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Persecuzione per motivi religiosi e diritto di asilo.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

Corso di laurea Magistrale in Giurisprudenza

TESI DI LAUREA

Persecuzione per motivi religiosi e diritto di asilo

Il Candidato

Il Relatore

Khadija Elisabeth

Chiar.ma

El Afia

Prof.ssa

Chiara Lapi

(2)

Alla mia famiglia.

A lei devo tutto.

(3)

INDICE

Introduzione

1

Capitolo I

Le fonti della protezione internazionale

1. La protezione internazionale.

9

1.1. Lo status di rifugiato.

10

1.2. La protezione sussidiaria.

13

2. La domanda di protezione internazionale.

16

3. Le autorità competenti e le Commissioni nazionali.

18

3.1. La Commissione nazionale.

19

3.2. Le Commissioni territoriali.

20

4. La Convenzione di Ginevra.

21

4.1. L’obbligo di non refoulement.

22

(4)

5. Il Protocollo di New York.

23

6. Il sistema politico comune europeo.

24

6.1. Le direttive europee.

26

6.2. Il sistema Dublino.

27

7. La giurisprudenza italiana.

29

Capitolo II

Le persecuzioni per motivi religiosi

1. La nozione di ‘religione perseguitata’.

44

1.1. Le ‘persecuzioni’ e i ‘motivi religiosi’ secondo le

linee guida dell’UNHCR.

46

1.2. Il riconoscimento dello status di rifugiato

religioso.

48

1.3.

Il

concetto

di

‘persecuzione’ secondo

l’orientamento della Corte di Giustizia.

50

(5)

3. La conversione e l’apostasia: cause di

persecuzione.

57

4. La conversione e la sottomissione forzata ad una

pratica religiosa.

58

5. La tortura come strumento di persecuzione

religiosa.

62

Capitolo III

Il diritto di asilo

1. L’evoluzione storica del diritto di asilo nel diritto

internazionale.

67

2. L’asilo territoriale ed extraterritoriale.

71

3. Il rifugiato ed il richiedente asilo.

73

4. Il diritto di asilo in Italia.

74

4.1. La portata spaziale del diritto di asilo. 77

4.2. L’ambito di applicazione del diritto di

(6)

5. La legislazione interna italiana.

79

6. Il diritto di asilo e la garanzia dei diritti umani. 82

6.1. Il principio di non discriminazione.

85

6.2. Il rapporto tra diritto di asilo, divieto di

allontanamento e art. 3 della CEDU.

87

Bibliografia

91

Altre fonti

95

(7)
(8)

1

INTRODUZIONE

“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. Siano essi rifugiati, immigrati, cittadini o governanti.

Ho inteso introdurre il mio lavoro con quanto affermato dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, proprio perché, questo articolo racchiude il motivo che mi ha spinto, alla fine del mio percorso di studi, ad approfondire il tema in questione.

La ragione per la quale ho affrontato l’istituto della protezione internazionale e del diritto di asilo risiede nel fatto che sono sempre stata particolarmente sensibile alla figura del rifugiato, ossia colui che fugge dalla propria terra per ricercare uno stile di vita dignitoso, un ambiente dove poter esprimere la propria personalità e, soprattutto, dove poter essere sé stessi, come ad esempio poter professare la propria fede.

Il primo capitolo tratta il tema della protezione internazionale, che viene esaminata sotto il profilo delle fonti.

La tesi muove dalla disamina della normativa nazionale, trasposta in Italia ad opera del Decreto legislativo n. 251 del 19 novembre 2007 e le modificazioni successive avvenute ad opera della Direttiva europea 2011/95/UE.

Vengono sottolineati, sin dal principio, quelli che sono i requisiti per accedere alla protezione internazionale, con particolare attenzione al ‘timore fondato’, ossia il timore ragionevole di essere perseguitati per motivi di carattere etnico, religioso, a causa dell’appartenenza ad un determinato gruppo sociale, a causa della nazionalità oppure per le opinioni politiche, nel caso in cui si faccia rientro nel Paese di appartenenza ed analizzandone la componente sia oggettiva che soggettiva.

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2

Viene poi esaminata la differenza tra lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria, ossia la tutela offerta e riconosciuta all’individuo che non possiede i requisiti per accedere alla protezione internazionale. Da questa distinzione emerge che il rischio di subire un danno è irrilevante ai fini della concessione di detta tutela, se questo sia sorto successivamente alla partenza dallo Stato di origine.

Le autorità competenti a cui rivolgere le domande di protezione internazionale sono la Questura e la Polizia di Frontiera. Questi uffici hanno il compito di identificare i soggetti che, presentandosi alle porte del nostro Paese, richiedono asilo, senza entrare nel merito dei motivi che hanno portato alla richiesta di protezione internazionale.

Ciò avviene perché non tutti gli uffici sono sempre dotati di personale che conosca la lingua dei richiedenti asilo e poi, l’obiettivo non è escludere a-priori le richieste.

Le domande di protezione internazionale, infatti, vengono esaminate dalle Commissioni territoriali e nazionali, le quali decidono sia sulla concessione, sia sulla revoca e sulla cessazione dello status di rifugiato.

Il presente elaborato prosegue, inoltre, con delle normative della comunità internazionale, soffermandosi anche su quelle europee. In particolare, sono partita dalla Convenzione di Ginevra del 1951, definita da alcuni la Magna Carta Libertatum dei rifugiati, ossia il documento che ha posto le basi giuridiche dell’odierno diritto di asilo. Questo rappresenta forse il tentativo storico più importante di stabilire un codice di base comune, a livello internazionale, per la protezione ed il riconoscimento dei diritti dei rifugiati, per garantire loro una tutela degli aspetti fondamentali della vita ed una garanzia di parità di trattamento con gli altri individui che non godono di detta protezione.

Tale tentativo di ‘normativizzazione’ del diritto del rifugiato, seppur si sia presentato come uno tra i più ambiziosi obbiettivi

(10)

3

nell’ottica globale, è stato in gran parte disatteso, sia per la situazione socio-politica che caratterizza l’Europa subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, sia perché gli Stati hanno la libertà e la facoltà di decidere le procedure e le modalità di accesso degli stranieri.

Il Protocollo di New York del 1967 rappresenta un’integrazione estensiva della definizione di ‘rifugiato’. Difatti, con la sottoscrizione di tale Protocollo, gli Stati contraenti si obbligano a rispettare gli obblighi convenzionali, non solo nei confronti dei rifugiati a causa degli avvenimenti che si sono verificati prima del 1° gennaio 1951, ma anche per quelli futuri. Inoltre, mentre con la Convenzione di Ginevra si faceva riferimento agli eventi avvenuti solo in Europa, con il Protocollo di New York viene eliminata la clausola geografica in molti Stati del mondo, permettendo di dare così asilo a tutti i fuggitivi dai vari Paesi del mondo, mentre in altre Nazioni tale clausola permane.

Durante questo studio è stata necessaria anche l’analisi dell’obbligo di non refoulement, ossia il divieto di respingimento.

Tale obbligo, presente all’articolo 33 della Convenzione di Ginevra del 1951, prescrive agli Stati firmatari di non espellere o respingere un soggetto verso i luoghi in cui la sua vita e la sua libertà sono minacciate. Questo divieto è considerato una delle disposizioni fondamentali della Convenzione, a cui nessuno Stato può opporre alcuna riserva. Tale obbligo di non respingimento permane fino a quando lo Stato non si assicura che non sussiste alcuna minaccia nei confronti del richiedente asilo.

Gli Stati membri dell’Unione Europea, essendo tutti firmatari della Convenzione di Ginevra, per completare la creazione di uno Spazio comune in materia di libertà, sicurezza, giustizia, decidono di creare un unico sistema europeo comune di asilo. La costituzione di tale sistema si è concentrata in due fasi: nella prima l’obiettivo è quello di armonizzare i vari sistemi giuridici, adottando degli standard

(11)

4

comuni relativi alla definizione di rifugiato; nella seconda fase, invece, si cerca di innalzare questi standard e di superare le criticità affiorate dal sistema basato sulle norme minime previste dalla Direttiva 2004/83/CE, prevedendo la costruzione del CEAS (Sistema Comune Europeo di Asilo).

Il presente elaborato, dopo aver analizzato le fonti che disciplinano la protezione internazionale, si concentra sul tema delle persecuzioni religiose, restringendo così il campo del lavoro a questo specifico profilo.

La scelta di trattare il tema delle persecuzioni religiose nasce dal fatto che, spesso, si utilizza la fede di un individuo come motivo di discriminazione. Questo aspetto ha sempre suscitato in me un rilevante interesse, in quanto vivo in un contesto familiare multi-religioso. Di conseguenza mi sono posta un interrogativo: “perché la diversità spesso è assunta quale motivo di penalizzazione, quando in realtà dovrebbe essere una fonte dalla quale attingere ‘ricchezze’ culturali e non solo?’’.

Il secondo capitolo è incentrato, infatti, sul concetto di ‘persecuzione’ e sui ‘motivi religiosi’ secondo le linee guida dell’UNHCR.

L’Alto Commissariato, infatti, attraverso le linee guida del 28 aprile 2004, fornisce dei criteri per l’interpretazione di alcuni termini, rilevanti ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato. In particolare, un richiedente protezione deve essere perseguitato ‘per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche’, ma non vi è una definizione universalmente accettabile del termine religione.

Inoltre, l’UNHCR ha precisato che la nozione di religione, in rapporto al concetto di persecuzione, non deve essere limitata alle sole religioni tradizionali o a culti e pratiche riconosciuti dagli Stati, bensì deve essere interpretata in senso generale, quindi le persecuzioni

(12)

5

religiose possono essere spiegate nella doppia prospettiva di aderire o meno ad una determinata fede.

La Corte di Giustizia europea si è espressa sul concetto di persecuzione, per la prima volta, nel 2012 nella causa Bundesrepublik

Deutschland c. X. e Y.; in questa circostanza la Corte afferma che, per

determinare se una lesione della libertà religiosa costituisce un atto di persecuzione, le autorità competenti devono semplicemente verificare se, alla luce della sua situazione personale, il richiedente, a causa dell’esercizio del diritto, corra un effettivo rischio di essere perseguitato.

Spesso accade che la religione sia oggetto di persecuzione nel Paese di origine, in quanto è frutto di una conversione avvenuta nello Stato di arrivo: si parla del c.d. rifugio sur place. In questi casi si pongono dei dubbi sulla buona fede e la credibilità del soggetto richiedente la protezione internazionale, in quanto potrebbe apparire una conversione di convenienza.

Anche in questo caso l’UNHCR pone delle linee guida affinché si valuti la credibilità del richiedente, evidenziando che, se la conversione o l’apostasia non susciti un fondato timore di vessazioni e persecuzioni nel Paese di origine, allora si può optare per il rimpatrio. Altra forma di persecuzione analizzata è l’adesione forzata ad una determinata pratica religiosa, che potrebbe configurarsi come un’educazione religiosa obbligatoria o la vigenza di determinate leggi e codici basati sulla religione che discriminano coloro che professano un credo diverso.

Un’attenzione particolare è stata, poi, posta ad un altro strumento di persecuzione religiosa, quale la tortura, disciplinata dall’articolo 3 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e dal Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici.

(13)

6

Il terzo capitolo, poi, è incentrato sul diritto di asilo. Questo istituto nasce già al tempo degli antichi Egizi ed assume un ruolo sociale ben definito a seconda dell’epoca storica e delle culture politiche dominanti in un dato periodo e, generalmente è motivato da sentimenti religiosi o dalla necessità di evitare vendette private.

Questo diritto, nel tempo, ha assunto una valenza filosofica e sociale, ancor prima che giuridica, in quanto quest’ultima si è affermata soltanto dopo lo sviluppo delle relazioni internazionali, avvenute a cavallo della seconda Guerra Mondiale. Infatti, a seguito degli eventi bellici, si assiste ad un flusso massiccio di rifugiati, in cerca di tutela in tutta Europa.

Per questi motivi, gli Stati hanno ritenuto opportuno creare degli organismi internazionali che si preoccupino di fornire assistenza e assicurare una tutela giuridica, elementi che in quel contesto storico sono assenti.

Dapprima è stata creata la Commissione per i rifugiati nell’ambito della Società delle Nazioni; poi, l’ONU ha ritenuto opportuno provvedere alla nascita di una nuova agenzia che si occupasse della tutela dei rifugiati ed il 14 dicembre del 1950 è stato istituito l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR).

In Italia, il diritto di asilo è disciplinato dall’articolo 10, terzo comma della Costituzione. Nel dettato Costituzionale la norma è molto ampia e precisa, soprattutto se messa a confronto con le altre costituzioni europee; ma al contempo gli interventi legislativi di attuazione della riserva di legge contenuta nel suddetto articolo 10, terzo comma, sono scarsi e insoddisfacenti.

Nel dare attuazione al dettato costituzionale, il legislatore deve ben tenere presente che non si può circoscrivere l’ambito di applicazione del diritto di asilo, altrimenti una legge di questo tipo

(14)

7

sarebbe incostituzionale, ma viceversa, si può estendere il contenuto dispositivo.

Nel diritto internazionale, il diritto di asilo è stato riconosciuto sia come concetto giuridico, sia come diritto da garantire nell’ambito dei diritti umani.

Difatti, all’interno della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, all’articolo 14, è disciplinato l’istituto dell’asilo, ma da tale disciplina non si evince alcun obbligo per gli Stati; in realtà bisogna interpretare la norma in sintonia con gli altri diritti contenuti nella Dichiarazione e non attribuirle un significato discriminatorio.

A tal proposito, il richiedente asilo, pur non essendo a volte citato esplicitamente dalle norme a tutela dei diritti umani, risulta essere destinatario di tali disposizioni, innanzitutto in quanto persona e, poi, in quanto soggetto suscettibile di discriminazione a causa della sua diversità rispetto al soggetto che invece possiede il requisito della cittadinanza.

È intervenuta la Convenzione europea dei diritti dell’uomo a sancire un esplicito divieto di discriminazione, affinché vengano rispettati i diritti e le libertà dell’individuo, in quanto questo diritto viene considerato, dalla comunità internazionale, parte dei diritti fondamentali dell’uomo.

Infatti, generalmente, nei trattati sui diritti umani, non vi sono norme esplicite che disciplinano specificatamente il tema dell’espulsione; tuttavia gli organi preposti al controllo dei trattati sui diritti umani indicano chiaramente come, in alcune circostanze, l’allontanamento di un soggetto da uno Stato possa costituire una violazione degli obblighi assunti da quel determinato Paese ai sensi di tali trattati; come ad esempio può essere l’estradizione di un soggetto che, tornato nello Stato di origine, rischia di subire violenze e di essere vittima di violazione dei propri diritti fondamentali.

(15)

8

Alla luce delle norme comunitarie, quindi, lo Stato non può respingere un individuo senza accertarsi che, tornando nel suo Paese di origine, non incorra in una situazione di grave pericolo, né tantomeno può negare un permesso di soggiorno temporaneo fino a quando non si ha l’esito della domanda di asilo.

In conclusione, è possibile affermare che vi sono gli strumenti affinché il diritto di asilo abbia un percorso comune a tutti gli Stati e sia in armonia con tutti gli strumenti tradizionali posti a tutela dei diritti umani, ma occorre uno sforzo da parte di tutti per correggere gli aspetti che ancora oggi ostacolano la creazione di un sistema comune nell’ottica globale.

(16)

9

CAPITOLO I

LE FONTI DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE

SOMMARIO: 1. La protezione internazionale. – 1.1. Lo

status di rifugiato. – 1.2 La protezione sussidiaria. – 2. La

domanda di protezione internazionale. – 3. Le autorità

competenti e le Commissioni nazionali. – 3.1 La

Commissione nazionale. – 3.2 Le Commissioni

territoriali. – 4. La Convenzione di Ginevra. – 4.1.

L’obbligo di non refoulement. – 5. Il Protocollo di New

York. – 6. Il sistema politico comune europeo. – 6.1. Le

direttive europee. – 6.2. Il sistema Dublino. – 7. La

giurisprudenza italiana.

1. La protezione internazionale.

L’istituto della protezione internazionale è stato introdotto nella normativa europea dalla Direttiva 2004/83/CE, recepita in Italia con il Decreto legislativo 251 del 19 novembre 2007, successivamente modificata dalla Direttiva 2011/95/UE, trasposta in Italia con il Decreto legislativo 18 del 21 febbraio 2014. Tale istituto nasce per offrire protezione a coloro che si trovano in uno stato di timore o pericolo nel Paese di appartenenza. La protezione internazionale può essere anche ricollegata all’articolo 10, comma 3 della Costituzione, il

(17)

10

quale garantisce il diritto di asilo in Italia1. L’istituto della protezione internazionale comprende lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria.

1.1. Lo status di rifugiato.

L’articolo 1 della Convenzione definisce “rifugiato” colui che “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra”. É ammissibile alla protezione sussidiaria il cittadino di un Paese terzo o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto rifugiato, ma nei cui confronti esistono fondati motivi di ritenere che, se tornasse nel paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno e non può o non vuole, a causa di tale rischio, avvalersi della protezione di detto Paese.

Per danno grave si intende la condanna a morte o all’esecuzione, la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante, la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato interno o internazionale2. Lo status di rifugiato è lo

1 Tale articolo recita: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. 2Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Che cos’è la protezione

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11

status più forte di cui può godere uno straniero o un apolide che accede

al diritto di asilo in Italia e consiste in una serie di diritti e doveri riconosciuti ai soggetti di tutti gli Stati del mondo che hanno aderito alla Convenzione di Ginevra. La definizione prevista all’articolo 1, lettera A, comma 2, della Convenzione di Ginevra prevede una clausola di inclusione che contiene gli elementi essenziali per il riconoscimento di tale status, i quali sono: il timore fondato, la persecuzione, l’impossibilità e/o la non volontà di avvalersi della protezione dello Stato di cittadinanza e/o di residenza, la presenza fuori dal Paese di cittadinanza o di residenza abituale. La suddetta clausola consente il riconoscimento di tale protezione al richiedente, a meno che non ci si trovi in presenza di una delle clausole di cessazione o di esclusione della protezione internazionale, di cui agli articoli 9 e 10 del Decreto legislativo n. 251/07.

Il primo elemento costitutivo della definizione di rifugiato è quello di ‘timore fondato’, ossia del timore ragionevole di essere perseguitato per motivi di carattere etnico, religioso, a causa dell’appartenenza ad un determinato gruppo sociale, a causa della nazionalità oppure per le opinioni politiche, nell’ipotesi di rientro nel Paese di cittadinanza, oppure nel caso di dimora abituale per quanto riguarda l’apolide.

La definizione pertanto contiene sia una componente soggettiva, quale il timore, sia una componente oggettiva, ossia la fondatezza di esso, che si basa su circostanze esterne, senza le quali lo stato mentale non acquista rilevanza perché non giustificato3. L’elemento soggettivo in questione è inscindibile da una valutazione della personalità del richiedente, in quanto è necessario per verificarne l’attendibilità e la credibilità. Rispetto all’elemento oggettivo, invece,

ternazionale/Pagine/Definizione-protezione.aspx, data ultima consultazione 09/10/2017.

3 N. MORANDI, e P. BONETTI, a cura di. Lo status di rifugiato, ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione), pagina 9.

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12

il legislatore italiano, all’articolo 8, comma 3, del Decreto legislativo n. 25/2008, ha previsto che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine del richiedente”, al fine di valutare se esista e vi concorra una situazione di pericolo per l’interessato4.

Tali criteri interpretativi sono stati recepiti all’articolo 3, comma 3, lettera C del Decreto legislativo n. 251/2007 che, ai fini dell’esame individuale della domanda di protezione internazionale, impone la valutazione “della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente, in particolare la condizione sociale, il sesso e l’età, al fine di valutare se, in base alle circostanze personali del richiedente, gli atti a cui è stato o potrebbe essere esposto si configurino come persecuzione o danno grave”. Il comma 5, lettera C, prevede la presunzione di buona fede del richiedente asilo, stabilendo che, qualora le “dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso”, pur in assenza di prove, i fatti narrati potrebbero risultare veritieri5.

1.2. La protezione sussidiaria.

La protezione sussidiaria è un istituto che riconosce e garantisce una protezione “complementare e supplementare”6 rispetto

alla protezione internazionale.

Infatti, benché abbia l’obiettivo di salvaguardare l’individuo da persecuzioni diverse rispetto a quelle previste dall’articolo 1 della

4 UNHCR, La tutela dei richiedenti asilo. Manuale giuridico per l’operatore, disponibile online sul sito http://www.unhcr.it/wp-content/uploads/2016/01/1UNHCR_ manuale_operatore. Pdf., parr.40-41.

5 MORANDI, N., e BONETTI, P., op. cit., p. 9.

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13

Convenzione di Ginevra, assicura una tutela non meno importante

rispetto a quella propria dello status di rifugiato. La disciplina di tale istituto è contenuta nell’articolo 2, comma

1, lettera g), del decreto legislativo del 19 novembre 2007, n. 251, il quale recita che: “[Ai fini del presente decreto s’intende per] “persona ammissibile alla protezione sussidiaria”: cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dal presente decreto e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese”.

Dunque, è del tutto irrilevante che il rischio del grave danno sia sorto soltanto successivamente alla partenza del richiedente dal Paese di origine o di dimora abituale.

Inoltre, a differenza di quanto previsto per lo status di rifugiato, il timore di subire un grave danno, nell’ipotesi di rientro nel Paese di provenienza o di dimora abituale, è del tutto svincolato dal motivo che lo origina, tuttavia l’articolo 14 del decreto legislativo del 19 novembre 2007, n. 251, identifica la fonte del danno grave, che legittima il riconoscimento dello status di protezione sussidiaria, in una delle seguenti situazioni: nella condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte; nella tortura o in un’altra forma di pena o trattamento inumano e degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine (o di dimora abituale); in una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato interno ed internazionale.

Dunque, mentre in tutte le ipotesi individuate dal suddetto articolo sussiste una forte presunzione a favore dello status di

(21)

14

rifugiato, il riconoscimento della protezione sussidiaria si attua nei confronti di quello straniero che si trovi in una situazione in cui sussiste uno di quei fattori di rischio di danno grave, ma che non vi siano elementi individuali di persecuzione ed i motivi previsti dalla Convenzione di Ginevra per lo status di rifugiato.

Tale affermazione è stata ribadita dalla Corte di Cassazione, Sesta Sezione Civile, nell’ordinanza 2011, n. 6880, la quale ha affermato che “la Direttiva 2004/83/CE mirando ad assicurare la discrezionalità nell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, di cui precisa la definizione degli elementi essenziali e prevede circostanze distinte dalla persecuzione, alle quali riconduce il riconoscimento di uno status ulteriore e complementare di protezione “sussidiaria”, in considerazione dell’esistenza di fondati motivi per ritenere che in caso di ritorno nel Paese di origine il richiedente correrebbe il rischio di un grave danno, che a causa di questo rischio, non possa avvalersi della protezione di tale Paese”.

Ha stabilito inoltre che in base agli articoli 2 lettera g) e 14 del decreto legislativo del 2007, n. 251, la misura della protezione sussidiaria si fonda su requisiti diversi rispetto a quelli posti alla base del riconoscimento dello status di rifugiato e, conseguentemente, essa non richiede altresì il positivo riscontro del fumus persecutionis.

La concessione della protezione sussidiaria è accordata, così come per la protezione internazionale, con decisione adottata dalla Commissione territoriale competente per il riconoscimento della protezione internazionale.

Lo status di protezione sussidiaria ha carattere tendenzialmente temporaneo, sicché alla scadenza del permesso di soggiorno per protezione sussidiaria, il questore rinnova il permesso soltanto dopo aver ottenuto dalla Commissione territoriale la conferma della permanenza delle condizioni per il riconoscimento di tale tutela, salvo

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15

che sia convertibile in un permesso di soggiorno per lavoro, se ne sussistono i requisiti7; la Commissione nazionale per il diritto di asilo

può dichiarare la cessazione dello status di protezione sussidiaria nelle ipotesi indicate nell’articolo 15 decreto legislativo n. 251/20078, nelle

forme e nei modi previsti dall’articolo 33 decreto legislativo n. 25/2008 oppure può revocarla nelle ipotesi previste dall’articolo 18 decreto legislativo n. 251/20079. Anche nelle ipotesi di cessazione e revoca dello status di protezione sussidiaria, il cittadino extracomunitario ha diritto alla tutela giurisdizionale nelle forme e nei modi previsti dall’articolo 35, comma 1, decreto legislativo n. 25/2008, come modificato dall’articolo 34, comma 20, del decreto legislativo n. 150/2011, il quale prevede che, avverso le decisioni delle

7 Articolo 23, comma 2, decreto legislativo del 2007, n. 251, il quale prevede che: “1. Il permesso di soggiorno per asilo rilasciato ai titolari dello status di rifugiato ha validità quinquennale ed è rinnovabile.

2. Ai titolari dello status di protezione sussidiaria è rilasciato un permesso di soggiorno per protezione sussidiaria con validità triennale rinnovabile previa verifica della permanenza delle condizioni che hanno consentito il riconoscimento della protezione sussidiaria. Tale permesso di soggiorno consente l'accesso al lavoro e allo studio ed è convertibile per motivi di lavoro, sussistendone i requisiti”. 8 L’articolo 15 del decreto legislativo 251 del 2007 recita che: “1. La cessazione dello status di protezione sussidiaria è dichiarata su base individuale quando le circostanze che hanno indotto al riconoscimento sono venute meno o sono mutate in misura tale che la protezione non è più necessaria.

2. Per produrre gli effetti di cui al comma 1, è necessario che le mutate circostanze abbiano natura così significativa e non temporanea che la persona ammessa al beneficio della protezione sussidiaria non sia più esposta al rischio effettivo di danno grave di cui all'articolo 14 e non devono sussistere gravi motivi umanitari che impediscono il ritorno nel Paese di origine”.

9 Le ipotesi di revoca della protezione umanitaria sono: il riconoscimento dello

status di protezione sussidiaria è stato determinato, in modo esclusivo, da fatti

presentati in modo erroneo o dalla loro omissione, o dal ricorso ad una falsa documentazione dei medesimi fatti oppure le cause di esclusione previsti all’articolo 16 del medesimo decreto legislativo, ove si prevede che: “1. Lo status di protezione sussidiaria è escluso quando sussistono fondati motivi per ritenere che lo straniero: a) abbia commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l'umanità, quali definiti dagli strumenti internazionali relativi a tali crimini; b) abbia commesso, nel territorio nazionale o all'estero, un reato grave. La gravità del reato è valutata anche tenendo conto della pena, non inferiore nel minimo a quattro anni o nel massimo a dieci anni, prevista dalla legge italiana per il reato; c) si sia reso colpevole di atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite, quali stabiliti nel preambolo e negli articoli 1 e 2 della Carta delle Nazioni Unite; d) costituisca un pericolo per la sicurezza dello Stato o per l'ordine e la sicurezza pubblica.

2. Il comma 1 si applica anche alle persone che istigano o altrimenti concorrono alla commissione dei crimini, reati o atti in esso menzionati”.

(23)

16

Commissioni nazionali e territoriali, è possibile proporre ricorso dinanzi il tribunale ordinario; tale ricorso è ammissibile anche allorquando l’interessato abbia richiesto il riconoscimento della protezione internazionale e si è visto riconoscere esclusivamente quella sussidiaria.

2. La domanda di protezione internazionale.

La domanda di protezione internazionale è presentata personalmente dal richiedente presso l’ufficio di polizia di frontiera all’atto di ingresso nel territorio nazionale o presso l’ufficio della questura competente in base al luogo di dimora del richiedente10.

Ai sensi dell’articolo 6, ai commi 2 e 3, vengono disciplinate le ipotesi in cui la domanda di protezione internazionale presentata dai genitori si intende estesa anche ai figli minori non coniugati, che sono presenti sul territorio nazionale con il genitore all’atto della presentazione della stessa e l’ipotesi in cui la domanda può essere presentata direttamente dal minore non accompagnato ai sensi dell’articolo 19. Il richiedente deve presentare, unitamente alla domanda, tutti gli elementi e le circostanze che inducono a dimostrare l’effettivo bisogno di protezione internazionale. In particolare deve fornire i propri dati personali e le motivazioni che l’hanno spinto ad abbandonare il Paese di origine11. Tale domanda verrà esaminata, su base individuale, dalle Commissioni territoriali per il riconoscimento

10 Articolo 6 decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, comma 1. Al comma 2 e 3 dello stesso articolo viene previsto rispettivamente che la domanda di protezione internazionale che venga presentata da un genitore si intende estesa anche ai figli minori non coniugati presenti sul territorio nazionale con il genitore all’atto della presentazione della stessa e che la domanda può essere presentata direttamente dal minore non accompagnato ai sensi dell’articolo 19.

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della protezione internazionale12, che valuteranno i fatti pertinenti allo Stato da cui proviene il richiedente, la dichiarazione e la documentazione presentate che dimostrino di aver subito o il potenziale rischio di subire persecuzioni o danni gravi.

Le Commissioni dovranno, altresì, valutare se le attività svolte dal richiedente mirino a creare le condizioni necessarie alla presentazione della domanda di protezione internazionale e lo espongano ad un danno grave nel Paese di provenienza in caso di rientro. Qualora non si riesca a provare gli elementi suddetti, il solo fatto di aver subito persecuzioni costituisce un forte indizio tale da poter essere utilizzato come prova.

La richiesta di protezione internazionale non può essere respinta per il solo fatto di non essere stata presentata tempestivamente ed il richiedente è autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato fino alla decisione della Commissione giudicante, fatti salvi i casi previsti all’articolo 11 del decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 14013. Oltre

al caso suddetto, il richiedente non può rimanere in Italia nel caso in cui questo debba essere estradato verso un altro Stato in virtù degli obblighi previsti da un mandato di arresto europeo, quando deve essere consegnato ad una Corte o ad un Tribunale penale internazionale e quando deve essere avviato verso un altro Stato dell’Unione competente per l’esame dell’istanza della protezione internazionale. La domanda deve essere esaminata alla luce delle informazioni assunte circa la situazione generale esistente nel Paese di provenienza e devono essere elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei

12 Le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale sono previsti all’articolo 1-quater del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39.

13 Il ritardo della decisione sulla domanda di protezione internazionale è attributo al richiedente qualora questo presenti dei documenti e certificazioni false relative agli elementi attinenti alla richiesta di asilo, si rifiuta di fornire le informazioni utili al suo riconoscimento e allorquando il soggetto richiedente asilo non si presenti all’audizione davanti l’organo decidente sulla domanda, nonostante la comunicazione sia avvenuta nei modi previsti dalla legge.

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dati forniti dall’ACNUR14, dal Ministero degli affari esteri o dalla

Commissione territoriale stessa.

3. Le autorità competenti e le Commissioni nazionali.

Le autorità competenti a ricevere la domanda di protezione internazionale sono l’ufficio di Polizia di Frontiera e la Questura. Questi uffici rilasciano un documento che certifica la richiesta e la data dell’appuntamento per la verbalizzazione. La domanda sarà verbalizzata dai funzionari di polizia utilizzando un modello, detto C3, che contiene molte informazioni di carattere anagrafico e poche domande sulle cause che hanno spinto il richiedente ad allontanarsi dal proprio Paese. Il modello per il riconoscimento dello status di rifugiato si incentra più sulla richiesta dei dati anagrafici, in quanto l’obiettivo è quello di identificare il richiedente e non escludere a-priori le richieste, senza una congrua analisi delle stesse. Esaminare le motivazioni che l’hanno spinto a chiedere la protezione internazionale è compito delle Commissioni competenti.

Una volta compilato il modello C3, il richiedente riceve un permesso di soggiorno di durata di sei mesi, rinnovabile fino a quando non viene decisa la sua domanda di protezione internazionale. Tale permesso di soggiorno consente l’esercizio dell’attività lavorativa, dopo due mesi dalla presentazione della domanda di protezione internazionale, e consente, sin da subito, l’iscrizione al servizio sanitario nazionale. In seguito alla presentazione della domanda di asilo, la Questura ha facoltà di decidere in merito all’accoglienza o al trattenimento del richiedente.

14 L’ACNUR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) è l’Agenzia delle Nazioni Unite specializzata nella gestione dei rifugiati, fornisce assistenza materiale e protezione internazionale. È stata fondata il 14 dicembre 1950 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione n. 428/V, iniziando ad operare dal 1º gennaio del 1951.

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3.1. La Commissione nazionale.

La Commissione nazionale per il diritto di asilo è un organo disciplinato all’articolo 5 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, la quale ha competenza in materia di revoca e cessazione dello

status di protezione internazionale riconosciuti, nelle ipotesi previsti

dal decreto legislativo del 19 novembre 2007, n. 251, agli articoli 9 e 13. Inoltre quest’organo ha compiti di indirizzo e coordinamento, formazione e aggiornamento delle Commissioni territoriali. La Commissione nazionale costituisce e aggiorna la banca dati informatica che contiene i dati utili al monitoraggio delle richieste di asilo, della situazione socio-politico-economica dei Paesi di origine dei richiedenti, del flusso di richiedenti asilo, al fine anche di fornire informazioni al Presidente del Consiglio dei ministri per l’adozione di misure straordinarie di accoglienza per eventi eccezionali previsti all’articolo 20 del decreto legislativo 25 luglio 1988, n. 24615. Viene

nominata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta congiunta del Ministro dell’Interno e degli Affari Esteri. La Commissione è presieduta dal Prefetto ed è composta da un dirigente in servizio presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, da un funzionario della carriera diplomatica, da un funzionario in servizio presso il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione e da un dirigente del Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno. L’incarico è di durata triennale ed è rinnovabile.

15 Tale articolo recita: “Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato d'intesa con i Ministri degli affari esteri, dell'interno, per la solidarietà sociale, e con gli altri Ministri eventualmente interessati, sono stabilite, nei limiti delle risorse preordinate allo scopo nell'ambito del Fondo di cui all'articolo 45, le misure di protezione temporanea da adottarsi, anche in deroga a disposizioni del presente testo unico, per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in Paesi non appartenenti all'Unione Europea. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o un Ministro da lui delegato riferiscono annualmente al Parlamento sull'attuazione delle misure adottate”.

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3.2. Le Commissioni territoriali.

Le Commissioni territoriali, disciplinate all’articolo 4 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, sono organi amministrativi istituiti nell’ambito delle Prefetture con il compito di decidere sulle domande di protezione internazionale. Sono nominate con decreto del Ministro dell’Interno e sono composte da un funzionario della carriera prefettizia con funzioni di presidente, da un funzionario della Polizia di Stato, da un ente territoriale designato dalla Conferenza di Stato-città ed autonomie locali e da un rappresentante dell’ACNUR. Anche in questo caso, come avviene per le Commissione nazionale, l’incarico ha durata triennale ed è rinnovabile. Le Commissioni attualmente sono dieci, portate a venti con il Decreto Legge del 22 agosto 2014, n.119. Con il decreto ministeriale del 10 novembre 2014 ed i successivi decreti sono state istituite alcune sezioni delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, composte dai membri supplenti delle Commissioni stesse, per far fronte all’eccezionale incremento delle domande di asilo. La Commissione territoriale può riconoscere una forma di protezione internazionale, asilo politico o protezione sussidiaria; può non riconoscere alcuna forma di protezione; rigettare la domanda per manifesta infondatezza o valutare la domanda inammissibile, qualora sia già stata esaminata da un altro Paese europeo, oppure, per motivi non riconducibili alla sicurezza della persona ma per gravi motivi umanitari, può chiedere alla Questura il rilascio di un permesso per protezione umanitaria16.

16 La protezione umanitaria, pur rispettando il principio di non-refoulement sancito dalla Convenzione di Ginevra del 1951, esula dal concetto stesso di protezione internazionale, in quanto la protezione umanitaria si concede alle persone con gravi problemi di salute o provenienti da Paesi afflitti da catastrofi naturali, per le quali è impossibile procedere al rimpatrio. Pur non riconoscendo loro lo status di rifugiato né l’attribuzione della protezione sussidiaria, si prende atto che un rinvio nel Paese di origine o in un Paese terzo comporterebbe la perdita delle opportunità di cura e di presa in carico che, invece, sono garantite in Italia. In tali casi, rilevando gravi motivi

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4. La Convenzione di Ginevra.

La protezione internazionale è un istituto che ha, in origine, l’obiettivo di fornire una tutela a quegli stranieri o apolidi che, nel clima della Guerra Fredda, temevano di ritornare nel proprio Paese a seguito degli sconvolgimenti etnici, politici e territoriali successivi alla Seconda Guerra Mondiale17. La “Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati”, firmata a Ginevra dalla Conferenza dei plenipotenziari sullo

status dei rifugiati e degli apolidi convocata dalle Nazioni Unite, il 28

luglio 1951 ed entrata in vigore il 22 aprile 1954, ha proprio lo scopo di dare una condizione giuridica più stabile in un contesto storico così precario a quei soggetti che rimanevano sfollati o fuggitivi.

Nel preambolo della Convenzione viene specificato come “l’Organizzazione delle Nazioni Unite abbia manifestato il suo profondo interesse per i rifugiati e la sua preoccupazione affinché ad essi venga garantito l’esercizio dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nel senso più ampio possibile”, in armonia con quanto affermato dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo18.

Si sottolinea, inoltre, quanto sia indispensabile un nuovo accordo, frutto della revisione e della codificazione degli accordi precedentemente stipulati, che garantisca la protezione attraverso strumenti ivi contenuti. Questo nuovo accordo viene visto come la soluzione più soddisfacente dei problemi, di cui l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha riconosciuto la portata ed il carattere internazionale, la quale non potrebbe essere raggiunta, quindi, se non

di carattere umanitario, la Commissione Territoriale decide di riconoscere la protezione umanitaria. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari ha la durata di un anno e può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro. I titolari della protezione umanitaria possono lavorare sul territorio italiano, accedere all’assistenza sanitaria e richiedere il rilascio di un titolo di viaggio per stranieri. Sul punto cfr. PROTEZIONE CIVILE, Che cos’è la protezione umanitaria?, http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/che_cose.wp?contentId=APP26737, data di ultima consultazione 15/06/2018.

17N. MORANDI, e P. BONETTI, a cura di., op. cit., p. 2.

18 Sostanzialmente in armonia con il principio secondo cui gli esseri umani, senza distinzione, debbano usufruire dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

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attraverso una cooperazione internazionale. Per questo motivo, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati si prefigge lo scopo di sorvegliare l’applicazione delle Convenzioni internazionali che provvedono alla protezione dei rifugiati.

4.1. L’obbligo di non refoulement.

La Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984 prevede all’articolo 3 che “nessuno Stato parte potrà espellere, respingere ("refouler") o estradare una persona verso un altro Stato in cui vi siano gravi motivi di credere che essa rischierebbe di essere sottoposta a tortura”.

La disposizione enuncia un obbligo, comunemente indicato come ‘obbligo di non refoulment’, ripreso espressamente da alcune Convenzioni; mentre in altre è implicito nel divieto di tortura e di trattamenti disumani o degradanti, imposto sia nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali19, sia nel Patto sui diritti civili e politici all’articolo 7.

La Convenzione di Ginevra, all’articolo 33, impone il divieto di respingere il rifugiato verso i luoghi in cui la sua vita e la sua libertà sarebbero minacciate.

Il termine non refoulement, così come definito nell’articolo suddetto, ha indicato, originariamente, il divieto agli Stati di espellere o respingere «a refugee in any manner whatsoever to the frontiers of

territories where his life or freedom would be threatened on account of his race, religion, nationality, membership of a particular social group, or political opinion»; oggi invece, abitualmente impiegato per

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indicare anche il contenuto dell'art. 3 della Convenzione contro la tortura20.

Il principio di non respingimento ha portata generale e si applica sia nelle ipotesi di espulsione e/o respingimento tecnicamente intese, sia in qualsiasi altra forma di allontanamento forzato verso un territorio non protetto, tra le quali certamente devono ricomprendersi le ipotesi di applicazione di misure di estradizione o di trasferimento informale del soggetto.

5. Il Protocollo di New York.

Il Protocollo relativo allo status di rifugiato, firmato a New York il 31 gennaio 1967 ed entrato in vigore il 4 ottobre 1967, rappresenta un’integrazione ed un’interpretazione più estensiva della nozione di rifugiato da parte degli Stati firmatari e delle relative Corti nazionali, che hanno permesso di superare l’originaria definizione prevista all’interno delle Convenzione di Ginevra. Difatti, questa prevedeva che ‘rifugiato’ è colui che “a seguito degli avvenimenti verificatisi anteriormente al 1° gennaio 1951, temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova al di fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese, ovvero che, non avendo la cittadinanza e trovandosi fuori dal Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra”. Con la sottoscrizione del suddetto Protocollo, vengono eliminate le

20 Sul punto cfr. E. LAUTERPACHT, D. BETHLEHEM, The scope and content of

the principle of non-refoulement: Opinion, 20 giugno 2001,

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parole “a seguito degli avvenimenti verificatisi anteriormente al 1° gennaio 1951” ed “a seguito di tali avvenimenti”.

La conseguenza di questa eliminazione è che gli Stati contraenti si sono impegnati al rispetto degli obblighi convenzionali, non solo per quelli anteriori al 1951, ma anche per quelli successivi e futuri, che siano ascrivibili nella clausola di inclusione prevista dalla Convenzione.

Invece, all’articolo 1, lettera B della Convenzione viene specificato quanto detto alla lettera A del suddetto articolo, ossia in riferimento “agli avvenimenti verificatisi anteriormente al 1° gennaio 1951” possano intendersi sia gli avvenimenti riguardanti esclusivamente l’Europa sia anche gli altri Stati al di fuori di questa.

Questa clausola geografica, a seguito del Protocollo di New York è stata eliminata in molti stati (come in Italia con la Legge 28 febbraio 1990, n. 39), mentre in alcuni permane, come in Brasile, Paraguay e Turchia21.

6. Il sistema politico comune europeo.

Nella riunione del Consiglio europeo svoltasi a Tampere nel 1999 si è stabilito un programma politico che prevedesse un regime comune di asilo.

Nell’introduzione delle Conclusioni della Presidenza, infatti, si è affermato che: “il Consiglio europeo è determinato a far sì che l'Unione diventi uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia […]”.

Nella prima fase (1999-2005) l’obiettivo era quello di armonizzare i quadri giuridici degli Stati membri in materia di asilo

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con l’adozione di standard comuni relativi alla definizione di rifugiato, al sistema di accoglienza e alle procedure.

Nella seconda fase della costruzione di un regime di asilo comune agli Stati dell’Unione europea, l’obiettivo delineato dal programma dell’Aia prevedeva l’istituzione del CEAS, ossia del Sistema Comune Europeo di Asilo, che mirava a superare le criticità affiorate dal sistema basato su norme minime previste dalla Direttiva 2004/83/CE del 29 aprile 2004.

Il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, rappresenta il punto di arrivo di un lungo processo di revisione dei trattati europei, avviato con l’Atto Unico Europeo del 1980, dettato dapprima dall’esigenza di creare le basi di uno spazio europeo senza frontiere, ed in seguito dalla prospettiva dell’allargamento ai Paesi dell’Europa centrale ed orientale dopo la caduta del muro di Berlino. In tema di protezione internazionale, questo Trattato si pone il medesimo scopo e, a tal proposito, introduce il concetto di ‘asilo europeo’.

A conclusione del Programma dell’Aia, il Consiglio europeo, riunitosi a Bruxelles il 10 e l’11 dicembre 2009, adotta il nuovo Programma pluriennale per lo Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia per il periodo 2010-2014. Si tratta del Programma di Stoccolma, il quale mira alla costruzione del Sistema Comune Europeo, sistema con un livello equivalente in tutti gli Stati membri per quanto concerne l’accoglienza, le procedure e la determinazione dello status, riconoscendo, al contempo, che esistono tra i vari Stati notevoli differenze di trattamento.

Questi tre programmi tracciano la cornice politica del progetto di creazione del regime comune europeo in materia di asilo, che deve essere applicato da tutti i Paesi membri22.

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6.1. Le direttive europee.

Nella prima fase di realizzazione di un sistema comune europeo sono state adottate in particolare quattro direttive23 che vanno a delineare la cornice di norme minime in materia di asilo, di cui i Paesi membri avrebbero dovuto dotarsi:

- La direttiva 2001/55/CE “sulla protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati provenienti da Paesi non appartenenti all’Unione europea” e che non possono fare ritorno al Paese di origine, dà al Consiglio europeo la facoltà di deliberare di volta in volta misure eccezionali al fine di assicurare a tali stranieri tutela temporanea ed immediata. Con questa direttiva si cerca di evitare di far collassare il sistema di asilo a fronte della presentazione di un numero eccessivo di domande di protezione internazionale, favorendo allo stesso tempo il cosiddetto ‘burden sharing’, ossia promuovendo un equilibrio degli sforzi fra gli Stati “che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi”; - La direttiva 2003/09/CE detta anche ‘direttiva accoglienza’,

ossia “sulle condizioni minime di accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati” definisce le condizioni che gli Stati devono garantire ai richiedenti asilo, tali da assicurare un livello di vita dignitoso;

- La direttiva 2004/83/CE “sull’attribuzione della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale” fissa i criteri comuni per l’attribuzione dello

status di rifugiato e beneficiario della protezione sussidiaria,

assicurando un minimo di prestazioni comuni tra tutti gli Stati, eliminando così il cosiddetto asylum shopping, pratica che prevede la ricerca, da parte del richiedente asilo, dello Stato membro con una disciplina più favorevole per l’accertamento

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delle esigenze di protezione. L’ex Commissario europeo Frattini ha svolto uno studio dal quale risulta che circa il dodici percento dei richiedenti asilo abbia svolto tale prassi24. Così, la direttiva in questione e la direttiva 2011/95/UE25 hanno formalizzato la visione “europea” di nozioni quali “atti di persecuzione26 “fondato timore”27, “agente di persecuzione”28 e “motivi di persecuzione”29.

- La direttiva 2005/85/CE ‘sulle norme minime applicate nei vari Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato’detta ‘Direttiva procedure’, contiene i principi minimi delle norme di carattere procedurale per quanto concerne la concessione e la revoca della protezione internazionale ed umanitaria, in modo da limitare le diversità derivanti dalle normative interne dei vari Stati membri.

6.2. Il ‘sistema Dublino’.

Sin da quando è stata avviata la cooperazione sulla base degli accordi Schengen, un elemento è apparso costante: le domande di asilo sono esaminate dai singoli Stati membri, non essendoci un organo europeo ad hoc.

Così, per contrastare l’asylum shopping, i Paesi membri hanno dato vita al cosiddetto “sistema Dublino”, in quanto era

24 DW, Made for minds, “EU Commission Wants to End "Asylum Shopping", http://www.dw.com/en/eu-commission-wants-to-end-asylum-shopping/a-2579627, data ultima consultazione 15/03/2018.

25 A. M. CALAMIA, M. DI FILIPPO, M. GESTRI, a cura di. Immigrazione, Diritto

e Diritti: profili internazionalistici ed europei. Padova, Cedam, 2012, p 240.

26 V. articolo 9 direttiva 2011/95/UE. 27 V. articoli 4-5 direttiva 2011/95/UE. 28 V. articolo 6 direttiva 2011/95/UE. 29 V. articolo 10 direttiva 2011/95/UE.

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originariamente regolato in una Convenzione firmata a Dublino nel 1990, complementare agli accordi Schengen.

Attualmente questa disciplina è contenuta nel regolamento 343/2003 (c.d. regolamento Dublino II)30. Quest’ultimo prevede che vi sia un unico Stato membro, competente ad esaminare la domanda di asilo, che viene selezionato sulla base di criteri determinati, applicati tra loro in successione31: lo Stato ove hanno ricevuto rifugio determinati familiari, oppure lo Stato che ha già rilasciato al richiedente un titolo di soggiorno o un visto ad altri fini, o ancora lo Stato in cui il soggetto vi ha fatto per primo ingresso, regolarmente o irregolarmente.

Nel caso in cui una domanda di asilo venga presentata in uno Stato non competente, il richiedente viene di regola trasferito verso quello competente, senza un esame nel merito della sua richiesta.

Secondo il principio fondamentale dell’attuale sistema di Dublino, la responsabilità dell’esame di una domanda d’asilo ricade innanzitutto sullo Stato membro che ha svolto il ruolo maggiore in relazione all’ingresso del richiedente nell’UE.

Nella maggior parte dei casi è lo Stato membro di ingresso, ma può trattarsi anche dello Stato membro che ha rilasciato il visto o il permesso di soggiorno a un cittadino di un paese terzo che decide di rimanere nel paese e chiedere asilo alla scadenza della sua autorizzazione. In pratica, ciò significa che la responsabilità della stragrande maggioranza delle domande di asilo incombe su un numero ristretto di Stati membri, una situazione che può mettere a dura prova le capacità di qualsiasi Stato membro. Questo sistema non è sostenibile se le tendenze migratorie attuali persistono. È per questo motivo che

30 Il regolamento n. 343/2003 del Consiglio stabilisce i criteri ed i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo.

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la Commissione presenta adesso nuove opzioni di riforma del sistema di Dublino.

Attualmente la maggior parte degli arrivi è registrata in un numero ristretto di Stati europei (ad esempio in Grecia e in Italia), ponendo i sistemi di asilo di primo ingresso di questi Paesi sotto una pressione enorme. La ripartizione delle responsabilità non è pertanto equa.

La Commissione europea, per tentare di risolvere queste debolezze, ha presentato dei progetti volti ad assicurare un equo meccanismo correttivo, con un nuovo sistema di ripartizione delle domande di asilo32.

7. La giurisprudenza italiana: i giudici “al tempo

delle migrazioni”.

L’intensificarsi dell’intolleranza religiosa ed il timore che la professione di una determinata fede possano mettere in pericolo la propria vita spingono, con sempre maggiore frequenza, singoli ed interi gruppi di persone a fuggire dal Paese di origine per chiedere protezione altrove.

Si tratta, com’è noto, solo di un “segmento di un fenomeno ben più ampio e complesso”33, che non ha precedenti nella storia

dell’umanità e che va assumendo le caratteristiche di un vero e proprio esodo verso la parte più sviluppata e sicura del pianeta. Come scriveva Maria Cristina Folliero, “il nostro tempo è ridiventato quello delle

32 Commissione europea, Il sistema Dublino, https://ec.europa.eu/home-

affairs/sites/homeaffairs/files/what-we-do/policies/european-agenda- migration/background-information/docs/20160406/factsheet_-_the_dublin_system_it.pdf , ultima consultazione 20/03/2018.

33 M. ABU SALEM, N. FIORITA, Protezione internazionale e persecuzione per

motivi religiosi: la giurisprudenza più recente in “Stato, Chiese e pluralismo

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migrazioni di popoli interi in cerca di opportunità di vita, pane, lavoro, diritti”34.

All’incremento sempre maggiore delle richieste di protezione internazionale, gli ordinamenti nazionali hanno risposto rendendo sempre più rigidi i criteri di ingresso e soggiorno sul proprio territorio. Tale strategia non sorprende del tutto, dal momento che nella regolamentazione della materia gli Stati hanno sempre cercato di mantenere un ampio margine di discrezionalità, anche a discapito della tutela dei diritti fondamentali dell’individuo. Basti pensare, a tale proposito, come la Dichiarazione universale dei diritti umani eviti di riconoscere un diritto soggettivo alla protezione internazionale. La norma non sancisce neppure il dovere d’accoglienza o quantomeno di presa in carico della domanda del richiedente da parte degli Stati35.

I princìpi della Dichiarazione hanno comunque dato ispirazione alla Convenzione di Ginevra, che contiene la prima, valida ed universale definizione di ‘rifugiato’.

A tale universalità della definizione però non fa seguito un’applicazione omogenea da parte degli Stati aderenti alla Convenzione di Ginevra.

Tali Stati, essendo liberi di decidere che portata dare alla protezione internazionale e, di conseguenza allo status di rifugiato,

34 M.C. FOLLIERO, Migrazioni e migranti nell’Europa di Francesco che condanna

la sostituzione del profitto all’uomo come fine dell’attività economica delle banche e dei mercati, in E. CAMASSA (a cura di), Democrazie e religioni, Atti del

Convegno Nazionale ADEC, Trento, 22-23 ottobre 2015, Editoriale scientifica, Napoli, 2016, p. 188.

35 F. RESCIGNO, Il diritto di asilo, Carocci, Roma, 2011, pp. 62-63; F. PÉREZ-MADRID, Asylum in case of religious persecution, in M. LUGATO (a cura di), La

libertà religiosa secondo il diritto internazionale e il conflitto globale dei valori - International Religious Freedom and the Global Clash of Values, Atti del convegno

internazionale, Roma 20-21 giugno 2014, Torino, Giappichelli Editore, 2015, p. 78; G. GOZZI, I rifugiati e i richiedenti asilo: un mondo sospeso tra integrazione e

criminalizzazione, in G. GOZZI; B. SORGONI (a cura di), I confini dei diritti. Antropologia, politiche locali e rifugiati, Bologna, il Mulino, 2010, p. 61.

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hanno finito per trasformare tale istituto in un privilegio riconosciuto a pochi36.

Recentemente, tale atteggiamento di chiusura è stato rafforzato dai timori per la sicurezza interna e dalle urgenze di carattere economico, in quanto i costi dell’accoglienza appaiono all’opinione pubblica interna sempre meno sostenibili, alla luce delle politiche di austerità più o meno liberamente adottate dai Paesi europei37. Invero, se facciamo riferimento all’Italia, la percentuale straordinariamente bassa di accoglimento delle domande di protezione internazionale38 va interpretata facendo contestualmente riferimento alla circostanza che sempre più migranti, indipendentemente dalle motivazioni che ne hanno determinato la partenza, cercano in tutti i modi di poter entrare nel Paese, eludendo così le restrizioni connesse all’ingresso e al soggiorno per motivi economici. Per tentare di scardinare quella che è

36 G. GIAFAGNA, R. URRU, L. VIANELLI, Il rifugio: diritto o privilegio?, in G. GOZZI, B. SORGONI (a cura di) I confini dei diritti, cit., pp. 34-35.

37 M. ABU SALEM, N. FIORITA, op. cit., p. 3.

38 Nel 2017 ci sono state 728.470 domande di protezione internazionale nell'UE. Questa cifra rappresenta un calo del 44% rispetto al 2016, quando c'erano quasi 1,3 milioni di domande, mentre i dati provvisori per l'inizio del 2018 (gennaio-aprile) mostrano che i livelli di applicazione si sono stabilizzati a una media inferiore a 50.000 al mese. Rispetto al numero di casi pendenti, alla fine del 2017 ci sono state 954.100 domande in attesa di una decisione finale, il che rappresenta un calo del 16% rispetto alla fine del 2016. Allo stesso tempo, il numero di casi in attesa di una decisione in seconda istanza o in seconda istanza (appello) è più che raddoppiato dalla fine del 2016, indicando un chiaro cambiamento nell'elaborazione dei casi in

seconda istanza.

Di tutte le decisioni di prima istanza emesse nel 2017, quasi il 50% (462.355 su 996.685 decisioni) erano positive. Questo tasso di riconoscimento è stato inferiore di 14 punti percentuali rispetto al 2016. Mentre il numero complessivo di decisioni è diminuito del 13% rispetto al 2016, riflettendo un numero più basso di domande presentate, l'importo delle decisioni negative è effettivamente aumentato da 449.910

nel 2016 a 534.330 nel 2017.

Per quanto riguarda le decisioni positive, nel 2017 vi è stata una netta diminuzione della quota di decisioni che concedono lo status di rifugiato (fino al 50%, dal 55% nel 2016) o protezione sussidiaria (34%, dal 37%), mentre vi era un parallelo aumento della percentuale di coloro che concedono protezione umanitaria (15%, contro l'8%), relazione annuale 2017 sulla situazione dell'asilo nell'Unione europea, pubblicata dall'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo in data 18/06/2018 (https://epso.europa.eu/apply/job-offers/institutions-and-agencies/1437-easo_it). Sito visitato il 21/06/2018.

In Italia, particolarmente si può vedere che nel primo trimestre del 2018 su un totale di 23.024 domande esaminate, il 6,3% ha ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato, il 27,8% la protezione umanitaria e il 61,4% ha avuto il diniego.

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la differenziazione tra migranti economici e rifugiati è recentemente intervenuto il Tribunale di Milano39, secondo cui il rimpatrio di un

cittadino gambiano avrebbe posto il soggetto “in una situazione di estrema difficoltà economica e sociale”. Il provvedimento appare molto interessante, perché nel momento di valutare il riconoscimento della protezione umanitaria, il giudice ha proceduto prescindendo dalla credibilità del richiedente - che si è visto infatti disconoscere lo

status di rifugiato e la protezione sussidiaria - e concentrandosi su “i

diritti che più direttamente interessano la sfera personale e umana del ricorrente e che più gravemente rischiano di essere compromessi nel Paese di provenienza”, vale a dire il diritto alla salute e all’alimentazione. Per il Tribunale, la compromissione di tali diritti comporta “gravi situazioni di vulnerabilità giuridicamente rilevanti quanto al riconoscimento della protezione umanitaria, tenuto conto dell’esistenza di specifici obblighi costituzionali ed internazionali gravanti sullo Stato italiano”.

Nel momento in cui un soggetto richiedente asilo per le condizioni sopra dette venga rimpatriato, lo si costringerebbe a vivere con un tenore che è inadeguato rispetto ai principi della Costituzione. In questa stessa direzione si muove il Tribunale di Napoli in un’ordinanza del 2 dicembre 2015, nella quale si conveniva che, dal momento in cui il richiedente giunge nel nostro Paese, egli diviene “titolare del pieno diritto ad accedere alla protezione umanitaria affinché gli sia garantito un livello di vita adeguato per sé e per la propria famiglia, laddove le condizioni socio-economiche e sanitarie del Paese di origine non consentano un livello sufficientemente adeguato e accettabile di vita”.

Da questa ordinanza sembra emergere che la posizione dell’organo giudicante si conforma all’ampliamento delle maglie di questo istituto e, a sua volta, tenti di estendere il novero dei destinatari.

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