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Il corpus della disciplina speciale delle società quotate

e la nascita della Consob e della normativa

2.11 Il corpus della disciplina speciale delle società quotate

Sotto il profilo degli emittenti la l. 216/1974 segna una prima netta specializzazione della disciplina delle società quotate rispetto alla disciplina di diritto comune, disciplina che prima del 1974 era marginale (calcolo del recesso, valutazioni in bilancio). Neppure la normativa regolamentare della Camera di Commercio cui spettava dettare i requisiti della quotazione aveva indotto (seppur come mero mezzo per ottenere, appunto, la quotazione)

significative divaricazioni (anche solo sotto forma di attivazione di clausole statutarie non precluse dalla normativa). Il Regolamento della borsa di Milano del 1960 si era limitato a richiedere che dei due bilanci di cui già si chiedeva la sussistenza entrambi presentassero risultati positivi con “remunerazione del capitale” per quanto riguarda l’ultimo. Si aggiungeva il requisito del capitale minimo di un miliardo, quello dell’intera liberazione

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e libera circolazione dei titoli, una sufficiente distribuzione dei titoli: requisito, quest’ultimo, lasciato alla discrezionalità degli organi di borsa con facoltà di considerare, per accertarlo, anche le

transazioni fuori mercato.

Nasceva una embrionale disciplina dell’informazione in quanto le società quotate erano tenute a trasmettere alla Camera di Commercio, il bilancio, le modifiche statutarie, le modifiche relative alla

composizione del capitale e quelle degli organi sociali e dei

funzionari con firma, nonché «tutte le informazioni sul proprio ordinamento legale e sulla propria situazione finanziaria riveniente dalla Camera di Commercio». La l. 216/1974 in realtà contiene norme dedicate alle società quotate, ma anche spezzoni di riforma di diritto comune di portata generale che riprendono temi cari ai filoni riformisti

susseguitesi nel tempo.

La ratio delle riforme è composita. Da un lato, si definiscono meglio il controllo e le partecipazioni reciproche con la controllante, così come si disciplinano in modo rigoroso le deleghe; il che

dovrebbe rafforzare la supervisione assembleare e il bilanciamento, per così dire, artificiale del potere dei gruppi di controllo (e del sistema bancario depositario delle azioni). Anche in quest’ottica (come in quella della tutela patrimoniale) va letta la più rigorosa normativa in tema di opzione (il calcolo del prezzo di emissione delle azioni di nuova emissione con esclusione dell’opzione che in caso di

quotazione non si aggancia ancora al valore di borsa, ma ne deve tener conto), nonché la

regolamentazione delle obbligazioni convertibili, sino allora note alla prassi, ma non disciplinate, la cui emissione è pure riservata in opzione. Nello stesso tempo si apre la via, in accoglimento del noto, ancorché non incontrastato, filone riformatore appalesatosi al tempo dei lavori della commissione Santoro Passarelli, alle azioni senza diritto di voto, ma con privilegi patrimoniali (ivi compreso il diritto all’utile) destinate, seppur in via facoltativa, e per il massimo del cinquanta per cento del capitale, ai soci risparmiatori. Vi è la forte ipoteca, tuttavia, che le azioni di risparmio agevolassero in definitiva il gruppo di comando, che ridottosi (potenzialmente sino) alla metà il capitale con diritto di voto e grazie all’intoccato e intoccabile sistema della catena, nonché, occorrendo, alle stesse obbligazioni convertibili, poteva conseguire, un formidabile effetto leva, un controllo ultraminoritario. Secondo lo schema del filone riformatore degli anni Sessanta, la trasparenza dei possessi azionari, l’irrobustimento della disciplina contabile (si disciplina analiticamente il conto profitti e perdite e la relazione degli amministratori), la certificazione (questa solo per le quotate) dei bilanci e il controllo (rigorosamente non di merito, ma solo)

sull’informativa societaria, dovevano sortire quell’effetto compensativo che Bruno Visentini illustrava lucidamente nella relazione

introduttiva al Convegno di Venezia organizzato nel 1966 dalla Rivista delle società (Visentini, 1968). L’ampio potere di richiesta di informazioni attribuito alla Consob (che allora tuttavia non si

La regolamentazione delle società quotate

Dall’Unità ai giorni nostri: 150 anni di borsa in Italia

e controllate, ma comprendeva le finanziarie di una certa dimensione seppur non quotate), la più rigorosa disciplina delle partecipazioni reciproche delle quotate stesse, la normativa (per i tempi, questa sì, lungimirante) dei compensi oltre che degli emolumenti di amministratori, sindaci, direttori generali di società quotate completavano il pacchetto dei contrappesi di supervisione (allora, data la asfitticità del mercato) soprattutto esterna di quel consolidamento del gruppo di comando che gli interventi sulla tipologia delle azioni consentiva. Già si è fatto cenno di come con la l. 216/1974 faccia la sua apparizione nel panorama regolatorio italiano l’offerta pubblica già nota alla realtà economica con la famosa Opa di Sindona sulla Bastogi e che la Borsa in via di

autoregolamentazione aveva per prima, sulla scorta del modello inglese del Take-over Code, voluto disciplinare. La prima disciplina è succinta. Spetta alla Consob, cui va indirizzata la prescritta

comunicazione dell’operazione con le condizioni, modalità, termini di svolgimento proposti, stabilire «i modi in cui l’offerta deve essere resa pubblica, nonché i dati e le notizie che deve contenere».

Oltre ai richiami, ai contenuti e alle logiche e linee di policy sottese (avverto: non sempre facili da identificare) va sottolineato un dato che pare solo formale, ma che in realtà è indice della nuova prospettiva che il diritto societario assume con la l. 216/1974. Le riforme vengono, per quanto possibile, inserite nel codice civile, ma si forma parallelamente pure un corpo autonomo di norme, anche di natura primaria contenute in leggi speciali, leggi speciali che poi confluiranno (o si cercheranno di far confluire) nel Tuf.

All’articolarsi delle fonti di formazione della normativa che, come già si è visto, si sviluppa con la l. 216/1974 corrisponderà una pluralità di fonti di

conoscenza che si tenterà con il 1998, ma anche con la riforma del 2003, di ricondurre solo ai due binari del Tuf e del codice. Ma il Tuf non diventerà mai la (unica) sedes materiae della disciplina delle società quotate. Un’ulteriore caratteristica si coglie nella normativa sulle società quotate della l. 216/1974, caratteristica che diventerà una costante nella legislazione

successiva. Mi riferisco al fatto che alcune norme disciplinano in modo differenziale istituti (o aspetti di istituti) comunque oggetto della disciplina di diritto comune, altre anche, a livello di fattispecie, riguardano le sole società quotate. Costituisce ormai luogo comune, ma negli anni Settanta

rappresentò un’innovazione di cui non si ebbe subito compiuta consapevolezza, che questi nuovi territori guadagnati alla

regolamentazione societaria (ma anche aspetti della nuova disciplina di istituti tradizionali:

si pensi ai sistemi di nomina degli organi sociali delle società quotate) sono frutto del fatto che l’orizzonte della disciplina guarda al mercato finanziario. Ai soci, ai creditori, si affianca il mercato degli investitori potenziali se non (per ricorrenti filoni dottrinari, e non solo) la ricca articolazione dei vari stakeholders.

2.12 Il

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