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Forse non estranea a certe prese di posizioni “letterate” è l’autorevole asserzione di Steiner, che nel ‘75 in Dopo Babele sbarra il campo: non possono esistere teorie scientifiche della

traduzione, perché la traduzione non ha e non può avere statuto scientifico, possono esserci

solo racconti, metafore di lavoro, notazioni esperienziali:

Certamente, con buona pace dei nostri attuali maîtres à penser in bizantinismo, non esistono teorie della traduzione. Abbiamo invece descrizioni ragionate di

83 MANIGRASSO, Capitoli autobiografici, pp. 13-14. E Georges MOUNIN, Teoria e storia della traduzione, Einaudi, Torino 1965: «La traduzione letteraria non è un’operazione linguistica: è un’operazione letteraria», p. 63.

84 Jean-Charles VEGLIANTE, Quelle théorie, pour quelle traduction? (39-62) in D’écrire la traduction, a cura di Jean-Charles Vegliante, Presse de la Sorbonne, Paris 1996, p. 39.

85 «Negli anni Ottanta del secolo scorso, si è avuta un’esponenziale produzione di studi sulla traduzione nell’ambito di due discipline parallele: una è d’impianto più letterario e storiografico, oggi propriamente “teoria della traduzione”, l’altra specificamente mirata agli studi linguistico-formali, oggi definita “traduttologia” […] Per riuscire a ottimizzare una coesione di teoria ed esperienza, di approccio dall’alto e dal basso, si può solo auspicare di superare, con la prossima generazione, la scissione tra scuola linguistica e scuola letteraria, senza dimenticare che linguisti e letterati, se non sono traduttori, parlano della traduzione solo dal punto di vista di storici e privilegiati lettori/fruitori», SALMON, Teoria della

traduzione, pp. 26-27.

86 «Agosti: che cosa pensi dell’attuale tendenza, per così dire, scientifica della critica letteraria (strutturalismo-formalismo, ecc.)? Erba: Anche qui, est modus in rebus. Irritazione per […] quanto ha di aggressivo. Moda. Ma questa è una reazione solo epidermica. Più sotto c’è il disagio di veder scomposto quel bel giocattolo che è la poesia. Come letterato mi interessa, come poeta mi fa paura. Ti confesso che non so come uscirne», Stefano AGOSTI, Intervista a Luciano Erba per la rubrica “Incontro con l’autore”

della Televisione della Svizzera italiana, cito da una trascrizione dell’intervento (Agosti fornisce con

anticipo le domande a Erba, che prepara un brogliaccio più o meno rifinito per le varie risposte) conservata nell’archivio.

87 ERBA, Dei cristalli naturali: «(ma lo stile non è forse garante della verità e vitalità delle idee che sono esposte? addirittura, diceva il Cecchi, parte intrinseca di quella verità e vitalità?)», pp. 7-8. Cfr. inoltre ERBA, Per una nuova edizione delle Lettere di Cyrano de Bergerac (526-547), “Aevum”, 38, 5/6, sett.- dic. 1964: «In realtà per Cyrano, come per ogni vero scrittore, lo stile mantiene il suo primato. In particolare quello di Cyrano è uno di quei casi in cui lo stile si pone chiaramente come strumento di conoscenza», p. 547.

procedimenti. Nei migliori dei casi, troviamo e cerchiamo di articolare, in alternanza, delle narrazioni di esperienza vissuta, delle notazioni euristiche o illustrative di un lavoro in fieri. […] Queste cose non hanno uno statuto “scientifico”. I nostri strumenti di percezione non sono teorie o ipotesi di lavoro in un senso scientifico che sarebbe verificabile o refutabile, bensì quelle che chiamo metafore di lavoro. Le migliori traduzioni non possono guadagnare niente dai diagrammi e grafici computerizzati e (matematicamente) puerili proposti da aspiranti teorici.88

E le «metafore di lavoro» fioriscono, in effetti, negli scritti dei traduttori. Il solco è quello

del confronto con l’altro, fino alla colluttazione, alla violenza: «la traduzione è il sangue

della letteratura, e noi traduttori siamo i suoi vampiri»,

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tratteggiando un «traduttore-

cannibale» o che, del testo, «scioglie i nodi con i denti».

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Se ne ha persino, talvolta, il senso di una crudele scarnificazione, o lo sgomento di vedere troppo da vicino quel corpo che è il testo, perché questo è in fondo una proiezione del corpus vivens di colui che lo ha scritto. Comunque, nel passaggio da una lingua all’altra si produce una specie di gioco del domino, o di rovesciamento di birilli.91

Un gioco o uno scontro: «la biblica lotta di Giacobbe con l’angelo, lotta in cui nessuno

vince o (anche questo può accadere) vincono entrambi»;

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«una sconfitta, un duello a cui ci

88 STEINER, Dopo Babele, pp. 16-17. Cfr. Poesia della traduzione, a cura di Alberto Bertoni e Alberto Cappi, Sometti, Mantova 2003: «Certo transferre, dal greco metaphèrein, è lemma pertinente tanto all’attività del tradurre quanto a quella del creare metafore», p. 6. Cfr. SALMON, Teoria della traduzione [su Steiner]: «La principale ragione di questo scetticismo teoretico era per lui (e resta oggi per qualcuno) una malcelata diffidenza generale per la linguistica e il conseguente desiderio di lasciarla fuori da un àmbito, quello della traduzione che si vorrebbe relegato al solo campo umanistico», p. 42.

89 Charles WRIGHT, To Giacomo Leopardi in the Sky (11-16) in Giacomo Leopardi. Poeta e filosofo, a cura di Alessandro Carrera, Cadmo, Fiesole 1999, p. 15.

90 Susan BASSNETT, La traduzione. Teorie e pratica, Bompiani, Milano 1993, p. 5: «egli divora il testo di partenza in un rituale il cui fine è la creazione di qualcosa di completamente nuovo». Franco NASI,

Introduzione. Sisifo, la vita e il gioco (9-38) in ID., Poetiche in transito. Sisifo e le fatiche del tradurre, medusa, Milano 2004, p. 18: «il traduttore letterario interviene nella struttura del tessuto, studia i modi in cui i fili sono intrecciati. […] La sua operazione non è mai neutra. Il traduttore scioglie i nodi con i denti». Cfr. Benvenuto TERRACINI, Conflitti di lingue e di culture, Neri Pozza, Venezia 1957: «la traduzione è una matassa piuttosto arruffata», p. 50.

91 Andrea ZANZOTTO, Conversazione sottovoce sul tradurre e sull’essere tradotti (127-137) in La

traduzione del testo poetico (2014), p. 136.

92 Francesco TENTORI MOLTALTO, Esperienze di un poeta traduttore (257-260) in La traduzione del testo

si costringe sapendo che perderemo».

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Ma anche «un impulsivo atto d’amore»

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, un

«peccato di gola»

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, addirittura «paradigma dell’esistenza».

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Una «fatica da sterratore»,

nella quale serve la minuzia di una formica e l’impeto di un cavallo.

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Che il raccontare quanto pensato e operato, nel confronto reale col testo, sia però l’unica via

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