L‟autore della Summa halensis dedica ampio spazio al problema della conoscenza del Cristo, cui viene consacrata un‟intera quaestio suddivisa in sette capitoli
68. La prima domanda che l‟autore si pone riguarda, come di consueto, il rapporto tra la scienza e la duplice natura del Verbo incarnato. L‟equazione in base alla quale a due nature corrispondono necessariamente due scienze, infatti, per quanto ormai consolidata e
possibilitatem suam et non evacuatur quod [im]perfectum est; unde manent minora lumina cum maiori»
(ALEXANDER DE HALES, Quaestio XLII, n. 46, pp. 728-729). Si osservi che nel ms. L della Glossa alle Sentenze vengono distinte quattro specie di purezza: «… impermixtum potest dicere remotionem oppositi quod est nescientia, vel quod est ignorantia, vel impermixtionem passibilitatis ex parte recepturi, vel [im]permixtionem unitionis ex parte receptivae potentiae». Mentre in Adamo e negli angeli nello stato di innocenza si rinviene una scienza limpidissima, per nulla intrisa di ignoranza, nello stato glorioso in cui si trovano gli angeli e i beati la scienza è connotata sì dall‟assenza di ignoranza e passibilità, ma anche dalla mescolanza con la nescientia di alcune cose fino al giorno del giudizio; la scienza del Cristo, invece, è caratterizzata dalla totale assenza di ignoranza, nescienza e passibilità; al contrario, «permixta … erat secundum quod unita erat principio sciendi, scilicet extra» (ID.,In III Sent., d. XIV (L), n. 20, p. 148).
Diverso appare il punto di vista di Alessandro nel passo parallelo della redazione AE, dove il maestro sembra non escludere nell‟anima del Cristo una certa forma di nescienza (cfr. ID.,In III Sent., d. XIV (AE), n. 10, p. 145); cfr. anche ID., In III Sent., d. XIII (AE), n. 17, p. 134, (L), n. 37, p. 140, dove si legge che la scienza sperimentale, proprio in quanto connotata dalla passione, non permarrà nel Cristo in seguito alla separazione dell‟anima dal corpo. La discrepanza è spiegata forse dal fatto che nel primo passo si fa riferimento alle espressioni più nobili della scienza del Cristo (per grazia di unione e per grazia di comprensione), negli ultimi due, invece, alla scienza sperimentale.
68 Com‟è noto, la Summa universae theologiae o Summa theologica attribuita ad Alessandro di Hales (e per questo nota come Summa fratris Alexandri o Summa halensis) è in realtà il frutto di un‟opera di redazione condotta a più mani presso lo studium dei Francescani di Parigi. Il presunto compilatore del I e del III libro è Giovanni della Rochelle, uno tra i più stretti collaboratori dell‟Irrefragabilis, che, nel corso della composizione del testo, avrebbe rimaneggiato materiale tratto dalla Glossa alle Sentenze e dalle Quaestiones disputatae (antequam esset frater e postquam fuit frater) dello stesso Alessandro e da altre opere di autori suoi contemporanei. Poiché Giovanni morì, come Alessandro, nel 1245, si presume che la redazione originaria di questi libri (verosimilmente iniziata negli anni ‟38-‟40) sia stata ultimata nel corso di quell‟anno. Nonostante la meticolosità della partizione del testo (ciascun libro è diviso in parti; ogni parte, corrispondente a un‟ampia unità dottrinale, è ripartita in inquisitiones; ogni inquisitio si articola ulteriormente in una serie di trattati, ciascuno dei quali comprende questioni raccolte per titoli e distribuite per capitoli), la trattazione appare ora lacunosa, ora ripetitiva, spesso priva di sistematicità e organicità. Cfr. V. DOUCET, Prolegomena in librum III necnon in libros I et III «Summae Fratris Alexandri», edd. PP. Collegii S. Bonaventurae, Quaracchi 1948; L. SILEO, “Il libro: forme d‟insegnamento e generi letterari”, in G. D‟ONOFRIO (ed.), Storia della teologia nel Medioevo, t. II, Casale Monferrato 1996, pp. 551-601, in particolare pp. 578-581.
41
condivisa da tutti
69, si configura come intrinsecamente problematica e soggetta a numerose obiezioni, ordinabili in due grandi categorie. La prima trova fondamento nella nozione di persona e sul principio secondo cui a ciascuna persona corrisponde una e una sola perfectio: se nel Cristo, dunque, vi è una sola persona, quella perfectio che si identifica con la scientia non può che essere una soltanto
70. A questa obiezione l‟autore risponde facendo appello all‟auctoritas del Damasceno, che, riferendosi alle volontà del Cristo, attribuisce l‟operatio non alla persona, ma alla natura
71; di conseguenza, dal momento che a diverse operazioni corrispondono diversi abiti, è lecito ammettere nel Cristo due habitus distinti di scienza, l‟uno creato, l‟altro increato, il primo corrispondente alla natura umana, il secondo alla natura divina
72.
La seconda categoria di obiecta si fonda sul rilievo dell‟inutilità o superfluità di una scienza creata e, dunque, necessariamente imperfetta, al fianco di una scienza certissima, perfectissima e nobilissima, di per sé onnicomprensiva, autosufficiente e del tutto indipendente dal ricorso all‟esperienza, dal momento che è vano conseguire per multa ciò che è possibile ottenere per unum
73. A maggior ragione, risulta difficile comprendere la necessità di una ulteriore suddivisione interna alla scienza creata, che, accanto alla scientia per gratiam unionis contempli anche una scientia comprehensoris, una scientia naturae integrae et perfectae e, infine, una scientia experimentalis, in un‟apparentemente infondata „moltiplicazione delle conoscenze‟. Un fenomeno, questo,
69 Si noti però che, come si avrà modo di rilevare nel corso della trattazione, il conseguimento dell‟unanimità riguardo alla presenza nel Cristo di una scienza creata è al tempo di Alessandro relativamente recente.
70 Summa theologica seu sic ab origine dicta “Summa Fratris Alexandri”, t. IV, edd. PP. Collegii S.
Bonaventurae, Quaracchi 1948, l. III, pars prima, inq. un., tr. III, q. II, c. I, arg. 1, p. 163: «Cum in Christo sit una persona, unius autem personae una est perfectio, scientia autem est perfectio, relinquitur ergo quod una erit scientia Christi».
71 Cfr. IOHANNES DAMASCENUS, De fide orthodoxa, c. 59, pp. 228-243; ma anche c. 58, pp. 213-227 e c.
62, pp. 250-256.
72 Summa theologica, l. III, pars prima, inq. un., tr. III, q. II, c. I, s.c. 1, p. 163:«Ioannes Damascenus:
“Quorum sunt diversae naturae, eorum sunt diversae operationes”; operationibus autem proportionantur habitus; ergo, cum in Christo sint diversae operationes propter diversas naturas, erunt in ipso diversi habitus; ergo, cum scientia dicat habitum secundum divinam naturam et humanam, in Christo erunt diversae scientiae»; ivi, ad primum, p. 164: «… habitus non diversificantur secundum personam, immo secundum naturam; unde dicit Ioannes Damascenus quod in Christo sunt diversae voluntates propter diversas naturas. Et similiter dicendum in Christo, propter diversas naturas, diversas scientias creatam et increatam».
73 Gli editori di Quaracchi vedono in questo principio un riferimento implicito a un assunto aristotelico contenuto nella Physica: «Unum autem magis quam multa … oportet existimare» (ARISTOTELE, Physica, l. VIII, c. 6, 259a 9-10).
42
che di primo acchito si configura non solo come irragionevole, ma anche come difficilmente giustificabile, nella misura in cui, proprio come accade nel caso dei lumina corporalia, il maius lumen della scienza per gratiam unionis sembra destinato ad assorbire i lumina minora delle altre.
A questo gruppo di obiezioni, che investe sia il rapporto tra scienza creata e scienza increata sia i rapporti interni alla scienza creata medesima, l‟autore risponde mediante il ricorso a diverse soluzioni argomentative, prima fra tutte l‟affermazione della necessità della presenza nel Cristo di una conoscenza creata, giacché, senza di essa, la sua anima non solo non potrebbe conoscere alcunché, ma, proprio in quanto non conoscente, non potrebbe neanche amare né godere della beatitudine derivante dalla contemplazione
74; in altri termini, sarebbe imperfetta. Infatti, Cristo, sebbene ratione personae non necessiti di alcun‟altra forma di scienza al di là della conoscenza increata, ratione personae in humana natura ha bisogno (indiget) di una scienza creata per configurarsi come non solo perfetto, ma più perfetto di tutti gli altri uomini
75.
Si noti che, in questa affermazione, mediante cui viene implicitamente condannata qualsiasi forma di apollinarismo, non vi è nulla di paradossale. Come l‟autore spiega nella confutazione del terzo argomento, quasi a prevenire possibili ulteriori obiezioni, la nozione di indigentia o necessitas si presenta come duplice: alla necessità della cosa in sé, infatti, si affianca la necessità in rapporto al fine, che si identifica con l‟utilità. E così, una volta indebolito il significato del termine indigentia, è possibile concludere che il Cristo uomo, godendo della scienza di unione e di comprensione, non necessita propter se di una forma alternativa di conoscenza; viceversa, nella misura in cui ha assunto la natura umana al fine di riscattare l‟umanità decaduta, ha bisogno sia di una conoscenza naturale, propria della natura integra e perfetta, ut verus homo probaretur,
74 Summa theologica, l. III, pars prima, inq. un., tr. III, q. II, c. I, s.c. 2, p. 164: «… si in Christo non esset nisi scientia increata, non esset anima Christi sciens, cum scientia animae, qua scit formaliter, sit creata;
eadem ratione, nec esset diligens nec beata; relinquitur igitur quod ipsa est sciens scientia creata».
75 Summa theologica, l. III, pars prima, inq. un., tr. III, q. II, c. I, ad secundum, p. 164: «… quamvis Christus homo una sit persona cum Filio Dei - propter personalem unionem est sciens scientia increata sicut Filius Dei: unde ratione personae non indigeret alia scientia - tamen ratione personae in humana natura indiget alia scientia, scilicet creata. Non enim debet esse humana natura in Christo imperfecta, quod consequetur, si careret scientia creata, sed perfectior debet esse in ipso natura omnibus aliis; ideo omni genere sciendi scientia creata oportet quod sit perfecta illa anima».
43
sia di una scienza fondata sull‟esperienza, al fine di redimere il genere umano per sensum poenae et experientiam
76.
Quanto all‟argomento dei lumina, poi, l‟autore sostiene che, mentre nel caso dei lumina corporalia la luce minore viene sempre e necessariamente offuscata e assorbita dalla luce più grande in quanto ordinata al medesimo atto (cioè la manifestatio), nel caso dei lumina spiritualia non è sempre così, almeno nell‟ambito della conoscenza propria del viatore:
… in spiritualibus non sic; non enim omnia lumina spiritualia sunt ad unum actum. Distinguendum tamen est secundum statum comprehensoris et viatoris. Viatoris enim non est unus actus, sed plures; unde lumina plura virtutum seu donorum in viatore non sunt ad unum actum, et inde est quod non est eadem cognitio secundum speciem per illa. In statu vero comprehensoris in quantum comprehensoris, non est nisi unus actus, qui determinatur secundum summum luminis et totalitatem virtutis eius, lumen scilicet divinae visionis in gloria. Secundum hoc ergo dicere volunt quod aliae cognitiones, quae sunt secundum minora lumina, scilicet fides et huiusmodi, absorbentur, et secundum hoc accipitur illud quod dicitur:
Cum venerit quod perfectum est etc.
77.
76 Summa theologica, l. III, pars prima, inq. un., tr. III, q. II, c. I, ad tertium, p. 164: «… duplex est necessitas vel indigentia: una quidem est rei in se, altera est respectu finis, quae quidem necessitas idem est quod utilitas, prout necessarium dicitur utile in uno sensu. Dicendum ergo quod Christus homo, habens scientiam unionis et comprehensionis, propter se non indiget altero modo sciendi. Sed quia assumpsit humanam naturam ut genus humanum per verum hominem redimeret, respectu istius finis necessaria erat duplex in Christo scientia, naturalis scilicet et scientia experientiae: scientia naturalis sive naturae integrae et perfectae, ut verus homo probaretur; scientia vero experientiae, ut genus humanum per sensum poenae et experientiam redimeretur. Et huiusmodi scientiae utiliores sunt sive magis convenientes fini praedicto, quamvis aliae simpliciter meliores». Come l‟autore asserisce in quest‟ultima parte del brano, le ultime due espressioni della scienza creata (scienza naturale e scienza sperimentale) si qualificano come più utili o più convenienti rispetto al fine dell‟incarnazione, per quanto la scienza di unione e la scienza di comprensione siano in senso assoluto migliori. Si noti inoltre che la scienza sperimentale si qualifica nel Cristo come scientia non experientiae culpae, sed tantum poenae (cfr.
Summa theologica, l. III, pars prima, inq. un., tr. III, q. II, c. I, s.c. 3, p. 164). Più avanti si avrà modo di spiegare che cosa questo comporti.
77 Summa theologica, l. III, pars prima, inq. un., tr. III, q. II, c. I, ad quartum, p. 164. Cfr. DIONYSIUS PS. AREOPAGITA, De divinis nominibus, c. II, n. 4, ed. B.R.SUCHLA, in Corpus Dionysiacum, t. I, Berlin-New York 1990, pp. 127-128.
44
Mentre nel viatore ciascuno dei molteplici lumina virtutum seu donorum è ordinato a un atto specifico e differente dagli altri, nello stato del comprensore vi è un solo atto, determinato dal lumen della visione di Dio nella gloria - che non solo è il più grande, ma si dà anche al massimo della sua potenza: per questo motivo le forme di conoscenza determinate da lumina minori - si pensi, ad esempio, alla fede - vengono da esso assorbite. Un fenomeno, questo, che non riguarda minimamente le scienze di cui il Cristo è dotato in quanto viator, dal momento che egli partecipa dello stato del viatore e di quello del comprensore secondo parti differenti dell‟anima (rispettivamente secondo la parte inferiore e secondo la parte superiore):
Christus autem erat in statu comprehensoris simul et viatoris secundum partes animae differentes, superiorem et inferiorem, et ideo scientia comprehensionis non absorbebat alias scientias
78.
Una volta esaurita l‟analisi dei rapporti tra forme di conoscenza superiori e inferiori, l‟autore apre un esteso capitolo dedicato al tema del profectus conoscitivo del Cristo, la cui presenza, lungi dall‟esaurirsi entro i confini di questo frammento di testo, serpeggia carsicamente lungo tutta la restante parte della quaestio
79. Come tutti i suoi contemporanei, di fronte alla domanda se la scienza sia stata infusa nel Cristo ab initio suae conceptionis o, al contrario, acquisita per successionem temporis, l‟autore della Summa halensis risponde elencando e descrivendo le varie forme di conoscenza in lui rinvenibili, al fine di mostrare in che misura e a quale livello si possa parlare in riferimento alla natura umana del Figlio di Dio di una qualche forma di progresso.
Poiché, come anticipato nel capitolo precedente, l‟enumerazione delle espressioni che la conoscenza assume nel Cristo è identica a quella presente nella XLII quaestio disputata de scientia Christi di Alessandro di Hales, mi limiterò qui a riassumerla brevemente
80.
Al modus sciendi secundum divinam naturam si affianca in primo luogo la scienza secundum gratiam unionis, che ha per oggetto tutto ciò che riguarda il mistero dell‟incarnazione, della passione e della redenzione e si configura come un privilegio esclusivo dell‟anima del Verbo incarnato. A queste modalità di conoscenza si
78 Summa theologica, l. III, pars prima, inq. un., tr. III, q. II, c. I, ad quartum, p. 164.
79 Cfr. Summa theologica, l. III, pars prima, inq. un., tr. III, q. II, c. II, pp. 165-168.
80 Cfr. ALEXANDER DE HALES, Quaestio XLII, n. 16, resp., pp. 717-718.
45
aggiungono la scienza secundum gratiam comprehensoris, propria degli angeli e dei beati, che consente al Cristo uomo di conoscere tutto ciò che riguarda la sua gloria e suorum, id est eorum, quae ordinantur ad illam
81; e la scienza secundum naturam integram animae, che lo accomuna ad Adamo nello stato di innocenza e che egli possiede più perfettamente di qualunque altro uomo. A conclusione dell‟elenco compaiono ancora una volta le due declinazioni, affettiva e cognitiva, della conoscenza sperimentale: da una parte, la scienza secundum poenalem naturam assumptam, con cui il Cristo apprende le pene conseguenti all‟assunzione della carne secondo una forma di
„esperienza affettiva‟
82- pur essendone già a conoscenza in virtù della grazia di unione;
dall‟altra, quel modus cognitionis con cui egli conosce mediante i sensi secondo una forma di „esperienza cognitiva‟, frutto di una grazia speciale che gli permette a principio di cogliere le cose secundum numerum e secundum progressum temporis
83. La cognitio in sensu per experientiam, infatti, si configura come duplice, a seconda che la cosa percepita sia presente nel senso secundum similitudinem (come nel caso del colore nell‟occhio) o secundum formam (come nel caso del dolore):
Notandum autem quod est duplex cognitio in sensu per experientiam;
cognitio enim in sensu est duobus modis: uno modo cum res est in sensu secundum similitudinem; alio modo cum est in sensu secundum
81 Così recita il testo della Summa halensis. Come già evidenziato nel capitolo precedente, nella XLII quaestio disputata „antequam‟, compare l‟espressione suorum, id est eorum qui ad illam ordinantur (cfr.
ALEXANDER DE HALES, Quaestio XLII, n. 16, resp., p. 717).
82 Si ricordi che questa espressione non compare nel testo, dove invece figura la locuzione «experientia in affectiva» o «experientia affectivae» (contrapposta a «experientia cognitivae»).
83 Circa la dimensione temporale e il carattere successivo della scienza sperimentale (come della scientia integrae naturae), cfr. Summa theologica, l. III, pars prima, inq. un., tr. III, q. II, c. V, II, resp., p. 166, dove queste due forme di conoscenza, come già nella riflessione di Alessandro di Hales, vengono presentate come contrapposte alla scientia secundum gratiam unionis e alla scientia comprhensionis, in cui il decursus dell‟atto conoscitivo (che pure procede sempre dal già noto) è sostituito dall‟unus aspectus della contemplazione della causa di tutte le cose (e dunque di tutte le cose medesime). La stessa conflittualità di ordini temporali si percepisce là dove l‟autore, sulla scorta dell‟auctoritas del Damasceno (De fide orthodoxa, c. 36, pp. 132-142 e c. 58, pp. 213-227), si interroga sulla presenza nell‟anima di Cristo di una scienza deliberativa. Ancora una volta, propriamente parlando - e cioè se con consilium s‟intende l‟appetitus inquisitionis eius quod ignoratur e con electio la praeoptio proveniens ex huiusmodi consilio - la risposta non può essere che negativa; viceversa, se si considera il consilium come la discretio interna boni a malo e l‟electio come la praeoptio boni, si può concludere che nel Cristo è presente una forma di deliberazione (cfr. Summa theologica, l. III, pars prima, inq. un., tr. III, q. II, c. V, I, resp., p.
166). Per un‟analisi più dettagliata della distinzione interna alla scienza sperimentale (ma anche, più in generale, di tutta l‟enumerazione qui esposta), si veda il capitolo dedicato ad Alessandro di Hales.
46
formam: aliter enim est similitudo coloris in oculo, alter dolor. Et secundum hoc duplex est cognitio in Christo secundum experientiam;
prima quantum ad naturam poenalem, secunda quantum ad specialem gratiam cognoscendi res secundum numerum per processum temporis
84.
In ogni caso, l‟ignoranza, qualificata come defectus perfectionis, è del tutto esclusa dalla psicologia del Cristo, conseguentemente privata anche di qualsiasi forma di progresso reale: l‟unico profectus ammesso nell‟anima del Verbo incarnato è quello proprio di colui che attraverso i sensi giunge a conoscere diversamente - per experientiam, appunto - ciò che già conosceva in modo più nobile e perfetto, non aggiungendo conoscenza a conoscenza, ma giustapponendo una conoscenza meno nobile e soggetta al processo del tempo a una conoscenza già di per sé piena e non suscettibile di incremento
85. In altri termini, nel Cristo si dà solo quella forma di cognitio experientiae che, lungi dal costituirsi per via acquisitiva, si definisce «in via exercitii practicae, sicut cum aliquis habet theoricam medicinae, experitur et proceditur in operibus practicae»: infatti, mentre il processo a cognito hoc modo ad incognitum secundum alium modum (o ab huiusmodi scientia ad alterius modi scientiam) è proprio della natura perfetta di Adamo prima della caduta, il processo ab incognito ad cognitum (o ab ignorantiam ad scientiam) afferisce alla natura corrotta e imperfetta
86.
84 Summa theologica, l. III, pars prima, inq. un., tr. III, q. II, c. II, resp., p. 166. Cfr. AUGUSTINUS HIPPONENSIS, De quantitate animae, c. XXIII, n. 42, ed. W.HÖRMANN, CSEL 89, Wien 1986, p. 182-184.
85 Summa theologica, l. III, pars prima, inq. un., tr. III, q. II, c. II, ad obiecta, p. 166-167: «Nota tamen quod, si quandoque novit primo modo quod prius non novit illo eodem modo, non debet propter hoc dici ignorantia. Ignorantia enim dicitur esse alicuius quod prius non fuit cognitum et de his quae necessaria sunt; sed talis non fuit in Christo. Non enim potest dici quod aliquid modo novit quod non prius, quia sensibilia, quae addidicit per experientiam, prius novit per modum nobiliorem et perfectiorem; ignorantia autem est defectus perfectionis».
86 Summa theologica, l. III, pars prima, inq. un., tr. III, q. II, c. II, ad octavum, p. 167: «… duplex est cognitio experientiae; una per viam acquisitionis scientiae, secundum quod ex multis memoriis colligitur unum experimentum et ex multis experimentis unum universale, quod est principium scientiae; alia est in via exercitii practicae, sicut cum aliquis habet theoricam medicinae experitur et procedit in operibus practicae. In prima via est motus ab incognito ad cognitum; in secunda vero est motus non ab incognito ad cognitum, sed a cognito hoc modo ad incognitum secundum alium modum … Prima via est imperfectionis naturae, quia est motus ab ignorantia ad scientiam; et ideo non est ponenda in Christo.
Secunda vero via est perfectionis naturae nec secundum eam est motus ab ignorantiam ad scientiam, sed ab huiusmodi scientia ad alterius modi scientiam. Praeterea, venire a posterioribus in priora, est secundum
47
Nel Cristo è dunque assente quella conoscenza sperimentale che attraverso i sensi muove verso l‟acquisizione di nuovi dati conoscitivi. Propriamente parlando, egli è privo anche della conoscenza vespertina che si rinviene negli angeli, dal momento che questo tipo di scienza, che ha come oggetto le cose in se stesse, si configura come discontinuo, recando in sé, come suggerisce il termine stesso, la possibilità dell‟oscurità.
Una possibilità che nel Verbo incarnato è assolutamente negata, in virtù del ruolo svolto dalla grazia di unione: e così, la conoscenza delle cose in genere suo non può mai convertirsi in cognitio vespertina, a meno che la possibilitas ad obscuritatem non venga per così dire aggiunta dall‟esterno
87.
La preoccupazione che anima tutta questa sezione di testo e che, non a caso, viene assunta a oggetto del capitolo seguente - dopo essere già stata trattata in maniera analoga nella parte dedicata alle passioni - è rappresentata dalla questione dell‟ignoranza
88. Agli occhi del nostro autore (come a quelli dei suoi contemporanei), l‟ignoranza si configura come un difetto del tutto sui generis, in quanto relativo alla parte cognitiva dell‟anima e, come tale, non solo inutile, ma addirittura nocivo, diversamente dalle imperfectiones della parte affettiva, quali la tristitia o il timore, che il Verbo incarnato ha assunto dispensative e secundum congruitatem redemptionis
89. Come insegna Anselmo d‟Aosta nel Cur Deus homo, infatti, il Cristo non potrebbe portare a compimento la sua missione salvifica senza l‟immensa sapienza di cui è
naturam corruptam et imperfectam; e converso venire est secundum naturam perfectam in primo statu, et ita fuit in Christo». Si noti che, in seguito alla separazione dell‟anima dal corpo, anche questa seconda forma di conoscenza sperimentale, per quanto più perfetta della prima, è destinata a venire meno ratione eius imperfectionis: post separationem, infatti, l‟anima beatificata del Cristo non conosce alcuna passione sensibile (cfr. ivi, l. III, inq. un., tr. III, q. II, c. V, III, pp. 170-171). Si osservi che, quando si trova ad affrontare il passo del De incarnationis dominicae sacramento in cui Ambrogio sostiene la tesi del progresso conoscitivo del Cristo uomo (liber unus, c. 7, nn. 71-74, CSEL 79, pp. 260-262), l‟autore non fa alcun riferimento alla nozione di scienza sperimentale, limitandosi a richiamare l‟interpretazione lombardiana (cfr. Summa theologica, l. III, pars prima, inq. un., tr. III, q. II, c. III, ad primum, p. 169:«Ad auctoritatem Ambrosii respondet Magister, in Sententiis, exponendo dicens quod intelligenda sunt verba Ambrosii “ut quantum ad visum hominum et sui sensus ostensionem profecisse dicatur”»; cfr.
anche ivi, l. III, inq. un., tr. I, q. IV, tit. I, m. II, c. I, a. I, ad primum, pp. 62-63).
87 Summa theologica, l. III, pars prima, inq. un., tr. III, q. II, c. II, ad nonum, pp. 167-168, dove si rinviene la medesima posizione enunciata da Alessandro di Hales nella Quaestio XLII (riportata quasi alla lettera).
Cfr. ALEXANDER DE HALES,Quaestio XLII, m. 2, n. 24, pp. 720-721).
88 Si noti che la questione dell‟ignoranza del Cristo si rinviene pressoché identica là dove l‟autore si interroga su quali difetti ex parte animae siano stati assunti dal Cristo: cfr. Summa theologica, l. III, pars prima, inq. un., tr. I, q. IV, tit. I, m. II, c. I, a. I, pp. 62-63.
89 Summa theologica, l. III, pars prima, inq. un., tr. III, q. II, c. II, ad sextum, p. 167.
48
dotato, tanto che, sulla scorta dell‟auctoritas del Doctor Magnificus, è possibile affermare con certezza che nella sua anima è del tutto assente qualsiasi forma di ignoranza, sia rispetto al bene sia rispetto al male (giacché non è possibile conoscere il bene se non si è in grado di discernerlo dal male)
90.
Del resto, l‟ignoranza non si presenta soltanto come un difetto indegno e sconveniente in relazione alla natura perfetta del Cristo
91e al fine salvifico della sua missione; secondo Alessandro, la sua presenza nell‟anima del Verbo incarnato non ha alcuna ragion d‟essere, configurandosi come ingiustificata e priva di senso. A questa conclusione l‟autore giunge mediante un ragionamento piuttosto lineare e conseguente:
Item, si aliquis oculus haberet similitudines omnium visibilium unitas, virtus visiva iuncta illi oculo haberet cognitionem omnium sensibilium; ergo, cum intellectus animae Christi sit iunctus intellectui creato, in quo rationes et ideae rerum omnium sunt, intellectus Christi habebit cognitionem omnium sine ignorantia alicuius
92.
Come un occhio in cui sono presenti le similitudines di tutte le cose visibili fa sì che la virtus visiva ad esso unita conosca tutti gli enti sensibili, così l‟intelletto del Cristo - in quanto unito all‟intelletto increato, in cui sono presenti le idee e le rationes di tutte le cose - è dotato di una conoscenza onnicomprensiva e necessariamente privo della benché minima ignoranza. Del resto, se non v‟è traccia d‟ignoranza al livello della conoscenza di comprensione, a maggior ragione essa sarà del tutto assente al livello superiore della scienza di unione:
Item, maior est cognitio creaturae per unionem quam per comprehensionem; si ergo in cognitione, quae erit per
90 Summa theologica, l. III, pars prima, inq. un., tr. III, q. II, c. II, ad quintum, p. 167, dove viene citato ANSELMUS CANTUARIENSIS, Cur Deus homo, l. II, c. 13, p. 112.
91 A questo proposito, si veda come viene interpretato il passo del De fide orthodoxa in cui il Damasceno sembra attribuire al Cristo una natura servile e ignorante (IOHANNES DAMASCENUS, De fide orthodoxa, c.
65, n. 1, p. 261): «… servilis dicitur ratione peccati; sed sic non fuit in eo servilis, sed servilis ratione poenae, ad quam obligata fuit humana natura propter peccatum. Quod vero dicitur ignorans, hoc refertur ad genus naturae, non ad naturam, prout fuit in Christo; ipse enim dicitur filius, non servus» (Summa theologica, l. III, pars prima, inq. un., tr. III, q. II, c. I, ad quintum, p. 167).
92 Summa theologica, l. III, pars prima, inq. un., tr. III, q. II, c. III, s. c. 6, p. 168.