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Le componenti della disciplina del

e la nascita della Consob e della normativa

2.10 Le componenti della disciplina del

(autorità di controllo, mercati,

intermediari, società quotate)

le loro potenzialità, gli sviluppi

e gli effetti sistemici

Nella svolta del 1974, nella l. 216 e nei suoi tre decreti delegati si concentrano per la prima volta nella storia della legislazione dell’Italia unita delle nostre materie vari filoni di disciplina.

Quello attinente alla struttura istituzionale, all’organizzazione e al funzionamento della borsa (ma, più in generale, del mercato finanziario, distinto dalla banca), quello attinente agli attori

(intermediari, ma anche investitori) di questo mercato, quello degli emittenti e dei prodotti (“titoli” un

tempo, ma presto “valori mobiliari”) e delle loro operazioni. Ciascuna di queste componenti apre prospettive e avrà sviluppi (con diversa rapidità, certo), allora in larga misura imprevisti. Ciascuno di questi comparti registrerà impostazioni e approcci normativi nuovi per l’Italia, nuovi anche per molta parte della dottrina allineata alla tradizione tedesca più che alla cultura anglosassone (ma così non fu per la Rivista delle società, come non lo fu per la Rivista di diritto commerciale di Sraffa e Vivante). Ciascuna di queste componenti nel breve volgere di pochi anni subisce evoluzioni radicali, evoluzioni che in estrema sintesi cerchiamo di seguire. La indicazione di questi tre componenti, a ben vedere, è ancora riduttiva. Con la l. 216/1974 inizia anche il processo di riassestamento dei mercati finanziari in una direzione non (del tutto) bancocentrica. Il precetto costituzionale di tutela del risparmio diffuso non viene raccordato in sostanza solo in funzione dei depositanti, ma si muove, come vuole l’art. 47, verso “ogni forma” che esso può assumere. Gli obiettivi della tutela non sono più (di fatto) la (sola) stabilità, ma recepiscono la trasparenza e l’informazione, nonché, seppur gradualmente, la correttezza. Per la concorrenza dovranno ancora passare non pochi anni. La l. 216/1974 segnò l’avvio, si badi, di questo processo che solo alla fine di un tormentato cammino porterà al principio (ormai in larga misura acquisito) della vigilanza per funzioni e non per soggetti.

E ancora la l. 216/1974 apre le porte, secondo lo schema proprio

delle Autorità indipendenti, a una tecnica di regolamentazione largamente fondata su norme secondarie, anzi su di una articolata gamma di normazione secondaria di altrettanto articolato contenuto imperativo (dal

regolamento alla raccomandazione) e di variabile ambito di estensione. Il sistema aveva già un precedente nell’attività regolatoria di Banca d’Italia, ma il sistema si arricchisce (altri dicono si complica) con un forte sviluppo della caratteristica della pubblicità degli interventi dell’Autorità e con l’instaurarsi della prassi, assai nuova per il nostro ambiente giuridico, del parere preventivo che concorre a formare con gli anni

un imponente e prezioso corpus di precedenti, dal quale non raramente poi si traggono spunti per l’assunzione a rango di norme dei principi e delle soluzioni via via accolte. L’indipendenza dell’Autorità è anch’essa frutto di un cammino complesso che si assesterà dopo un decennio con la legge 4 giugno 1985, n. 281, che costruisce il rapporto con il Ministro (allora del Tesoro) in termini non gerarchici, ma sostanzialmente informativi: il visto di esecutività sui regolamenti è ristretto ed espressamente riferito al controllo di legittimità. Il referente ultimo dell’attività informativa “sugli atti e gli eventi di maggior rilievo” cui è tenuta la Consob nei confronti del Ministro è poi il Parlamento. Il principio base sancito nella normativa è quello, dunque, di un’autorità “con personalità giuridica di diritto pubblico e piena autonomia nei limiti stabiliti dalla legge.” La l. 216/1974 è una legge d’urgenza, si è visto, come del

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resto molte delle norme che hanno portato a riforme del diritto societario e dei mercati finanziari, sino alla legge sul risparmio del 2005, frutto di Enron, Parmalat e dintorni. Vero è, peraltro, che quando si legifera d’occasione, ma si toccano, come per la riforma del 1974, temi di sistema, la normativa parziale, a mosaico, è inevitabilmente destinata a dimostrarsi insufficiente e chiama così, quasi per logica interna, ampliamenti e adattamenti. E ciò è tanto più vero allorché si disciplinano fenomeni, quelli, qui, del mercato finanziario, in

rapidissima evoluzione, secondati da un clima politico generale (ultranazionale) che guarda al mercato, alla globalizzazione, alla competizione tra ordinamenti. Non stupisce, quindi, che la l. 216/1974 nel volgere di poco più di un decennio veda tre interventi riformatori: nel 1981, 1983, e 1985 (di quest’ultimo già qualcosa si è detto). Le riforme portate dalla l. 23 marzo 1983, n. 77, e dalla l. 5 giugno 1985, n. 281 (quelle della l. 30 aprile 1981, n. 175, sono minori), possono essere

considerate sotto diversi aspetti: consolidano e ampliano i poteri della Consob ma, allo stesso tempo, incidono per non pochi profili sulla disciplina degli emittenti quotati. I due aspetti in realtà sono spesso strettamente intrecciati. A nuovi doveri (in genere di trasparenza degli emittenti) corrispondono nuovi poteri della Consob. Agli uni e agli altri spesso si affiancano (e si intrecciano) l’emersione e la disciplina di nuovi segmenti o attori del mercato finanziario. È questo il caso della legge 23 marzo 1983, n. 77, che, da un

lato, istituisce dopo un’incubazione ultraventennale, i fondi comuni di investimento mobiliare aperti, e, d’altro canto, introduce l’ampia nozione di valore mobiliare, comprensivo di azioni e

obbligazioni, e disciplina qualsiasi forma di sollecitazione al pubblico risparmio e non più solo (come era nel testo originario della l. 216/1974) le offerte pubbliche di azioni e obbligazioni.

Torniamo ora agli sviluppi delle componenti fondamentali della disciplina della l. 216.

Non è certo possibile in questa sede seguire tutti gli interventi della Consob in materia di mercato e tutte le evoluzioni legislative. Merita tuttavia di essere segnalata la prontezza con cui si

cercò di porre riparo al fenomeno dei “borsini”, istituendo con la legge 23 febbraio 1977, n. 49, il mercato ristretto, un mercato minore, ma ufficiale, sotto la vigilanza di Consob, in cui si trattavano soprattutto titoli bancari, delle banche popolari in

particolare. Un episodio, questo, della lunga vicenda per catturare alla regolamentazione i mercati di fatto che lungo tutta la storia della borsa, puntualmente si formavano, spesso all’interno delle stesse banche che si ponevano come controparte della propria clientela. Una storia ricorrente ben più generale, questa. La continua storia dell’elusione al

proibizionismo (in senso lato), alla regolamentazione, creando reti di

La regolamentazione delle società quotate

Dall’Unità ai giorni nostri: 150 anni di borsa in Italia

rapporti di fatto che il diritto non riesce a riportare nei recinti (è qui proprio il caso di dire!) sorvegliati. La storia doveva prima battere (legge sulle SIM del 1991) la via della concentrazione obbligatoria nel mercato regolamentato, per virare poi verso la

regolamentazione soft dei mercati (i mercati non regolamentati del Tuf del 1998 in realtà

prevedevano un potere di sorveglianza e intervento della Consob) e approdare infine, con la direttiva MiFID del 2007 al principio opposto a quello di partenza, vale a dire all’abbandono dell’obbligo di concentrazione, ma della nozione stessa di “mercato non regolamentato”, legittimando i sistemi multilaterali e la

internalizzazione sistematica. In realtà, al di là della suggestione dei nomi anche questi sistemi sono regolamentati seppur con tecniche e sotto una prospettiva (attraverso la disciplina degli operatori e la trasparenza delle operazioni) diversa da quella tradizionale. La sirena della libertà dei mercati moltiplica i mercati (quelli stessi regolamentati hanno diversi comparti), vede

nell’informazione e nella trasparenza il baluardo di una forte deriva autoregolatoria, ma si assiste anche alla crescente concentrazione dei mercati (in cui l’Italia è stata clamorosamente coinvolta) e al continuo ripresentarsi di bisogno di regolamentazione.

Cerchiamo, chiuso questo excursus, di riannodare i fili della vicenda storica per osservare come, una volta posto il problema dei mercati finanziari in una dimensione che vedeva il comparto bancario come un “di cui”, fosse inevitabile che la

Consob si ponesse il problema di una riforma di quel mercato che essa era pure deputata a vigilare. Fu così che nel 1987 la Consob pubblica un documento contenente Linee di progetto per una riforma del mercato borsistico. Le Linee trovavano la loro ragion d’essere appunto nella «esigenza di un intervento di adeguamento delle strutture del mercato borsistico italiano, non solo in attuazione delle indicazioni fornite dal Parlamento [consistenti nella assoluta necessità della

concentrazione in Borsa secondo le indagini conoscitive di Senato e Camera, rispettivamente, del 1977 e del 1984], ma anche per evitare le penalizzazioni che,

nell’eventualità di ritardi, verrebbero a colpire la nostra economia in questa prospettiva di maggiore e più effettiva concorrenzialità internazionale. Nella stessa direzione spingono, d’altro canto, gli interventi di ristrutturazione di recente effettuati nel mercato inglese e quelli annunciati dalle autorità francesi». Le Linee concludono che: «Per conferire ai mercati ufficiali garanzie di massima affidabilità è anzitutto necessario superare le differenziazioni attualmente esistenti fra i segmenti del mercato mobiliare regolamentati e quelli non regolamentati. A tal fine occorre impedire che gli intermediari regolati operino anche sui mercati non disciplinati come pure che intermediari non regolati trattino valori destinati alla negoziazione ufficiale. Questo obiettivo è perseguibile soltanto attraverso la disciplina di tutti i segmenti di mercato e di tutti gli intermediari che in esso vi operano».

Si apriva così la via che doveva portare alla legge 2 gennaio 1991, n. 1, istitutiva delle SIM che disciplinava per la prima volta in modo organico le attività di intermediazione mobiliare e in sostanza archiviava (anche se con una certa gradualità) l’agente di cambio, destinata poi a essere superata dal decreto legislativo 23 luglio 1996, n. 415 (cosiddetto decreto Eurosim), che dava attenzione alle direttive comunitarie sull’armonizzazione della disciplina dei servizi di investimento.

2.11 Il

corpus

della disciplina