PARAGRAFO IV: NOTIZIE E STATISTICHE SU AGRICOLTURA E ALLEVAMENTO
XI: LA LANA
di nuove razze di pecore da cui si sperava di ottenere una lana più pregiata e resistente a costi contenuti.
Nonostante queste difficoltà di partenza, Delporte si dedicò alla sua “nuova frontiera” (in realtà concomitante con molte altre) con la consueta abnegazione. Si trattava di innestare sul sistema d’allevamento vigente la presenza delle pecore provenienti dalla Spagna e producenti lana merinos, rinomata per le sue qualità. In tal senso le sollecitazioni già all’inizio del 1812 cominciavano a farsi frequenti e ricadevano a cascata da Parigi ai sottoprefetti del Taro, fino a giungere ai sindaci dei comuni, che avevano il compito ingrato di convincere proprietari e mezzadri a variare le loro inveterate abitudini. Il 27 marzo 1812 (219) i signori Laurent, Ortalli, Serventi e Torrigiani, a nome della Società Agricola dei Merinos chiedono a Delporte di inviare in qualità di amministratori della Società Francesco Ortalli e l’avvocato Luigi Torrigiani a presenziare presso la maremma senese (oggi grossetana) per trattare l’acquisto di pecore merinos nella Toscana, assai più avanti del Taro nell’allevamento di questo tipo di ovini, favorito anche da un settore primario indubbiamente più moderno e organizzato di quello governato da Delporte. A questo proposito Torrigiani, di mestiere cassiere presso il comune di Parma, chiede un permesso dal lavoro di quindici giorni per compiere la sua missione commerciale. L’obiettivo era quello di introdurre a Sala Baganza un allevamento di merinos, finora del tutto assente dal panorama dell’allevamento nel Taro.
Si possono notare subito alcune cose: in primo luogo il fatto che è un membro della burocrazia comunale a muoversi per sviluppare questa produzione, il che denota la cronica assenza dell’iniziativa privata; in secondo luogo il fatto che in materia di merinos si partiva praticamente da zero, visto che si trattava di recarsi in Toscana e verificare se vi fossero condizioni economiche convenienti per introdurre anche nel Taro l’allevamento dei merinos, su cui a dire il vero in tutto l’Impero si puntava molto per migliorare quantità e qualità delle produzioni laniere. Non conosciamo la risposta di Delporte, ma è molto probabile che egli abbia consentito questa missione,
219: Vedi supra nota 145
che del resto si configurava più come viaggio governativo che non come associazione di privati che sondavano nuove possibilità di profitto e di guadagno.
Tutta questa solerzia era al solito partita da Napoleone, che avendo nel mirino l’eccessiva indipendenza dello zar in materia di applicazione del blocco continentale dopo Tilsit, decise con un suo decreto dell’8 marzo 1811 di migliorare attraverso tutte le metodologie possibili, la qualità delle lane prima in Francia e poi nel resto dell’Impero.
In una lettera inviata a Delporte da Parigi il 5 maggio 1813 da parte del ministro dell’interno (220) si informa il prefetto che in questi due anni 2.500 montoni, riconosciuti puri dai veterinari (che nel Taro si trovavano con il contagocce) avevano contribuito alla nascita di una “scorta” di 54.000 pecore dalla lana migliore in ben 28 dipartimenti. Per il 1813 è prevista la creazione di un nuovo deposito mediante la distribuzione tra i vari dipartimenti di altri 3.500 montoni. La macchina organizzativa napoleonica girava a pieno regime, tanto da selezionare in un anno più del doppio dei montoni dei due anni precedenti. Ovviamente in questo sforzo produttivo si chiedeva al Taro di fare la propria parte: si raccomanda la collaborazione tra la già costituita società locale dei merinos e le istituzioni del Taro per sviluppare gli acquisti dei montoni o delle pecore merinos e la formazione necessaria per lavorare al meglio queste preziose lane.
Si chiede a Delporte di creare una giuria pastorale i cui membri possono andare dal numero di tre a sette, che raccolga le persone facenti parte di tutte le istituzioni che promuovono la crescita economica di agricoltura e industria sul territorio, con l’obiettivo di coinvolgere i proprietari terrieri e segnalare all’opinione pubblica i più solerti tra essi nella meritoria opera di miglioramento della produzione di lana. Parigi chiede anche di coinvolgere negli affari della manifattura dei tessuti i proprietari che imposteranno i loro allevamenti sugli ovini, in modo da poterne moltiplicare il volume di affari personali, e quindi spingere i medesimi ad esercitare un ruolo quanto più attivo possibile nella vita economica. Il controllo del centro sulla giuria
220: Vedi supra nota 50
pastorale, incaricata di formare il deposito delle pecore, è garantito dalla presenza di un ispettore generale incaricato di sorvegliare il lavoro della giuria e lo stato del deposito dei preziosi ovini.
Al controllo si unisce la raccomandazione di dare premi e incentivi ai privati più industriosi in questo settore diventato decisivo per le sorti militari dell’Impero. La filiera politica ed economica napoleonica è in marcia, ed anche il Taro si preparava a far fronte alle richieste dell’imperatore, pur scontando la presenza di un settore d’allevamento arretrato, in cui però individui intraprendenti potevano smuovere le acque con la reciproca soddisfazione propria e delle autorità. Da Parigi si continuava a seguire lo sforzo combinato di Stato e privati per migliorare la lana prodotta e così il 17 novembre del 1813 (a sfacelo russo ormai avvenuto) Montalivet annunciava a Delporte (221) la spedizione di un libretto di istruzioni, analogo a quelli distribuiti tra i coltivatori a proposito del pastello e del cotone, per ottimizzare la produzione laniera. Difficile pensare, vista la data di questa comunicazione, che questa iniziativa abbia avuto successo e d’altronde il fatto che ancora nel novembre del 1813 si curasse dall’alto la formazione degli allevatori indica che il Taro stava reagendo con lentezza alle richieste di miglioramento delle lane volute da Parigi, logica conseguenza questa della storica arretratezza di quest’ambito del settore primario.
La cosa destava sorpresa perché dell’introduzione dei merinos nel Taro si parlava sin dai tempi di Nardon (222) e ciò provava come in molti anni non si era riusciti a fare granchè, perlomeno sotto il punto di vista della collaborazione sinergica tra i vari agenti economici e formativi tesi al miglioramento delle lane nel Taro. Delporte faceva quello che poteva e già dal 24 giugno 1810 scriveva ai suoi sottoprefetti per spingerli a spendersi anche per la causa della lana. A questo proposito giunge il parere teleguidato di Parigi che invita Delporte a sostenere l’esperimento di introduzione dei merinos tentato nel Taro da Carlo Formenti, già impiegato presso l’amministrazione dei Sali e Tabacchi nei dipartimenti francesi in Italia, che aveva
221: Ivi, lettera di Montalivet a Delporte del 17 novembre 1813 222: Vedi supra nota 89
introdotto nelle sue proprietà agricole ben 1.900 pecore merinos (223). Montalivet invita Delporte a sostenere Formenti e a fargli la miglior pubblicità possibile presso l’opinione pubblica, visto che il carattere strategico che la sua azione economica riveste per il Taro e per l’Impero.
Successivamente la parola passa a Formenti e al suo progetto, che con forza era stato incentivato dalle autorità locali e imperiali, tanto che queste ultime provvidero a mandargli personalmente un manuale di istruzioni sull’allevamento dei merinos. Il progetto di Formenti (224) consisteva nell’introdurre 1636 merinos nei suoi allevamenti, di costituire la già vista all’opera Società d’agricoltura merinos, di dotarla di un capitale di 120.000 franchi da dividere in 30 azioni di 4.000 franchi l’una, a rischio e pericolo esclusivo degli azionisti, senza quindi chiedere la stampella provvidenziale dello Stato.
Di queste azioni otto sono di Formenti e sette di Luigi Agadi; i due detengono da soli il 50% della Società, per conto della quale Formenti prende in affitto delle terre della pianura e si carica tutte le spese di questo ovile sperimentale. E’ previsto l’affitto di terre di collina e di montagna per il mantenimento di altre 3.000 pecore; compare anche l’agente incaricato di tutta l’economia e della cassa, ossia una sorta di amministratore delegato ante litteram. A turno verranno eletti tra i soci i controllori delle attività della Società, in modo da garantire la massima trasparenza e da incentivare nuovi proprietari ad entrare nell’affare. E’ prevista la figura di un altro agente societario, incaricato di seguire l’attività della pastorizia e l’attività veterinaria, punto debole del sistema d’allevamento del Taro, ma non trascurabile per la buona riuscita dell’impresa.
Il compenso di questi agenti della Società sarà composto da una parte fissa e da una variabile in funzione degli introiti e del successo della stessa, la cui durata è stimata in nove anni. Di fronte a questo progetto Delporte si incaricò della parte relativa all’assistenza burocratica alla Società e alla diffusione di informazioni e suggerimenti
223: Vedi supra nota 85 224: Ibidem
ad essa destinata da Parigi. Si trattava comunque di un esperimento molto interessante: restava il ruolo di guida e di assistenza da parte dello Stato, ma per la prima volta si ha notizia della nascita non di una Società di tecnici, proprietari e scienziati, come era stata quella economico-agraria voluta da Moreau, ma di una moderna società per azioni, in cui capitalisti privati investono in un progetto, prevedendo la trasparenza, la divisione degli utili, la retribuzione dei membri che gestivano la Società mediante lo stimolo all’interesse personale. Si trattava di un esperimento-pilota, isolato nel contesto parmense, eppure modernissimo nelle sue forme organizzative, tanto da permettere l’organizzazione di trasferte come quella senese del 1812 per concludere affari vantaggiosi in materia di lane merinos. Resta il ruolo propulsivo dello Stato, che si afferma come perno indispensabile di questo processo di modernizzazione delle strutture economiche, in cui assume un ruolo più sfumato non appena si creano le condizioni per cedere al privato le redini dell’organizzazione di una Società attiva autonomamente sul fronte economico.
Evidentemente tanti premi ed incentivi e tanta propaganda del Giornale del Taro avevano convinto alcuni fra i più intraprendenti proprietari a seguire la strada delle opportunità economiche che lo Stato continuamente proponeva al ceto proprietario parmense.
Da Torino (città da cui il principe Camillo Borghese seguiva, più formalmente che praticamente, l’attività dei dipartimenti subalpini) il 23 aprile 1810 viene scritta una lettera a Delporte relativa all’organizzazione che il Taro grazie a Formenti si è data in materia di introduzione nel Dipartimento delle greggi di merinos (225).
L’esperimento parmense veniva seguito con interesse nella città sabauda, tanto da spingere le autorità del luogo a fornire ai produttori parmensi venti montoni pregiati per incentivare le loro sperimentazioni produttive. A questo proposito si loda anche l’opera di Dandolo, già citata in altri momenti dal ministro parigino, e consistente in un “Saggio sul governo delle pecore di razza Spagnuola ed Italiana e dei vantaggi che ne derivano”, considerato una pietra miliare nell’opera di formazione degli agenti
225: Ivi
economici impegnati nel perfezionamento delle bestie lanute. Difatti a Torino vengono fatte stampare ed inviare nel Taro ben 250 copie da distribuire gratuitamente di quest’opera, che si aggiungono alle istruzioni scritte a Parigi e già inviate da Montalivet a Parma.
L’obiettivo è ambizioso: si tratta di “avoir dans le Departement du Taro des resultats non moins avantageux que ceux dont jouissent depuis long temps l’ancien Piemont et la France entiere” (226). A questo proposito si decide di istruire a spese di Torino dei ragazzi della montagna al mestiere di pastore, in modo da introdurli in questa nuova branca di lavoro produttivo e di sottrarli così alla miseria. Si suggerisce infine di coinvolgere la Società di incoraggiamento dell’industria nazionale a Parigi in modo che essa metta in campo ulteriori stimoli ed incentivi utili alla promozione della diffusione delle lane merinos nel Taro.
Tutti questi consigli denotano l’interesse per le potenzialità dell’opera che Delporte sta svolgendo in favore della crescita economica complessiva nel Taro, tanto che pochi giorni prima un’ altra lettera da Torino sosteneva Delporte nei suoi sforzi di introdurre qualche branca d’industria strettamente legata in termini di disponibilità di materia prima all’agricoltura locale. A questo proposito si annuncia l’arrivo da Torino di numerose pecore merinos, portate da Luigi Agadi, socio di Carlo Formenti nella costituenda Società, su cui in precedenza ci siamo soffermati. Come si vede non solo Parigi e Parma, ma anche Torino ha contribuito alla stimolazione della Società di Formenti, cui resta però il merito storico (quasi esclusivo nel panorama economico del tempo) di aver pensato, organizzato e contribuito a finanziare la prima moderna società per azioni nel settore dell’allevamento parmense.
Tuttavia, a parte le novità strutturali, sicuramente importanti, Delporte aveva bisogno di conoscere i risultati della raccolta della lana nel Dipartimento ed anche i prezzi e la qualità della stessa, come ad esempio chiese ai suoi sottoprefetti in una lettera dell’11 ottobre 1813 (227), proprio nel periodo in cui le nubi del collasso imminente dell’Impero cominciavano ad offuscarsi anche sul Taro. Precedentemente erano
226: Ivi
227: Vedi supra nota 49
comunque arrivati dei dati che permettevano di quantificare lo sforzo congiunto di Stato e privati per la produzione di lana merinos, ordinaria o frutto di incroci. Nel 1812 nel circondario di Piacenza erano stati prodotti 275 chili di lana merinos, 200 di meticce e 1267 indigene o comuni con prezzi rispettivamente di 6 franchi al chilo, di 4,50 e di 2.
Tutti questi prodotti venivano poi impiegati nelle fabbriche tessili del piacentino. A Parma nello stesso anno la situazione era diversa: la produzione laniera meticcia, indigena e merinos era più abbondante e ciò comportava un deciso ribasso dei prezzi:
la lana merinos costava 3 franchi al chilo, la meticcia 2 e l’indigena 1,80. La lana indigena era la più usata dalle industrie locali, indice questo di una produzione qualitativamente scarsa, mentre le altre venivano in prevalenza esportate o nel resto dell’Impero o nel Regno d’Italia (228).
Il quadro del 1812 è completato dal circondario di Borgo San Donnino: qui sono stati prodotti 230 chili di lane merinos, tutti nel comune di Castell’Arquato, 200 chili di lane meticce e ben 9 tonnellate di lane indigene (229). Se ne desume che l’impatto delle produzioni laniere innovative non incidesse nemmeno per il 10% del totale, che però configurava una produzione comunque robusta. Ne conseguiva un elevato prezzo della lana merinos (8,25 franchi al chilo), mentre la lana meticcia e quella ordinaria costavano rispettivamente 4,25 e 2,25 franchi al chilo. La lana merinos prodotta serviva per fare abiti e veniva indirizzata verso Genova, dove poi veniva lavorata; mentre la lana indigena era lavorata sul posto artigianalmente, non esistendo nel circondario un opificio tessile propriamente detto.
Nel complesso si può parlare di un discreto successo nell’introduzione di lane meticce e merinos nel Taro perché, pur essendo entrate in un contesto zoppicante quale quello dell’allevamento dipartimentale, erano riuscite a conquistare quote di prodotto oscillanti tra il 10 e il 30% della produzione complessiva, il che era sicuramente un risultato positivo ottenuto in soli tre anni di politiche innovative nel settore della produzione delle lane.
228: Ivi
229: Vedi supra nota 54
CAPITOLO II
IL SETTORE MANIFATTURIERO DURANTE LA DOMINAZIONE FRANCESE
Abbiamo dunque visto nel capitolo precedente gli aspetti relativi alle colture industriali, intese come fornitura di materia prima per la manifattura del Dipartimento del Taro, deducendo dai dati quantitativi rintracciati e dal confronto tra questi e quelli degli anni precedenti come la mano di Delporte e il sistema amministrativo centralizzato francese abbiano contribuito all’incremento delle produzioni. Ciò fu reso possibile dalla migliore organizzazione dei dominatori rispetto alle strutture statali del tempo di Don Ferdinando, mantenute parzialmente in piedi anche da Moreau durante gli anni in cui fu amministratore generale delle province parmensi (230). Questa decisione permise a Moreau di far collaborare al nuovo regime i maggiorenti dell’età ferdinandea, contribuendo così a rendere meno indolore il passaggio dal vecchio al nuovo regime in un territorio come quello parmense molto provato dai duri anni andanti dal 1796 al 1802.
Tanto acume politico contribuì anche al buon nome con cui presso i posteri fu ricordato a Parma il Moreau, passato alla storia locale come saggio e integerrimo amministratore, nonché come mente illuminata e amante del progresso culturale e civile dei suoi amministrati. Tuttavia è indiscutibile notare come il processo di dipartimentalizzazione dell’ex Ducato guidato dal prefetto Nardon abbia consegnato alla società civile del parmense e del piacentino uno Stato più efficiente, meglio organizzato ed interventista quando necessario in economia, con ricadute positive sul tessuto produttivo del territorio, manifestatesi in pieno durante gli alacri anni del prefetto Delporte.
Lo Stato imprenditore si affiancava ai produttori privati, li incentivava o li sostituiva se l’iniziativa del singolo era assente da questo o quel settore produttivo, in modo da
Leny Montagna, op. cit. p. 42
partecipare attivamente alle dinamiche economiche dell’Impero e ai sogni di gloria coltivati da Napoleone per mezzo della sua Grande Armata, le cui esigenze orientavano in maniera consistente le produzioni economiche all’interno di molti dipartimenti imperiali.
A questi aspetti positivi si legavano i tradizionali e già discussi lacci e lacciuoli imposti da Napoleone a tutti i territori da lui dominati, e ciò voleva dire ostacoli al commercio ed esportazione coatta dei beni prodotti all’interno di un territorio, che non poteva godere dei benefici della libera disposizione degli stessi. Queste dinamiche, già viste a proposito dell’agricoltura, si affiancano ad altre che tratteremo nelle prossime pagine, riguardanti il cuore della presente tesi, ossia la manifattura nel Dipartimento del Taro e il suo sviluppo negli anni di Delporte, da apprezzare previo un confronto sistematico con la coeva situazione del Regno d’Italia (231) e con quanto riuscito a realizzare da Moreau al principio dell’800.
Laddove i documenti lo consentono è possibile anche tracciare qualche parallelo quantitativo relativo a singole e specifiche imprese con l’età ferdinandea e con quella della prima restaurazione, in modo da poter meglio apprezzare il destino di attività imprenditoriali o più genericamente produttive all’interno del tessuto socio-economico parmense. In tal senso si presterà attenzione sia alle specificità del contesto produttivo locale, sia gli aspetti generali che determinarono l’incremento delle attività manifatturiere del territorio. Da un simile metodo emergerà un quadro sicuramente frastagliato, come già successo a proposito delle colture industriali precedentemente trattate, che non impedisce però di trarre delle conclusioni generali a proposito delle linee di sviluppo della manifattura nel Taro, che è poi l’obiettivo dichiarato dell’analisi che si dipanerà nel corso di questo capitolo.
231: A questo proposito cfr. E. V. Tarle, op. cit. pp.253-344
PARAGRAFO I: LUCI ED OMBRE DELLA POLITICA FRANCESE NEL