2. Il crowdfunding per il portico di San Luca
2.6. Comunità e dimensione locale
Il crowdfunding, anche se applicato in ambito imprenditoriale secondo logiche orientate al profitto, è di per sé una pratica basata su un’esperienza di comunità, in grado di generare
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benefici di carattere collettivo per i partecipanti. Per l’imprenditore che decide di adottare il crowdfunding come strumento di finanziamento per la propria attività è fondamentale riuscire a costruire un gruppo di sostenitori disposti a supportare l’idea di azienda o di prodotto che ha in mente (Belleflamme, Lambert e Schwienbacher, 2014).
Secondo Anberrée et al. (2015, p. 39), «crowdfunding is not only a way for an organization to generate and manage resources; it is also a structuring factor in terms of relations». Questa opinione è condivisa anche da altri studiosi. Secondo Berglin e Strandberg (2013), una delle principali motivazioni che spingono i sostenitori a supportare un progetto di crowdfunding è la volontà di sperimentare una modalità innovativa per entrare a far parte di una comunità raccolta intorno ad un obiettivo e un progetto comune. Dello stesso avviso sono Colombo, Franzoni e Rossi-Lamastra (2015, p. 2) quando affermano che «crowdfunding platforms are not only intermediaries of monetary transactions, but also loci of social connections».
A maggior ragione, nel caso del crowdfunding civico il senso di comunità, unito a un focus territoriale ben definito, è un fattore fondamentale per il successo di una campagna di raccolta fondi. Come evidenziato da Barollo e Castrataro (2013) il legame tra il progetto e la comunità di riferimento è allo stesso tempo il mezzo e il risultato associato a una determinata campagna. Da un lato, per riuscire a coinvolgere un gran numero di sostenitori è fondamentale fare appello al legame affettivo che essi intrattengono con il territorio, la città o il monumento al quale l’iniziativa è dedicata. La prospettiva di ricevere, in cambio della propria donazione, il beneficio derivante dalla realizzazione di un progetto di carattere civico spesso funziona da incentivo per favorire le donazioni dei cittadini. Dall’altro lato, quando una campagna di crowdfunding va a buon fine, oltre alla realizzazione concreta del progetto si riscontra un consolidamento degli stessi legami affettivi a cui prima si faceva riferimento. In altre parole, il cittadino che finanzia di tasca propria la realizzazione di un’opera pubblica o il restauro di un monumento simbolo della propria città sarà più propenso a sentirlo “proprio”, a provare un maggiore senso di appartenenza e rispetto nei suoi confronti (Barollo e Castrataro, 2013).
A un primo sguardo tutto ciò potrebbe apparire in parziale contraddizione con la natura stessa del crowdfunding che, avvalendosi di Internet per la promozione dei progetti e per la raccolta delle donazioni, sembrerebbe privilegiare la dimensione globale a scapito di quella locale. Questo può essere vero in determinati casi, come ad esempio la prevendita di prodotti realizzati da un’azienda e indirizzati al mercato internazionale. In una circostanza del genere, infatti, prevale la dimensione globale dettata dalla volontà di vendere il prodotto al maggior numero di clienti possibile, anche grazie ai moderni meccanismi dell’e-commerce e al costo non più proibitivo delle spedizioni. Tuttavia, nel caso di progetti di carattere civico che interessano in
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modo particolare un numero ristretto di persone, la dimensione locale e il senso di comunità rimangono fondamentali e non possono essere elusi dal semplice fatto di dare a chiunque la possibilità tecnica di contribuire economicamente (Agrawal, Catalini e Goldfarb, 2011; Barollo e Castrataro, 2013).
Internet tende a farci dimenticare l’importanza del luogo. È vero che possiamo comunicare, interagire, lavorare con chiunque virtualmente, ma questo non significa che abbiamo una vera e propria relazione. Le comunità locali sono posti che possono incentivare collaborazione e innovazione, portando offline le community formatesi online. […] Si capisce che questo ragionamento applicato al civic crowdfunding ha ancora più senso: si hanno molte più possibilità ed ha molto più senso raccogliere fondi per la costruzione di un ponte pedonale nel centro di Rotterdam attraverso la comunità locale piuttosto che facendo appello alla comunità globale presente sul web. Non si tratta di capitale sociale ma di capitale relazionale, non si tratta di grandi reti, ma di tante piccole ma significative relazioni che vanno a formare comunità fortemente legate (Barollo e Castrataro, 2013, p.8).
In quest’ottica la vera forza della dimensione digitale consiste nel rendere possibile la creazione di reti locali che interagiscono sia fisicamente sia attraverso Internet e le nuove tecnologie di comunicazione (Barollo e Castrataro, 2013). Di conseguenza la dimensione più adatta in cui attuare iniziative di crowdfunding di successo appare proprio quella urbana, che trova nella città, e ancor più nel quartiere, il suo ambiente di riferimento (Giannola e Riotta, 2013). L’importanza della comunità e della dimensione locale delle iniziative è apparsa chiara fin dalle origini del crowdfunding. Quando si parla di questo strumento, solitamente ci si riferisce a un fenomeno estremamente innovativo che si è diffuso in tempi recenti, in modo particolare nell’ultimo quinquennio, basato sull’utilizzo di Internet e delle nuove tecnologie. In realtà c’è chi osserva che forme di “finanziamento della folla” esistono da molto tempo sotto forma di sottoscrizioni e raccolte di donazioni di vario genere. In molti saggi si fa riferimento all’episodio del finanziamento del piedistallo della Statua della Libertà, definito da molti il primo caso di crowdfunding civico (Piattelli, 2013).
La statua, costruita dai francesi in onore della dichiarazione d’indipendenza, venne inviata a New York nel 1885. Tuttavia, al momento dell’arrivo era stata stanziata solamente una parte dei fondi necessari per la costruzione del piedistallo, senza il quale la statua non poteva essere innalzata. Per reperire le risorse mancanti venne lanciata una grande sottoscrizione da Joseph Pulitzer. L’iniziativa ebbe un grande riscontro, anche grazie alla grande influenza mediatica di Pulitzer, tanto che l’obiettivo, pari a $ 100.000, venne raggiunto in soli 5 mesi. È interessante
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notare come il successo della raccolta fondi fu possibile grazie all’apporto di un gran numero di donazioni di piccola entità: i sostenitori furono infatti 120.000, l’80% dei quali contribuì con donazioni inferiori a un dollaro. Oltre al fatto di aver raccolto il denaro necessario per la costruzione del piedistallo, l’iniziativa ebbe anche un altro importante risultato. Per il fatto di aver contribuito in prima persona, i newyorkesi iniziarono a sentirsi estremamente legati alla Statua della Libertà, che da quel momento in poi si convertì nel simbolo universalmente noto della loro città. Tutto ciò fu possibile proprio perché Pulitzer, nel lanciare la campagna di raccolta fondi, fece appello al senso di appartenenza dei cittadini e li ricompensò pubblicando i nomi dei sostenitori sulle pagine del suo giornale (Barollo e Castrataro, 2013; Piattelli, 2013). Quello appena descritto è uno straordinario esempio di come il legame con la comunità di riferimento sia un fattore fondamentale per il successo di un’iniziativa di raccolta fondi collettiva. Ciò è vero anche oggi, a distanza di quasi un secolo e mezzo. Queste considerazioni, infatti, si inseriscono in un contesto di riflessioni sulle nuove forme di socializzazione delle persone all’interno dell’ambiente urbano. Si tratta di pratiche di vera e propria «riqualificazione fisica e sociale» dei quartieri basati sulla partecipazione, l’interazione e la collaborazione delle persone (Nuvolati, 2014, p. 130). Dopo un periodo caratterizzato da un forte sviluppo delle ICT
che ha provocato una de-materializzazione delle relazioni, negli ultimi anni stiamo assistendo a una crescente riaffermazione di pratiche basate su legami di vicinato e reciprocità. Questo fenomeno sarebbe dovuto a una serie di fattori, tra cui le carenze di un sistema di welfare in grado di assicurare il benessere di tutti gli strati della popolazione, la crescente individualizzazione della vita quotidiana delle persone e la difficoltà nel trovare nei legami primari, ovvero quelli di tipo familiare, il supporto adeguato per superare difficoltà economiche e disagi di carattere sociale (Nuvolati, 2014).
A questo proposito nel panorama italiano la città di Bologna appare un ambiente particolarmente adatto a iniziative fondate sulla collaborazione a livello locale. Il capoluogo emiliano-romagnolo ha una lunga tradizione in questo senso, come si è avuto modo di osservare nel capitolo precedente in relazione alla storia della costruzione e della conservazione del portico di San Luca. Anche alcune esperienze che hanno avuto luogo nel contesto attuale sembrano confermare questa tendenza. Un caso emblematico, risalente ai giorni nostri, è quello di Via Fondazza, la prima social street d’Italia (Nuvolati, 2014; Pianigiani, 2015).
Nata da un’idea di Federico Bastiani, il progetto consiste nella creazione, grazie all’ausilio del web, di un gruppo Facebook riservato agli abitanti di Via Fondazza, che nel giro di due anni ha raggiunto 1.100 membri. Attraverso il gruppo “Residenti in Via Fondazza – Bologna” è stato possibile costruire legami relazionali che sono andati immediatamente al di là della dimensione
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virtuale, mettendo concretamente in contatto le persone che vivevano nello stesso palazzo o nella stessa strada senza neppure conoscersi, in modo da sfuggire all’individualismo e all’anonimato che spesso caratterizzano le realtà urbane. Il gruppo Facebook ha permesso ai residenti di Via Fondazza non solo di conoscersi ed entrare in contatto, ma anche di attivare meccanismi di interazione e collaborazione, come l’organizzazione di feste, l’aiuto reciproco e lo scambio di informazioni e beni di seconda mano. L’idea ha destato grande curiosità, tanto da portare in breve tempo alla nascita di quasi 400 social street sparse tra Europa, Brasile e Nuova Zelanda (Formica, 2015; Mora e Pais, 2015; Pianigiani, 2015).