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La materia dunque dell’autodisciplina societaria ha da sempre presentato, almeno un punto di forza ed uno di debolezza. Il punto di forza riguarda l’ormai comune riconoscimento secondo cui la sola fonte

(66) I sistemi dualistico e monistico non hanno goduto di grande fortuna sin da quando

sono stati introdotti. La versione del codice di autodisciplina emanata nel 2006 infatti ha riservato ai sistemi sopracitati soltanto un principio di chiusura, con il quale veniva enunciata la molto generica regola secondo la quale, in caso di adozione di un sistema alternativo, i principi del Codice, formulati e pensati con riguardo al sistema tradizionale «si applicano in quanto compatibili, adattando le singole previsioni al particolare sistema adottato, in coerenza con gli obiettivi di buon governo societario, trasparenza informativa e tutela degli investitori e del mercato previsti dal Codice». Cfr. M.DE MARI, Il Codice di autodisciplina delle società quotate in materia di corporate governance, in Rivista di diritto privato, 2000, pp. 141 ss.; ID., Corporate governance e nuovo codice di autodisciplina delle società quotate, in Rivista di diritto privato, 2003, pp. 5 ss

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legale non sarebbe in grado di esaurire la definizione di regole di best

practice senza introdurre eccessivi irrigidimenti. L’autodisciplina

riuscirebbe a superare i detti limiti grazie alla sua flessibilità ulteriormente accresciuta dall’applicazione del principio comply or

explain, che consente di adattare le regole alla realtà organizzativa ed

economica delle singole società creando una sistema di norme, se pur autodeterminate, su misura per la specifica realtà sociale in questione (67). Alla nascita del Codice l’approccio che veniva utilizzato venne

definito di freedom with accountability lasciando alle società la libertà di scegliere la soluzione organizzativa più congeniale ad ogni singola realtà, che doveva però essere accompagnata dalla trasparenza delle scelte effettuate. Il Codice di autodisciplina non dettava dunque regole che vincolavano la società e lo stesso dovere di spiegare e motivare la decisione dell’eventuale non adeguamento a determinate raccomandazioni non era supportata da nessuna sanzione giuridicamente rilevante. La natura stessa del Codice, infatti, era inizialmente quella di costituire una sorta di “marchio di qualità” (68)

della governance tale da far crescere la fiducia degli investitori e, parallelamente, la sanzione per la non adesione o la mancata applicazione delle disposizioni contenute nel Codice delle quali non venisse data adeguatamente informazione consisteva in un danno di immagine nei confronti degli investitori. In poco tempo però Borsa Italiana ha, almeno in parte, modificato la valenza del Codice che ha così cessato di essere soltanto un modello opzionale di riferimento delle regole di governo societario. Il Codice diventa condizione necessaria per l’ammissione a particolari segmenti del mercato ma, soprattutto, le società quotate vengono contrattualmente obbligate a dare informazioni sull’adesione o meno, sul grado di adesione e sulle motivazioni dell’eventuale non-compliance con tutto il Codice o con alcune sue

(67) Sul punto cfr. P.M.SANFILIPPO, I Codici di autodisciplina societaria: nuovi profili

di enforcement, in Rivista del diritto commerciale, 2008, pp. 929 ss.

(68) Così venne definito il Codice di autodisciplina delle società quotate in occasione

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parti. Resta quindi volontaria l’adesione al Codice, non più però l’informazione a riguardo. Dunque, la disclosure diventa un obbligo giuridico di fonte e natura contrattuale (69), in quanto previsto dalle Istruzioni che unitamente al Regolamento dei Mercati organizzati e gestiti da Borsa Italiana s.p.a. rappresentano le condizioni generali che regolano il rapporto tra società di gestione e società quotate. Anche chi ha scelto di non aderire dunque è tenuto contrattualmente a dare informazione sull’adesione e sul grado di effettiva applicazione delle disposizioni del Codice. L’obbligo si sposta dunque dall’adesione che diviene irrilevante, alla disclosure che è sempre e comunque dovuta, facendo sì che le società quotate sopportino l’onere di esporre – e motivare – al pubblico le loro scelte organizzative (70). Posto che

l’informazione riguardante l’adesione o meno al Codice deve essere fornita al mercato, si pone il problema dell’effettività delle stesse informazioni e, nel caso in cui questa mancasse, delle sanzioni a ciò connesse (71). Inizialmente, le sanzioni riguardavano quindi i casi di adesione solo formale al Codice – il c.d. box-ticking – e, ben peggiore, il caso in cui venissero fornite al mercato informazioni inesatte. L’obbligo di tali informazioni era di natura contrattuale e per questo le sanzioni per le violazioni di tali obblighi erano previste nel Regolamento di quotazione. Esaminando il documento nella versione

(69) Come sottolinea M.MAUGERI, Regole autodisciplinari e governo societario, in

Giurisprudenza commerciale, 2002, pp. 88 e ss., evidenziando che si era giunti ad una «forma di vincolatività per gli emittenti che non attiene al piano dell’adozione del Codice, rimessa alla libera determinazione del consiglio di amministrazione (…) ma investe, invece, il momento della trasparenza nei confronti del mercato in ordine al modello di governo societario prescelto». Sul punto anche N. IRTI, Due temi di governo societario (responsabilità “amministrativa” – codici di autodisciplina), in Giurisprudenza commerciale, 2003, pp. 693 ss.

(70) A dare ulteriore enfasi a questa inversione di tendenza, anche la Consob con la

comunicazione 1025564 del 6 aprile 2001 che nel fornire indicazioni ai collegi sindacali delle società quotate sul contenuto della relazione accompagnatoria del bilancio prevedeva di dare conto dell’eventuale adesione della società al Codice di autodisciplina.

(71) Il problema riguarda dunque il rispetto delle norme di autoregolamentazione che

richiede in particolar modo due condizioni come aveva notato Spaventa e come riportato da G.PRESTI, Tutela del risparmio e Codice di Autodisciplina delle società quotate, in Analisi giuridica dell’economia,2006,I,pp.47-61: «anzitutto la trasparenza in modo che sostanziali episodi di inosservanza delle regole liberamente accettate divengano manifesti. E ancora una volta, l’ambiente e la cultura che rendano pesanti ed efficaci le sanzioni di reputazione irrogate dal mercato a chi rompe una promessa, a chi non mantiene la parola, a chi non osserva gli impegni»

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vigente nel 2006 si nota però come le sanzioni non apparissero particolarmente incisive: per le violazioni del Regolamento e delle relative Istruzioni, Borsa Italiana poteva infliggere un richiamo scritto oppure una pena pecuniaria da 5.000 a 100.000 euro (72). Di contro, l’astratta previsione della sospensione e revoca della quotazione poteva risultare sovradimensionata (73) per un suo effettivo utilizzo rispetto alla tutela degli interessi lesi. Nell’ottica del Codice di autodisciplina la sanzione dovrebbe scaturire, in maniera quasi spontanea, direttamente dal mercato, che dovrebbe esprimere le sanzioni nei confronti degli operatori scorretti facendo perdere loro reputazione e, di conseguenza, alzando il costo della raccolta di capitale. Perché questo accada sarebbero necessari background culturale propenso a punire chi non mantiene le promesse e, inoltre, servirebbero professionisti che esaminando le relazioni sulla corporate governance degli emittenti quotati informino il mercato delle eventuali incongruenze tra la stessa e la realtà dei fatti (74). Il sistema dell’autodisciplina quindi aveva – e

in effetti ha ancora – un importante vuoto da colmare che riguarda le sanzioni, da sempre garanzia dell’effettività del sistema. La scarsa forza delle sanzioni in questione, infatti, potrebbe causare un pericolo sia per gli investitori che per le imprese poiché per i primi le relazioni sulla

(72) Queste sanzioni non risultano particolarmente disincentivanti e, inoltre, non è

neanche prevista per le stesse una pubblicità che, in teoria – essendo il principale enforcement dei Codici un danno reputazionale e pertanto che deve essere necessariamente noto agli investitori – dovrebbe essere l’aspetto che più preoccupa l’emittente Le uniche sanzioni che era previsto venissero comunicate al pubblico erano quelle pecuniarie superiori ai 30.000 euro oppure i casi di grave recidiva. Alcuni autori si sono espressi a riguardo affermando che, avendo le sanzioni previste dal Regolamento di quotazione natura di pena privata si dubita che esse possano consistere nella pubblicità Cfr. F.GALGANO, Regolamenti contrattuali e pene private, in Contratto e impresa, 2001, pp. 509 ss.; E.MOSCATI, Pena privata e autonomia privata, in Le pene private, a cura di F.D. Busnelli e G. Scalfi, 1985, Milano.

(73) Così si esprime G.PRESTI, Tutela del risparmio e Codice di Autodisciplina, cit.,

p. 52.

(74) Si parla di agenzie di corporate rating che dovrebbero fornire al pubblico

informazioni con i risultati della loro attività. Le agenzie esistono, ma i loro risultati sono riservati a chi paga per ottenere tale servizio e quindi non sono di pubblico dominio. Sui profili di responsabilità che ne conseguono cfr. A.MAZZONI, Osservazioni in tema di responsabilità civile degli analisti finanziari, in Analisi giuridica dell’economia, 2002, pp. 229 ss. L’altro soggetto potenzialmente designato a rendere pubbliche le incongruenze tra le Relazioni sulla corporate governance e la realtà dei fatti è la stampa economica che però non si è mai granché dedicata al compito in questione. La stampa in Italia non ha accolto attivamente il ruolo di watchdog, a differenza di quanto avviene ad esempio negli Stati Uniti, come accadde per il caso Enron.

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corporate governance avrebbero rischiato di diventare uno

«specchietto per le allodole» (75), per le imprese si sarebbe diffusa la sensazione che il “marchio di qualità” garantito dall’adesione al Codice avrebbe perso spessore.

La legge sulla tutela del risparmio (legge numero 262/2005) si proponeva di risolvere questo problema di effettività poiché fino ad allora l’adesione al Codice era ridotta ad un semplice adeguamento formale senza sanzioni. Il Legislatore italiano dunque, in perfetta sintonia con quanto formulato dall’European Corporate Governance

Forum che aveva sottolineato l’importanza che ci fosse una «real obligation to comply or explain» ed evitare quindi che anche in questo

caso le sanzioni proposte rimanessero troppo blande e vaghe. La legge 262/2005 interviene dunque sugli articoli 124-bis e 124-ter del t.u.f. (76) ma, in relazione a quanto detto sopra riguardo la mancata pubblicità delle sanzioni, l’innovazione forse più incisiva è quella dell’art. 192-bis t.u.f., che investe la Consob del potere di irrogare sanzioni a carico di chi abbia violato l’obbligo di veridicità delle informazioni (77). Inoltre, salvo che il fatto costituisca reato, gli esponenti aziendali che omettano le comunicazioni previste dall’attuale art. 123-bis t.u.f. oppure nelle stesse o in altre comunicazioni rivolte al pubblico, divulgano o lasciano divulgare false informazioni relativamente all’adesione o

(75) G.PRESTI, Tutela del risparmio e Codice di Autodisciplina delle società quotate,

cit., p. 53. A ben vedere, i collassi finanziari riguardanti importanti società quotate dei primi anni 2000 hanno confermato che tramite la relazione sulla corporate governance è possibile indirizzare informazioni distorte agli investitori, compromettendo così l’interno funzionamento del mercato stesso.

(76) La legge 262/2005 è dunque intervenuta sull’art. 124-bis t.u.f., poi abrogato,

prevedendo: la pubblicità con cadenza annuale da parte degli emittenti di informazioni sull’adesione a tali codici e “sull’osservanza degli impegni a ciò conseguenti, motivando le ragioni dell’eventuale inadempimento”; sull’art. 124-ter t.u.f. prevedendo la pubblicità dei Codici di comportamento promossi da società di gestione dei mercati regolamentati o da associazioni di categoria degli operatori e la vigilanza della Consob sulla veridicità delle informazioni diffuse dagli emittenti circa l’adempimento degli impegni assunti con l’adesione ai codici.

(77) Alla Consob vengono quindi attribuiti anche compiti di verifica delle veridicità

dell’informativa, con conseguenti interrogativi sull’opportunità o meno di tale provvedimento. tra le posizioni scettiche a riguardo G.ROSSI, La legge sulla tutela del risparmio e il degrado della tecnica legislativa, in Rivista delle società, 2006, pp. 1ss. e P.TROIANO, Informazioni sull’adesione a codici di comportamento. La disciplina attuativa, in Disciplina dei mercati finanziari e tutela del risparmio, a cura di U. Tombari, 2008, Milano; mentre favorevole P. ABBADESSA, Nuove regole di governance nel progetto di legge sulla tutela del risparmio, in Nuove prospettive della tutela del risparmio, 2005, Milano.

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all’applicazione dei codici di comportamento, sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da diecimila a trecentomila euro e il relativo provvedimento sanzionatorio è pubblicato a spese degli stessi su almeno due quotidiani, di cui uno economico, aventi diffusione nazionale. Tale sanzione espone con certezza le società alla conseguente pubblicità negativa e quindi vedrebbe realmente attuata la sanzione reputazionale. Anche il collegio sindacale assume un ruolo nei vari interventi sugli obblighi di informazione, poiché ha il compito di vigilare sulle modalità di concreta attuazione delle regole di governo societario previste dai codici cui la società, mediante l’informativa al pubblico, abbia dichiarato di attenersi (78). Qualora i sindaci non

rispettino tali obblighi sono esposti a sanzioni da 25.000 a 2.500.000 euro. La legge 262/2005 non è stata esente da critiche poiché emergono casi in cui le norme non risultano del tutto chiare ed hanno sollevato non poche perplessità (79). Resta poi aperto il problema fondamentale riguardante il tema delle sanzioni in caso di mancato rispetto di prescrizioni autoregolamentari. Risulta infatti chiaro che il Codice di autodisciplina, per quanto strumento di soft law, sia fonte in parte di oneri e responsabilità (80) per la società quotata e per i suoi organi, ma

(78) L’art. 149, comma 1, lett. c-bis afferma che: Il collegio sindacale vigila […] c-

bis) sulle modalità di concreta attuazione delle regole di governo societario previste da codici di comportamento redatti da società di gestione di mercati regolamentati o da associazioni di categoria, cui la società, mediante informativa al pubblico, dichiara di attenersi.

(79) La nuova disciplina venne aspramente criticata e ritenuta «logicamente

incoerente, troppo generica e gravida di effetti perversi». Per le critiche alla legge 262/2005 si veda G.ROSSI, La legge sulla tutela del risparmio e il degrado della tecnica legislativa, in Rivista delle società, 2006, pp.1 ss.; M.ONADO, Autodisciplinati per legge, in www.lavoce.info, 2005; G.FERRARINI e P.GIUDICI, La legge sul risparmio, ovvero un pot-pourri della corporate governance, in Rivista delle società, 2006, pp. 573 ss.; Altri autori hanno ritenuto però che fosse possibile ritenere che l’approccio per cui l’adesione al codice resta libera e l’informazione obbligatoria, non fosse del tutto da condannare per «incoerenza logica tra c.d. autodisciplina e sanzione legale: un conto è il sistema di governo societario che viene adottato, altro conto è l’informazione che ne viene data al mercato». L’opinione è ritenuta quindi condivisibile mentre è il tenore letterale delle nuove norme e la terminologia utilizzata che lascia perplessi, facendo passare il messaggio di un carattere vincolante estraneo alla natura del Codice di autodisciplina. Si vedano G. PRESTI, Tutela del risparmio e Codice di autodisciplina, cit., pp. 55 ss. e L. SPAVENTA, La legge sulla tutela del risparmio: passi avanti, errori e illusioni, in Analisi giuridica dell’economia, 2006, pp. 19ss.

(80) Le ipotesi di responsabilità che si possono configurare sono diverse e

riconducibili a più di una fattispecie, non analizzabili in modo adeguato in questa sede. Per approfondimenti sui temi di responsabilità aquiliana e responsabilità per inadempimento si vedano G.FERRARINI, La responsabilità da prospetto. Informazione societaria e tutela degli investitori, 1986, Milano, pp. 49 ss.; F.D.BUSNELLI, Itinerari europei nella terra di nessuno tra contratto e fatto illecito: la responsabilità da informazioni inesatte, in Contratto e impresa,

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anche l’ultima versione del Codice non si occupa del problema che può essere analizzato seguendo tre diverse ipotesi (81).

(i) Nel caso di mancato rispetto del principio del “comply or explain”

possono configurarsi una sanzione amministrativa irrogabile dalla Borsa per mancato rispetto al suo regolamento e una sanzione amministrativa pecuniaria e reputazionale in senso improprio di cui all’art. 192-bis (82).

(ii) Nel caso di mancata adozione del presidio raccomandato è possibile individuare la sanzione reputazionale in senso proprio, che sembra aver progressivamente acquisito un certo grado di deterrenza. A questo tipo di sanzione di mercato, si può accostare una responsabilità degli organi amministrativi dell’emittente dovuta al mancato rispetto, peraltro immotivato, di uno standard di buon governo societario.

(iii) Mancata osservazione di raccomandazioni formalmente adottate. A questa ipotesi possono corrispondere diverse tipologie di sanzione. Nel caso in cui la raccomandazione venga recepita nello statuto e non rispettata in pratica – ad esempio nel caso del mancato rispetto di requisiti di onorabilità, professionalità o indipendenza – la reazione dell’ordinamento è quella della decadenza dalla carica del componente dell’organo sociale (83); oppure in caso di mancato recepimento nello

statuto della raccomandazione, la dichiarazione mendace integra l’ipotesi di revoca per giusta causa del soggetto che l’abbia resa.

1991, pp. 539 ss.; P.G.JAEGER, Appunti sulla responsabilità da prospetto, in Quadrimestre, 1986, pp. 283 ss.; P.TRIMARCHI, Causalità e danno, 1967, Milano; ID., Causalità giuridica e danno, in Risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, a cura di G. Visintini, 1984, Milano, pp. 4 ss.; A. DI AMATO, Il danno da informazione economica, Edizioni scientifiche italiane, 2004, Napoli; F.SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari, Disciplina e forme di tutela, 2004, Milano, pp. 399 ss.; M.FRANZONI, Il danno risarcibile, in Trattato della responsabilità civile, a cura di M. Franzoni, 2004, Milano; C. CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, 2006, Milano, pp. 320 ss., G. D’ALFONSO, Responsabilità da prospetto informativo. Confronto tra evoluzione legislativa, elaborazione giurisprudenziale e dottrinale nel sistema italiano e tedesco, 2002, Napoli; P.GIUDICI, La responsabilità civile nel diritto dei mercati finanziari, 2008, Milano.

(81) Individuate da M.STELLA RICHTER jr., Il nuovo Codice di autodisciplina delle

società quotate e le novità legislative in materia di autoregolamentazione, cit., pp. 103 ss. (82) Si intende la sanzione reputazionale derivante dalla pubblicazione delle sanzioni

su due quotidiani aventi diffusione nazionale, uno dei quali deve essere economico. Cfr. IBIDEM, p.103.

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È inoltre possibile che ricorra un’ipotesi di responsabilità dell’organo e del suo componente, anche se il risarcimento risulterebbe di difficile attuazione, in quanto provare il danno conseguente alla dichiarazione mendace potrebbe non risultare agevole. La mancata osservazione di raccomandazioni adottate formalmente può anche comportare una responsabilità dell’organo di controllo interno dovuta al mancato rispetto dei doveri previsti all’art. 149-bis t.u.f., con conseguente sanzione amministrativa della Consob in base all’art. 193, comma 3, lettera a, t.u.f. (84). È ritenuto possibile inoltre che alla mancata osservanza di raccomandazioni formalmente adottate possano conseguire sanzioni amministrative per manipolazione del mercato fino anche a sanzioni penali, ancora per manipolazione del mercato e false comunicazioni sociali (85). In ultimo ma non certo per importanza, le sanzioni c.d. reputazionali, la cui effettività dipende però dalle verifiche sui contenuti del recepimento delle raccomandazioni del Codice e dall’efficacia del mercato nel cogliere eventuali disallineamenti tra realtà e apparenza in tema di corporate governance.