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Perché l‟anima conosca il Verbo cui è unita, è necessario dunque postulare un altro tipo di unione, che, secondo Bonaventura, può compiersi soltanto attraverso un

Bonaventura da Bagnoregio

3. Perché l‟anima conosca il Verbo cui è unita, è necessario dunque postulare un altro tipo di unione, che, secondo Bonaventura, può compiersi soltanto attraverso un

processo di assimilazione del soggetto conoscente all‟oggetto conosciuto mediante il concorso di un habitus informante l‟anima e di una qualche influenza capace di renderla simile a Dio: la conoscenza del Verbo da parte dell‟anima di Cristo, dunque, si configura come una forma di sapere mediato, che, da una parte, dispone le sue potenze cognitive alla conoscenza e, dall‟altra, le rende conformi al lumen aeternum

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. L‟anima del Cristo, infatti, è certamente dotata di una excellentior et amplior deiformitas et claritas in virtù dell‟assunzione del Verbo ed è dunque capace di una conoscenza più perfetta di qualunque altra anima beata; tuttavia, tale conoscenza non può identificarsi con il Verbo, bensì con un effectus Verbi e, dunque, con un scienza creata

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. È proprio attraverso questa scienza, infatti, che, per influentiam luminis, l‟anima del Cristo viene resa conforme alla divinità e, mediante un processo di informatio, il suo intelletto è correttamente disposto alla conoscenza dell‟oggetto conosciuto: affinché vi sia

probabile quam praedictum, tamen hoc a veritate deviat, si quis intueatur. Verbum enim non unitur animae Christi in illa beata unione sicut cognoscibile cognoscenti vel sicut habitus potentiae vel perfectio perfectibili, sed est unio in unitate personae, quae potest esse absque cognitione, sicut patet n carne Christi, quae unita est Verbo et tamen ipsum non cognoscit». Ciò è dimostrato dal caso dell‟occhio, che non conosce il Verbo, nonostante sia ad esso unito, al pari di qualsiasi altra parte del corpo, dal momento che in esso non è presente la dispositio a conoscere le cose spirituali (cfr. BONAVENTURA,In III Sent., d.

XIV, a. I, q. I, s. c. 3-4, p. 296)

186 BONAVENTURA,In III Sent., d. XIV, a. I, q. I, resp., p. 297: «Alium igitur modum unionis necesse est esse ad hoc quod anima cognoscat Verbum sibi unitum in unitatem personae; hic autem est per assimilationem cognoscentis ad cognitum, et ita per aliquam influentiam quae ipsam animam cognoscentem faciat Deo similem ac deiformem, et ita per aliquem habitum ipsam animam informantem, qui quidem habitus non potest esse nisi aliquid creatum. Nam quid increatum non potest esse ut forma ipsius animae. - Et propterea dicere oportet tertio modo quod anima Christi, sicut et animae aliroum Sanctorum, Verbum increatum cognoscit per sapientiam creatam, quae disponit ipsarum animarum potentias cognitivas et conformes reddit ut illud lumen aeternum cognoscant».

187 BONAVENTURA, In III Sent., d. XIV, a. I, q. I, resp., p. 297: «Quomodo ... potest anima lumen aeternum cognoscere et claritatem summam intueri quin ipsa efficiatur clara et luminosa? Anima autem Christi, quia a Verbo est assumpta, maiorem habet deiformitatem, ac per hoc perfectiorem et eminentiorem cognitionem quam aliqua anima beata per gloriam. - Unde non est intelligendum quod scientia unionis distinguatur a scientia comprehensionis, quasi non sit per aliquem habitum medium, sed quia excellentior et amplior deiformitas et claritas collata est animae Christi ex hoc quod Verbo unita est quam ex hoc quod simpliciter est beata. - Concendendae sunt igitur rationes probantes quod anima Christi cognoscat Verbum cognitione aliqua formaliter, quae, inquam, non est ipsum Verbum, sed effectus Verbi, quam, inquam, Verbum facit in anima Christi beatissima».

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conoscenza, infatti, non è sufficiente l‟unione tra conoscente e conoscibile, ma è indispensabile altresì che questa unione avvenga per modum cognoscentis

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.

Ma come si può definire questo tipo di conoscenza? È possibile attribuire alla cognitio che il Cristo ha del Verbo la qualificazione di comprehensio

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?

Prima di rispondere a queste domande, però, s‟impone la necessità di capire il significato o, meglio, i significati del termine comprehendere. Come Bonaventura scrive in uno degli ad obiecta della quaestio II dell‟articolo I, si possono individuare tre diverse accezioni del termine: prima fra tutte, quella di caritate adhaerere (in questo senso, Bernardo può affermare: «Si sanctus es, comprehendisti»); in secondo luogo, il termine comprehendere può essere usato come sinonimo di clare videre et perfecte amare (in questo modo bisogna intendere Phil 3, 12: Si quo modo comprehendam, in quo et comprehensus sum); infine - e questa è l‟accezione a cui ci si riferisce qui - può significare terminos rei claudere, cioè determinare, conoscere in maniera più che

188 BONAVENTURA, In III Sent., d. XIV, a. I, q. I, ad secundum, p. 298: «… non quaecumque unio cognoscentis ad cognoscibile sufficit ad cognitionem, immo requiritur quoad uniatur per modum cognoscentis… Deus est in omnibus essentialiter et intimus omnibus et tamen a paucis cognoscitur; et ideo, quamvis Verbum increatum sit animae unitum, non tamen cognoscitur per hoc quod unitur in unitatem personae, sed per hoc quod intellectus animae sibi unitae efficitur ei conformis per influentiam luminis». Nel caso del Cristo, poi, la dispositio dell‟intelletto alla conoscenza del Verbo (o conformazione dell‟intelletto al Verbo) si presenta al sommo grado, dal momento che l‟anima di Cristo vede Dio più chiaramente di qualunque altra creatura; a maggior ragione, dunque, è necessario postulare in essa l‟esistenza di un habitus medius capace di elevarla all‟oggetto della conoscenza (cfr.

BONAVENTURA,In III Sent., d. XIV, a. I, q. I, s. c. 4, p. 296). Si osservi che, come Bonaventura fa notare nella risposta alla quarta obiezione, queste riflessioni valgono per l‟anima del Cristo, non per il Cristo, che, in virtù della communicatio idiomatum, conosce il Verbo sapientia increata (cfr. BONAVENTURA,In III Sent., d. XIV, a. I, q. I, ad quartum, p. 298).

189 La bibliografia relativa alla questione della visione beatifica è davvero molto ampia. Si segnalano qui:

H.F.DONDAINE, “L‟objet et le «medium» de la vision béatifique chez le théologiens du XIIIe siècle”, Recherches de Théologie ancienne et médiévale, 19 (1952), pp. 60-130; N.WICKI, Die Lehre von der himmlischen Seligkeit in der mittelalterlichen Scholastik von Petrus Lombardus bis Thomas von Aquin, Freiburg (Schweiz), 1954; L.SWEENEY, “Some Mediaeval Opponents of Divine Infinity”, Mediaeval Studies, 19 (1957), pp. 233-245; L. HÖDL, “«Gottschauen» im theologischen Verständnis des hl.

Bonaventura und die aktuelle Frage der Gotteserfahrung”, Franziskanische Studien, 56 (1974), pp. 164-178; E.-H.WÉBER, Dialogue et dissensions entre Saint Bonaventure et saint Thomas d‟Aquin à Paris (1252-1273), Paris 1974; M.SCHLOSSER, “Lux inaccessibilis. Zur negativen Theologie bei Bonaventura”, Franziskanische Studien, 68 (1986), pp. 1-140; CH. TROTTMANN, La vision béatifique. Des disputes scholastiques à sa définition par Benoît XII, Roma 1995. In questa sede non si affronterà direttamente il problema della visione beatifica di Dio in rapporto alle condanne del 1241-1244, ma ci si limiterà a richiamarlo soltanto nella misura in cui si intreccia con la questione della conoscenza di Dio da parte dell‟anima di Cristo.

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esaustiva e certa, cioè conoscere in maniera proporzionata all‟oggetto conosciuto

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. In questa accezione, infatti, la comprehensio è qualcosa di più della semplice cognitio plenitudinis vel perfectionis: ad essa aggiunge l‟inclusio, la conterminatio e la commensuratio dell‟oggetto conosciuto

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. Due elementi-condizioni, dunque, entrano qui in gioco: da una parte, la piena intelligibilità dell‟oggetto; dall‟altra, la congruità della capacità conoscitiva del conoscente rispetto all‟oggetto conosciuto

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. Il termine comprehensio, può così riferirsi sia alla conoscenza intuitiva, in opposizione alla conoscenza mediata e astratta, sia a quella conoscenza capace di esaurire l‟intera intelligibilità dell‟oggetto.

Questa polisemia fa da sfondo a tutta la riflessione condotta nel respondeo, al termine della quale Bonaventura potrà sostenere che l‟anima del Cristo - e con essa le anime dei beati - possono definirsi comprehensores solo nella seconda accezione del termine. Anche in questo caso, però, prima di illustrare la propria posizione, il Francescano presenta un breve excursus dossografico, in cui vengono prese in esame - e confutate - le soluzioni proposte in passato riguardo al medesimo problema

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.

Alcuni hanno sostenuto che il Verbo increato può essere compreso dall‟anima del Cristo e dalle altre anime beate solo limitatamente alla sua essenza, mentre quantum ad potentiam si configura come incomprehensibile. Questo perché, mentre l‟essentia divina è finita, in quanto in se stessa semplice e perfetta, la sua potentia respicit infinita. In questo modo, è possibile conciliare le auctoritates discordanti, che ora sembrano attribuire alla divinità la piena comprensibilità, ora, invece, ne predicano la più totale

190 BONAVENTURA,In III Sent., d. XIV, a. I, q. II, ad septimum, p. 302: «… „comprehendere‟ dicitur tripliciter: uno modo idem quod caritate adhaerere; et sic accipit Bernardus, Ad Eugenium: “Si sanctus es, comprehendisti”. Alio modo idem est quod clare videre et perfecte amare, sicut ad Philippenses 3, 12: Si quo modo comprehendam, in quo et comprehensus sum. Tertio modo „comprehendere‟ est idem quod terminos rei claudere; sic Deus est incomprehensibilis». La citazione di Bernardo è tratta da BERNARDUS CLARAVALLENSIS, De consideratione, l. V, 30 in Sancti Bernardi opera, t. III, edd. J. Leclercq, H. M.

Rochais, Roma 1963, p. 492.

191 BONAVENTURA,In III Sent., d. XIV, a. I, q. II, ad secundum, p. 301: «plus … dicit comprehensio quam cognitio plenitudinis vel perfectionis. Supra enim cognitionem addit inclusionem sive conterminationem vel commensurationem quodam modo dicendi».

192 Cfr. H. QUILLIET, Compréhensive (science), DTC, t. III/1, col. 632.

193 Su questo particolare modo di procedere, cfr. B.FAES DE MOTTONI, “La conoscenza di Dio di Adamo innocente nell‟In II Sententiarum, dist. 23, a. 2, q. 3 di Bonaventura”, Archivum Franciscanum Historicum, 91 (1998), pp. 3-32, in particolare pp. 8-9.

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imperscrutabilità

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. Ciononostante, scrive Bonaventura, si tratta di una soluzione inaccettabile: la potentia di Dio, infatti, non può eccederne l‟essentia

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. In alternativa a questa tesi, si può sostenere che l‟anima del Cristo, per quanto finita, è tuttavia capace di elevarsi alla comprensione dell‟infinito in virtù della gratia unionis; ma l‟anima del Cristo, scrive Bonaventura, rimane entro i confini della creatura, quindi non può comprehendere l‟immensità di qualcosa di totalmente infinito e che la eccede in infinitum

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.

194 Le autorità cui Bonaventura fa riferimento sono sia scritturarie (cfr. da una parte, 1 Tim 6, 16; Io 1, 18;

Ex 33, 20; dall‟altra, 1 Io 3, 2; 1 Cor 13, 12; Io 17, 3) sia dottrinali (da una parte, la tradizione greca, rappresentata da Giovanni Crisostomo, dallo Pseudo Dionigi, dal Damasceno, dall‟Eriugena traduttore dello Pseudo Dionigi; dall‟altra, la tradizione latina, rappresentata da Agostino e Gregorio).

195 BONAVENTURA,In III Sent., d. XIV, a. I, q. II, resp., p. 300: «… aliqui dicere voluerunt quod Verbum increatum et ipse Deus non solum ab anima Christi, sed etiam ab aliis animabus beatis habet comprehendi at aliquo modo est incomprehensibilis. Comprehendit enim habet quantum ad essentiam, ut dixerunt, quae est finita, et ideo finita, quia in se ipsa simplex et perfecta; dicitur autem et est incomprehensibile quantum ad potentiam, quae respicit infinita; nunquam enim potest in tot quin in plura. Et per hoc dissolvere voluerunt auctoritates Sanctorum et Scripturae quae videntur invicem repugnare. Aliquando enim dicitur quod Deus est incomprehensibilis; aliquando dicitur quod Beati habent cognitionem comprehensionis et sunt comprehensores. - Sed iste modus dicendi in primo libro improbatus fuit, quia impossibile est quod potentia excedat essentiam. Unde impossibile est potentiam esse simpliciter infinitam, substantia et essentia existente finita. Et ibidem multipliciter ostenditur quod divinum esse non solum in relatione ad nos, sed etiam in se ipso habet immensitatem. Et ideo iste modus dicendi stare non potest; et qui hoc primo dixit postmodum retractavit». Sulla possibile identificazione di questo autore con Guerrico di San Quintino, cfr. CH.TROTTMANN, “Psychosomatique de la vision béatifique selon Guerric de Saint-Quentin”, Revue des Sciences Philosophiques et Théologiques, 78 (1994), pp. 203-225, in particolare, p. 215, n. 51, dove si fa riferimento a H.F.DONDAINE, “L‟objet et le «medium» de la vision béatifique”, p. 95 (ma cfr. anche ID., B. G.GUYOT, “Guerric de Saint-Quentin et la condamnation de 1241”, Revue des Sciences Philosophiques et Théologiques, 44 (1960), pp. 225-242, in particolare p.

229). Il tema della conoscibilità di Dio da parte dell‟anima di Cristo sarà ripreso e approfondito nella terza quaestio dell‟articolo di cui ci si sta occupando.

196 BONAVENTURA,In III Sent., d. XIV, a. I, q. II, resp., p. 300: «Alii vero dicere voluerunt quod anima Christi, etsi sit finita, tamen ob gratiam unionis sublimatur ad aliquid infinitum: habet enim aliquid, quod est supra omnem creaturae gradum et quo nihil potest cogitari excellentius; et ex illa parte potest comprehendere Verbum sibi unitum, et hoc est etiam ipsius solius proprium… Sed nec illud stare potest, quia, quamvis gratia unionis dicat aliquid infinitum ratione alterius extremi, tamen ratione animae unitae semper dicit quid finitum et rem virtutis finitae, quoniam anima Christi manet intra terminos creaturae. Et si est virtutis finitae, quomodo potest immensitatem comprehendere rei omnino infinitae et excedentis eam in infinitum?». Si osservi che, in questo modo, viene esclusa qualsiasi possibilità di progresso conoscitivo nel soggetto conoscente, dal momento che, data la limitatezza delle sue possibilità, questi non può giungere a una conoscenza di Dio maggiore di quella già conseguita. In ciò l‟anima di Cristo non si distingue da quelle dei beati, anche se il grado di perfezione della sua conoscenza si configura come il più alto possibile, mentre le anime dei beati godono di una conoscenza di Dio tanto maggiore quanto maggiori sono i loro meriti; né hanno la possibilità di progredire, dal momento che non meritano più nulla né desiderano più di quanto posseggano, in virtù della sufficienza del sommo bene e di un‟affectio

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A queste due ipotesi, Bonaventura ne affianca una terza, definita communior, probabilior et certior e che, pur escludendo che una creatura, qual è l‟anima del Cristo, possa comprehendere l‟immensità del Verbo, tuttavia ammette nell‟assumptus homo una qualche forma di cognitio dell‟immensità divina. Questo può accadere perché Dio è sì immenso, e quindi non totalmente „esauribile‟ da parte di un intelletto finito, ma anche semplice, e quindi conoscibile nella sua totalità; e così Dio può essere conosciuto totus, ma non totaliter da qualsiasi creatura conoscente:

Et propterea est tertius modus communior, probabilior et certior, quod nec anima Christi nec aliqua creatura comprehendere potest immensitatem Verbi increati sive ispius Dei, et tamen ipsum totum cognoscit. - Et possunt ista duo simul stare, immo necesse est ponere, quamvis difficile sit intellectui nostro capere. Si enim vere ponimus Deum simplicem, immo quia necessarium est sic credere et ponere, si cognoscitur, iam non secundum partem et partem, sed totus cognoscitur. Rursus, si Deum ponimus immensum, quia hoc credimus et fatemur, necesse est ponere quod nunquam ab intellectu finito comprehendatur totaliter; et sic Deus a quacumque creatura ipsum cognoscente totus cognoscitur, sed tamen non totaliter

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.

Si tratta di un‟affermazione a prima vista assurda, certamente difficile da comprendere; per questo motivo, Bonaventura avverte la necessità di ricorrere a una serie di esemplificazioni, allo scopo di renderla più chiara e in qualche modo accettabile.

1. Immagine dell‟occhio imperfetto: si pensi ad un occhio, la cui capacità di