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PARAGRAFO I: LE COLTURE TESSILI

I: LA SETA

Una realtà produttiva tanto composita quanto arretrata come quella parmense non poteva immaginare nel secondo settecento uno sviluppo industriale basato sul semplice reperimento delle materie prime sul mercato. Le ristrette dimensioni del Ducato impedivano ad esso di poter giocare un ruolo significativo sui mercati internazionali, egemonizzati dall’Inghilterra e dalla Francia.

L’unica forma di sviluppo possibile per l’industria consisteva nell’utilizzazione delle materie prime che l’agricoltura locale poteva fornire. Ecco perché il presente studio sull’apparato manifatturiero a Parma comincia con l’analisi delle colture industriali, che potevano dare la materia prima alle industrie tessili, le prime a sorgere anche in Inghilterra e Francia agli albori dell’industrializzazione per motivi in parte simili a quelli citati per il parmense. Abbiamo già detto nell’introduzione che nel Dipartimento del Taro mancava una borghesia capace di avviare da sola innovative attività economiche e come lo Stato si sostituisse ad essa (se di sostituzione si può parlare, in assenza quasi totale dell’elemento da sostituire) non per amore disinteressato del progresso economico dei paesi conquistati, ma per la volontà di assicurare gli approvvigionamenti necessari all’esercito napoleonico e per la ricerca della vittoria sull’Inghilterra attraverso lo strumento del blocco continentale, cui conseguiva l’autarchia produttiva di alcuni settori.

Il Dipartimento del Taro partecipò a questo progetto di ampio respiro, e già il solo fatto di essere inserito in una dinamica economica di respiro europeo apportò notevoli benefici ad un territorio sonnacchioso e da svariati decenni ai margini della storia, se non altro da un punto di vista economico e politico. Il prefetto Delporte cercò dunque per i motivi sommariamente sopracitati di incentivare le produzioni agricole utili all’industria tessile e in questa operazione non era certo solo, visto l’appoggio che da Parigi si dava a tutte le iniziative che andavano in tal senso. Infatti da Torino, capitale amministrativa dei dipartimenti imperiali subalpini guidati dal principe Camillo

Borghese, marito della più celebre Paolina resa immortale dal Canova, giunge il 21 marzo 1811 una missiva (58) che annuncia a Delporte l’invio di semi per la coltivazione di seta bianca da distribuire gratuitamente a tutti gli agricoltori che ne avessero fatto richiesta. L’idea era semplice e allo stesso tempo ben organizzata: si trattava di stimolare la produzione delle colture volute dal governo imperiale che si preoccupava di fornire i semi ai prefetti dei singoli dipartimenti.

Parigi era molto solerte su questo argomento e continuava a mandare sollecitazioni ai prefetti e semi da far distribuire, tanto è vero che nello stesso mese della comunicazione giunta da Torino ne arrivava un’altra (59) direttamente dalla capitale francese. Il ministro dell’Interno Montalivet scrive a Delporte che è bene insistere nel diffondere la coltivazione dei bachi da seta nelle campagne parmensi, visti i buoni risultati dell’anno precedente, quando si diede vita ad un’esperimento pilota in tal senso. Nella lettera Montalivet indica anche a Delporte il nome di un proprietario in grado di fornire alla Prefettura i semi da distribuire tra gli agricoltori (si tratta di Carlo Serventi, presente in molte delle iniziative produttive intraprese dai francesi e modello di quel nuovo ceto di proprietari-imprenditori che sotto la dominazione napoleonica comincia a formarsi e di cui a più riprese ci occuperemo). Naturalmente quest’operazione veniva presentata come una benefica azione volta ad un progresso economico dei territori coinvolti del tutto disinteressata e soprattutto ampiamente pubblicizzata dall’unico organo di stampa presente nel parmense.

Difatti nel numero 32 del 20 Giugno 1812 il “Giornale del Taro” pubblica una lettera scritta a Parigi il 22 maggio 1812 dal conte di Sussy, nobile dell’Impero e ministro delle manifatture e del commercio indirizzata al prefetto del Taro Henry Dupont Delporte. Si tratta di una comunicazione molto importante, partita dai massimi livelli ed utile ad esplicare al meglio le linee-guida della politica imperiale a Parma in fatto di agricoltura. In essa il conte di Sussi scrive di voler far conoscere “le disposition faites, depuis 1810, pour encourager dans votre Depatiment la culture de la soie

58: ASP, Fondo Dipartimento del Taro, serie II, busta 88, fascicolo 133 59: ASP, Fondo Dipartimento del Taro, busta 3, mazzo 17, serie I

blanche de la chine. Aux epoques convenables, una ceratine quantità de graines de vers-a-soie de cette expece vous a etè constamment adressè, et d’apres, le compte qui vient de m’etre rendu, je vois que vous ……avez rien negligè, pour faire prospèrer cette interessant culture […]. Peut etre que parmi les agricolteurs que vous aveza fait participer a la distribution des graines, il s’entrouve qui ne sont point assez persuades de l’interet que le Gouvernament attache au progres de cette nouvelle branche d’industrie. Venillez les eclairer sur ce point, et meme leur dire que je suis disposè a ne pas laisser leurs efforts sans ricompense, dans le cas, ouils obtien draunt des resultats assez importants pour leur donner des droits a un encouragement (60)”. La lettera termina specificando che la natura e l’entità degli incentive sarà decisa in base alle relazioni del prefetto.

Si vede ancora una volta in modo chiaro come la politica di Delporte fosse stata l’applicazione delle direttive provenienti dal centro e non il frutto di iniziative autonome e legate al territorio, come a Napoleone dovettero sembrare alcune decisioni prese da Moreau de Saint Mery negli anni passati. I dominatori francesi miravano a realizzare i loro scopi produttivi facendo leva sull’interesse individuale di un singolo, non in grado di far girare da sé l’economia, come Adam Smith teorizzava, ma capace forse di applicare le direttive dall’alto, se stimolato da un immediato e tangibile vantaggio personale.

Probabilmente era questo l’unico modo concreto per modernizzare il mondo e le produzioni delle campagne, sicuramente più concreto delle istruzioni scritte che Du Tillot faceva giungere alle case dei contadini analfabeti (61) circa i nuovi metodi di coltivazione a metà ‘700.

La solerzia oltralpina sull’andamento della coltivazione della seta raggiungeva il suo acme al momento del raccolto, quando era possibile quantificare il successo o meno della coltura del baco nelle campagne. E così in una missiva proveniente da Parigi del 16 luglio 1812 (62) il ministro Montalivet chiede a Delporte di sovraintendere alle

60: Giornale del Taro, numero 32, 20 giugno 1812 61: B. Cipelli, op. cit. pp. 123-126

62: Vedi supra nota 49

operazioni di raccolta della seta e conseguentemente di inviare quanto prima a Parigi i dati relativi alla quantità raccolta, al prezzo medio al chilo, alla quantità di seta filata in loco, in modo da permettere all’amministrazione centrale di fare un quadro complessivo delle risorse e dei tessuti su cui l’Impero poteva contare nei suoi territori. Delporte si attiva in tal senso e il 5 ottobre dello stesso anno scrive al sottoprefetto di Parma per far iniziare l’indagine statistica richiesta dal centro sulla raccolta della seta, senza dimenticare l’importanza strategica che questa ed altri tessuti hanno nella battaglia politica ed economica contro l’Inghilterra. Già il 17 agosto 1812 il mairie di Vigatto comunica alla prefettura di Parma i dati della raccolta di seta nel proprio comune (63): si tratta di poco più di due tonnellate e mezzo nel 1811 e di quasi quattro nell’anno successivo, con un incremento sostanziale decisamente apprezzabile; il prezzo al chilo oscilla per entrambi gli anni attorno ai due franchi e mezzo, ed è il frutto delle transazioni commerciali che avvengono tutte presso il mercato di Parma.

Per quanto concerne il 1810, la raccolta complessiva di bozzoli da seta nel circondario di Parma presenta i seguenti risultati, tenendo conto soltanto dei centri più importanti (64): Calestano 333 chilogrammi, Collecchio 1746, Colorno 3047, Copermio 2935, Cortile San Martino 1791, Felino 1871, Fornovo 929, Gattatico 3162, Golese 3383, Langhirano 1120, Lesignano 1036, Montechiarugolo 6437, Poviglio 2957, Parma 1000, Sissa 4087, Sorbolo 1843, Traversetolo 1991, oltre al già citato Vigatto. Assieme ai centri minori la produzione di bozzoli da seta arriva ad oltre 56 tonnellate. Balzano agli occhi i dati dell’estrema produttività di luoghi come Colorno, che contava circa 6.000 abitanti, Collecchio (circa 2.000), Sissa (meno di 5.000), Montechiarugolo (circa 3.500), mentre Parma, con i suoi trentamila abitanti ed un vasto contado circostante contribuisce solo per il 2% circa alla raccolta complessiva dei bozzoli da seta (65). Tra i centri più importanti è da rimarcare

63:ASP, Fondo Governatorato di Parma, busta 230

64: ASP, Fondo Dipartimento del Taro, serie I, busta 3, mazzo 12

65: L. Molossi, Vocabolario topografico dei ducati di Parma, Piacenza e Guastalla, Tipografia Ducale, Parma, 1832, pp. 246-252

l’assenza di Corniglio, in cui non è presente nessuna coltivazione dei bachi da seta.

Sono interessanti anche le osservazioni dei rilevatori statistici, poste ai margini del documento citato in nota. Da esse si evince come durante il passato governo ducale la produzione annua complessiva di bozzoli ammontasse mediamente a 61, 5 tonnellate, il che configura un calo di produttività di oltre il 10%. Questo dato viene spiegato dai rilevatori francesi con la proibizione dell’esportazione di seta grezza e con la libera circolazione nel Dipartimento del Taro delle stoffe provenienti da Lione. Ciò ha messo i produttori parmensi in seria difficoltà poiché si sono trovati a dover fronteggiare la concorrenza dei migliori tessuti stranieri presenti sul mercato locale, senza poter compensare questa situazione esportando seta grezza, a causa delle proibizioni imposte dall’autorità. Ne derivava per i produttori un mancato guadagno che si rifletteva sulla diminuzione della produzione.

I rilevatori tirano in ballo la negligenza e la mancanza d’esperienza dei coltivatori, che non hanno saputo orientare la loro produzione su altri tipi di seta in grado di conquistare fasce di mercato diverse da quella egemonizzata dai rinomati tessuti lionesi, motivo per cui è bene che sia lo Stato a guidare questo processo di innovazione produttiva attraverso incentivi ed opportune attività formative. Dal 1810 sono stati distribuiti i semi della seta bianca cinese soprattutto nelle zone agricole a ridosso del Po, più adatte per il clima umido a questo tipo di coltivazione, che hanno dato risultati importanti, soprattutto dal punto di vista qualitativo. Nel 1813 i dati della seta raccolta nel circondario di Parma segnano una netta avanzata rispetto a quanto visto nel 1810: complessivamente vengono raccolte 75 tonnellate di bozzoli, venduti a 2,60 franchi al chilo; la quantità di seta filata ascende a 5, 8 tonnellate con un prezzo medio al chilo di 39 franchi. Contestualmente a Borgo San Donnino vengono raccolte 51 tonnellate di bozzoli, che costano 1,84 franchi al chilo; la quantità di seta filata supera le 2,1 tonnellate, aventi un prezzo medio al chilo di 34,49 franchi (66).

66: Vedi supra nota 49

Come si vede da questi dati, c’è un progresso sostanziale nella produzione dei bachi da seta, anche al di fuori del circondario di Parma. Se andiamo a guardare la sola quantità di bozzoli raccolti, notiamo per Parma un incremento di circa il 20% sui dati del 1810 e del 15% a confronto con quelli del deposto governo ducale. I dati di Borgo San Donnino ci dicono che un circondario avente per capoluogo un comune di circa 8.000 abitanti era in grado di produrre bozzoli in una misura molto vicina a quanto aveva fatto il ben più grande circondario di Parma nel 1810. E’ evidente il successo produttivo e personale del prefetto Delporte nel campo dell’espansione della coltura della seta, che avrebbe portato a ricadute benefiche anche sulle industrie tessili del luogo, come vedremo meglio nel successivo capitolo. Del resto per giungere a questi risultati il nostro prefetto aveva dovuto vigilare non poco e richiamare tutto l’apparato amministrativo alla massima efficienza per il raggiungimento dell’obiettivo dell’incremento della produzione serica. In una sua lettera ufficiale (67) del 5 settembre 1812 indirizzata al sottoprefetto di Parma, il prefetto sollecita la raccolta di dati circa la coltura della seta in quanto richiesti con solerzia dal ministro delle manifatture dell’Impero, impegnato continuamente a trovare alimento per le attività industriali, in primo luogo francesi, ma situate anche a Parma e in tanti altri punti dell’Impero.

Tanti sforzi ebbero un effetto positivo e durevole sull’agricoltura del parmense e sulle attività industriali del ricostruito Ducato dopo la caduta di Napoleone. Difatti la Camera di commercio di Parma in un suo progetto del 21 settembre 1815 indirizzato al governo provvisorio, guidato tra il luglio del 1814 e il dicembre 1816 dal conte Filippo Magawly Cerati (che pure aveva avuto un rapporto di stretta collaborazione con l’amministrazione francese, qualificandosi come membro di quell’aristocrazia progressista e attenta alle novità produttive che annoverava tra le sue file anche il conte Stefano Sanvitale) propose tutta una serie di ipotesi per rendere ancora più integrata la produzione dei bachi e la lavorazione della seta (68).

67: Vedi supra nota 48

68: ASP, Fondo Presidenza dell’Interno, busta 437

In esso si propone di istituire un albo comprendente i commercianti e gli agenti di commercio del settore, di costruire una statistica annuale della produzione e del commercio della seta, da vigilare tramite il lavoro di appositi ispettori.

In breve si chiede da parte degli operatori economici l’intervento regolatore dello Stato per prevenire liti e frodi e questa richiesta sottolinea la necessità di assegnare un ruolo importante allo Stato nel settore economico, anche in seguito ai positivi risultati conseguiti dagli ultimi anni di dominio napoleonico in Italia. Quanto agli aspetti meramente numerici relativi alla raccolta e alla produzione della seta, così come per altro verso quella del parmigiano (69) è importante rimarcare quanto gli accidenti atmosferici e le malattie delle piante influissero su un’organizzazione economica arretrata nonostante gli sforzi di modernizzazione introdotti dai francesi, specie con il tentativo di avvicinare il mondo della scienza all’agricoltura. Ad esempio il mairie di Sissa, comunità della quale abbiamo messo in luce l’alta produttività nel settore della seta, informa Delporte che la raccolta dei follicelli dei bachi da seta è stata inferiore nel 1811 all’ottimo 1810 di ben 1824 chilogrammi, a causa di una malattia che aveva investito i bachi. Una malattia delle piante poteva dunque costare il 40% del raccolto e questo senza che vi fossero stati eventi eccezionali, gli unici nei tempi odierni a giustificare un calo così pauroso della produzione da un anno all’altro. Ciò ci mostra quanto fosse difficile ottenere risultati duraturi in un contesto di arretratezza e precarietà economica, il che rende ancora più importanti i risultati conseguiti dal prefetto Delporte nel settore della produttività della seta.

Confrontando i dati del 1811 con quelli del 1812 riguardanti tutto il Dipartimento del Taro si può apprezzare il progresso raggiunto in termini di produttività nel settore della coltivazione dei bachi da seta. Nel 1811 ne vengono raccolte 144,8 tonnellate;

l’anno dopo queste salgono a 214,5, con un incremento del 50% circa. Il prezzo medio per chilo scende così da 2,46 a 2,31 franchi, il che significa un bel vantaggio per le industrie seriche che si trovano a pagare meno una materia prima più abbondante e non per questo meno ambita. Difatti la quantità di

69: P. Spaggiari, Per una storia cit. pp. 8-9

seta filata passa da 34 a 60 tonnellate, cosa che indica un raddoppio delle capacità produttive delle aziende del settore in un solo anno di tempo. Tanta crescita è sicuramente dovuta alle scarsissime condizioni di partenza, ma ciò non toglie che ci sia stato un notevole progresso nel settore agricolo e manifatturiero relativo alla seta e alla sua lavorazione.

Il prezzo medio al chilo della seta lavorata scende da 33 a 22, 5 franchi, rendendo più competitivi i prodotti tessili parmensi, che (la cosa non va dimenticata) sono ora inseriti all’interno del vastissimo mercato imperiale. Particolarmente sintomatici del progresso produttivo nel settore serico sono i dati di Piacenza, realtà indiscutibilmente più avanzata dal punto di vista dell’organizzazione della produzione manifatturiera tessile rispetto a quella parmense, ancora legata a stilemi produttivi semiartigianali (70). Nel circondario piacentino nel 1811 (71) sono state raccolte 32, 9 tonnellate di bozzoli, divenute 36 nel corso dell’anno successivo. Il prezzo medio al chilo dei bozzoli oscilla attorno ai 2,50 franchi, in linea con i dati del mercato parmense. La quantità di seta filata ammonta nel 1811 a 2,45 tonnellate che diventano 2,55 nel 1812, mentre il prezzo medio della seta filata al chilo passa dai 34 franchi del 1811 ai 32 del 1812.

Come si vede, anche in una realtà produttiva sicuramente robusta e più progredita di quella parmense si notano i progressi nel settore della seta dovuti alla mano dinamica ed energica del prefetto Delporte. Tuttavia anche i dati del circondario di Parma tra il 1811 e il 1812 (che fino ad ora non abbiamo preso in considerazione proprio per poterli meglio paragonare con quelli del piacentino) si prestano ad osservazioni interessanti (72).

La quantità di bozzoli raccolti nel 1811 è di 28,2 tonnellate, che diventano quasi 31 l’anno successivo. Il prezzo medio dei bozzoli nel 1811 è di 2,70 franchi al chilo, che diventano 2,14 nel 1812. La quantità di seta filata nel 1811 è di 2,6 tonnellate che

70: A. De Maddalena, Considerazioni sull’attività industriale e commerciale negli stati parmensi dal 1796 al 1814 in “Studi parmensi”, 9/1, 1959, pp. 69-70

71: Vedi supra nota 49 72: Ibidem

diventano tre l’anno successivo, mentre il prezzo medio per chilo sale dai 31,3 franchi ai 36, 4 nonostante l’aumento della produzione. Ciò può essere forse spiegato dall’aumento della domanda da parte dello stato committente, visto che proprio nel 1812 Napoleone stava per imbarcarsi nella fatale avventura che vedrà il suo sogno imperiale infrangersi tra le steppe russe.

Se andiamo a fare un rapido confronto tra i dati di Parma e quelli di Piacenza notiamo che non ci sono grandi differenze tra i due settori produttivi sia nel campo della raccolta che della filatura della seta. Ciò permette di correggere almeno parzialmente il pensiero di Aldo De Maddalena sulla questione, per quanto resti indubitabile che l’apparato produttivo piacentino fosse nel complesso più robusto di quello parmense, anche se i dati mostrano che questa affermazione non vale per il settore serico. Più importante per noi è notare come sia la realtà piacentina sia quella parmense siano cresciute negli anni presi in esame e come ciò sia avvenuto con tassi di crescita percentuali simili.

Sicuramente si tratta di una prova della buona amministrazione di Delporte e probabilmente questi tassi sono anche una conseguenza della centralizzata amministrazione francese, del tutto sconosciuta anche in un territorio piccolo come quello ducale nei secoli precedenti. Tornando al circondario parmense è utile notare le tabelle statistiche relative alle quantità di seta lavorata, specchio fedele dell’esistenza e della robustezza dell’apparato produttivo territoriale.

Nel 1811 vengono lavorate 6,4 tonnellate di seta grezza, divenute 8,5 nel 1812.

Questa attività produttiva non era però concentrata in grandi stabilimenti ma in tante piccole aziende di medie dimensioni, il che conferiva alla produzione parmense, in quella particolare fase dello sviluppo capitalistico di alcune zone d’Italia, come la Lombardia e il piacentino, un carattere ancora proto-industriale, nonostante i positivi passi avanti fatti nella direzione dell’aumento della produzione e della produttività sotto la guida del prefetto Delporte.