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Il concetto di ‘persecuzione’ secondo l’orientamento della Corte di Giustizia

status di rifugiato religioso – 1.3 Il concetto d

1. La nozione di ‘religione perseguitata’.

1.3. Il concetto di ‘persecuzione’ secondo l’orientamento della Corte di Giustizia

dell’Unione Europea.

Il concetto di persecuzione è stato oggetto di pronuncia della Corte di Giustizia, per la prima volta, nel 2012, nelle cause riunite C- 71/11 e C-99/11.

La sentenza in oggetto “assume una particolare rilevanza specie se letta nell’ottica della tutela multilivello dei diritti, soprattutto in funzione del ruolo sempre più determinante che la Corte potrebbe avere in un futuro prossimo nella protezione della libertà religiosa”65. La vicenda che ha visto l’intervento della Corte di Giustizia trae origine dalla richiesta di due cittadini pakistani, Y. e Z., per il riconoscimento della protezione internazionale per motivi religiosi. Entrambi i ricorrenti dichiarano di appartenere alla comunità musulmana Ahmadiyya e di essere perseguitati nel loro Paese di origine a causa della loro religione.

La dichiarata ostilità verso la comunità Ahmadiyya trova conferma nel dettato costituzionale66 e nelle disposizioni del codice penale che puniscono tale comunità.

64 Ibidem, pp. 18-19.

65 M. ABU SALEM, op. cit., p.15. Cfr. P. ANNICCHINO, Persecuzioni religiose e

diritto d’asilo nella giurisprudenza delle corti sovranazionali europee, in M.

LUGATO (a cura di), La libertà religiosa, p. 65.

66 L’art. 260, terzo comma, Cost. infatti definisce musulmano “a person who

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La distinzione tra musulmano e non musulmano, presente nella Costituzione, si riflette anche sulle sanzioni penali. Infatti, per i non musulmani – per la legge pakistana in questa categoria vi rientrano, quindi, anche gli Ahamdiyya – sono previste delle sanzioni asprissime, nel caso in cui questi si presentino come musulmani o associassero la loro fede a quella dell’Islam67.

Tant’è vero che il codice penale del Pakistan prevede l’ergastolo o la pena di morte per chiunque “oltraggi il nome del profeta Muhammad”.

Considerati tali fatti, il Tribunale amministrativo di Lipsia riconosceva il diritto dei ricorrenti a rimanere in Germania, mentre il Tribunale di Dresda concludeva in senso contrario, affermando l’insussistenza di un fondato timore di persecuzione.

Successivamente, però, la Corte d’Appello amministrativa di Lipsia riformava quest’ultima sentenza, prescrivendo al Bundesamt di dichiarare il ricorrente Z. in possesso dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato, diversamente da quanto avvenuto per il ricorrente Y., il quale era stato espulso dalla stessa Corte.

Il giudice dell’impugnazione basava la propria decisione sul fatto che sia Z. che Y. fossero fedeli attivi nella loro comunità e, quindi, era impossibile non incorrere in sanzioni visto la loro posizione

finality of the Prophethood of Muhammad, the last of the prophets, and does not believe in, or recognize as a prophet or religious reformer, any person who claimed or claims to be a prophet, in any sense of the word or of any description whatsoever, after Muhammad”, e non musulmano “a person who is not a Muslim and includes a person belonging to the Christian, Hindu, Sikh, Buddhist or Parsi community, a person of the Quadiani Group or the Lahori Group who call themselves 'Ahmadis' or by any other name or a Bahai, and a person belonging to any of the Scheduled Castes”.

67 L’articolo 298 C. prevede che: “directly or indirectly, poses himself as a Muslim,

or calls, or refers to, his faith as Islam, or preaches or propagates his faith, or invites others to accept his faith, by words, either spoken or written, or by visible representations, or in any manner whatsoever outrages the religious feelings of Muslims”.

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e la loro propaganda all’interno della collettività, se fossero tornati in Pakistan.

Avverso queste decisioni, il Bundesamt e il Commissario federale per l’asilo ricorrevano alla Corte amministrativa federale sostenendo che le restrizioni imposte agli Ahmadiyya in Pakistan non potevano essere considerate come una violazione della libertà religiosa dal momento che riguardavano solamente l’esercizio pubblico del culto e, quindi, non impedivano al soggetto di professare la propria fede.

La Corte amministrativa federale decideva, quindi, di sospendere il procedimento per sottoporre la questione alla Corte di Giustizia. I giudici di Lussemburgo sono stati dunque chiamati a chiarire, ai sensi della direttiva 2004/83/CE, cosa debba intendersi per atto di persecuzione.

Più esattamente, la Corte di Giustizia deve spiegare se con tale direttiva ci si riferisca a qualsiasi lesione del diritto di libertà religiosa, così come è previsto dall’articolo 9 Convenzione Europea dei Diritti Umani68, o soltanto “la lesione del suo ‘nucleo essenziale’, nonché se

tale ‘nucleo essenziale’ si esaurisca nella dimensione privata della libertà religiosa o, al contrario, comprenda anche le manifestazioni pubbliche e, in questa seconda ipotesi, se ai fini di una grave violazione della libertà religiosa debbano includersi le pratiche che il singolo fedele percepisce come irrinunciabili al fine di preservare la

68 Tale articolo recita che: “1. Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti.

2. La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui”.

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propria identità religiosa o solo quelle considerate tali dalla comunità religiosa di appartenenza”69.

Con riferimento al primo punto, la Corte precisa che in base all’articolo 9, paragrafo 1, lettera a) della direttiva, gli atti di persecuzione devono essere “‘sufficientemente gravi’, per la loro natura o la loro reiterazione, da rappresentare una ‘violazione grave dei diritti umani fondamentali’, in particolare, dei diritti assoluti per i quali, in forza dell’art. 15, paragrafo 2, della Convenzione Europea dei Diritti Umani, non è ammessa deroga”70.

Per quanto riguarda il secondo punto, la Corte non ritiene di dover insistere troppo sulla determinazione di un nucleo essenziale del diritto di libertà religiosa, ritenendo che una simile operazione sia incompatibile con la definizione ‘estensiva’ di religione prevista all’articolo 10, paragrafo 1, lettera b) della direttiva, che tutela sia le pratiche che l’individuo percepisce come irrinunciabili, sia quelle imposte dalla comunità di appartenenza.

Per determinare se una lesione della libertà religiosa costituisce un atto di persecuzione, le autorità competenti devono semplicemente verificare se, alla luce della sua situazione personale, il richiedente, a causa dell’esercizio del diritto, corra un effettivo rischio di essere perseguitato da uno dei soggetti di cui all’articolo 6 della direttiva71.

Al tempo stesso, la Corte aggiunge che, nella valutazione dell’entità del rischio di persecuzione, non vi debba essere la possibilità di una perdita totale o parziale dell’identità del ricorrente riguardo l’appartenenza religiosa, non potendosi chiedere al fedele di

69 M. ABU SALEM, op. cit., p. 16. 70 Ibidem, pp. 16-17.

71 Secondo la direttiva 2004/83/CE i responsabili della persecuzione o del danno grave possono essere:

a) lo Stato; b) i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio; c) soggetti non statuali, se può essere dimostrato che i responsabili di cui alle lettere a) e b), comprese le organizzazioni internazionali, non possono o non vogliono fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi come definito all'articolo 7.

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rinunciare alle pratiche previste del suo culto, senza però determinare una persecuzione o una discriminazione nei suoi confronti72.