La Summa theologiae
3) dunque, l‟anima di Cristo non può in alcun modo (nullo modo) avere una scienza comprensiva del Verbo
L‟anima di Cristo, quindi, vede l‟essenza divina, ma non la comprende, cioè non ne ha una conoscenza piena e totale; in altri termini, essa vede tutta l‟essenza di Dio, ma non la vede totalmente, cioè «non ita perfecte sicut visibilis est». Questo accade perché, nonostante nell‟incarnazione il Verbo di Dio si sia unito completamente alla natura umana, «non tamen fuit tota virtus divinitatis ab humana natura quasi circumscripta»;
come spiega Agostino nella lettera a Volusiano, infatti, la dottrina cristiana non insegna che Dio si è incarnato in modo tale che «curam gubernandae universitatis vel deseruerit vel amiserit, vel ad illud corpusculum quasi contractam collectamque transtulerit»
419.
L‟articolo successivo, come accennato poco fa, è dedicato alla questione dell‟estensione della scienza beatifica. Analogamente a quanto esposto nel commento alle Sentenze, viene qui introdotta la distinzione tra scienza di visione e scienza di semplice intelligenza, termini che, lo ricordiamo, non designano in Dio due scienze distinte, ma indicano semplicemente due aspetti differenti della medesima scienza, a seconda che questa si riferisca a cose la cui esistenza è già stata posta in atto o, al contrario, a cose semplicemente possibili: in altri termini, mentre attraverso la prima Dio conosce tutto ciò che è, è stato e sarà, attraverso la seconda vede non solo tutte le cose che sono in atto in qualsiasi tempo, ma anche tutte le cose che sono in potenza e mai verranno attuate. Ora, se per omnia si intende tutte le cose che «quocumque modo sunt vel erunt vel fuerunt, vel facta vel dicta vel cogitata a quocumque, secundum quodcumque tempus», allora si può affermare che Cristo conosce nel Verbo tutte le
417 Cfr. IOHANNES DAMASCENUS, De fide orthodoxa, c. 47, n. 6, p. 178.
418 Cfr. ST, I, q. XII, a. VII.
419 ST, III, q. X, a. I, ad secundum; la citazione di Agostino è tratta da AUGUSTINUS HIPPONENSIS, Epistula 137, n. 3, CSEL 44, p. 100.
182
cose, giacché, come recita il Vangelo, ogni cosa è a lui sottoposta
420; al contrario, se omnia viene utilizzato in senso largo, come sinonimo non solo di «omnia quae sunt actu secundum quodcumque tempus», ma anche di «omnia quaecumque sunt in potentia nunquam reducta ad actum», la conoscenza del Cristo non corrisponde a quella divina. Se così fosse, infatti, l‟anima del Verbo incarnato potrebbe conoscere l‟essenza divina, il che, come si è visto, è impossibile:
Hoc enim esset comprehendere omnia quae Deus potest facere, quod esset comprehendere divinam virtutem, et per consequens divinam essentiam; virtus enim quaelibet cognoscitur per cognitionem eorum in quae potest
421.
Particolarmente interessante è la confutazione che Tommaso propone del primo argomento, in cui la presunta impossibilità da parte del Cristo uomo di conoscere tutto viene fatta derivare da Mc 13, 32, il versetto in cui l‟Evangelista fa dire a Gesù che nessuno, con la sola eccezione del Padre, sa quando arriverà la fine del mondo. Come fa notare Torrell, l‟estensione della risposta e l‟ampio spettro delle soluzioni elencate sono elementi sintomatici della complessità della questione
422. Una volta scartata e confutata l‟ipotesi di Ario ed Eunomio, secondo cui l‟ignoranza del giorno del giudizio è da riferirsi al Verbo, l‟Aquinate sembra propendere per la „tesi dell‟ignoranza economica‟, fatta propria da molti Padri della Chiesa, tra cui Agostino e Crisostomo - entrambi citati dall‟autore: Cristo conosce sia secondo la natura umana sia secondo la natura divina, sicché, quando dice di non sapere, in realtà non vuole estendere agli uomini la propria conoscenza. Del resto, come scrive Crisostomo, «si Christo homini datum est ut sciat qualiter oporteat iudicare, quod est maius; multo magis datum est ei scire quod est minus, scilicet tempus iudicii»
423; per questo, quel nisi Pater, afferma Tommaso, lascia intendere che il Figlio sa, dal momento che ciò che conosce il Padre è
420 Cfr. Io 5, 27 e, a proposito dei pensieri degli uomini, Io 2, 25.
421 ST, III, q. X, a. II, resp.
422 Cfr. J.-P.TORRELL, Appendice I, in SAINT THOMAS D‟AQUIN, Le Verbe incarné, t. II, n. 64, pp. 351-352.
423 Cfr. IOHANNES CHRYSOSTOMUS, Commentariorum in Mattheum continuatio, hom. 77, n. 1 (PG 58, 703). Cfr. anche AUGUSTINUS HIPPONENSIS, De Trinitate, l. I, c. 12 (CCSL 50, pp. 61-62).
183
conosciuto anche dal Figlio o, meglio, il Padre sa qualcosa nella misura in cui l‟ha comunicato anche al Figlio
424.
Accanto a questa soluzione, che sembra la più importante, Tommaso ne riporta altre due: la prima, elaborata da Origene e adottata sovente anche da Agostino, è quella che attribuisce l‟ignoranza al Cristo in quanto capo del corpo mistico (sicché l‟ignoranza sarebbe da attribuirsi al corpo della Chiesa); la seconda, invece, ascritta a generici quidam
425, imputa l‟ignoranza non al figlio naturale, ma al figlio adottivo
426.
Tornando all‟oggetto principale della nostra indagine, è possibile dunque affermare che anche nella Summa Tommaso sostiene che, mentre la scienza di visione di Dio e quella dell‟anima del Cristo si equivalgono quanto al numero delle cose conosciute (ma non quanto a chiarezza
427), tuttavia il Cristo uomo non può sapere tutto ciò che è
424 ST, III, q. X, a. II, ad primum: «Dicitur autem pater scire, eo quod huiusmodi cognitionem tradidit filio. Unde in hoc ipso quod dicitur, nisi pater, datur intelligi quod filius cognoscat, non solum quantum ad divinam naturam, sed etiam quantum ad humanam». Viene dunque rifiutata la tesi, presente nel commento alle Sentenze e sostenuta anche da Alberto Magno, secondo cui l‟espressione neque Filius potrebbe riferirsi alla sua natura umana. Cfr. THOMAS DE AQUINO, Commentum in Matthaeum, c. XXIV, n. 3, in Opera omnia, t. X, Typis P. Fiaccadori, Parma 1861, p. 224: «Sed est quaestio hic, secundum Hieronymum, quia dicit Marcus XIII, 26: nec etiam filius hominis; ex quo videtur Arius suam haeresim confirmare, quia si pater scit quod nescit filius, ergo maior est eo. Ideo potest dici quod filius scit, et quod dies iudicii secundum aliquam rationem determinatus est, et quidquid determinatur a Deo, suo Verbo aeterno determinatur; ideo impossibile est quin Verbum sciat. Sed quare dicitur nescire? Augustinus et Hieronymus dicunt quod consuetus modus loquendi est dicere nescire aliquid, quando non facit illud scire; sicut dicitur Gen. XXII, v. 12: nunc cognovi quod timeas Deum; idest, cognoscere feci; ideo dicitur filius nescire, quia non facit scire». Questo commento risalirebbe all‟anno scolastico 1269-1270; per la questione della sua datazione, cfr. J.-P.TORRELL, Initiation à Saint Thomas d‟Aquin, pp. 81-83.
425 Probabilmente Tommaso fa qui riferimento ad autori come Beda (In Marci evangelium expositio,l. IV, c.13, nn. 33-34, CCSL 120,p.603)e Rabano Mauro (Expositio in Matthaeum, l. VII, 24, 36, CCCM 174A, p. 637). Cfr. J.-P.TORRELL, Appendice II.II.1, in SAINT THOMAS D‟AQUIN, Le Verbe incarné, t. II, pp. 416-421.
426 ST, III, q. X, a. II, ad primum: «Origenes tamen hoc exponit de Christo secundum corpus eius, quod est Ecclesia, quae hoc ipsum tempus ignorat. Quidam autem dicunt hoc esse intelligendum de filio Dei adoptivo, non de naturali». Per la citazione origeniana cfr. ORIGENES, Commentariorum series in Matthaeum, 55, in Origenes Matthäuserklärung, edd. E.BENZ-E.KLOSTERMANN, GCS 38, Leipzig 1933, pp. 124-128). Cfr.THOMAS DE AQUINO, Commentum in Matthaeum, c. XXIV, n. 3, p. 224: «Alio modo dicit Origenes quod Christus et Ecclesia sunt sicut caput et corpus, quia sicut caput et corpus sunt sicut una persona, ita Christus et Ecclesia. Sed Christus aliquando accipit formam Ecclesiae, ut in illo Ps. XXI, v. 2: Deus, Deus meus, respice in me, unde quod dicitur quod Christus non scit, intelligitur quod Ecclesia non scit: unde dominus, Act. I, 7: non est vestrum scire tempora vel momenta et cetera».
427 Cfr. ST, III, q. X, a. II, ad tertium: «Quamvis … scientia animae Christi quam habet in Verbo, parificetur scientiae visionis quam Deus habet in seipso quantum ad numerum scibilium; scientia tamen Dei excedit in infinitum, quantum ad claritatem cognitionis, scientiam animae Christi. Quia lumen increatum divini intellectus in infinitum excedit lumen creatum quodcumque receptum in anima Christi, non solum quantum ad modum cognoscendi, sed etiam quantum ad numerum scibilium…».
184
conosciuto da Dio. Nell‟articolo successivo la domanda cui Tommaso si propone di rispondere è: l‟anima di Cristo può conoscere infinite cose nel Verbo? E la risposta non può che essere, ancora una volta, positiva e negativa al contempo, al fine di salvaguardare la natura limitata e perfetta del Figlio di Dio.
L‟omnia di cui si è parlato nell‟articolo precedente, dunque, va ora sostanziato di una connotazione quantitativa. Il respondeo prende le mosse da una constatazione di ispirazione aristotelica. Ogni cosa può dirsi ente in due modi, cioè in quanto è in atto (simpliciter) o in quanto è in potenza (secundum quid). Ma, sulla scorta dell‟insegnamento aristotelico, una cosa è conosciuta in quanto è in atto; dunque, l‟oggetto principale della scienza sarà l‟ente in atto e solo secondariamente sarà possibile attribuirle come oggetto di indagine l‟ente in potenza, conoscibile solo attraverso l‟ente in cui attende di essere attualizzato. Ebbene, se si considera il primo tipo di scienza, Cristo non può conoscere infinite cose: poiché il processo di generazione e corruzione è destinato a finire, è necessariamente determinato il numero non solo di tutte le cose che non si generano né si corrompono, ma anche di tutte quelle generabili e corruttibili. Se invece si considera il secondo tipo di scienza, l‟anima del Verbo incarnato conosce una quantità infinita di cose: per quanto infatti non possa conoscere tutte le cose che sono nella potenza di Dio, tuttavia può conoscere tutte le cose che sono nella potenza delle creature mediante la scientia simplicis intelligentiae
428.
428 ST, III, q. X, a. III, resp.: «… scientia non est nisi entis, eo quod ens et verum convertuntur. Dupliciter autem dicitur aliquid ens, uno modo, simpliciter, quod scilicet est ens actu; alio modo, secundum quid, quod scilicet est ens in potentia. Et quia, ut dicitur in IX Metaphys., unumquodque cognoscitur secundum quod est actu, non autem secundum quod est in potentia, scientia primo et principaliter respicit ens actu.
Secundario autem respicit ens in potentia, quod quidem non secundum seipsum cognoscibile est, sed secundum quod cognoscitur illud in cuius potentia existit. Quantum igitur ad primum modum scientiae, anima Christi non scit infinita. Quia non sunt infinita in actu, etiam si accipiantur omnia quaecumque sunt in actu secundum quodcumque tempus, eo quod status generationis et corruptionis non durat in infinitum;
unde est certus numerus non solum eorum quae sunt absque generatione et corruptione, sed etiam generabilium et corruptibilium. Quantum vero ad alium modum sciendi, anima Christi in Verbo scit infinita. Scit enim, ut dictum est, omnia quae sunt in potentia creaturae. Unde, cum in potentia creaturae sint infinita, per hunc modum scit infinita, quasi quadam scientia simplicis intelligentiae, non autem scientia visionis». Il riferimento aristotelico è a Metaphysica, l. VIII, c. 9 (1051a 30). In un certo senso, dunque, l‟anima di Cristo ha accesso all‟infinito: conosce infatti non solo l‟infinito che si trova in potenza nelle creature (equivalente all‟infinito privativo, secundum potentiam materiae), ma anche l‟infinito per essenza - che è Dio e corrisponde all‟infinito negativo, secundum rationem formae -, pur senza comprenderlo (cfr. ST, III, q. X, a. III, ad primum-secundum). In ogni caso, si noti che, sebbene sia Dio sia l‟anima di Cristo conoscano infinite cose, Dio ne conosce di più (cfr. ST, III, q. X, a. III, ad tertium).
185
A questo punto dell‟indagine, non resta a Tommaso che dimostrare che l‟anima di Cristo vede il Verbo in maniera più perfetta – per quanto non assolutamente perfetta – rispetto a tutte le altre creature. Il respondeo è piuttosto chiaro: per quanto la visione dell‟essenza divina sia accordata a tutti i beati in virtù della partecipazione al lume divino, tuttavia l‟anima di Cristo, grazie all‟unione ipostatica, gode di una vicinanza privilegiata al Verbo e di una non comune capacità di visione della Verità
429. Questo
429 Nel suo articolo dedicato alla conoscenza immediata che l‟anima di Cristo ha di Dio secondo Tommaso (“Understanding St. Thomas on Christ‟s Immediate Knowledge of God”, The Thomist, 59 (1995), pp. 91-124), Guy Mansini confuta la tesi – sostenuta, ad esempio, da Luigi Iammarrone nel contributo “La visione beatifica del Cristo Viatore nel pensiero di San Tommaso”, Doctor Communis, 36 (1981), pp. 287-330 – secondo cui la visione immediata che il Cristo ha del Padre sarebbe non solo un elemento conveniente alla sua natura perfetta, ma anche una conseguenza diretta e necessaria dell‟unione ipostatica. Sulla base della sua interpretazione, Tommaso si limiterebbe al contrario ad affermare che nel Verbo incarnato alberga la pienezza della grazia, da considerarsi come semplice causa della visione beatifica, e non anche come risultato dell‟unione con Dio. Mansini fonda la sua tesi su alcuni brani tratti da varie opere dell‟Aquinate, primo fra tutti un passo della Summa, in cui si legge: «... necesse est ponere in Christo gratiam habitualem, propter tria. Primo quidem, propter unionem animae illius ad Verbum Dei.
Quanto enim aliquod receptivum propinquius est causae influenti, tanto magis participat de influentia ipsius. Influxus autem gratiae est a Deo, secundum illud Psalmi, gratiam et gloriam dabit dominus. Et ideo maxime fuit conveniens ut anima illa reciperet influxum divinae gratiae. Secundo, propter nobilitatem illius animae, cuius operationes oportebat propinquissime attingere ad Deum per cognitionem et amorem. Ad quod necesse est elevari humanam naturam per gratiam. Tertio, propter habitudinem ipsius Christi ad genus humanum. Christus enim, inquantum homo, est mediator Dei et hominum, ut dicitur I Tim. II. Et ideo oportebat quod haberet gratiam etiam in alios redundantem, secundum illud Ioan.
I, de plenitudine eius omnes accepimus, gratiam pro gratia» (ST III, q. VII, a. I, resp.; sottolineatura mia).
E ancora: «Quia vero, sicut iam dictum est, humanitas Christi se habet ad divinitatem eius quasi quoddam organum eius, organorum autem dispositio et qualitas pensatur praecipue quidem ex fine, et etiam ex decentia instrumento utentis, secundum hos modos consequens est ut consideremus qualitatem humanae naturae a Verbo Dei assumptae. Finis autem assumptionis humanae naturae a Verbo Dei, est salus et reparatio humanae naturae. Talem igitur oportuit esse Christum secundum humanam naturam ut convenienter esse possit auctor humanae salutis. Salus autem humana consistit in fruitione divina, per quam homo beatus efficitur: et ideo oportuit Christum secundum humanam naturam fuisse perfecte Deo fruentem. Principium enim in unoquoque genere oportet esse perfectum. Fruitio autem divina secundum duo existit, secundum voluntatem, et secundum intellectum: secundum voluntatem quidem Deo perfecte per amorem inhaerentem; secundum intellectum autem perfecte Deum cognoscentem. Perfecta autem inhaesio voluntatis ad Deum per amorem est per gratiam, per quam homo iustificatur, secundum illud Rom. III, 24: iustificati gratis per gratiam eius. Ex hoc enim homo iustus est, quod Deo per amorem inhaeret. Perfecta autem cognitio Dei est per lumen sapientiae, quae est cognitio divinae veritatis.
Oportuit igitur Verbum Dei incarnatum perfectum in gratia et in sapientia veritatis existere; unde Ioan. I, 14, dicitur: Verbum caro factum est, et habitavit in nobis: et vidimus gloriam eius, gloriam quasi unigeniti a patre, plenum gratiae et veritatis» (THOMAS DE AQUINO, Compendium theologiae, I, c.
CCXIII, p. 166). Secondo lo studioso americano, non vi sarebbe alcun nesso metafisico e necessario tra l‟unione ipostatica e la visione di Dio, dal momento che «the necessity in question is a function of Christ‟s role as the cause of beatitude in us, not of the hypostatic union itself in metaphysical structure»
(p. 94). Tommaso fonderebbe così la conoscenza immediata di Dio da parte dell‟anima di Cristo da una parte sulla base del cosiddetto „principio di perfezione‟ del Verbo incarnato, dall‟altra – e questo sarebbe
186
vantaggio, scrive l‟Aquinate, deriva dalla sovrabbondanza di grazia che la contraddistingue, come dimostra il confronto con gli angeli, che, pur essendo dotati di una natura superiore rispetto a quella umana (in particolare, la potenza intellettiva dell‟angelo è superiore alla potenza razionale dell‟anima umana), beneficiano di una visione meno nitida
430.
Coerentemente con lo schema delineato in precedenza, oggetto della quaestio XI è la scientia indita vel infusa dell‟anima del Verbo incarnato, a proposito della quale Tommaso si pone sei quesiti: con questa scienza il Cristo uomo conosce tutte le cose?
Può farne uso senza ricorrere alla mediazione dei fantasmi? Si tratta di una forma discorsiva di scienza? È inferiore o superiore a quella degli angeli? Si configura come un abito? E infine, è distinta in più abiti di scienza? Tutte domande che, come sottolinea Torrell
431, si riducono sostanzialmente a due questioni fondamentali relative alla scienza infusa: quella del suo contenuto da una parte e quella delle sue modalità di attuazione dall‟altra. Analizziamo ora nel dettaglio ogni singolo articolo.
Al primo quesito Tommaso replica in maniera affermativa: attraverso la scienza infusa l‟anima di Cristo conosce sia tutto ciò a cui si ha accesso tramite l‟intelletto agente e che dunque pertiene al dominio delle scienze umane (quaecumque ab homine cognosci possunt per virtutem luminis intellectus agentis, sicut sunt quaecumque pertinent ad scientias humanas) sia tutto ciò che agli uomini è noto per rivelazione divina, grazie ai doni della sapienza, della profezia
432o di qualunque altro dono dello
l‟elemento decisivo – sul carattere strumentale della sua umanità. Personalmente sono propensa a credere che le due posizioni non si escludano a vicenda.430 Cfr. ST, III, q. X, a. IV, resp.: «… divinae essentiae visio convenit omnibus beatis secundum participationem luminis derivati ad eos a fonte Verbi Dei, secundum illud Eccli. I, fons sapientiae Verbum Dei in excelsis. Huic autem Verbo Dei propinquius coniungitur anima Christi, quae est unita Verbo in persona, quam quaevis alia creatura. Et ideo plenius recipit influentiam luminis in quo Deus videtur ab ipso Verbo, quam quaecumque alia creatura. Et ideo prae ceteris creaturis perfectius videt ipsam primam veritatem, quae est Dei essentia». Cfr. anche le risposte alle obiezioni, in particolare ad secundum: «… visio divinae essentiae excedit naturalem potentiam cuiuslibet creaturae, ut in prima parte dictum est. Et ideo gradus in ipso attenduntur magis secundum ordinem gratiae, in quo Christus est excellentissimus, quam secundum ordinem naturae, secundum quem natura angelica praefertur humanae».
431 Cfr. J.-P.TORRELL, Appendice I, in SAINT THOMAS D‟AQUIN, Le Verbe incarné, t. II, n. 70, pp. 354-355.
432 Per quanto riguarda il rapporto tra la scienza infusa del Cristo (quale viene pesentata nella Summa) e la sua qualità di profeta, cfr. J.-P.TORRELL, Appendice I, in SAINT THOMAS D‟AQUIN, Le Verbe incarné, t.
II, n. 72, p. 356.
187
Spirito Santo (omnia illa quae per revelationem divinam hominibus innotescunt, sive pertineant ad donum sapientiae, sive ad donum prophetiae, sive ad quodcumque donum spiritus sancti). Questo è possibile in virtù del fatto che nell‟anima umana, come in ogni altra creatura, esiste una duplice potenza passiva. La prima viene condotta all‟atto dall‟agente naturale, mentre la seconda, che prende il nome di potentia obedientiae
433, è attualizzata dal primo agente, in grado di condurre qualsiasi creatura a un atto superiore rispetto a quello di cui è capace l‟agente naturale:
… in anima humana, sicut in qualibet creatura, consideratur duplex potentia passiva, una quidem per comparationem ad agens naturale;
alia vero per comparationem ad agens primum, qui potest quamlibet creaturam reducere in actum aliquem altiorem, in quem non reducitur per agens naturale; et haec consuevit vocari potentia obedientiae in creatura. Utraque autem potentia animae Christi fuit reducta in actum secundum hanc scientiam divinitus inditam. Et ideo secundum eam
433 Altrove tale capacità viene viene chiamata potentia obedientialis. Ecco come viene definita, ad esempio, nel De veritate, dove Tommaso si interroga sulla capacità degli angeli di prevedere gli eventi futuri: «... duplex est potentia. Una est naturalis quae potest per agens naturale in actum reduci; et talis potentia in angelis est totaliter completa per formas innatas: sed secundum talem potentiam intellectus possibilis noster non est in potentia ad futura quaelibet cognoscenda. Est autem alia potentia obedientiae, secundum quam in creatura fieri potest quidquid in ea fieri voluerit Creator; et sic intellectus possibilis est in potentia ad futura quaelibet cognoscenda, inquantum ei scilicet possunt divinitus revelari. Talis autem potentia intellectus angelici non est totaliter completa per formas innatas» (THOMAS DE AQUINO, De veritate, q. VIII, a. XII, ad quartum, p. 260). E nel commento alle Sentenze si legge: «... potentiam obedientiae, secundum quam de creatura potest fieri quidquid Deus vult, sicut de ligno potest fieri vitulus, Deo operante. Haec autem potentia obedientiae correspondet divinae potentiae, secundum quod dicitur, quod ex creatura potest fieri quod ex ea Deus facere potest» (ID., In III Sent., d. II, q. I, a. I, qc. I, resp., p.
24). Cfr. J.-P.TORRELL, Appendice I, in SAINT THOMAS D‟AQUIN, Le Verbe incarné, t. II, n. 71, pp. 355-356. La bibliografia relativa alla nozione di potentia obedientialis/obedientiae è davvero ampia, a causa dei suoi numerosi campi di applicazione e della grande fortuna da essa riscossa; a titolo di esempio, si segnalano, A. GARDEIL, “La vitalité de la vision divine et des actes surnaturels”, Revue Thomiste, 31 (1926), pp. 477-489 (ripubblicato in La structure de l‟âme et l‟expérience mystique, t. II, Paris 1927, pp.
307-325); M.-D.ROLAND-GOSSELIN, “Béatitude et désir naturel d‟après Saint Thomas d‟Aquin”, Revue Thomiste, 18 (1929), pp. 193-222; L.-B.GILLON, “Aux origines de la Puissance obédientielle”, Revue Thomiste, 47 (1947), pp. 304-310; J.AERTSEN, Nature and Creature. Thomas Aquinas's Way of Thought, Leiden 1988, pp. 290-291; F.POULIOT, La doctrine du miracle chez Thomas D'Aquin. Deus in omnibus intime operatur, Paris 2005, pp. 61-64. Come fa notare quest‟ultimo, la potenza obbedienziale viene chiamata in causa per giustificare tutti quei fenomeni in cui Dio provoca nelle creature qualcosa che non appartiene alla loro natura o specie: transustanziazione, conoscenza dei futuri contingenti, profezia, acquisizione delle virtù infuse, miracoli, attitudine a ricevere da Dio nuove conoscenze relative agli oggetti secondari della visione beatifica, capacità della creatura umana di essere elevata alla dignità di madre di Dio e all‟unione ipostatica.