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Nel presente lavoro di tesi sono stati realizzati con successo concentratori solari luminescenti (LSC) nelle due tipologie: a lastra epossidica ed a film sottile in Policarbonato.

Per quanto riguarda i dispositivi LSC a lastra epossidica l’attenzione si è dapprima focalizzata nello studio delle proprietà ottiche dei fluorofori N,N’-bis(6-esanolo)- 3,4,9,10-perilene-tetracarbossidiimmide (PBI) e 2,10-diidrossidibenzo[a,j]perilene- 8,16-dione (DHPD). Dall’analisi spettroscopica è emerso che il PBI non è un fluoroforo ideale per questo tipo di applicazioni a causa delle basse intensità di emissione di fluorescenza registrate, probabilmente dovute a fenomeni di aggregazione per via della scarsa compatibilità con il materiale reticolato. Inoltre, sebbene sia bi-funzionalizzato con gruppi ossidrilici in corrispondenza delle posizioni laterali immidiche, non mostra alcuna significativa reattività nei confronti del processo di reticolazione della matrice epossidica, probabilmente per via, oltre che della sua scarsa disperdibilità, delle basse concentrazioni che si possono raggiungere rispetto all’agente reticolante amminico durante la realizzazione dei dispositivi.

Il colorante DHPD bensì sia caratterizzato da un ampio spettro di assorbimento e da una fluorescenza che ricade nel lontano rosso della regione del Visibile, mostra intensità di emissione molto basse anche ad alte concentrazioni, sempre a causa della bassa compatibilità con il materiale epossidico.

Relativamente ai dispositivi LSC a film sottile a base del colorante Hostasol Red GG (HR), presentano un massimo di emissione di fluorescenza a 600 nm ed il rendimento di conversione ottica aumenta all’aumentare della concentrazione di colorante, passando da 6,27% (0,15% in peso) a 8,16% (0,7% in peso). I dispositivi a lastra e a film sottile contenenti la miscela cromoforica BTBBT+HR risultano invece molto più performanti, poiché presentano il fenomeno del Fӧrster Resonance Energy Transfer (FRET). Questo fenomeno di trasferimento di energia è stato confermato dai calcoli relativi all’efficienza del FRET (EFRET), determinata sulla base dei dati di fluorescenza ottenuti dalle analisi spettroscopiche. Di fatto, in entrambe le tipologie di LSC il rendimento del trasferimento di energia aumenta all’aumentare della concentrazione dei fluorofori, poiché questo implica che le molecole di donatore e di accettore si trovino con maggiore probabilità più vicine l’una all’altra. In particolare, il massimo valore raggiunto di EFRET per i dispositivi a lastra è del 93%, mentre per gli LSC a film sottile

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l’efficienza è generalmente superiore, per via del volume ridotto in cui sono dispersi i fluorofori, passando dal 98,6% per i film meno concentrati in HR, al 99,9% a concentrazioni elevate.

Il trasferimento di energia tra le molecole di BTBBT e HR ha permesso di realizzare dispositivi LSC in grado di concentrare una maggiore quantità di radiazione solare, poiché è stato possibile sfruttare due differenti regioni dello spettro di emissione solare. Le migliori performance di tali dispositivi sono confermate dalle misure del fattore di concentrazione (C) e quindi dei relativi rendimenti ottici (ηopt). In particolare, la

massima efficienza ottica raggiunta per i dispositivi a film sottile a base della miscela cromoforica è dell’8,84%, mentre per i dispositivi a lastra dell’8,45%. Dal confronto tra le efficienze ottiche ottenute mediante le due diverse tipologie di LSC è stato dimostrato che LSC a film sottile mostrano efficienze ottiche simili a quelle dei concentratori a lastra, impiegando però una minore quantità di colorante per la loro realizzazione. L’altra strategia percorsa per l’ottimizzazione dell’efficienza di Light Harvesting degli LSC è stata quella di realizzare dispositivi multistrato, costituiti da uno strato superiore a film sottile contenente il colorante HR e da uno strato inferiore, a lastra o a film sottile, a base della miscela dei coloranti BTBBT e HR. Confrontando le efficienze ottiche dei dispositivi multistrato con quelli a singolo strato, è stato dimostrato che presentano rendimenti ottici simili, in alcuni casi inferiori, rispetto a quest’ultima tipologia. Questo è probabilmente dovuto ad intensi fenomeni di auto-assorbimento che si verificano all’interno dei dispositivi multistrato, a problemi nella realizzazione di un ottimale contatto ottico tra gli strati, al differente indice di rifrazione dei materiali ed alla minore intensità del FRET.

Dalle analisi di fotodegradazione accelerata dei dispositivi a film sottile, effettuate per irraggiamento con una lampada UV, è stato dimostrato che i processi fotodegradativi si verificano esclusivamente in prossimità della superficie dei film polimerici, con formazione di una vasta gamma di prodotti di fotodegradazione derivanti dai processi di foto-Fries e di foto-ossidazione. Inoltre, l’assorbimento della radiazione UV genera il

photobleaching delle molecole di colorante all’interno del dispositivo, con conseguente

diminuzione delle prestazioni ottiche di fluorescenza. I dispositivi a lastra mostrano invece una fotodegradazione della matrice molto più spinta che avviene anche negli strati più interni, con formazione di specie come benzil metil chetone, formiati di fenile, acetofenoni e ammidi di-sostituite. Anche in questo caso, l’assorbimento della

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radiazione UV comporta la fotodegradazione delle specie cromoforiche con conseguente diminuzione della fluorescenza.

Per quanto riguarda l’analisi fotodegradativa, condotta impiegando uno strato protettivo a film in PC, è stato dimostrato che i processi fotodegradativi che coinvolgono la matrice epossidica sono attribuiti all’assorbimento della radiazione UV alla lunghezza d’onda di 254 nm e per questo motivo risultano minimizzati grazie al completo assorbimento della stessa da parte del film protettivo. Mentre, la degradazione del sistema cromoforico, in particolare del BTBBT, non viene significativamente attenuata, poiché è attribuita all’assorbimento della luce UV a 365 nm in gran parte trasmessa dallo strato protettivo in PC. Di conseguenza si osserva la diminuzione dell’intensità di fluorescenza nel rosso di tale dispositivo.

In base alle analisi di fotodegradazione condotte nel presente lavoro di tesi, è ragionevole ipotizzare che i dispositivi a film sottili siano più resistenti di quelli a matrice epossidica se direttamente esposti alla radiazione solare. Di fatto, a differenza degli LSC a lastra epossidica, nei film polimerici i processi fotodegradativi sono limitati ai primi strati superficiali del dispositivo, ragion per cui la durata di utilizzo risulta maggiore. Inoltre, considerando che la componente UV dello spettro di emissione solare è costituita per la maggior parte da radiazione UV-A a bassa potenza, è possibile pensare che i fenomeni di fotodegradazione che coinvolgono entrambe le matrici siano limitati, a differenza della fotodegradazione dei fluorofori dispersi nei dispositivi. Risulta importante evidenziare come, su piccola scala di produzione, come quelle relative al laboratorio di ricerca dove si è svolta la tesi, la produzione di LSC a lastra epossidica risulti notevolmente più laboriosa ed impegnativa, rispetto alla realizzazione dei dispositivi a film sottile. Quest’ultima risulta meno dispendiosa sia in termini di tempo che in termini di quantità di materiale utilizzato. Tuttavia, rivolgendosi invece ad una produzione a livello industriale, la produzione di lastre a base di resina epossidica rappresenta una valida alternativa alla produzione di concentratori solari a film sottile, evitando così le problematiche legate all’adesione dei film polimerici a substrati ad elevata purezza ottica per lunghi periodi di tempo.

Possibili sviluppi futuri potrebbero focalizzarsi sulla ricerca di opportuni fluorofori ad elevata resa quantica ed emissione più spostata verso il rosso e compatibili con la matrice epossidica reticolata. Ulteriori ricerche future possono riguardare la formulazione di opportune combinazioni di coloranti in grado di trasferire energia via FRET, al fine di aumentare l’efficienza di Light Harvesting, e la ricerca di specie HEF

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caratterizzate da una maggiore foto-resistenza alla componente UV della radiazione solare. Inoltre, l’aggiunta di additivi, come ad esempio gli stabilizzati UV all’interno dei dispositivi, potrebbe avere un’azione efficace contro il processo fotodegradativo, incrementando così la durata di utilizzo del dispositivo LSC.

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