (pagine 67-71)

Alfredo Salvo

La legge n. 1102 è stata comunemente definita la « Nuova Legge per la Montagna ». L'aggetti-vazione di « Nuova » è relativamente impropria se si vede che, in effetti, costituisce il primo, vero, disegno di legge, in favore di quella parte del territorio nazionale che, per sua natura, è cosi diversificato dagli altri; intendo: la prima legge che affronti globalmente il problema, tenda a soluzioni che non siano settoriali, che non si limiti a considerare lo stato di fatto ma si esponga a prevedere un'ipotesi di rilancio della situazione socio-economica.

È significativo, oltretutto, che in essa si faccia — e per la prima volta — esplicito riferimento all'art. 44 della Costituzione, sottintendendo con ciò caratterizzare l'intervento come la realizza-zione delle intenzioni espresse nella Carta repub-blicana 0).

Se si escludono gli interventi legislativi del 1923 e del 1933 (2), semplici norme di riordino di alcuni aspetti dell'ambiente montano, solo dal 1952 la montagna è stata oggetto di particolari attenzioni da parte del legislatore italiano: prima di allora valeva solo la proprietà privata, l'ini-ziativa del singolo e la cauta gestione degli am-ministratori.

Nel 1952 si adottarono provvedimenti di sov-venzione per i « territori montani ». La defini-zione valeva per i Comuni compresi in un elenco stilato dal Ministero Agricoltura e Foreste che interessava ambiti territoriali che avessero « per almeno l ' 8 0 % della superficie al di sopra di 600 metri sul livello del mare e quelli nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e la superiore del territorio comunale non è minore di 600 metri » (3) e il cui reddito imponibile medio per ettaro non superasse le 2400 L.

L'apparente correttezza della definizione trasse, e trae (4), molti in inganno sulla validità dell'in-tervento legislativo.

Ai Comuni inclusi nell'elenco erano concesse agevolazioni dal Ministero, ed era « consentito » (non « richiesto ») che — per volontà della

mag-gioranza dei proprietari o di un qualsiasi altro Ente •— si costituissero in consorzi come Com-prensori di Bonifica Montana (5) per i quali era previsto un coordinamento tra l'attività dei sin-goli e l'opera dello Stato.

Risulta evidente come si fosse affrontato il problema da un punto di vista eminentemente rural-agricolo, come per una sorta di super-Piano Verde Montano, ignorando la dimensione sua propria che era, ed è, di tipo essenzialmente urba-nistico (6). La discrezionalità nella costituzione dei Consorzi non teneva in nessun conto le con-siderazioni che costituivano uno dei pochi pregi della legge urbanistica del 1942, definitivamente date per acquisite: considerazioni che volevano il comprensorio, oggetto della pianificazione terri-toriale, interessato tutto e in egual modo dalla programmazione, con le aree parimenti parteci-panti all'organicità del disegno, non potendosi tollerare una loro discrezionale partecipazione o defezione.

Questa carenza di fondo ed altri difetti, non riservarono la fortuna desiderata all'intervento, che pure aveva il merito di rompere il silenzio legislativo: la costituzione dei consorzi avvenne a rilento, in modo disomogeneo e con scarsa par-tecipazione, con le agevolazioni rese frammentarie perché limitate alle unità comunali, numerose e non collegate.

Dopo qualche anno si tentò di ovviare a qual-cuno di questi inconvenienti e, « al fine di

pro-to Art. 44 della Costituzione Italiana; ultimo comma: «La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane ».

(2) L. 30-12-1923 n. 3267: «Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e terreni montani »; L. 13-2-1933 n. 215: «Nuove norme per la bonifica integrale».

(3) L. 25-7-1952 n. 991: «Provvedimenti in favore dei terri-tori montani ».

<4) G. Givone in « Dimensione Democratica » del nov. 1973: « ... la legge si proponeva interventi più organici per affrontare i problemi del territorio c dell'uomo montano... (e) bisogna ricono-scere che in quell'epoca non si poteva fare di più... ».

(5) Nei Comprensori potevano essere ammessi anche i Comuni esclusi dall'elenco ma clic presentavano aspetti di degradamento fisico o di grande dissesto economico.

(6) Cioè con tutti i risvolti (economici, sociali, storici, ambien-tali, ecc.) che la scienza del territorio tratta specificatamente.

muovere in particolare la costituzione dei con-sorzi » (7), si deliberò che i territori montani di ogni provincia venissero compresi in « zone geo-graficamente unitarie ed omogenee sotto l'aspetto idrogeologico, economico e sociale ». I comuni compresi tutti o in parte in queste zone « pote-vano » (non « dovepote-vano ») costituirsi in un Con-siglio di Valle o Comunità Montana a cui si chie-deva di organizzare un razionale sfruttamento dei beni agricoli e naturali dei Comuni, con una poli-tica di bonifica montana e di coordinata gestione della stessa.

Interessante elemento nuovo era la delimita-zione delle zone omogenee entro cui potevano trovar posto i Consigli di Valle: si tendeva con ciò ad interessare, per l'organizzazione del terri-torio, delle unità più vaste che non i semplici comuni; veniva invece confermata, purtroppo (se pur in altri termini) la discrezionalità per la loro costituzione. Tale condizione determinò, di fatto, nuovamente, un insieme territoriale disomogeneo, in alcune parti legato da obiettivi e progetti co-muni e in altre abbandonato al campanilismo e all'autoemarginazione.

L'ottica di fondo, infine (e questo era l'aspetto negativo suo proprio come di quelle che l'aveva preceduta) rimaneva unicamente sistematoria, di razionalizzazione dello stato di fatto, senza l'ipo-tesi di un rilancio economico o, meglio, di un adeguamento delle condizioni di vita montana al livello — qualitativamente superiore — delle condizioni di vita delle altre zone del territorio nazionale. Tutto il problema veniva ancora una volta ridotto ad una dimensione periferica e mar-ginale: ai lati della frenetica attività economica delle zone pianeggianti, le zone montane continua-vano a sentirsi offrire provvedimenti di riassetto e di sistemazione indifferenziati per tutto l'arco alpino, invece di aiuti ed indicazioni specifici per ogni diversa realtà, con intenzioni di rilancio vigo-roso, anziché di solo recupero.

Indifferenti all'avvenuta frantumazione della cultura di base, i provvedimenti sono sempre intervenuti « dall'alto » ed esternamente, senza interesse per la specifica realtà umana, in gravi condizioni per l'esodo e per l'invecchiamento. Ai montanari non è mai stata chiesta una parteci-pazione attiva, e ad essi stessi — quindi — non è mai stata offerta occasione di verificare la propria capacità in azioni di collaborazione e di auto-gestione.

La « Nuova Legge sulla Montagna » (che più correttamente, come dicevo, si dovrebbe chiamare

la legge, la prima legge sulla montagna), che viene

promulgata nel 1971, non costituisce quindi la soluzione finale di sperimentazioni in atto dal do-poguerra in poi, ma risulta — in effetti — stilata in prima app£g£simazione, tale e quale avrebbe dovuto essere vent'anni fa e quindi senz'altro in ritardo. Essa si volge, e direi: finalmente!, ad « una politica generale di riequilibrio economico e sociale » (8) delle zone montane, cioè ad una politica che mira ad una sistemazione equilibra-trice dell'area montana, con intenti prima riunifi-canti e poi decisamente propositivi, superando la limitatezza degli intenti, frazionati prima e sol-tanto sistematori poi, dei precedenti interventi le-gislativi.

Il proposito di risollevare le condizioni delle popolazioni montane è espresso con una strategia di azioni di rilancio dell'economia, di cui sono interpreti le Comunità Montane, coordinate in una dimensione regionale. Alle Regioni infatti viene demandato il compito di rendere applicabile la stessa legge, con ordinamenti autonomi e previa una nuova ripartizione in zone omogenee dei ter-ritori definiti montani (9).

Nel settembre scorso, la Regione Piemonte ha deliberato l'ordinamento costitutivo delle proprie Comunità Montane, e la nuova legge è quindi divenuta operante a tutti gli effetti.

A l l a R e g i o n e la nuova l e g g e chiedeva di indicare i comuni « chiamati » a costituire la Comunità.

È l'abbandono della discrezionalità costitutiva che inficiava i provvedimenti precedenti e il ri-chiamo ad una coralità di partecipazione che era mancata fino ad allora: i Comuni non sono più lasciati in forse se partecipare o no alla Comu-nità; sono « chiamati » a farne parte.

In Piemonte si sono indicate 44 Comunità di Valle. Da molti sono viste come troppe, soprat-tutto in relazione ai fondi disponibili; d'altra par-te lo spar-tesso assessore alla Montagna della Pro-vincia di Torino che — per incarico della Re-gione — ha favorito negli ultimi tempi molti in-contri tra i vecchi Consigli di Valle per racco-gliere le opinioni in merito, non si trattiene

dal-(7) DPR 10-6-1955 n. 987 « Decentramento dei servizi del Ministero dell'Agricoltura e Foreste».

(8) Art. 1 della L. 3-12-1971 n. 1102: «Nuove norme per Io sviluppo della Montagna».

(9) Le modalità per la definizione sono ancora quelle della legge del 1952 e riportate all'inizio. Le vecchie delimitazioni di Consiglio di Valle, già operanti, devono essere riadottate <o mo-dificate dove occorre), con la nuova denominazione: Comunità Montana.

l'esprimere perplessità « sull'ancora carente spi-rito comunitario nelle nostre Valli » (10), carenza che certamente non ha favorito un assetto comu-nitario più riunito e compatto. Proposte unifica-trici sono state affossate deliberatamente per (di-chiarati) giochi campanilistici: è il caso della Valle Grana rifiutata dal Consiglio della Valle Maira ("), o del comprensorio dell'Ossola diviso in ben cinque Comunità.

D a l l ' o r d i n a m e n t o regionale, la nuova l e g g e si aspettava le norme per l'articolazione e la composizione degli organi che dovevano costi-tuire la Comunità.

Già veniva indicata la necessità che dell'or-gano deliberante facesse parte anche la mino-ranza di ciascun consiglio comunale: la Regione Piemonte ha stabilito che ogni consiglio comu-nale partecipi con tre elementi della maggioranza e due della minoranza. Qualcuno (12) ha valutato negativamente questa composizione, consideran-dola frutto di una « democrazia molto indiretta, sorta di elezioni di secondo grado che rendono diffìcile e lontana la proclamata partecipazione popolare ». Io non sono cosi ostile alla normativa. C'è da tener in considerazione:

1) la necessità che la Comunità deve riflet-tere le composizioni politiche che già amministra-no i Comuni delle valli interessate;

2) la scarsità numerica del materiale uma-no di cui si può disporre, tanto da uma-non offrire cosi vaste scelte di rappresentanti in organismi pub-blici, volendo — naturalmente — escludere l'ap-porto dei « residenti stranieri »;

3) che l'amministrazione pubblica a livello comunale è il primo gradino della partecipazione di tutti — con propri rappresentanti — alla vita pubblica; gli innegabili errori passati e i costanti errori a livelli più elevati non devono indurre a « buttar via con l'acqua sporca anche il bam-bino », cioè a dare definitivamente compromessa la rappresentatività dei Consigli Comunali;

4) d'altra parte l'esperienza dei Consigli di Valle, con uomini « diversi », ha dato a volte an-ch'essa discutibili risultati.

A l l a R e g i o n e spetta di determinare i criteri di ripartizione dei fondi disponibili per le C o m u -nità M o n t a n e .

Già in sede di discussione del bilancio 1973, il consigliere regionale Rossotto non ha esitato

a dichiarare che il miliardo e seicentoquaranta milioni a disposizione, già esiguo di per sé, si è dimostrato ancor meno sufficiente in sede di distribuzione alle 44 (si ripete: troppe!) Comu-nità ("). La norma seguita per la ripartizione ha assegnato metà dei fondi in proporzione diretta alla popolazione residente, e l'altra metà in pro-porzione diretta alla superficie. Se per ipotesi le Comunità avessero tutte la stessa popolazione e la stessa superfìcie, ad ognuna spetterebbero tren-tasette milioni: la cifra può essere poco indicativa se non si sa che la redazione di un piano regola-tore per una cittadina di trentamila abitanti costa una trentina di milioni. La sua attuazione poi, è affidata a personale ed a uffici già esistenti, relati-vamente collaudati, a cui si chiede di adeguare il loro operato allo strumento urbanistico.

Ma si pensi al costo di un piano di sviluppo comunitario: completamente diverso dai normali strumenti urbanistici in attuazione nei comuni in-teressati, di cui gli si chiede di tener conto, « do-vrà prevedere le concrete possibilità di sviluppo nei vari settori economici, produttivi, sociali e dei servizi » (14), quindi andrà gestito sotto una gamma vastissima di aspetti, da personale senza specifica esperienza, con strutture (uffici, ecc. ...) tutta da inventare, su una realtà orofisica difficilis-sima, di cui si sa pochissimo e male.

I piani di sviluppo delle C o m u n i t à verranno coor-dinati ed approvati dalla R e g i o n e .

Il coordinamento dovrebbe avvenire « in base alle indicazioni del piano regionale », secondo la dizione della legge nazionale. Non si era previsto, probabilmente, che — almeno in Piemonte — si parlasse di Comunità Montane, in attesa (in man-canza) di un piano regionale: su quale base, ora, avverrà il coordinamento non è dato saperlo.

L'approvazione avverrà se saranno indicati « il tipo, la localizzazione e il presumibile costo degli investimenti atti a valorizzare le risorse at-tuali e potenziali della zona, la misura degli in-centivi a favore degli operatori pubblici e pri-vati... ». Ma a quale criterio ci si dovrà attenere? Lo sviluppo, si sa, può indossare i panni di diverse

(10) Prefazione di O. Giuglar a: «Un momento nuovo per la montagna» ed. Provincia di Torino, 1972.

(I!) Dichiarazione del geom. Isoardi, presidente del Consiglio della Val Maira, su: « Uou Soulestrellou » dcll'8 agosto 1973.

<») Gustavo Malan su « Lou Soulestrclh » dell'8 agosto 1973. (13) « Già in Commissione abbiamo visto a quale irrisoria entità il miliardo e seicentoquaranta milioni al momento della sua ridistribuzione... ». Dichiarazione Rossotto riportala su Quaderno n. 2 del consiglio Regionale Piemontese.

maschere, pur recitando nello stesso ruolo. Baste-ranno le affermazioni di principio sulla elimina-zione degli squilibri, sulla difesa del suolo e sulla protezione della natura contenute nelle finalità della legge, a far comprendere a che tipo di svi-luppo si dovrebbe tendere? Uno svisvi-luppo legato alla ricomposizione fondiaria, al recupero delle vecchie strutture edilizie, per un nuovo tipo di turismo residenziale, stimolante crediti per la si-stemazione degli edifici, anziché per la loro costru-zione, crediti e incoraggiamenti per azioni coope-rativistiche, progetti di impianti di qualsiasi tipo la cui realizzazione e gestione coinvolga diretta-mente la popolazione del luogo senza necessaria-mente interessarla solo come servitori e uomini di fatica, oppure uno sviluppo del tipo di quello ventilato da vent'anni ad Oulx, Cervinia, Limone, Bardonecchia, Sestriere, ora riscoperto a San Sicario, a Prato Nevoso, ad Artesina...; uno svi-luppo dove gli uomini della montagna possono impiegarsi come battipista o addetti alle bigliet-terie... A quale sviluppo affidarsi? A che si affi-derà la Regione per coordinare e approvare i piani?

L a C o m u n i t à M o n t a n a può redigere piani urba-nistici.

La legge nazionale li chiama « piani di sviluppo urbanistico », la legge regionale li definisce (a mio avviso più correttamente (15) ) « piani urbanistici come strumenti operativi del piano di sviluppo ». In ambedue le accezioni però esiste il possibilista « può ». Non è quindi richiesto che la Comunità abbia uno strumento guida per gli interventi in campo urbanistico come gli è invece richiesto per gli interventi in campo economico-sociale; ci si è forse dimenticati per quanto parte l'assetto urba-nistico giova a favore della situazione economico-sociale; non si è forse pensato che è indispensa-bile, per unificare gli intenti delle politiche d'in-tervento dei vari Comuni, non già limitarsi a « te-ner conto » dei diversi strumenti (che è facile pensare in qualche misura contradditori) ma assu-mere un nuovo strumento sovracomunale, al quale

i piani comunali si devono adeguare e non vice-versa, condizionando la politica comunitaria.

* * *

Le Comunità Montane sono al nastro di par-tenza. La legge va comunque vista in senso posi-tivo: non bisogna dimenticare comunque l'impre-scindibile necessità di migliorare la sua attuazio-ne, nei modi e nei tempi che la stessa normativa consente.

1 ) È possibile (I6) arrivare ad una delimitazione più accorpata delle Comunità Montane piemonte-si. I fondi distribuiti sarebbero maggiormente cen-tralizzati, resi più funzionali e più coerenti ad una vera politica del territorio sarebbero le ini-ziative di sviluppo possibili.

2) È possibile (") che la Regione si esprima con un documento inequivocabile sul tipo di svi-luppo a cui le CM devono attenersi, con scelte politiche di fondo accettando le quali le CM sot-toscrivono un patto di omogeneità di comporta-menti nei confronti della speculazione, dell'arrem-baggio da parte del capitale estraneo al territorio montano, del tentativo di svilire la funzione del-l'uomo di montagna con il proprio territorio.

3) È possibile richiedere che le CM si dotino obbligatoriamente anche di un piano urbanistico con una ottica sovracomunale, in linea con il Pia-no Regionale (da farsi senza altri indugi), come parte integrante di un piano quadro regionale

per i territori montani.

Sarebbe questo uno dei modi di aggiustare il tiro alla nuova legge. Il bersaglio è stato indivi-duato: si tratta di non perdere l'occasione (ormai indilazionabile, nel caso specifico della monta-gna) e di centrarlo.

(15) Non necessariamente un piano urbanistico deve preve-dere uno « sviluppo ». E nei suoi compiti strumentali stabilire se la situazione edilizio-strutturale è tale da richiedere sviluppo o non, viceversa, unicamente gestione del patrimonio allo stato di fatto.

<16) Art. 13 ultimo comma, legge regionale: « Per la modi-fica delle delimitazioni stabilite l'iniziativa spetta alla Regione, d'intesa con i Comuni interessati —• L'iniziativa stessa può essere esercitata anche su proposta dei Consigli comunali delle CM inte-ressate... ».

<") Art. 4, comma p.to 5: (la Regione coordina... i piani zonali.

Nel documento Cronache Economiche. N.003-004, Anno 1974 (pagine 67-71)