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Il driver comunitario e la torrentizia produzione

e la nascita della Consob e della normativa

2.12 Il driver comunitario e la torrentizia produzione

legislativa degli anni Novanta

E ancora, e infine, sui filoni aperti dalla l. 216/1974 (autorità di controllo, mercati, intermediari, disciplina delle quotate) doveva di lì a poco inserirsi il driver, che in breve tempo divenne impetuoso e determinante, della legislazione comunitaria (Costi, Enriques, 2004, p. 17 ss.). Con il progredire del mercato unico, cresce a ritmo vorticoso l’esigenza di

armonizzazione della legislazione della grande impresa (ben presto dell’impresa tout court) e dei mercati finanziari con un susseguirsi di direttive. Ammissione alla quotazione, prospetti di quotazione, organismi di investimento collettivo, offerte pubbliche, soglie rilevanti

di partecipazione, insider trading, per non parlare dei servizi di investimento, sono solo alcune delle tematiche che le direttive europee nel loro spesso particolarissimo e lungo iter affrontano. E si affiancano alle direttive societarie che mano a mano avranno attuazione in Italia a livello di disciplina generale societaria (ma non di rado con specifica e differenziata rilevanza per le quotate) inserendo nella

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legislazione nuovi istituti, quali la scissione e i bilanci consolidati. Ne deriva una produzione legislativa tra la metà degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta davvero torrentizia, spesso scoordinata e con non pochi spazi di incoerenza. Nel comparto dei mercati e degli investitori istituzionali, dopo dieci anni dall’introduzione dei fondi mobiliari aperti, nel giro di un biennio vengono disciplinati le SICAV (decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 84), i fondi pensione (decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124), i fondi comuni di investimento mobiliare chiusi (legge 14 agosto 1993, n. 344), i fondi comuni di investimento immobiliare (legge 25 gennaio 1994, n. 86). A pochi mesi dalla nascita delle SIM si disciplinano l’insider trading (legge 17 maggio 1991, n. 157) e le offerte pubbliche di acquisto, vendita, sottoscrizione con l’introduzione dell’istituto dell’Opa obbligatoria (legge 18 febbraio 1992, n. 149), disciplina destinata a incidere «profondamente sul diritto delle società, con azioni quotate, soprattutto sotto il profilo della circolazione delle

partecipazioni e, quindi, sulle regole per l’acquisizione del controllo su queste categorie di società» (Costi, 2008 p. 32), ma destinato pure a ravvivare il dibattito vecchio ormai più di settant’anni sui patti di sindacato, considerati ostacolo a quel mercato del controllo e a quella tutela del valore dell’investimento dell’azionariato diffuso che si vorrebbe incentivare.

Il 1991 felix vede un’attuazione delle direttive comunitarie sulle fusioni e sulle scissioni (decreto

legislativo 16 gennaio 1991, n. 22) e dei conti annuali (decreto legislativo 9 aprile 1991, n. 127), mentre risale al 1986 il decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 1986, n. 30, attuativo della seconda direttiva con la nuova disciplina dei conferimenti, degli acquisti pericolosi, degli acconti dividendi, l’ampliamento dei poteri del consiglio per le nuove emissioni su delega assembleare. Dal 22 luglio 1989 al 24 aprile 1992 fu Ministro del Tesoro Guido Carli che, come agevolmente risulta dalle cronologie sopra riferite, diede notevole impulso alla costruzione di una cornice che favorisce il formarsi di un efficiente e significativo quadro istituzionale per i mercati italiani (Craveri, 2008). E il riferimento a Guido Carli mi permette di porre l’accento su di una vicenda che spesso fra i giuristi e nella ricostruzione delle tappe per la formazione di un corpus normativo istituzionale dei mercati non trova grande attenzione, che anzi con il passar del tempo ha spesso ricevuto più critiche che

apprezzamenti (ancora una volta con non adeguata sensibilità storica). Mi riferisco alla vicenda delle privatizzazioni: e vi

comprendo pure la l. 30 luglio 1990, n. 218 (ed i successivi decreti delegati) sulla

ristrutturazione degli enti pubblici creditizi, che con la trasformazione delle società pubbliche in spa, il collocamento prima di una minoranza del capitale e poi senza limiti, la costituzione delle

fondazioni a seguito della separazione dell’azienda bancaria dall’ente creditizio, era destinata a dare un significativo spessore al mercato azionario e allo stesso

tempo a creare un’importante categoria di investitori istituzionali (e per la verità molto di più, dato il ruolo che le fondazioni

andranno assumendo con il tempo). Le banche, formalmente (nella prima fase del vincolo dell’appartenenza del 51% del capitale con voto agli enti

conferenti) privatizzate, libereranno in un quadro più concorrenziale capacità operative che in buona misura influiranno e incideranno sui mercati mobiliari. Naturalmente, contributo significativo viene dalla nuova legge bancaria (decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385) relativamente alla quale è stata messa in luce

la fondamentale svolta della liberalizzazione delle emissioni di titoli atipici. Ma non è la sede per illustrare sinteticamente la fondamentale rilevanza della legge bancaria.

La regolamentazione delle società quotate

Dall’Unità ai giorni nostri: 150 anni di borsa in Italia

La ristrutturazione degli enti pubblici creditizi fu in un certo senso banco di prova e misura prodromica alla vicenda delle privatizzazioni (che Carli predicava con passione e convinzione, ma non riuscì a portare a esiti conclusivi). Il processo prende avvio con il decreto legge 5 dicembre 1991, n. 386, convertito nella legge 29 gennaio 1992, n. 35. Continua con il decreto legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359, e con la delibera del consiglio dei ministri 30 dicembre 1992. Segue la direttiva Cipe dell’inizio del 1993 e quella del presidente del consiglio 30 giugno 1993 (modificata il 15 ottobre 1993). Inizia l’iter parlamentare un

disegno di legge per una disciplina organica delle procedure di privatizzazione, disegno trasformato in decreto legge nel settembre 1993, reiterato più volte e approdato finalmente alla legge 30 luglio 1994, n. 332 (Marchetti, 1995). Una legge, quest’ultima, che introduce fondamentali innovazioni alla disciplina dei mercati finanziari e alle società privatizzate:

innovazioni che saranno destinate a essere recepite nella legislazione successiva. Mi limito a ricordare il voto di lista per la nomina del consiglio di amministrazione, l’unificazione delle partecipazioni apportate a un patto di sindacato ai fini dell’Opa obbligatoria, il limite di possesso azionario (destinato a cedere peraltro con un’eventuale Opa), il voto per corrispondenza. Certo, si introduce anche la golden share che sarà destinata, sulla scorta dei principi comunitari, a una drastica riduzione della sua portata discrezionale. Accanto alla legge

sulle privatizzazioni c’è la realtà della vicenda. Il mercato aumenta di spessore con i titoli di alcuni ex enti pubblici, si “scoprono” e praticano tecniche di collocamento (dal book building alla green shoe) non certo frequenti nella prassi italiana.

Tutto si svolge nei primi anni Novanta, anni che si dovrebbero mettere a fuoco per ciò che hanno significato per comprendere la complessità dei processi. Il mercato finanziario italiano progredisce e si costruisce modernamente (si badi: qui la prospettiva è solo quella del giurista) proprio nel momento in cui matura una grave crisi politica con, e grazie a, un fortissimo vincolo comunitario, anche come via d’uscita da una pesantissima situazione economico finanziaria del Paese.

2.13 Dal Tuf alla riforma