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Il commento alle Sentenze

I luoghi del commento alle Sentenze in cui Alberto si occupa della conoscenza dell‟anima del Cristo sono le distinctiones XIII e XIV del terzo libro del commento alle Sentenze.

Nel primo articolo della distinctio XIV Alberto Magno si interroga intorno alla questione se Cristo possieda la scienza di tutte le cose conosciute da Dio, cioè se la conoscenza dell‟anima di Cristo sia sovrapponibile a quella divina. La risposta del Domenicano è piuttosto articolata e originale, come dimostra il suo netto rifiuto della distinzione interna alla conoscenza di Dio tra una scientia approbationis, circoscritta ai beni, una scientia visionis, che comprende tutte le cose le cui rationes sono presso di lui, e, infine, una scientia simplicis intelligentiae, avente come oggetto ciò che esiste in qualche modo, come le privazioni, e ciò che si trova in una condizione soltanto potenziale

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. Secondo Alberto, coloro che adottano questa strutturazione della conoscenza divina, modellando su di essa la conoscenza del Cristo uomo, incorrono inevitabilmente in un duplice inconveniente: attribuendo all‟anima del Verbo incarnato solo le prime due forme di scienza, infatti, da una parte non possono che giungere alla conclusione che Cristo conosce meno cose rispetto a Dio; dall‟altra, per la medesima ragione, gli negano la possibilità di conoscere il male, oggetto della simplex intelligentia

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La soluzione di Alberto si fonda sulla tesi che l‟anima di Cristo sa tutto ciò che è conosciuto da Dio, ma non conosce tutto nello stesso modo

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. Secondo il Domenicano,

121 Tra i sostenitori di questa tesi figurano Pietro Lombardo, Guglielmo di Auxerre, Alessandro di Hales, Odo Rigaldi, l‟autore della Summa halensis e Bonaventura: cfr. F.MARTÍNEZ FRESNEDA, La gracia y la ciencia de Jesucristo, pp. 196, 218, 240, 254.

122 ALBERTUS MAGNUS, Commentarii in III Sententiarum, d. XIV, a. I, ad primum, in Opera omnia, t.

XXVIII, ed. S. C.A. BORGNET, Paris 1894, p. 255: «Quidam autem dicunt hic aliter et distinguunt triplicem scientiam in Deo: scilicet approbationis, quae tantum bonorum est: et visionis, quae est eorum quorum rationes sunt apud ipsum: et simplicis intelligentiae, quam dicunt esse omnium quae aliquo modo existunt, ut privationes, et eorum quae sunt in potentia tantum. Et dicunt, quod anima Christi scit omnia primo et secundo modo scita a Deo, et non tertio modo. Sed ex hoc sequitur duplex inconveniens: unum scilicet quod anima Christi non parificetur Deo in numero scitorum, quod est contra hoc quod hic dicitur sine exceptione. Aliud est quod eadem ratione etiam nescit mala, quia illa simplici intelligentia noscuntur».

123 ALBERTUS MAGNUS, In III Sent., d. XIV, a. I, sol., p. 255: «Dicendum sine praejudicio, quod anima Christi scit omnia quae Deus scit, sed non omnia eodem modo».

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solo partendo da questo assunto si schiva il pericolo di incorrere da una parte nella blasphemia deitatis Christi

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, attribuendo all‟umanità del Verbo incarnato ciò che invece spetta unicamente alla sua divinità, e, dall‟altra, nell‟errore di considerare la scienza del Cristo non equiparabile a quella divina quanto al numero delle cose conosciute. Ora, è evidente che l‟anima del Verbo incarnato, in quanto finita, non può circoscrivere mediante un atto di comprehensio ciò che finito non è: solo Dio può comprender-si, poiché «sibi soli ipse finitus est, eo quod nihil de se est extra seipsum»

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. Per questo motivo, non resta che concludere che il Cristo uomo comprende solo tutto ciò che Dio sa e che non si identifica con lui:

… omnia scit quae Deus, sed non omnia eodem modo: quia non comprehendendo quidquid Deus scit, sed tantum comprehendit omnia scita a Deo quae non sunt Deus: sed hoc scitum a Deo quod est Deus non comprehendit

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Alla base della soluzione di Alberto, vi è un‟interessante riflessione intorno al significato del termine infinita, elaborata in modo estremamente complesso nelle confutazioni delle obiezioni. Quando formuliamo la proposizione: “Deus scit infinita”, possiamo voler dire che Dio conosce infinite cose per numerum o quasi in mensura quae est ipse. Se assumiamo questa seconda accezione del termine, non possiamo che negare al Cristo uomo una conoscenza pari a quella di Dio (giacché egli sa, ma non comprende); al contrario, se diamo alla parola una connotazione numerica e, dunque, relativa (secundum quid), allora possiamo inferire che l‟anima del Verbo incarnato sa tutto ciò che è conosciuto da Dio, sebbene non conosca infinite cose. Questo perché l‟espressione infinita per numerum fa riferimento alla potentia additionis infinitae (cfr.

Aristotele) e alla potentia causae efficientis, cioè alla capacità di Dio di fare infinite cose e alla sua coscienza di tale capacità. Ora, da tale consapevolezza, scrive Alberto, non consegue che in Dio vi siano in atto le specie di infinite cose; sicché non è possibile

124 A proposito del rischio di cadere nel peccato di blasfemia una volta assunta come premessa l‟ipotesi che il Cristo uomo sia dotato della capacità di comprehendere tutto ciò che conosce il Padre, Alberto usa il termine redundare, evocante la cascata irrefrenabile di conseguenze impreviste cui inevitabilmente conduce un ragionamento fallace.

125 ALBERTUS MAGNUS, In III Sent., d. XIV, a. I, sol., p. 255.

126 ALBERTUS MAGNUS, In III Sent., d. XIV, a. I, sol., p. 255.

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neanche inferire che Dio conosca infinite cose, a meno che non si intenda l‟espressione

„conoscere infinite cose‟ nel senso di „avere una scienza dell‟infinito‟. Negando a Dio la conoscenza di un numero infinito di cose, Alberto può così sottrarla anche all‟anima di Cristo senza determinarne una diminutio.

Alberto fonda la sua argomentazione su un passo del De civitate Dei, in cui Agostino, confutando la tesi di coloro che sostengono che l‟infinito non può essere compreso dalla conoscenza divina e che dunque Dio non conosce tutti i numeri, afferma che l‟infinità dei numeri non è incomprensibile a Dio, dal momento che la sua conoscenza non ha limiti ed è quindi in grado di circoscrivere ciò che non ha confini

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. La posizione di Agostino sembra non lasciare spazio a dubbi: quodam ineffabili modo, l‟infinito è finito per Dio. Si tratta evidentemente di un paradosso, che Alberto

„neutralizza‟ ricorrendo a un‟interpretazione volta a mostrare come Agostino in realtà intenda che la scienza divina si limita a comprendere l‟infinito in potentia divisionis et multitudinis:

non … oportet, quod [Deus] sciat infinita: quia cum sua scientia sit causa omnis rei quae non est per privationem dicta, si in sua scientia essent infinitae species numerorum, ipse produceret infinitas species

127 Ecco le parole dell‟Ipponate, che mi pare opportuno citare nella loro interezza: «Illud autem aliud quod dicunt, nec dei scientia quae infinita sunt posse conprehendi: restat eis, ut dicere audeant atque huic se uoragini profundae inpietatis inmergant, quod non omnes numeros deus nouerit. Eos quippe infinitos esse, certissimum est; quoniam in quocumque numero finem faciendum putaueris, idem ipse, non dico uno addito augeri, sed quamlibet sit magnus et quamlibet ingentem multitudinem continens, in ipsa ratione atque scientia numerorum non solum duplicari, uerum etiam multiplicari potest. Ita uero suis quisque numerus proprietatibus terminatur, ut nullus eorum par esse cuicumque alteri possit. Ergo et dispares inter se atque diuersi sunt, et singuli quique finiti sunt, et omnes infiniti sunt. Ita ne numeros propter infinitatem nescit omnes deus, et usque ad quandam summam numerorum scientia dei peruenit, ceteros ignorat? Quis hoc etiam dementissimus dixerit? nec audebunt isti contemnere numeros et eos dicere ad dei scientiam non pertinere, apud quos plato deum magna auctoritate commendat mundum numeris fabricantem. Et apud nos deo dictum legitur: omnia in mensura et numero et pondere disposuisti;

de quo et propheta dicit: qui profert numerose saeculum, et saluator in euangelio: capilli, inquit, uestri omnes numerati sunt. Absit itaque ut dubitemus, quod ei notus sit omnis numerus, cuius intellegentiae, sicut in psalmo canitur, non est numerus. Infinitas itaque numeri, quamuis infinitorum numerorum nullus sit numerus, non est tamen inconprehensibilis ei, cuius intellegentiae non est numerus. Quapropter si, quidquid scientia conprehenditur, scientis conprehensione finitur: profecto et omnis infinitas quodam ineffabili modo deo finita est, quia scientiae ipsius inconprehensibilis non est. Quare si infinitas numerorum scientiae dei, qua conprehenditur, esse non potest infinita: qui tandem nos sumus homunculi, qui eius scientiae limites figere praesumamus, dicentes quod, nisi eisdem circuitibus temporum eadem temporalia repetantur, non potest deus cuncta quae facit uel praescire ut faciat, uel scire cum fecerit?»

(AUGUSTINUS HIPPONENSIS, De civitate Dei, l. XII, c. 19, CCSL 48, p. 375, corsivo mio).

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numerorum, quod falsum est. Unde intellectus est Augustini, quod sua scientia quae est causa entis, et non limitatur per ens creatum, comprehendit id quod est infinitum in potentia divisionis et multitudinis, id est, secundum quod semper aliquid potest sumi extra ipsum: non tamen comprehendit ita quod per speciem causet ipsum, quia sic jam esset infinitum finitum, quod esse non potest

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Nonostante la scienza divina sia la causa di ogni cosa, tuttavia in essa non vi sono infinite specie di numeri, perché, in caso contrario, Dio produrrebbe infinite specie di numeri; parallelamente, egli conosce anche tutto ciò che non è mai stato, è o sarà non in maniera assoluta, bensì solo in causa, per exemplar, cioè nella misura in cui sa ciò di cui è presente in lui l‟esemplare

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Com‟è facile intuire, restringendo i margini dello scibile divino, non soltanto viene in qualche modo

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preservata l‟integrità della scienza del Cristo uomo, ma vengono anche tracciati i presupposti per salvaguardarne la superiorità rispetto a quella degli altri

128 ALBERTUS MAGNUS, In III Sent., d. XIV, a. I, ad primum, p. 256.

129 ALBERTUS MAGNUS, In III Sent., d. XIV, a. I, ad secundum, p. 256 : «Ad hoc autem quod objicit, quod Deus scit quod numquam erit, vel est vel fuit. Dicendum quod hoc scit hoc modo quod est in causa: non autem est in causa nisi per exemplar: unde etiam Deus non scit nisi sciendo se id posse cujus est exemplar in ipso: unde sciendo se in tali potentia causandi scit illud: non tamen sequitur, quod simpliciter sciat illud: et eadem est etiam solutio de infinito: non enim sequitur, quod si scit infinita per potentiam producendi infinita, quod sciat infinita simpliciter».

130 Si ricordi che il Cristo in quanto uomo è comunque dotato di una capacità di comprehensio inferiore a quella di Dio, come si legge nella confutazione delle obiezioni, volte a mostrare come la scienza dell‟anima di Dio sia del tutto equivalente (aequipollet) a quella di Dio: «… haec bene conceditur, quod hic homo omnia comprehendit quae Deus comprehendit: quia hic homo supponit personam in tribus substantiis et duabus naturis: sed non sequitur ulterius, si hic homo comprehendit, quod secundum quod homo comprehendit, si ly secundum notat naturae conditionem». E ancora: «… Christus in persona est in aequalitate gloriae Dei Patris: secundum autem quod homo, est in gloria inferiori, sed altiori quam aliqua creatura». Infine: «… nos nec omnino scimus quae Deus, nec comprehendimus infinitum pelagus substantiae divinae, sed attingimus: Deus autem omnia comprehendit et omnia scit: unde Christus secundum quod homo est unitus, conformatur ei in numero scitorum in quo nos excedit, et est sub ipso in modo comprehensionis» (ALBERTUS MAGNUS, In III Sent., d. XIV, a. I, ad ob. 1, 2, 3, p. 256). Si veda anche l‟a. IV della medesima distinctio, in cui Alberto si interroga intorno alla questione della limpidezza della contemplazione di Cristo e a quella, strettamente connessa alla prima, della sua continuità:

«Dicendum, quod non adeo limpide et pure contemplabatur anima Christi sicut Deus, et illa minor limpiditas vel perspicuitas causatur a privatione nihili quod est in omni creatura, et est defectus inseparabilis obscuritas illa quae est intellectus ex hoc quod creatus est, quia conjunctus est ratione creationis sive exitus de non esse ad esse» (ivi, a. IV, sol., p. 260). La limitata perspicuità della visione del Cristo si configura dunque come un difetto intrinseco alla sua condizione creaturale, alla privatio nihili che alberga in ogni creatura e che si configura come una sorta di „resto‟ del passaggio dall‟esse al non esse.

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uomini. Come Alberto argomenta nella risposta alla terza obiezione

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, l‟anima del Verbo incarnato si distingue infatti da quella dell‟uomo in generale da due punti di vista: in numero, giacché nessun‟altra creatura conosce tutto ciò che Dio sa; e in modo, in quanto è dotata di una capacità ricettiva eccessiva e straordinaria

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Nell‟articolo III della medesima distinctio, intitolato Quo modo notitiae anima Christi sciverit omnia?

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, Alberto prosegue e approfondisce il discorso fin qui fatto, interrogandosi sulle modalità con cui l‟anima del Cristo conosce tutte le cose. Come appare evidente già a una prima lettura del respondeo, ancora una volta la questione della scienza del Cristo uomo diventa occasione per una riflessione di più ampio respiro sulla scienza divina, sulla sua strutturazione interna e sulle sue dinamiche. Ma analizziamo il testo albertino nel dettaglio.

Per quanto l‟essere delle cose si presenti in maniera molteplice, Dio lo conosce secondo una triplice modalità, a seconda di come si manifesti in lui. Partendo dal fondo, vi sono cose presenti in Dio ut in causa cognoscente rationem operis et operante; e queste, com‟è facile capire, sono le creature nella loro totalità. Vi sono poi cose che si danno in lui ut in cognoscente tantum; e queste si identificano con il male. Vi sono infine cose presenti in Dio ut in causa potente tantum. In quest‟ultima categoria di

„esseri in quanto oggetti della conoscenza di Dio‟ rientrano da una parte tutte le cose che si trovano in potentia sua efficienter tantum e mai si realizzeranno, dall‟altra tutto ciò che è in ipso potente, in quanto dans posse infiniti licet non actum. Ora, alla prima serie di enti appartiene ciò che è privo di esemplare o idea in Dio e che dunque Dio può conoscere solo nella misura in cui, attraverso un movimento di conversio super se dell‟intelletto divino in quanto potentia infinita ad effectus infinitos, si ri-conosce capace di fare altre (infinite) cose rispetto a quelle prodotte:

131 ALBERTUS MAGNUS, In III Sent., d. XIV, a. I, arg. 3, p. 254: «Si forte dicas, quod anima Christi scit infinita esse infinita, sed non comprehendendo infinita: hoc nihil est, quia nos etiam scimus illo modo infinitum: unde in hoc non differt scientia animae Christi a nostra scientia».

132 ALBERTUS MAGNUS, In III Sent., d. XIV, a. I, ad tertium, p. 256: «Ad hoc quod objicitur, quod si anima Christi scit non comprehendendo, quod non differt a nostris animabus, dicendum quod hoc non est verum: adhuc enim differt in duobus, scilicet in numero: quia nulla pura creatura omnium notitiam habet quae Deus scit, sicut dicit Isidorus, quod Trinitas sibi soli nota, et homini assumpto: et sic dicit Augustinus, quod anima Christi omne bonum amat, et nihil amatum nisi cognitum: ergo omne bonum cognoscit: unusquisque autem aliorum Sanctorum tantum cognoscit, quantum Deus vult sibi revelare. In modo etiam, quia quasi excessive capacitas sua recipit et plus de quolibet cognoscibili, quam aliquis aliorum».

133 ALBERTUS MAGNUS, In III Sent., d. XIV, a. III, p. 258.

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Illa autem sunt in ipso ut in causa potente tantum quae duobus modis se habent ad ipsum, scilicet quod sunt in potentia sua efficienter tantum, et numquam fient, et haec non cognoscit Deus nisi cognoscendo se esse potentem ad alia quam illa quae produxit: unde haec notitia non est nisi conversio intellectus divini super se ut est potentiae infinitae ad effectus infinitos: unde haec notitia nullum ponit exemplar in Deo vel ideam

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Alla seconda categoria di enti, invece, afferiscono tutte quelle cose i cui esemplari sono presenti in Dio solo in potenza:

Quaedam autem sic sunt in ipso potente, quod ipse est dans posse infiniti licet non actum: et haec quoad posse illud datum habent exemplar, non autem quoad actum: sicut infinitum non est nisi in potentia: et ideo infinitum per id quod est, non est nisi in eo quod est finitum, et ratio finiti facta est a Deo, et habet exemplar in ipso

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Ancora una volta, dunque, tramite un procedimento di „riduzione‟ dell‟infinito al finito, Alberto può concludere la sua argomentazione affermando che l‟anima del Cristo, secondo questa tripartizione onto-gnoseologica, conosce nel Verbo tanto quanto Dio

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134 ALBERTUS MAGNUS, In III Sent., d. XIV, a. III, sol., p. 258.

135 ALBERTUS MAGNUS, In III Sent., d. XIV, a. III, sol., p. 258.

136 ALBERTUS MAGNUS, In III Sent., d. XIV, a. III, sol., p. 258: «Dico igitur, quod anima Christi cognoscendo Verbum, in ista triplici ratione cognoscit tot quot Deus». E ancora: «… bene concedo, quod anima Christi illis tribus modis parificatur Deo in numero scibilium» (ivi, ad tertium, p. 259). Si noti come la distinzione operata da Alberto all‟interno della categoria di enti conoscibili da Dio in quanto potente possa essere sovrapposta a quella adottata da altri autori suoi contemporanei tra ea quae sunt in potentia sua (scil. Dei) ed ea quae sunt in potentia creaturae. Sottraendo però tale distinzione alla divisione tra scientia visionis e scientia simplicis intelligentiae, Alberto può concludere che l‟anima del Cristo conosce tante cose quante ne conosce Dio. Da non dimenticare è comunque l‟incapacità dell‟anima di Cristo di comprehendere il Verbo: all‟argomento secondo cui «quidquid est in Verbo, etiam intra animam Christi est: quia quod continet continens, continet et contentum in illo» (ivi, arg. 2, p. 258), Alberto risponde: «… sicut prius dictum est, anima Christi licet uniatur Verbo, non tamen includere dicitur Verbum: quia sic Deus esset inclusus, quod falsum est: sed unitur toti Verbo, et hoc non est claudere intus, ita quod non sit alibi, cum sit ubique essentialiter, potentialiter, et praesentialiter» (ivi, ad secundum, p. 259).

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