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Complementarietà tra leggi e codici di autodisciplina

Le varie modifiche che si sono susseguite nel tempo nelle varie edizioni del Codice di autodisciplina sono state – in parte – recepite anche nelle successive riforme di legge, come testimonia la legge 262/2005. L’autodisciplina infatti ha spesso costituito una sorta di “banco di prova” in cui testare nuove soluzioni ai problemi che via via si presentavano che sono state in seguito recepite dalla normativa (60). Si è a lungo parlato del rapporto che intercorre tra autoregolamentazione ed eteroregolamentazione ed è comunque opportuno ricordare a tal proposito che nell’ordinamento italiano a maggior apertura della società al mercato del capitale di rischio corrisponde un maggiore grado di vincolatività dello statuto legale della società. A dimostrazione di ciò si possono confrontare i modelli di società a responsabilità limitata, società per azioni chiuse, società con azioni diffuse tra il pubblico e società con azioni quotate. Appare infatti logico che il tasso di inderogabilità del diritto societario debba innalzarsi quando si parla di società aperte o quotate – la causa di tale inderogabilità è riscontrabile nella tutela degli interessi generali di cui si è già detto precedentemente – poiché autonomia statutaria e tutela delle minoranze sono istanze opposte tra loro e proprio nelle società quotate vi è la necessità di una maggiore tutela delle minoranze disperse, come ad esempio piccoli azionisti, non affidabile

(60) Cfr. M. STELLA RICHTER JR, Il nuovo codice di autodisciplina delle società

quotate e le novità legislative in materia di autoregolamentazione, in La società quotata dalla riforma del diritto societario alla legge sul risparmio, a cura di U. Tombari, 2008, Torino, pp. 95-108; P.MONTALENTI, Amministrazione, controllo minoranze nella legge sul risparmio, in Rivista delle società, 2006, pp. 975 ss. che afferma che i «codici di autodisciplina hanno, in primo luogo, il pregio di (tentare di) indurre comportamenti virtuosi attraverso l’adozione spontanea di regole, anziché mediante la rigidità dell’imposizione normativa. Ciò può consentire un adeguamento progressivo, condiviso, non subìto e perciò, sul medio periodo, probabilmente effettivo»; ed anche A.MOSCARINI, Le fonti dei privati, in Giurisprudenza costituzionale, 2010, pp. 1895 ss.

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all’autodisciplina (61). Nonostante questo, è proprio la realtà delle

società quotate che presenta la più significativa esperienza di autoregolamentazione, malgrado sia proprio lì che si trova la più inderogabile porzione di diritto societario (62). Ciò tuttavia, costituisce

solo all’apparenza una contraddizione. In quanto

l’autoregolamentazione può essere considerata espressione del mercato stesso e quindi, come tale, maggiormente presente nella realtà di quelle società che lo compongono e a cui si rivolgono, come appunto le società quotate (63).

Fatte queste doverose premesse, è possibile parlare delle reciproche influenze esercitate da regolamentazione e autoregolamentazione. Anche se parliamo di influenze reciproche, è bene precisare che il contributo maggiore è stato dato dall’autodisciplina alla legislazione e non viceversa. In buona sostanza, le novità della legge statale sono state notevolmente influenzate dalle pratiche di autoregolamentazione antecedenti, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Il motivo di tale influenza può essere identificato e spiegato in alcuni punti di forza dello strumento autoregolamentare e cioè di un meccanismo di intervento effettivo e flessibile: effettivo perché fornisce soluzioni che tendenzialmente sono condivise, essendo frutto di un certo consenso preventivo; flessibile da intendersi con riguardo sia alle singole realtà, sia nell’accezione

(61) Cfr. G.FERRI JR, Autonomia statutaria e mercato a confronto, in Rivista di diritto

commerciale, 1999, I, pp. 919 ss. Sul punto anche: C.ANGELICI, Note in tema di informazione societaria, in AA.VV., La riforma delle società quotate, Milano, 1998, pp. 249 ss.; ID., Le basi contrattuali della società per azioni, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, vol. 1, Torino, 2004, pp. 101 ss.; C.ANGELICI, Soci e minoranze nelle società non quotate, in La riforma delle società per azioni non quotate, a cura di M. Porzio, M. Rispoli Farina e G. Rotondo, 2000, Milano; P.MONTALENTI, L’informazione e il diritto commerciale: principi e problemi, in Impresa, società di capitali, mercati finanziari, 2017, Torino; F.EASTERBROOK e D.FISCHEL, The Economic Structure of Corporate Law, Cambridge, MA, 1991, pp. 15 ss; P.MARCHETTI, L’autonomia statutaria nelle società per azioni, in Riv. soc., 2000, pp. 562 ss.; C.MARCHETTI, La “Nexus of Contracts” Theory, Milano, 2000, pp. 219 ss.; R.RORDORF, La tutela del risparmiatore: norme nuove, problemi vecchi, in Le Società: rivista di Diritto e Pratica Commerciale, Societaria e Fiscale, 2008.

(62) Si veda F. D’ALESSANDRO, “La provincia del diritto societario inderogabile

(ri)determinata. Ovvero: esiste ancora il diritto societario?, in Rivista delle società, 2003, pp. 34 ss.

(63) Cfr. M.STELLA RICHTER JR, Il nuovo codice di autodisciplina delle società

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temporale del termine. Si assiste in particolare ad un importante transito di regole, presidi ed istituti dalla best practice commerciale alle raccomandazioni autoregolamentari e dalle raccomandazioni autoregolamentari alla legge. È il caso, ad esempio di: (i) struttura necessariamente pluripersonale dell’organo amministrativo della società quotata: il ricorso alla struttura pluripersonale dell’organo vede la sua nascita nel codice di autodisciplina e dopo essersi ampiamente consolidata nell’ambito dell’autoregolamentazione è oggi implicitamente imposta nel t.u.f. all’art. 147-ter, anche nel sistema di amministrazione tradizionale della società (64); (ii) la ripartizione delle funzioni tra organo delegato e collegio delegante (65); (iii) la figura

dell’amministratore indipendente, figura che nasce nei codici autoregolamentari, incluso quello promosso da Borsa Italiana s.p.a. e previsto poi per tutte le società quotate dagli artt. 147-ter, comma 4, 147-quater t.u.f.; (iv) la disciplina delle operazioni con parti correlate, come si può vedere confrontando l’art. 2391-bis c.c. e ben prima l’art. 9 del Codice di autodisciplina. Inoltre, in seguito alla riforma organica del diritto societario del 2003, si rintraccia per la prima volta un espresso richiamo negli artt. 2387 e 2409-septiesdecies del Codice civile ai codici di comportamento redatti da associazioni di categoria o da società di gestione dei mercati regolamentati

Merita di essere menzionata anche l’influenza inversa, ossia quella esercitata dalla legge statale sull’autoregolamentazione, parlando ancora di corporate governance delle società quotate. Come già detto, si parla in questo caso di un’influenza di entità ridotta con specifico riguardo ai contenuti. Confrontando infatti i due influssi – tra autoregolamentazione e legge e viceversa – emerge che è il primo ad essere decisivo, mentre il secondo si limita ad alcuni accorgimenti di piccola portata, evidenziando invece veri e propri fenomeni di rigetto.

(64) Il principio 2.1. della prima edizione del Codice del 1999, rubricato

«composizione del consiglio di amministrazione», affermava che «il consiglio di amministrazione è composto di amministratori esecutivi […] e non esecutivi» suggerendo dunque una natura pluripersonale.

(65) Si confronti in proposito l’articolo 2381, commi 3, 5 e 6 c.c., in relazione a quanto

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Tra i casi di influsso delle più recenti evoluzioni legislative sulla nuova versione del Codice di autodisciplina si possono ricordare: (i) la considerazione dell’interesse di gruppo, principio 1.P.2. del Codice di autodisciplina, derivante dalla nuova disciplina codicistica della direzione e coordinamento di società; (ii) la previsione del voto a scrutinio segreto per la nomina degli amministratori che era già previsto dall’art. 147-ter comma 2, t.u.f. poi abrogato dal d.lgs. n. 303/2006 nel commento all’art. 6; (iii) un vago richiamo all’obbligo del voto di lista per l’elezione del consiglio di amministrazione, accompagnata da un’implicita presa di distanza, che evidenzia il fenomeno di rigetto di cui sopra, come si può vedere nel commento all’art.3 del Codice di autodisciplina dove si legge «la circostanza che un amministratore sia espresso da uno o più azionisti di minoranza non implica, di per sé, un giudizio di indipendenza di tale amministratore»; (iv) una disciplina generale per derivazione in caso di adozione di sistemi di amministrazione e controllo monistico e dualistico (66). È da notare infine il fatto che, sebbene l’influenza dell’ordinamento sull’autoregolamentazione sia stata scarsa dal punto di vista dei contenuti, è stata invece essenziale dal punto di vista delle forme, consentendo all’ordinamento statuale di fornire quelle sanzioni che l’autodisciplina non riesce ad avere.