Nella versione attuale del Codice di autodisciplina delle società quotate si conserva la struttura preesistente che vede il Codice composto come segue: gli articoli risultano tripartiti in “principi” di carattere generale, linee guida di impostazione delle disposizioni trattate; “criteri applicativi” che entrano nel merito fornendo indicazioni dettagliate e formali sull’attuazione dei principi; ulteriori “commenti” volti a chiarire la portata di principi e criteri, fornendo anche esempi esplicativi per situazioni specifiche nonché descrivendo ulteriori auspicate condotte virtuose
Sin dalla prima edizione del Codice di autodisciplina, la maggior parte delle best practice in esso contenute è stata dedicata al consiglio amministrazione (110). Anche nella versione attuale del Codice, recentemente modificato in alcuni suoi aspetti, restando in linea con le versioni precedenti, si rispetta questa impostazione e si dedicano sei dei dieci articoli del Codice al Consiglio di amministrazione (111). Si ritiene infatti che il C.d.A. sia l’organo che guida la società, riunendosi con cadenza regolare e operando in modo da garantire un “efficace svolgimento delle proprie funzioni” e in linea con la disciplina del Codice civile, il consiglio di amministrazione viene delineato come
(110) La forte attenzione dedicata dal Codice al consiglio di amministrazione può
essere spiegata constatando che, al momento della redazione della prima edizione del Codice, il t.u.f. non aveva dettato alcuna disciplina specifica ad esso riferita. Sul punto cfr. S.ALVARO, P. CICCAGLIONI e G. SICILIANO, L’autodisciplina in materia di corporate governance. Un’analisi dell’esperienza italiana, cit., p.16.
(111) Si tratta, nello specifico, degli articoli dedicati ai seguenti temi: 1. Ruolo del
Consiglio di amministrazione; 2. Composizione del Consiglio di amministrazione, 3. Amministratori indipendenti, 4. Istituzione e funzionamento dei comitati interni al Consiglio di amministrazione; 5. Nomina degli amministratori; 6. Remunerazione degli amministratori.
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«organo di alta amministrazione e supervisore dell’operato degli amministratori delegati».
L’articolo 1 del Codice di autodisciplina si apre con i principi 1.P.1 e 1.P.2 (112) cui seguono i criteri applicativi, che evidenziano una serie di compiti che vengono attribuiti al consiglio di amministrazione sottolineandone il ruolo strategico, organizzativo e previsionale. I criteri applicativi, che compongono la seconda parte dell’articolo, si riferiscono a diversi argomenti riguardanti i compiti affidati al consiglio di amministrazione (113); le fattispecie in cui un determinato soggetto può accettare la carica di amministratore in relazione alle attività professionali e lavorative dello stesso; il numero massimo di incarichi che possa essere considerato compatibile con un’efficace gestione dell’incarico (114); le valutazioni che il consiglio deve compiere in caso
di deroghe al divieto di concorrenza per concludere con gli ultimi due criteri applicativi, relativi ai compiti del presidente del consiglio di amministrazione, il quale «si adopera affinché la documentazione relativa agli argomenti all’ordine del giorno sia portata a conoscenza degli amministratori e dei sindaci con congruo anticipo rispetto alla data della riunione consiliare» e «può chiedere agli amministratori delegati che i dirigenti dell’emittente intervengano alle riunioni consiliari per fornire gli opportuni approfondimenti sugli argomenti posti all’ordine del giorno». Leggendo il commento a questo primo articolo, si comprende che il consiglio di amministrazione è l’organo a cui viene affidata la responsabilità di perseguire gli obiettivi strategici dell’emittente. Emergono dal commento alcune tematiche di rilievo che possono essere identificate nell’autovalutazione e nel rinnovo dell’organo, la valorizzazione delle riunioni consiliari, i contenuti dell’informativa da rendere al mercato e la procedura per la gestione interna delle informazioni.
(112) I due principi specificano, rispettivamente, «l’emittente è guidato da un consiglio
di amministrazione che si riunisce con regolare cadenza e che si organizza e opera in modo da garantire un efficace svolgimento delle proprie funzioni» e «gli amministratori agiscono e deliberano con cognizione di causa e in autonomia, perseguendo l’obiettivo prioritario della creazione di valore per gli azionisti in un orizzonte di medio-lungo periodo».
(113) A tal proposito cfr. criterio applicativo 1.C.1.
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Oggetto di recente modifica è l’articolo 2, che riguarda la composizione del consiglio di amministrazione, concentrandosi in particolare sulla presenza di amministrativi esecutivi e non esecutivi. I primi vengono qualificati con più precisione nei criteri applicativi, in particolare nel criterio applicativo 2.C.1. (115) che fornisce diverse ipotesi in cui identifica come esecutivi dell’emittente gli amministratori dall’emittente stesso delegati, gli amministratori che all’interno dell’emittente ricoprono incarichi direttivi e gli amministratori che fanno parte del comitato esecutivo dell’emittente. L’amministratore non esecutivo viene identificato come un amministratore che contribuisce all’assunzione di decisioni consapevoli e designato a prestare attenzione alle aree in cui possono manifestarsi conflitti di interesse. In conclusione – nei criteri applicativi – si toccano le tematiche delle quote di genere, su cui si insiste maggiormente nel commento, e si delinea la figura del lead independent director (116). Il codice prevede la nomina di questo particolare tipo di amministratore in due diversi casi come si legge al criterio applicativo 2.C.4. che riporta «il consiglio di amministrazione designa un amministratore indipendente quale lead independent director nei seguenti casi: (i) se il presidente del consiglio di amministrazione è il principale responsabile della gestione dell’impresa (chief executive officer); (ii) se la carica di presidente è ricoperta dalla persona che controlla l’emittente», con
(115) Il testo del criterio applicativo 2.C.1. dichiara che «sono qualificati
amministratori esecutivi dell’emittente: gli amministratori delegati dell’emittente o di una società controllata avente rilevanza strategica, ivi compresi i relativi presidenti quando ad essi vengano attribuite deleghe individuali di gestione o quando essi abbiano uno specifico ruolo nell’elaborazione delle strategie aziendali; gli amministratori che ricoprono incarichi direttivi nell’emittente o in una società controllata avente rilevanza strategica, ovvero nella società controllante quando l’incarico riguardi anche l’emittente; gli amministratori che fanno parte del comitato esecutivo dell’emittente, quando manchi l’identificazione di un amministratore delegato o quando la partecipazione al comitato esecutivo, tenuto conto della frequenza delle riunioni e dell’oggetto delle relative delibere, comporti, di fatto, il coinvolgimento sistematico dei suoi componenti nella gestione corrente dell’emittente. L’attribuzione di poteri vicari o per i soli casi di urgenza ad amministratori non muniti di deleghe gestionali non vale, di per sé, a configurarli come amministratori esecutivi, salvo che tali poteri siano, di fatto, utilizzati con notevole frequenza» .
(116) Figura che viene definita al criterio applicativo 2.C.5. (dalle recenti modifiche
del 2018, prima era il 2.C.4.) come colui che «rappresenta un punto di riferimento e coordinamento delle istanze e dei contributi degli amministratori non esecutivi e, in particolare, di quelli che sono indipendenti» e che «collabora con il presidente del consiglio di amministrazione al fine di garantire che gli amministratori siano destinatari di flussi informativi completi e tempestivi».
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specifiche previsioni per gli emittenti appartenenti all’indice FTSE- Mib, in questo caso infatti «il consiglio di amministrazione designa un
lead independent director se ciò è richiesto dalla maggioranza degli
amministratori indipendenti, salvo diversa e motivata valutazione da parte del consiglio da rendere nota nell’ambito della relazione sul governo societario». Dal 2011 è stato attribuito a questa figura il compito di collaborare con il presidente del consiglio di amministrazione per garantire che gli amministratori siano destinatari di flussi informativi tempestivi e completi.
Nell’attuale versione del Codice di autodisciplina è stato inserito nei principi, nei criteri applicativi e di conseguenza nel commento il tema della diversità nella composizione del consiglio di amministrazione. Il principio 2.P.4. introdotto con la modifica del luglio 2018 prevede infatti che «l’emittente applica criteri di diversità, anche di genere, nella composizione del consiglio di amministrazione, nel rispetto dell’obiettivo prioritario di assicurare adeguata competenza e professionalità dei suoi membri» (117).
Un elemento cardine del Codice di autodisciplina sin dalla sua prima edizione è stata l’introduzione degli amministratori indipendenti (118), di cui si occupa l’art. 3. La figura dell’amministratore indipendente è forse il più lampante esempio dell’influenza che il
(117) Il tema della diversità nella composizione del consiglio di amministrazione è da
intendersi, come riportato nel commento, come «diversità di genere, competenze manageriali e professionali, anche di carattere internazionale, presenza di diverse fasce di età ed anzianità di carica». Oltre al menzionato principio 2.P.4., si ritrova la tematica anche nel criterio applicativo 2.C.3., che far preciso riferimento alla diversità di genere, affermando che almeno un terzo del consiglio di amministrazione deve essere composto da amministratori del genere meno rappresentato, e nel commento che chiarisce appunto cosa si debba intendere per diversità di composizione e si sofferma in seguito sulla gender diversity, riprendendo la legge 120 del 2011 (Golfo-Mosca). Sul tema L.CALVOSA eS.ROSSI, Gli equilibri di genere negli organi di amministrazione e controllo delle imprese, in Osservatorio del diritto civile e commerciale, 2013, pp. 3 ss.
(118) Per vari approfondimenti sulla figura dell’amministratore indipendente: L.
CALVOSA, Alcune riflessioni sulla figura degli amministratori indipendenti, in Il Testo Unico della Finanza. Un bilancio dopo 15 anni, a cura di F. Annunziata, 2015, Milano; P.MARCHETTI, L’indipendenza degli amministratori, in La corporate governance e il risparmio gestito, Quaderno della Assogestioni, 2006, pp. 17 ss., G.OLIVIERI, Amministratori “indipendenti” e “di minoranza” nella legge sulla tutela del risparmio, in Analisi giuridica dell’economia, 2006, pp.23 ss.; G.PRESTI e F.M.MACCABRUNI, Gli amministratori indipendenti: mito e realtà nelle esperienze anglosassoni, in Analisi giuridica dell’economia, 2003, pp. 97 ss.; N.SALANITRO, Nozione e disciplina degli amministratori indipendenti, in Banca borsa e titoli di credito, 2008.
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codice ha avuto sulla normativa in quanto è stata introdotta prima dai codici autoregolamentari e, in seguito, prevista dal t.u.f. per tutte le società quotate. Pertanto, le caratteristiche degli amministratori indipendenti devono essere analizzate sia rifacendosi a quanto previsto nel Codice, sia a quanto previsto nel t.u.f. Nella definizione del Codice, sostanzialmente in linea con le modifiche del 2011, si è cercato quindi di eliminare le sovrapposizioni dovute all’analisi della figura sia nel t.u.f. che nell’autodisciplina. Gli amministratori indipendenti sono definiti come amministratori non esecutivi che «non intrattengono, né hanno di recente intrattenuto, neppure indirettamente, con l’emittente o con soggetti legati all’emittente, relazioni tali da condizionare attualmente l’autonomia di giudizio» (119).All’interno del consiglio di
amministrazione il ruolo dell’amministratore indipendente consiste nel contribuire alle determinazioni dello stesso con un giudizio «autonomo e non condizionato». Le previsioni in materia di amministratori indipendenti, incluse quelle riguardanti il lead independent director sono esemplificative dell’importanza che viene data alla componente indipendente del consiglio di amministrazione dall’autodisciplina e ciò viene esplicitato attraverso raccomandazioni che suggeriscono una costante valutazione del permanere dei requisiti di indipendenza operata dallo stesso consiglio di amministrazione (120); la previsione di un numero minimo di amministratori indipendenti all’interno del consiglio di amministrazione (121) e la valorizzazione del lead
(119) Come specificato nel criterio applicativo 3.C.1.
(120) Nel susseguirsi delle diverse versioni del codice di autodisciplina si è giunti alla
necessità di determinare che l’indipendenza duri per l’intero mandato degli amministratori. Il principio 3.P.2. infatti, riporta che «l’indipendenza degli amministratori è valutata dal consiglio di amministrazione dopo la nomina e, successivamente con cadenza annuale. L’esito delle valutazioni del consiglio è comunicato al mercato». Il concetto della continua valutazione dell’indipendenza è rafforzato nel criterio applicativo 3.C.4 e nel 3.C.5. che chiama in causa il collegio sindacale auspicando che lo stesso provveda alla verifica della corretta applicazione dei criteri e delle procedure di accertamento utilizzate dal consiglio per verificare l’indipendenza dei propri membri.
(121) Per quanto riguarda il numero di amministratori indipendenti, il criterio
applicativo 3.C.3. prevede che il numero sia adeguato alla dimensione del consiglio e all’attività svolta dall’emittente. Condizione non valida – di nuovo – per emittenti appartenenti all’indice FTSE-Mib, per i quali è previsto che almeno un terzo del consiglio è costituito da amministratori indipendenti e che, in ogni caso, gli amministratori indipendenti non possono essere inferiori a due.
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independent director, di cui si è parlato precedentemente. Significativa
la specificazione del criterio applicativo 3.C.6. che richiede almeno una riunione annuale dei soli amministratori indipendenti.
Una tematica che risulta rilevante oltre a quella degli amministratori indipendenti, risulta essere quella dei comitati endo- consiliari (122) a cui il Codice dedica uno specifico articolo. Anch’essi presenti nel Codice di autodisciplina sin dalla sua prima versione del 1999 (123) e nel tempo sempre più valorizzati in quanto ritenuti in grado di incrementare l’efficienza e l’efficacia dei lavori del consiglio di amministrazione. I comitati svolgono, come riportato nel Codice, funzioni consultive e propositive nei confronti del plenum con riferimento a quelle materie in cui il conflitto di interesse è particolarmente rilevante o rispetto alle quali sia avvertita l’esigenza di competenze più specifiche (124). Il Codice fornisce suggerimenti in tema
di comitati riguardanti la loro composizione, il numero di comitati che devono essere istituiti ed esalta la flessibilità degli stessi nell’applicazione di regole di composizione. Per quanto riguarda la composizione, si chiede che i membri dei comitati siano almeno tre, eccezion fatta per le ipotesi in cui il consiglio risulta composto da non più di otto amministratori, caso in cui è ammesso che i comitati siano
(122) insieme alla figura degli amministratori indipendenti, i comitati interni risultano
essere tra le più importanti innovazioni che successivamente sono state recepite dalla legislazione primaria. Anche in questo caso, il modello sono i committees anglosassoni, chiamati a svolgere importanti funzioni in materie particolarmente delicate. Sul punto cfr. F. MAZZINI, Il Codice italiano di autodisciplina delle società quotate: prime osservazioni, Studi e note di economia, in La riforma del mercato finanziario e le nuove regole di “governo” societario, a cura di F. Belli e M.E. Salerno, 2002, Milano.
(123) Nell’edizione del Codice Preda il tema dei comitati interni al consiglio di
amministrazione ricorre in più punti. L’articolo 7, in materia di nomina dei componenti del consiglio di amministrazione, suggerisce la costituzione di un comitato nomine interno al consiglio «laddove il consiglio di amministrazione costituisca al proprio interno un comitato per le proposte di nomina alla carica di amministratore» 7.2. Codice Preda. L’articolo 8 (8.1.), più incisivamente, consiglia che «il consiglio di amministrazione costituisce al proprio interno un comitato per la remunerazione» e, successivamente, enuncia le caratteristiche di detto comitato. Il terzo comitato previsto dal Codice Preda si trova all’art. 10.1. che afferma « il consiglio di amministrazione costituisce un comitato per il controllo interno, con funzioni consultive e propositive». I comitati hanno assunto un importante ruolo con le modifiche del codice effettuate nel 2011 in linea con le indicazioni della Commissione europea contenute nella Raccomandazione 2005/162/CE sul ruolo degli amministratori senza incarichi esecutivi. (124) Sulle motivazioni e l’utilità della costituzione di comitati endo-consigliari cfr. C.
DI NOIA e E.PUCCI, Il nuovo Codice di autodisciplina delle società quotate: motivazioni e principali novità, cit., pp. 115 ss.
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composti da due amministratori che devono però rispettare i requisiti di indipendenza ed è previsto, come specificato dal criterio 4.C.1 che i comitati siano coordinati da un presidente. Il Codice auspica l’istituzione di tre comitati interni le cui funzioni – riguardanti nomina, remunerazione e controllo interno – sono descritte nei seguenti articoli del Codice. Riguardo l’articolo in oggetto, si rileva la possibilità di poter riunire le funzioni attribuite ai tre diversi comitati ad un numero inferiore o ad un unico comitato. I meccanismi di flessibilità sono soprattutto rivolti alle società di dimensioni medio-ridotte e ciò si evince anche dalla disposizione che prevede la possibilità di non costituire comitati e che le loro funzioni siano svolte solo dal consiglio di amministrazione (125). Esercitando quest’opzione è necessario quindi
che il consiglio di amministrazione, cui vengono attribuite le funzioni spettanti ai comitati, sia composto almeno per la metà di amministratori indipendenti e che durante le riunioni del consiglio di amministrazione siano riservati tempi adeguati alle tematiche che sarebbero di competenza dei singoli comitati (126) e che le stesse siano oggetto di
disclosure. Secondariamente è stabilito che tutte le scelte operate in tale
direzione siano motivate nella Relazione sul governo societario e gli assetti proprietari siano periodicamente rivalutati dal consiglio di amministrazione stesso e infine, alcune previsioni per le società sottoposte a direzione e coordinamento da parte di terzi hanno il divieto di attribuire al consiglio di amministrazione i compiti spettanti al comitato controllo e gestione dei rischi, come si legge nel commento all’art. 4.
Gli articoli 5 e 6 del Codice di autodisciplina riguardano materie di competenza dei comitati interni, ossia la nomina degli amministratori e la remunerazione. Il principio 5.P.1. prevede la costituzione all’interno del consiglio di amministrazione di un comitato per la nomina degli amministratori (127). Dall’edizione del 2011 del Codice
(125) Cfr. IBIDEM, p. 115.
(126) Ossia quanto riguarda la nomina, la retribuzione ed i controlli interni.
(127) «Il consiglio di amministrazione costituisce al proprio interno un comitato per le
nomine, composto, in maggioranza, da amministratori indipendenti» cfr. il principio 5.P.1. del Codice di autodisciplina.
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infatti è espressamente raccomandata la costituzione di questo comitato, definito «comitato per le nomine» con la finalità di rafforzare la prescrittività di una condotta che precedentemente era rimessa soltanto alla discrezionalità dell’emittente (128). Si è ritenuta
obbligatoria l’istituzione di tale comitato al fine di perseguire l’obiettivo di introdurre best practice utili ai fini dell’individuazione di un’ottimale composizione del consiglio. Il Comitato per la corporate
governance ha affermato infatti che il comitato, come si legge nel
criterio applicativo 5.C.1.a., svolge un ruolo «consultivo e propositivo» formulando pareri riguardo composizione e dimensione del consiglio di amministrazione e fornendo raccomandazioni circa le figure professionali la cui presenza sia ritenuta opportuna all’interno dell’organo. Segnatamente, al comitato per le nomine spetta il compito di proporre candidati alla carica di amministratore indipendente nel caso in cui in corso di mandato occorra sostituirne uno e, nel caso in cui il consiglio di amministrazione abbia deciso di adottare un piano per la successione degli amministratori esecutivi, deve curare la relativa istruttoria (129).
Altra materia di competenza di uno specifico comitato, secondo quanto suggerito dal Codice, è la remunerazione degli amministratori e dirigenti con responsabilità strategiche, disciplinata all’articolo 6 del Codice di autodisciplina. I principi in esso contenuti possono essere esaminati in una visione d’insieme in base alla finalità che si propongono di perseguire. Un primo insieme è costituito dai principi 6.P.1 e 6.P.2.
(128) C.DI NOIA e E.PUCCI, Il nuovo Codice di autodisciplina delle società quotate:
motivazioni e principali novità, cit., pp. 120 ss., rilevano che nelle versioni precedenti alla riforma del 2011 del Codice di autodisciplina, il comitato nomine avesse una portata “affievolita” rispetto quella degli altri due comitati in quanto il Codice prevedeva che «il consiglio di amministrazione valuta se costituire al proprio interno un comitato per le nomine» mentre nella versione attuale si utilizza il più incisivo «il consiglio di amministrazione costituisce al proprio interno un comitato per le nomine».
(129) La previsione di un piano strutturato di successione degli amministratori
esecutivi non costituisce né un obbligo normativo né una previsione suggerita dall’autodisciplina. Tuttavia, risulta una condotta virtuosa raccomandata anche dalla Consob nella Comunicazione Consob del 24 novembre 2011 nella quale, tra le altre cose, esplicita il suo favor per lo strumento in questione precisando che «l’esistenza di idonei piani di successione permette alla società (…) anche di selezionare i migliori candidati alla successione».
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che lasciano ben comprendere quanto sia importante nell’ottica del Codice evitare il perseguimento di interessi personali e creare valore per gli azionisti, ad ulteriore conferma della volontà dei redattori del Codice di assegnare ai singoli comitati materie particolarmente soggette al crearsi di conflitti d’interesse. Si legge infatti che la remunerazione deve essere adeguata a motivare i soggetti a cui è destinata e che la remunerazione deve essere definita in modo da allineare gli interessi degli amministratori con l’obiettivo della creazione di valore per gli azionisti (130). Si passa poi ai principi 2.P.3. e 2.P.4. in tema di comitato per la remunerazione. Il tema della remunerazione degli amministratori di società quotate ha acquisito un’attenzione crescente che ha attirato l’attenzione dei legislatori sia a livello interno che internazionale, poiché le tecniche retributive e i sistemi di incentivazione usati nella prassi sono stati considerati tra le principali cause della crisi. Il ricorso alla tecnica dei piani di stock option (131) ha portato gli amministratori ad assumere