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Tommaso d’Aquino

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unum tantum, sicut una immensitas et una anima. Si autem ad utramque, sic quia naturae in Christo sunt integrae, oportet ponere talia esse duo, sicut duas voluntates, duo libera arbitria. Unde cum scientia pertineat ad divinam naturam et humanam, oportet in Christo ponere duas scientias, unam creatam, et aliam increatam

283

.

Alla scienza divina, dunque, se ne affianca una creata, nella struttura e nel funzionamento simile - ma non uguale - a quella degli altri uomini: una scienza che si configura come non solo conveniente alla perfezione del Cristo, ma addirittura necessaria, nonostante si tratti di una forma di conoscenza incompleta, incommensurabilmente inferiore alla perfettissima scientia divina. Questo si verifica perché la natura umana non viene portata formaliter a perfezione mediante la scienza divina

284

; al contrario, è la creata cognitio la perfectio od operatio dell‟anima di Cristo, la qual cosa non implica che, in senso assoluto, la scienza creata sia in lui più degna della stessa anima razionale – di cui, sottolinea Tommaso, non esiste nulla di più perfetto

285

. Stabilendo una proporzione suggerita dalla risposta a una delle obiezioni, si potrebbe affermare che nel Verbo incarnato l‟anima sta alla scienza creata come in lui il corpo sta al suo colore: se è pur vero che simpliciter, in assoluto, il corpo di Cristo è più degno del colore che lo caratterizza, non si può negare tuttavia che secundum quid esso sia da considerarsi come ontologicamente superiore, poiché, in quanto forma accidentale del corpo, «se habet ad ipsum sicut actus ad potentiam»

286

; e, per analogia, questo vale anche per i primi due termini della relazione.

Una volta dimostrata l‟esistenza nel Cristo di una scienza creata, Tommaso cerca di definirne le caratteristiche a partire da un‟indagine intorno al suo intelletto possibile.

283 THOMAS DE AQUINO, Commentum in tertium librum Sententiarum, d. XIV, q. I, a. I, qc. I, sol., in Opera omnia, t. VII/2, Parma 1858, pp. 148-149.

284 THOMAS DE AQUINO, In III Sent., d. XIV, q. I, a. I, qc. I, ad primum, p. 149: «Ad primum ergo dicendum, quod scientia est de his quae consequuntur humanam naturam secundum animam, quae est pars ejus: unde licet in Christo sit scientia divina, quae est perfectissima; tamen ea non formaliter perficitur humana natura; et ideo oportet creatam cognitionem vel scientiam in ea ponere».

285 THOMAS DE AQUINO, In III Sent., d. XIV, q. I, a. I, qc. I, arg. 2, p. 147: «Cum igitur nihil creatum sit nobilius anima Christi …».

286 THOMAS DE AQUINO, In III Sent., d. XIV, q. I, a. I, qc. I, ad tertium, p. 149: «… nihil prohibet aliquid esse dignius alio secundum quid, quod est indignius simpliciter: sicut etiam color corporis Christi secundum quid est dignior ipso corpore, inquantum se habet ad ipsum sicut actus ad potentiam, cum sit forma accidentalis ipsius: tamen corpus Christi est dignius simpliciter: et similiter se habet scientia creata ad animam Christi».

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Come si legge nel respondeo alla seconda quaestiuncula, non è pensabile una potenza passiva capace di attualizzarsi (in actum exire) senza l‟intervento del suo principio attivo (forma activi), dal momento che nulla agisce se non in atto. Ora, le impressioni dei principi attivi agiscono secondo due modalità differenti, vale a dire sotto forma di passione (mentre la potenza passiva è in fase di trasformazione) o in quanto qualità e forma (quando l‟impressione del principio attivo connaturale a quello passivo è già stata fissata). Il primo caso è quello del senso:

Sensus autem potentia passiva est: quia non potest esse in actu omnium ad quae se extendit sua operatio per naturam potentiae: non enim potest esse aliquid quod actu habeat omnes colores: et sic patiendo a coloribus fit in actu, et eis assimilatur, et cognoscit eos

287

.

Il senso non può essere in atto quanto a tutti gli enti ai quali la sua operazione si estende in potenza; nella fattispecie, la vista, elemento passivo, non può avere in atto tutti i colori. Perciò i colori, resi visibili in atto dalla luce

288

, fungono da principi attivi, imprimendosi per modum passionis nell‟organo di senso e attualizzando mediante la loro presenza il senso medesimo.

Analogamente, anche l‟intelletto, essendo un ente finito, non può essere in atto quanto ad ogni entità; di qui la necessità di un intelletto che sia una potenza passiva o ricettiva, cioè di un intelletto possibile che per operare necessita di un principio attivo capace di attualizzarlo. Tuttavia, a differenza di quanto accade nel senso, che non percepisce se non in presenza dell‟oggetto sensibile, è necessario che tale principio attivo agisca non solo sotto forma di passione, ma anche in quanto qualità o forma connaturale perfetta, cioè sotto forma di un habitus costituito dal lume intellettuale e dalla specie intelligibile di quegli enti conoscibili mediante la specie

289

.

287 THOMAS DE AQUINO, In III Sent., d. XIV, q. I, a. I, qc. II, sol., p. 149. Per la distinzione tra passio e passibilis qualitas, cfr. ARISTOTELE, Categoriae, c. 8 (9a 28-10a 10).

288 Nel processo percettivo la luce funge da primum agens et movens, mentre il colore, secondo principio attivo, funge da movens motum, in quanto attualizzato a sua volta dalla luce.

289 L‟abito, a differenza della passione, ha un effetto durevole, prolungato nel tempo, tanto da risultare difficile mobilis: così l‟uomo può servirsene in ogni momento, traendone piacere.

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L‟intelletto del Cristo, dunque, proprio in quanto sommamente perfetto, presenta le stesse dinamiche dell‟intelletto umano

290

. Vi sono però creature - gli angeli - che, proprio in virtù della loro perfezione, nella conoscenza delle cose naturali non hanno bisogno di alcun abito o, più correttamente, non necessitano di un lume naturale che permetta loro di astrarre le specie dai fantasmi, dal momento che queste sono in loro innate

291

. Tuttavia, spiega Tommaso, la superiorità dell‟anima di Cristo rispetto agli angeli non deriva dalla natura dell‟anima medesima (altrimenti qualsiasi anima sarebbe superiore all‟angelo)

292

, bensì dall‟unione ipostatica: per questo è possibile affermare che «omnia quae superadduntur a Deo in anima Christi et in Angelis, sunt eminentius in anima Christi quam in Angelis»

293

.

Allo stesso modo, è sbagliato inferire l‟inesistenza nel Cristo di una scienza abituale a partire dalla superiorità della sua anima rispetto all‟intelletto agente di ogni altro uomo, che, com‟è noto, non ricorre ad alcun abito. Nell‟atto conoscitivo, infatti, l‟intelletto svolge un duplice ruolo: da una parte assimila a sé le cose materiali, rendendole in qualche modo immateriali attraverso un processo di astrazione; dall‟altra, si rende simile alle cose da pensare in modo da avere di ciascuna di esse una conoscenza determinata. Mentre nel primo caso è sufficiente che l‟elemento assimilante abbia in atto l‟unica forma secondo la quale sussiste la somiglianza - si pensi al fuoco, che, mediante il calore, assimila a sé molte cose -, nel secondo la relazione è, per così dire, rovesciata, giacché un essere, per rendersi simile a molti esseri, deve possederne in atto le rispettive forme, al pari di una parete recante le immagini di molte cose. Ora, spiega Tommaso, l‟intelletto agente si qualifica come una facoltà assolutamente attiva, dal momento che opera - cioè assimila le cose a sé, rendendole intelligibili - attraverso il solo lume che esso ha in atto, senza l‟intervento di alcun abito. Tuttavia, l‟essenza dell‟anima umana - e, dunque, anche quella del Cristo - è limitata; per questo motivo non riesce a rendersi simile a tutte le quidditates delle cose conosciute senza ricevere

290 THOMAS DE AQUINO, In III Sent., d. XIV, q. I, a. I, qc. II, sol., p. 149: «Quia igitur intellectus Christi perfectissimus fuit in cognoscendo, oportebat quod in Christo habitus esset quo cognosceret».

291 L‟angelo ha tuttavia bisogno dell‟abito nella misura in cui necessita della specie delle cose, in quanto dotato di un essere limitato. Per questo, spiega Tommaso, nel Liber de Causis si legge che ogni intelligenza è piena di forme (cfr. THOMAS DE AQUINO, In III Sent., d. XIV, q. I, a. I, qc. II, ad primum, p.

149; Liber de Causis, pr. IX [X], 92, p. 70).

292 Analogamente il corpo del Cristo trae la propria superiorità rispetto all‟anima umana non ex natura corporis, ma ex unione; cfr. THOMAS DE AQUINO, In III Sent., d. XIV, q. I, a. I, qc. II, ad primum, p. 149.

293 THOMAS DE AQUINO, In III Sent., d. XIV, q. I, a. I, qc. II, ad primum, p. 149.

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qualcosa da un‟altra parte. Di qui l‟intervento dell‟intelletto possibile, una facoltà esclusivamente ricettiva, che, operando mediante un abito, consente che il processo conoscitivo venga portato a compimento attraverso l‟assimilazione dell‟anima intellettiva alle forme degli enti conosciuti

294

.

Dunque, anche nel Cristo l‟intelletto possibile si configura come una facoltà necessaria e necessariamente abituale, che, per quanto in assoluto sia più nobile dell‟intelletto agente degli altri uomini in virtù dell‟unione, tuttavia è - al pari del senso - inferiore all‟intelletto agente in quanto potentia (ex ratione potentiae).

A questo punto Tommaso affronta la questione delle modalità con cui l‟anima del Verbo incarnato conosce il Verbo e le cose nel Verbo. Diverse sono le domande al riguardo: Cristo conosce il Verbo mediante un abito? Se sì, tale abito si identifica con quello attraverso cui si compie la conoscenza delle cose nel Verbo? Infine, è necessario porre una scienza delle cose diversa da quella con cui esse vengono conosciute nel Verbo?

La conoscenza dell‟essenza del Verbo solleva alcuni importanti problemi, dal momento che si tratta di una forma di scienza sui generis, in cui non vi può essere un abito quanto alla specie che funga da similitudo cogniti. Questo accade perché l‟essenza

294 THOMAS DE AQUINO, In III Sent., d. XIV, q. I, a. I, qc. II, ad secundum, pp. 149-150: «… anima intellectiva comparatur ad res intelligendas dupliciter. Uno modo ut faciens eas intelligibiles actu: quia non omnes res, prout sunt in sua natura, sunt actu intelligibiles; sed solum res immateriales; unde et res materiales intelligibiles efficiuntur per hoc quod abstrahuntur a materia particulari et a conditionibus ejus, ut sic quodammodo intellectui, qui immaterialis est, assimilentur. Alio modo comparatur ad res ut cognoscens eas; et secundum hoc oportet quod sit similis ipsis rebus, ut per propriam rationem cujuslibet rei de ea determinatam cognitionem habeat. Ad hoc autem quod aliquid assimilet sibi multa, sufficit quod habeat in actu illam solam formam secundum quam dicitur esse similitudo; sicut per calorem, ignis multa sibi assimilat: sed ad hoc quod aliquid sit simile multis, oportet quod actu omnium illorum multorum formas habeat; sicut si in pariete sint diversarum rerum similitudines. Et ideo anima intellectiva potest facere omnia intelligibilia per unam naturam luminis quam actu habet, sine hoc quod aliquid aliud ab alio recipiat; et ideo potentia quae haec efficit, est simpliciter activa, et dicitur intellectus agens, qui non operatur aliquo habitu mediante. Sed cum essentia animae sit limitata, non potest per eam assimilari omnibus quidditatibus rerum intellectarum: unde oportet quod ista assimilatio compleatur per hoc quod aliquid aliunde recipit: et ideo potentia qua perficitur, quasi passiva est, secundum quod omne recipere dicitur pati, et vocatur possibilis intellectus qui operatur aliquo habitu mediante. Quamvis autem possibilis intellectus in Christo sit nobilior simpliciter ex unione, quam intellectus agens in nobis, tamen non est nobilior ex ratione potentiae; sicut nec sensus ejus nobilior est intellectu nostro ex ratione potentiae. Unde non sequitur quod si intellectus agens in nobis non est subjectum alicujus habitus, nec possibilis intellectus in Christo». Un‟agevole sintesi della teoria tommasiana della conoscenza e, in particolare, della funzione dell‟intelletto agente e dell‟intelletto possibile si può rinvenire in H.-D.

GARDEIL, Initiation à la philosophie de S. Thomas d‟Aquin, t. III, Paris 1953, pp. 94-104.

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divina non può essere rappresentata perfettamente da alcuna creatura, a causa dell‟infinita distanza che separa il soggetto conoscente dall‟oggetto conosciuto: di conseguenza, nessuna anima è in grado di vedere l‟essenza del Verbo, come l‟occhio, che, mediante la rappresentazione del colore, non vede la luce, ma soltanto quella obumbrata participatio lucis presente nel colore. In altri termini, perché si possa parlare di visione del Verbo, deve venir meno uno dei due elementi costitutivi dell‟habitus, vale a dire la similitudo, causa di una rappresentazione necessariamente imperfetta; e così Tommaso conclude che «anima Christi et quaelibet alia anima quae videt Verbum per essentiam, non videt ipsum mediante aliqua similitudine»

295

.

Per quanto riguarda il secondo componente dell‟habitus, cioè il lumen, l‟Aquinate spiega che «non potest … in illa visione esse habitus quantum ad effectum lucis intellectualis , cujus est intelligibilia facere in actu»

296

: le res immateriales, infatti, sono secundum se intelligibili in atto, cosicché viene meno quella funzione del lumen intellectuale che consiste nell‟attualizzare gli intelligibili. Il ruolo dell‟habitus - e del lumen in particolare - rimane tuttavia indispensabile, dal momento che, in sua assenza, l‟intelletto possibile non potrebbe conoscere alcunché. Nella visione dell‟essenza divina, però, questo compito viene assolto dal lumen gloriae, essendo il solo lumen naturae del tutto insufficiente:

Sed quia illa visio excedit omnem facultatem naturae creatae, ideo ad illam visionem non sufficit lumen naturae, sed oportet ut superaddatur lumen gloriae

297

.

Una volta dimostrato che il Cristo necessita di un abito per conoscere il Verbo a causa della limitatezza dei suoi mezzi naturali, Tommaso cerca di spiegare come la sua anima conosca il Verbo e le cose nel Verbo mediante il medesimo habitus scientiae. Il respondeo a questa quaestiuncula è piuttosto breve: non è necessario porre abiti diversi, dal momento che «illud in quo aliquid videtur, est ratio cognoscendi illud quod in eo

295 THOMAS DE AQUINO, In III Sent., d. XIV, q. I, a. I, qc. III, sol., p. 150. Sulle dinamiche della visio Dei per essentiam in Tommaso d‟Aquino, cfr. J.-P.TORRELL, “La vision de Dieu per essentiam selon Saint Thomas d‟Aquin”, in Micrologus, 5 (1997), pp. 43-68.

296 THOMAS DE AQUINO, In III Sent., d. XIV, q. I, a. I, qc. III, sol., p. 150.

297 THOMAS DE AQUINO, In III Sent., d. XIV, q. I, a. I, qc. III, sol., p. 150.

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videtur» e la ratio cognoscendi si identifica con la forma della cosa in quanto è conosciuta, diventando unum cognitum con essa

298

. Ecco allora che una sola è anche la conoscenza con cui si conoscono il Verbo e le cose nel Verbo, sia secondo l‟abito sia secondo l‟atto.

Particolarmente interessante è la riflessione condotta dall‟Aquinate intorno all‟analogia dello specchio presentata nel primo argomento

299

. Sembra che, quando si guarda qualcosa riflesso in uno specchio, si imprimano in chi osserva non soltanto la similitudo dello specchio, ma anche le specie delle cose in esso riprodotte; fenomeno, questo, che dovrebbe verificarsi anche durante la contemplazione del Verbo, nel quale è possibile conoscere le specie di tutte le cose. Di primo acchito si sarebbe portati a credere che ad ognuna di queste due forme di conoscenza (dello specchio e delle specie delle cose riflesse nello specchio; del Verbo e delle similitudines delle cose viste nel Verbo) debba corrispondere un abito specifico. In realtà, spiega Tommaso, quando guardiamo qualcosa in uno specchio, la specie dell‟oggetto riflesso è impressa in noi non dal senso, ma dallo specchio medesimo, la cui specie racchiude, ingloba quella dell‟oggetto conosciuto.

Lo stesso si può dire della visione del Verbo e delle cose nel Verbo, sebbene i due esempi non corrispondano perfettamente: come si è detto, infatti, la visione del Verbo avviene senza la mediazione di alcuna similitudo, ma direttamente per essentiam. In ogni caso, è possibile affermare che l‟essenza del Verbo svolge qui la stessa funzione della specie che lo specchio imprime nella vista: le cose nel Verbo vengono conosciute tramite l‟essenza stessa del Verbo, che opera come una forma per l‟anima conoscente

300

.

298 Come scrive Aristotele, citato nel primo sed contra: «ubi unum propter alterum, ibi tantum unum».

Cfr. ARISTOTELE, Topica, l. III, c. 3 (119a 27-28). Analogamente, là dove c‟è un solo atto, c‟è anche un solo abito: cfr. THOMAS DE AQUINO, In III Sent., d. XIV, q. I, a. I, qc. IV, s.c. 2, p. 148.

299 THOMAS DE AQUINO, In III Sent., d. XIV, q. I, a. I, qc. IV, arg. 1, p. 148: «Videtur quod oporteat alium habitum scientiae ponere, quo cognoscit verbum, et quo cognoscit res in verbo. Verbum enim repraesentat res quae in eo cognoscuntur, sicut speculum species in eo resultantes. Sed qui videt speculum non tantum imprimitur in eo similitudo speculi, sed etiam rerum similitudines in speculo resultantes. Ergo et in eo qui videt res in verbo, oportet ponere alium habitum specierum rerum visarum in verbo, et ipsius verbi».

Come si è visto, questa analogia è presente anche in Bonaventura.

300 Mi sembra molto significativa la terza obiezione, vertente sul caso del raptus paolino, in cui alla visione delle cose nel Verbo si accompagna la cessazione della visione del Verbo medesimo e che dunque indurrebbe a ritenere che a diverse forme di conoscenza corrispondano abiti diversi. Ecco la risposta di Tommaso: «Ad tertium dicendum, quod sicut abeuntibus rebus sensibilibus remanent impressiones

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Completamente differente è invece il caso della conoscenza delle cose in propria natura. Come Tommaso spiega nel respondeo alla quinta quaestiuncula, è necessario postulare l‟esistenza di una scienza delle cose diversa da quella che il Cristo ha nel Verbo, dal momento che il suo intelletto rimarrebbe imperfetto se in esso non venissero raffigurate le forme delle cose rispetto alle quali l‟intelletto possibile è in potenza:

come Aristotele scrive nel De anima, infatti, «intellectus possibilis est in potentia ad omnia intelligibilia»

301

e ciò che è in potenza a una forma rimane imperfetto se in esso non si realizza quella forma. Ora, come si è approfondito in precedenza, la scienza di visione del Verbo e delle cose nel Verbo si verifica immediatamente attraverso l‟essenza del Verbo, senza l‟intervento di alcuna similitudo. Di qui la necessità di affiancare a questo tipo di scienza una conoscenza delle cose nella loro natura, che, conclude l‟Aquinate, compete al Cristo in quanto uomo, «in solis naturalibus consideratus»

302

. La conoscenza di visione, dunque, non sostituisce o non esclude le forme di conoscenza inferiori, come dimostra il caso degli angeli, in cui la cognitio matutina coesiste con quella vespertina, o quello dei beati

303

: questo accade perché la conoscenza delle cose in propria natura, diversamente dalla fede, non implica alcuna imperfezione nel soggetto conoscente: la sua inferiorità rispetto alla scienza di visione

rerum, secundum quas est imaginatio; ita etiam abeunte verbo, in ipso qui desinit videre verbum, remanet impressio in anima ejus a verbo, per quam cognoscuntur ea quae in verbo viderat per species illarum rerum; et haec erit quasi reliquia praeteritae visionis» (THOMAS DE AQUINO, In III Sent., d. XIV, q. I, a. I, qc. IV, ad tertium, p. 150). Si noti che, in virtù del fatto che il Verbo funge da forma nella visione delle cose che sussistono in lui, l‟anima di Cristo può vedere uno intuitu tutto ciò che il Verbo stesso conosce;

se così non fosse, l‟intelletto del Verbo incarnato non potrebbe conoscere contemporaneamente più cose, poiché dovrebbe assumere la specie di ciascuna delle cose intelligibili. In altri termini, accade nella visione delle cose nel Verbo da parte del Cristo ciò che accade quando un intelletto comune, nel cogliere la quidditas dell‟uomo, intende sia la specie animale sia la specie razionale; oppure quando, nell‟intendere una proposizione, coglie al contempo il predicato e il soggetto, dal momento che li recepisce come una cosa sola (cfr. ivi, a. II, qc. IV, sol., p. 150).

301 Cfr. ARISTOTELE, De anima, l. III, c. 5 (430a 14-15).

302 THOMAS DE AQUINO, In III Sent., d. XIV, q. I, a. I, qc. V, sol., p. 151.

303 THOMAS DE AQUINO, In III Sent., d. XIV, q. I, a. I, qc. V, s.c. 1-2, p. 148: «Sed contra, cognitio matutina in Angelis, qua cognoscunt res in verbo, non excludit vespertinam, qua cognoscunt res in propria natura. Sed anima Christi perfectior est in cognoscendo quam aliquis Angelus. Ergo et ipsa habet duas cognitiones. Praeterea, plus distat a perfectione cognitionis in verbo cognitio sensitiva quam cognitio intellectiva in proprio genere. Sed cognitio in verbo non excludit in Christo sensitivam cognitionem. Ergo multo minus cognitionem rerum in proprio genere»; ivi, ad secundum, p. 151: « … scientia rerum in proprio genere … etiam in beatis est, quamvis sit inferior illa scientia qua videntur res in verbo propter ignobilius medium cognoscendi».

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delle cose nel Verbo dipende esclusivamente dal carattere meno nobile del medium cognoscendi

304

.

Una volta terminate la dimostrazione dell‟esistenza nel Verbo incarnato di una scienza creata e la trattazione della sua articolazione interna, Tommaso si interroga circa la perfezione della scienza umana con la quale il Figlio di Dio vede il Verbo; in particolare il titolo del secondo articolo recita: Utrum anima Christi videndo Verbum comprehendat ipsum

305

.

Innanzi tutto bisogna cercare di comprendere se la scienza di visione del Verbo da parte del Cristo possa qualificarsi come scienza di comprensione e, quindi, è necessario definire questo termine.

In senso proprio è possibile affermare che qualcosa viene compreso solo quando l‟intelletto è in grado di coglierlo in tutta la sua conoscibilità, cioè, come scrive Agostino

306

, quando è in grado di coglierne i confini. Per poter sostenere che Dio conosce se stesso, Tommaso è però costretto a introdurre un‟importante precisazione:

infatti, se comprendere significasse “percepire i limiti della cosa”, allora neanche Dio, essendo infinito, potrebbe conoscere se stesso. Comprehendere, dunque, è da intendersi nel senso di conoscere secondo l‟intera ratio cognoscibilitatis dell‟oggetto conosciuto:

in questo modo, è possibile porre come unica condizione necessaria alla comprehensio l‟adaequatio dell‟efficacia dell‟atto intellettivo all‟essenza della cosa conosciuta. Ora, per svolgere la sua attività, l‟intelletto ha bisogno di due elementi: il lumen intellectuale, strumento dell‟atto intellettivo, e la similitudo rei cognitae, che consente la determinazione dell‟operatio dell‟intelletto in relazione a questa cosa; se anche uno solo di questi elementi non è adeguato all‟essenza della cosa da conoscere, non si verifica quello specifico atto che si qualifica come comprehensio. Più in particolare, se la cosa trascende la similitudo mediante la quale l‟intelletto la conosce, la visione è compromessa dalla mancata determinatio ad rem cognitam dell‟intelletto medesimo, come se, spiega Tommaso, «… species intelligibilis repraesentet hominem inquantum

304 Ammesso, si badi, che si possa parlare di inferiorità: accanto a questa soluzione, Tommaso ne contempla un‟altra, secondo cui un confronto tra gradi diversi di perfezione si può istituire solo tra cose appartenenti alla stessa specie: così, «non … est inconveniens quod in eodem sint perfectiones diversarum specierum, quarum una sit major altera» (THOMAS DE AQUINO, In III Sent., d. XIV, q. I, a. I, qc. V, ad secundum, p. 151).

305 THOMAS DE AQUINO, In III Sent., d. XIV, q. I, a. II, p. 151.

306 Cfr. AUGUSTINUS HIPPONENSIS, Epistula 147, n. 9 (CSEL 44, p. 295).