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La tortura come strumento di persecuzione religiosa.

status di rifugiato religioso – 1.3 Il concetto d

5. La tortura come strumento di persecuzione religiosa.

La persecuzione, come si è già accennato, consiste nel “maltrattamento sistematico di un individuo o di un gruppo da un altro individuo o gruppo” 91 . L’inflizione di sofferenza, molestie,

imprigionamento, internamento, paura o dolore sono fattori che possono comportare persecuzioni.

La peggior forma di sofferenza e, quindi di persecuzione, è la tortura. Questa è “l'atto di infliggere deliberatamente dolore fisico o psicologico al fine di soddisfare qualche desiderio del torturatore o di costringere qualche azione da parte della vittima”92.

La tortura, per definizione, è un atto consapevole e intenzionale. Infatti, le azioni che inconsapevolmente o per negligenza sono dirette ad infliggere dolore, senza lo specifico intento di provocarlo, non sono tipicamente considerate tortura. Questa può essere effettuata o sanzionata da individui, gruppi e Stati. Le ragioni della tortura possono essere motivate da punizioni, vendette, rieducazione politica, o ancora per dissuadere un soggetto dal tenere una determinata condotta, come forma di coercizione della vittima o di un terzo, come strumento nell'interrogatorio per estrarre informazioni o una confessione, indipendentemente dal fatto che sia falsa93.

La tortura è vietata dal diritto internazionale ed è una delle più gravi violazioni dei diritti umani.

Tale divieto, oltre che sancito sia all’articolo 3 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, sia dal Patto internazionale relativo ai diritti

91 R. ŠORITE’, Religious Persecution, Refugees, and Right of Asylum: The Case of

The Church of Almighty God, in “The Journal of CESNUR”, Vol. 2, Issue 1, January—February 2018, p. 79.

92 Ibidem, p.- 80. 93 Ibidem, p. 80-81.

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civili e politici94, era già presente nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, con delle limitazioni di non poco conto, quali la morale, l’ordine pubblico ed il benessere generale della società95.

Questa forma di crudeltà è vietata dalla Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, conclusa a New York, il 10 dicembre 1984 e ratificata da 158 Paesi.

La Convenzione, all’articolo 1, stabilisce che il termine ‘tortura’ designa “qualsiasi atto con il quale sono inflitti a una persona dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche, segnatamente al fine di ottenere da questa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che ella o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimidirla od esercitare pressioni su di lei o di intimidire od esercitare pressioni su una terza persona, o per qualunque altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o tali sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze derivanti unicamente da sanzioni legittime, ad esse inerenti o da esse provocate […]”.

All’articolo 3 prevede che nessuno Stato parte della Convenzione possa espellere o estradare un soggetto, nei cui confronti vi siano motivi fondati di essere torturato se facesse rientro nel Paese di origine.

Al fine di determinare se esistano tali motivi, “le autorità competenti prendono in considerazione tutte le valutazioni pertinenti,

94 In particolare l’articolo prevede che: “Nessuno può essere sottoposto alla tortura né a punizioni o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, in particolare, nessuno può essere sottoposto, senza il suo libero consenso, ad un esperimento medico o scientifico”.

95 C. FIORAVANTI, Divieto di tortura, ordinamento italiano e obblighi

internazionali in “Centro italiano Studi per la pace”, Intervento al dibattito "Napoli-

Genova: polizia e magistratura". Università di Giurisprudenza. 14 maggio 2002, Ferrara. www.studiperlapace.it/view_news_html?news_id=torturaitalia.

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ivi compresa, se del caso, l'esistenza nello Stato interessato, di un insieme di violazioni sistematiche, gravi, flagranti o massicce, dei diritti dell’uomo”96.

La Convenzione ha l’obbiettivo di uniformare un principio comune per tutti gli Stati aderenti, ossia che i suddetti legiferino, affinché qualsiasi atto di tortura, come pure il tentativo di praticare la tortura o qualunque complicità o partecipazione a tale atto, sia espressamente e immediatamente contemplato come reato nel diritto penale interno a tutti gli ordinamenti ratificanti.

Nel 1998 è stato varato lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, nel quale, all’articolo 7, sono elencati i crimini contro l’umanità. Per crimini contro l’umanità “[…] s'intende uno degli atti di seguito elencati, se commesso nell'ambito di un esteso o sistematico attacco contro popolazioni civili, e con la consapevolezza dell'attacco: a) omicidio; b) sterminio; c) riduzione in schiavitù; d) deportazione o trasferimento forzato della popolazione; e) imprigionamento o altre gravi forme di privazione della libertà personale in violazione di norme fondamentali di diritto internazionale; f) tortura; g) stupro, schiavitù sessuale, prostituzione forzata, gravidanza forzata, sterilizzazione forzata e altre forme di violenza sessuale di analoga gravità; h) persecuzione contro un gruppo o una collettività dotati di propria identità, inspirata da ragioni di ordine politico, razziale, nazionale, etnico, culturale, religioso o di genere sessuale […] o da altre ragioni universalmente riconosciute come non permissibili ai sensi del diritto internazionale, collegate ad atti preveduti dalle disposizioni del presente paragrafo o a crimini di competenza della Corte; i) sparizione forzata delle persone; j) apartheid; k) altri atti inumani di analogo carattere diretti a provocare intenzionalmente

96 Articolo 3, comma 2 della Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti.

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grandi sofferenze o gravi danni all'integrità fisica o alla salute fisica o mentale”.

Nel secondo paragrafo di questo articolo, viene spiegato il significato del contenuto appena detto e cioè che: “a) si intende per ‘attacco diretto contro popolazioni civili’ condotte che implicano la reiterata commissione di taluno degli atti preveduti al paragrafo 1 contro popolazioni civili, in attuazione o in esecuzione del disegno politico di uno Stato o di una organizzazione, diretto a realizzare l'attacco; […] e) per ‘tortura’ s'intende l'infliggere intenzionalmente gravi dolori o sofferenze, fisiche o mentali, ad una persona di cui si abbia la custodia o il controllo; in tale termine non rientrano i dolori o le sofferenze derivanti esclusivamente da sanzioni legittime, che siano inscindibilmente connessi a tali sanzioni o dalle stesse incidentalmente occasionati […]; g) per ‘persecuzione’ s'intende la intenzionale e grave privazione dei diritti fondamentali, in violazione del diritto internazionale, per ragioni connesse all'identità del gruppo o della collettività”.

A tutt’oggi, la situazione non è ancora cambiata. Vi sono individui che fuggono dalla loro terra in cerca di una via di salvezza, per essere liberi di poter professare il loro credo senza essere perseguitati o torturati per questo motivo.

Sicuramente, fra loro sono presenti gli speculatori e gli approfittatori che, meschinamente, sfruttano queste situazioni di sofferenza e dolore, al solo fine di migliorare le loro condizioni economiche; ma questo non può indurre in errore, in quanto il diritto di libertà religiosa è un diritto sensibile, fragile, al quale non si può chiedere di rinunciarvi.

Questo potrebbe bastare affinché ci si prodighi a dare rifugio e protezione alle persone che ne abbiano bisogno, senza pregiudizio alcuno e, soprattutto, stando molto attenti a non essere superficiali

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quando si ascolta la storia di un richiedente, perché in quella storia vi sono tutti gli elementi per comprendere il dolore ed il male patiti.

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CAPITOLO III