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La poesia colta e concentrata di Sponde raccoglie moltissime suggestioni, classiche e contemporanee, 47 Erba stesso trama la sua traduzione di rimandi a una koinè linguistico-

stilistica ben precisa:

Ad esempio le sue traduzioni di Sponde, ch’è un poeta pre-barocco, risentono del petrarchismo europeo, diventano quasi testi di Della Casa. Il linguaggio retrodatato si storicizza e le strutture, anche, sono adeguate: dittologie e antitesi. Si legga Chi dall’alto del ciel: si accentua il fenomeno di “straniamento”.

43 RICHTER, La poesia lirica in Francia nel secolo XVI, p. 49. Cfr. Eurialo DE MICHELIS, Profilo di Sponde (5-30), “Rivista di letterature moderne e comparate”, I, 1971: «Nemmeno s’incontrano, nei sonetti di Sponde, gli amori al plurale che il titolo annunzia, e starei per dire, nemmeno propriamente l’amore: unico tema l’immagine, in cui il poeta si rafforza, della propria “constance”», p. 24. Jean DE SPONDE,

Meditazioni sui salmi e poesie, a cura di Mario Richter, traduzioni e note di Mario Richter, Manuela

Gemma, Paolo Focardi, San Paolo, Milano 1998, p. 19: «Al di là o insieme a una donna effettiva, Sponde insiste nel celebrare un valore che appartiene soltanto all’innamorato: la costanza».

44 Cfr. i già citati Natoli, Richter e Macchia e Gilbert SCHRENCK, La structure délicate des Sonnets d’amour de Jean de Sponde (255-265) in Poétique et narration. Mélanges offerts à Guy Demerson, Honoré Champion, Paris 1993.

45 Mario RICHTER, Jean de Sponde e la lingua poetica dei protestanti nel cinquecento, Goliardica, Milano 1973: «Sponde persegue insorgenze del tutto private, limitate a un dramma che non evade dalla vicenda puramente interiore, disinteressate a ogni rappresentazione del mondo esterno. Questa preoccupazione introspettiva e, si direbbe, esistenziale conferisce alla sua poesia un’apparente difficoltà, un risultato di tormentata ricerca stilistica, che si definisce, spesso, in rotta musicalità, in asimmetrici procedimenti di ritmo», p. 7.

46 RICHTER, La poesia lirica in Francia nel secolo XVI, p. 364: «La ‘corrispondenza’ organizzata nelle terzine rovescia ancora i rapporti: adesso la realtà presente, la realtà posseduta è le grand ciel, il vero Tutto, nel quale Amore (l’ultimo furor dell’elevazione platonica) ha condotto il poeta; il resto, il mondo degli amori terrestri e sensibili, è oscuro, privo d’unità, è il mondo atomico del ‘materialismo’ epicureo. Nello ‘stemma’ antitetico dell’ultimo verso si giunge al rapporto di fondo, alla visione dualistica e antinomica che governa, attraverso Platone, il sistema teologico calviniano e che, del resto, è già annunciata da un non casuale accostamento in cesura, nel secondo verso, di Tout e rien».

47 Cfr. MACCHIA, Jean de Sponde e il problema della poesia barocca in Francia, p. 34: «si va dai classici, con il Timeo e la Repubblica platonici, Pitagora e la dottrina delle sfere celesti e il celebre Somnium

Scipionis ai contemporanei poeti cosmogonici del Cinquecento, in particolare Grévin e il Microcosme di

Maurice Scève, nonché, forse, alla suggestione di alcuni versi danteschi: si legga ad esempio il canto XXII del Paradiso («Col viso ritornai per tutte quante / Le sette spere, e vidi questo globo / Tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante», vv. 133-135)».

Solitamente il traduttore tenta di avvicinare a sé, qui recupera un’impronta culturale ben precisa.48

«“Chi dall’alto dei cieli chinasse il guardo”, qui ho reso “sa vue”, la vista, gli occhi, usando

“guardo” come nell’Adone di Marino, nel Tasso e nei poeti del tempo»,

49

continua Erba

nell’incontro bergamasco. Accentuare lo “straniamento”, evidenziare la distanza è, ancora

una volta, sottolineare, porre, una certa alterità:

Marino anche per essere controcorrente […] ci si è accorti che è un grande poeta e la sua civiltà letteraria degna di essere riconsiderata. Lo sento molto vicino anche per questa sua nostalgia di valori che Marino si rende conto non essere più attuabili, praticabili. Marino guarda a sua volta al Petrarca, ma è più terreno: c’è la lascivia, non l’amore, c’è il successo e non la fama ma soprattutto il senso del tempo, della precarietà, la nostalgia di un mondo che non è più, come Don Chisciotte che rimpiange la cavalleria.50

«“Sull’ampia sfera dell’aereo elemento colui vedrebbe il tutto, un esil punto pur che nube

no’l veli”. Mi è costato molto scrivere questa soppressione di “non lo” ma in questo modo il

verso torna e non è zoppicante»

51

: gli alexandrins francesi vengono resi con endecasillabi,

solo talvolta con versi lievemente ipermetri, da ciò la necessità di una gran parsimonia

verbale.

52

«“Ma contempli” è diventato un esortativo, mentre in francese significava

48 Dalla presentazione ufficiale di ERBA, I miei poeti tradotti, 17 Settembre 2014, presso la libreria Vita e Pensiero dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, mia trascrizione.

49 Cfr. MARINO, L’Adone, ottava 50: «Meglio in esso drizzando il guardo fiso / vide le lettre, ch’avea scritte intorno» o 78: «Aguzza il guardo pur, se pur da tante / Luci esser può, che non languisce offeso» o anche, per chinare il guardo, RVF, CXXIII, v. 12: «Chinava a terra il bel guardo gentile, / et tacendo dicea»; Bernardo TASSO, I tre libri degli amori, 40, Per la viceregina di Napoli, v. 4: «chinate il guardo acceso di pietate / al basso stato mio, chiara mia stella» o BOIARDO, Amorum libri, 25, Chorus Unisonus, v. 1: «Deh, non chinar quel gentil guardo a terra, / lume del mondo e specchio de li Dei». Così come, del resto,

ampia sfera (MARINO, Adone, Le bellezze, XI, stanza 28: «Quasi ampia sfera il bel chiarore s’apriva, / nel cui centro il garzon fissò la vista»), o amor terreno (cfr. Bernardo GIAMBULLARI, Rime spirituali, VI, [Preghiera] «Leva da me ogni voglia bramosa / e ogni amor terreno e sensuale»; MARINO, La galeria,

Maddalena di Tiziano: «...altrui lusinga amor terreno»; Torquato TASSO, Gerusalemme conquistata, XX: «Quinci il terreno amor d’augusta lode»).

50 Cfr. “L’aquilone”, Poeti in gara (Luciano Erba e Andrea Zanzotto), Raiuno, 15 dicembre 1989 (mia la trascrizione).

51 Dalla trascrizione dell’intervento di Erba al convegno di Bergamo, archivio privato.

52 L’impianto rimico viene alluso e riproposto da compensi fonici (cfr. elemento : punto – e poi orizzonti;

guardo : velario; bendati : àto(mi); talvolta al mezzo: Amori : amore; o con riprese identiche: immenso : immenso; dove : dove : ove…). Cfr. ERBA, On tradition and discovery: «Rhyme, meter. For the above reasons, a sought-for rhyme is differently, but not less, poetic than a spontaneous “given” rhyme. We can even say that the unconscious, whether private or collective, and never entirely repressed, the intended in that case, the progressive deepening or lightening of the theme, the renouncing and enriching of the dictated, come into play and selective elements passing through the enchanted mesh of rhyme, assonance,

“qualora contemplasse” ed era circostanziale. “Voglia contemplare oltre il ceruleo velario

l’altro altro, la stellata volta”, qui salta il verbo e si risolve in domanda: “a lui dove più

illimiti orizzonti, dove più immenso, dove più ignoto?”. Vi è la parentesi culturale

universitaria, il gioco del microcosmo e macrocosmo, il cosmo ha il suo perfetto riflesso nel

microcosmo del sentimento del poeta»

53

con riferimenti a principi alchemici: la

rispondenza, l’intimo equilibrio fra l’ordine superiore e quello minimo, interiore, concetti

approfonditi da Sponde negli anni di formazione e da Erba nello studio del retroterra

culturale, anche magico, di Cyrano.

54

«“D’un cielo m’ha portato amore a un amoroso cielo ove bendati stan gli occhi miei”,

l’occhio ha una benda; “ma se la vista sforzo” cioè se esco da questo accecamento d’amore,

“verso altri amori” cioè amori celesti, “sotto scura notte mondi io vedo d’Epicuro e gli

atomi, il loro amor terreno e il mio celeste”».

55

Le strategie traduttive di Erba sono improntate a una certa rastremazione, ottenuta per

condensazione («encore caché du voile d’une nuë» > «purché nube no’l veli»; «d’Amour»

> «amoroso»); ellissi, spesso verbale («qui seroit dans les cieux» > «chi dall’alto del ciel»;

«en atomes reduit» > «e gli atomi»), fino a vere e proprie riformulazioni, nominalizzando:

(«il juge que son tour est grand infiniment, / et que cette grandeur nous est toute incognuë»

> «a lui dove più illimiti orizzonti / dove immenso più immenso, dove più ignoto?»), ma

anche sfoltimento di avverbi («un poinct seulement» > «un punto»; «tout de terre et le mien

tout celeste» > «il loro amor terreno e il mio celeste») o soppressione di aggettivi («ce

of the traditional metrical structures. It’s above all the project, when present, that cannot escape the games of chance», pp. 261-262.

53 Dalla trascrizione dell’intervento di Erba al convegno di Bergamo, archivio privato.

54 Cfr. FULCANELLI, Il mistero delle cattedrali, Edizioni Mediterranee, Roma 2005, p. 67: «Il nostro microcosmo non è che una particella infima, animata e pensante, più o meno imperfetta, del macrocosmo». Julius COHEN, 14 lezioni di alchimia, editrice Kemi, Milano 1980: «si tratta, in altri termini, di risalire dal creato al Creatore […] la tavola smeraldina, che si ritiene dovuta alla saggezza di Ermete Trismegisto […] riporta il dogma dell’unità del creato ed anche ovviamente unità del creato con il suo creatore […] prosegue poi la tavola smeraldina: ciò che è in basso e come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per la meraviglia di una cosa unica. E siccome tutte le cose che provengono dall’uno, così tutte le cose sono nate da questa cosa unica per adattamento». pp. 35-38. Per quanto riguarda Erba, si leggano L’incidenza della magia nell’opera di Cyrano de Bergerac (1-74), in

Contributi del Seminario di Filologia Moderna, Vita e Pensiero, Milano 1959 poi in Magia e invenzione

[21-101] e Per una rilettura di Cyrano de Bergerac (369-379), “Aevum”, 30, luglio-agosto 1956, poi ivi, 3-19: «L’Autre Monde, insomma, sarebbe uno scritto in chiave cabalistica, destinato a una piccola cerchia di iniziati, non si sa poi a quale arte: alchimia? Astrologia? Magia tout court?», p. 18.

55 Dalla trascrizione dell’intervento di Erba al convegno di Bergamo, archivio privato. Cfr. GENETTE,

Hyperboles (245-252) in ID., Figures I : «Sur vingt-six sonnets, onze contiennent une comparaison cosmique, huit une comparaison historique, et toute l’invention poétique de ce cycle tient à l’espèce de violence dans le jeu métaphorique avec laquelle Sponde rapporte à son amour, comme un monomaniaque, des objets qui a priori semblent en être aussi éloignés, et que rien apparemment ne destinait à entrer avec lui dans quelque consonance que ce soit», p. 245.

grand ciel» > «a un cielo»; «de ce grand ciel d’Amour» > «a un amoroso cielo»). Riassorbe

inoltre le duplicazioni sintattiche («au reste […] au reste des Amours» > «verso altri

amori»). Cadono con frequenza dimostrativi e possessivi («sa veuë» > «il guardo»; «ce sec

element» > «dell’aereo elemento»; «apres ceste courtine bluë» > «oltre il cerulo velario»;

«ce cercle de cristal» > «l’alto cristallo»…) in una sistematica evaporazione della deissi.

56

Tanti anche gli slittamenti semantici: ‘pourpris’, che varrebbe per ‘recinto’, attraverso

l’accezione del chiudere, l’avvolgere, diviene ‘sfera’ probabilmente anche assorbendo

l’idea di circolarità che cade nel passaggio da «ce cercle de cristal» a «l’alto cristallo»; «sec

element», la terra, secca, emersa, diviene, un po’ incongruamente, «aereo elemento» e poi

«firmament» passa a «volta»: si perde la teatralità del mostrare, ma si accentua la spazialità,

con un influsso cosmogonico, forte: le parole disegnano la forma del mondo, la plasmano,

la costruiscono. Anche il passaggio da «croiroit» a «vedrebbe» s’inserisce in questo dire lo

spazio con suggestione, teatralità: disegnare un universo che si possa vedere; infoltendo il

già molto ribattuto campo semantico della visione (guardo, contempli, occhi, vista,

vedo…).

Je meurs, et les soucis qui sortent du martyre Que me donne l’absence, et les jours et les nuicts Font tant, qu’a tous momens je ne sçay que je suis, Si l’empire tout ou bien si je respire.

Martirio dell’assenza, acerbo affanno Dei giorni e delle notti, a tanto estremo Ch’io non so che sono, che divengo, Se morte m’è vicina, se respiro.57

L’attacco del sonetto successivo mostra strategie simili, ricalibrando con estrema

disinvoltura i costituenti: l’incipit molto enfatico («Je meurs») cade; un verso, con ben due

relative («et les soucis qui sortent du martyre / que me donne l’absence») viene concentrato

in un «martirio dell’assenza» che, per non sbilanciare del tutto l’arcata della quartina, va

dunque consolidato con l’inserto di «acerbo affanno», dittologico ma irrelato nell’originale.

Cadono anche il verbo successivo («font tant»), il cui parossismo è reso con «a tanto

estremo», e la locuzione avverbiale «a tous momens»: la contrazione è tale che,

nuovamente, Erba deve duplicare in lieve variatio un elemento, per salvare l’impianto di

verso altrimenti troppo esile: «ch’io più non so che sono, che divengo».

56 Ma anche «un point» > «un esil punto».

57 DE SPONDE, Œuvres littéraires, p. 53: i manoscritti riportano anche la variante «si j’expire», per attrazione dal «Je meurs» iniziale.

Mon Dieu, que je voudrois que ma main fust oisive, Que ma bouche et mes yeux reprissent leur devoir! Escrire est peu: c’est plus de parler et de voir, De ces deux oeuvres l’une est morte et l’autre vive.

Deh, se la mano stesse alfine oziosa, Se occhi e bocca tornassero al dovere! Scrivere è poco: ma parlare e vedere Conta ben più, è opra viva, non morta.

Anche il terzo sonetto, poi espunto, presenta gran copia di ellissi, seppur in parte imputabili

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