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Si aprono questioni enormi: la narratività del poetico; la teorizzazione di poesia come antiprosa, costituzionalmente antinarrativa; 31 le forme poematiche, effettivamente

narrative...

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L’indebolirsi, fino forse al declinare, di altre forme di narrazioni in versi

provocherebbe una risegmentazione-ridistribuzione di prerogative: «la lirica – anche in

rapporto al decadimento delle tradizionali forme di narrazione in versi» – ne avrebbe via

via assorbito alcune istanze, «modalità narrative in genere prosastiche, con le relative crisi e

assestamenti formali».

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Ma una narrazione poematica è composta di parti a bassissima

indipendenza singola, create in funzione della struttura; una narrazione macrotestuale

agisce in un’operazione di secondo grado, ponendo in relazione elementi preesistenti, in sé

compiuti, slegati e, tendenzialmente, non pensati al fine della forma.

L’unità del testo risiede all’atto di emissione […]. Vi sono però casi in cui testi con totale o parziale autonomia vengono raggruppati in un testo più ampio, un macrotesto. […] Il comportamento degli autori nei riguardi di queste opere a mutato statuto (composizioni autonome divenute parte di una composizione più

testualità, p. 51.

30 GENETTE, Seuils, p. 204: «Une thème de valorisation propre, pour une raison évidente, aux préfaces de recueils (de poèmes, de nouvelles, d’essais) consiste à montrer l’unité, formelle ou plus souvent thématique, de ce qui risque a priori d’apparaître comme un ramassis factice et contingent, déterminé avant tout par le besoin bien naturel et le désir bien légitime de vider un tiroir». E anche Niccolò SCAFFAI,

Il poeta e il suo libro. Retorica e storia del libro di poesia nel Novecento, Le Monnier, Firenze 2009:

«Bandelle e quarte di copertina non mancano di segnalare l’unitarietà del disegno tematico e del tessuto stilistico-lessicale, ovvero l’esistenza di una componente progettuale nel libro», p. 157.

31 Si veda Ronald DE ROOY, Il narrativo nella poesia moderna. Proposte teoriche & esercizi di lettura, Cesati, Firenze 1997: «la condizione plurigenerica e pluridiscorsiva costituisce una ragione per mettere in dubbio la validità della presunta dicotomia poesia/narratività e per indagare sul ruolo spesso trascurato della narratività nella poesia moderna», p. 9 e, di contro, Jean COHEN, Structure du langage poétique, Flammarion, Paris 1966: «puisque la prose est le langage courant, on peut le prendre pour norme et considérer le poème comme un écart par rapport à elle», pp. 12-13 e «La poésie est, donc, une antiprose», p. 35. Cfr. anche Gérard GENOT, Strutture narrative della poesia lirica (35-51), “Paragone”, XVIII, 212/32, ottobre 1967.

32 Cfr. almeno Eugenio MONTALE, Poesia inclusiva, “Corriere della Sera”, 21 giugno 1964 poi in ID., Il

secondo mestiere, pp. 146-148 e Giovanni RABONI: «una poesia impura e, al limite, impoetica, infinitamente inclusiva, capace di compromettersi con la realtà», Poesia degli anni sessanta, Editori Riuniti, Roma 1976, p. 209.

33 Poeti italiani del Novecento, p. XXIV. Cfr: «la riflessione novecentesca sulla poesia dell’epoca moderna tende a considerare poesia e narratività come due entità eterogenee, a volte addirittura inconciliabili […] La concezione antinarrativa si scontra però con l’effettiva eterogeneità e pluridiscorsività della poesia moderna. […] In fondo tutta la letteratura del primo Novecento è caratterizzata piuttosto dalle interferenze dalla mescolanza in maniera e proporzioni sempre diverse e inaspettate di vari generi e modi discorsivi», DE ROOY, Il narrativo nella poesia moderna, p. 9.

ampia) serve a indicare le forze unificanti dei testi e dei macrotesti. Si verifica insomma che da un lato si tende a rendere più omogenei i testi in funzione del nuovo impiego […] dall’altro si potenziano nella struttura complessiva i valori di coesione.34

Vi è una faglia, un luogo di frizione, fra la forte struttura delle microstrutture, i testi, e la

comprensività e l’efficacia di qualcosa che li inglobi, fornendo un plus di significazione:

Invece di quella naturale evoluzione da poesia a poesia che ho accennato, qualcuno preferirà scoprire nella raccolta ciò che si chiama una costruzione, una gerarchia di momenti cioè, espressiva di qualche concetto grande o piccolo, per sua natura astratto, esoterico magari, e così, in forme sensibili, rivelato. Ora, io non nego che nella mia raccolta di questi concetti se ne possano scoprire, e anche più di due, nego soltanto di averceli messi. Mi si intenda bene: io stesso mi sono fermato pensieroso davanti ai veri o presunti canzonieri costruiti (Les

fleurs du mal o Leaves of grass); ma al buono, al tentativo cioè di comprenderli

e giustificarmeli, ho dovuto riconoscere che di poesia in poesia non c’è passaggio fantastico e nemmeno, in fondo, concettuale. Tutt’al più, come nell’Alcione, si tratta di un legame temporale. […] Un po’ diverso, naturalmente, sarà il discorso a proposito di un racconto o di un poema, dove il passaggio fantastico e concettuale insieme è dato proprio dall’elemento narrativo, dalla consapevolezza cioè di un’unità ideale e materiale che raccoglie i diversi momenti di un’esperienza. Ma allora bisogna rinunciare alla pretesa di costruire un poema semplicemente giustapponendo delle unità […] due o più poesie non formano un racconto o costruzione, se non a patto di riuscire ciascuna per sé non finita. Dovrebbe bastare alla nostra ambizione, e basta in questa raccolta alla mia, che nel suo giro breve ciascuna poesia riesca una costruzione a se stante.35

34 Cesare SEGRE, Avviamento all’analisi del testo letterario, Einaudi, Torino 1985, pp. 40-41. Con ricadute anche stilistiche nella consapevolezza del vincolo o meno in una struttura: cfr. Pier Vincenzo MENGALDO,

Confronti fra traduttori-poeti contemporanei (Sereni, Caproni, Luzi), (175-194) in ID., La tradizione del

Novecento, terza serie, Einaudi, Torino 1991: «L’indubbia liricizzazione a cui Luzi ha torto il poème

frenaudiano non è senza rapporto col fatto che il poeta italiano ha tradotto quell’unico testo isolato; per converso la discorsività caproniana dipenderà anche dall’inserzione di Il n’y a pas de paradis nell’interdiscorsività complessiva di un’Antologia», p. 192. TESTA, Il libro di poesia: «un’ “idea” di ordine, che si manifesta, solo ed esclusivamente, nella ricomposizione testuale della lettura, nella modellizzazione imperfetta della decodifica. Niente di “profondo”, quindi, in accordo all’empirica consapevolezza che l’oggetto trovato non è scoperto ma costruito o, se si preferisce, ricostruito», p. 12. 35 Cesare PAVESE, Il mestiere di poeta in ID., Le poesie, a cura di Mariarosa Masoero, Einaudi, Torino 1998,

pp. 105-106. E ancora, quasi in un’antinomia strutturale: Cesare PAVESE, Il mestiere di vivere, Einaudi, Torino 1952 p. 21: «La ricerca di un rinnovamento è legata alla smania costruttiva. Ho già negato valore poetico d’insieme al canzoniere. [...] Eppure penso sempre come disporre le mie lirichette, onde

Se spostiamo la riflessione all’idea del quaderno di traduzioni, potremmo chiederci se è

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