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Preparazione e caratterizzazione di concentratori solari fluorescenti a lastra ed a film sottile polimerico

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN CHIMICA INDUSTRIALE

Curriculum: Materiali

CLASSE: LM 71 (Scienze e Tecnologie Chimiche)

Preparazione e caratterizzazione di

concentratori solari fluorescenti a lastra ed a

film sottile polimerico

Relatore:

Candidato:

Prof. Giacomo Ruggeri

Stefano Palermo

Controrelatore:

Prof. Giovanni Granucci

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Riassunto

Il presente lavoro di tesi si inserisce in un progetto di ricerca relativo alla realizzazione di concentratori solari luminescenti (LSC) ad alta efficienza ottica a partire da matrici polimeriche.

Lo studio si è focalizzato sull'ottimizzazione delle proprietà ottiche di fluorescenza e di efficienza ottica relativamente alle due principali tipologie di LSC: a lastra ed a film sottile.

In particolare, i dispositivi a lastra sono stati realizzati a partire da un sistema bicomponente resina epossidica liquida/agente reticolante amminico commerciale, impiegando fluorofori organici a base perilenica come l’N,N’-bis(6-esanolo)-3,4,9,10-perilene-tetracarbossidiimmide (PBI) e il 2,10-diidrossidibenzo[a,j]perilene-8,16-dione (DHPD). Gli LSC a film sottile sono stati invece preparati a partire da Policarbonato del Bisfenolo-A (PC), impiegando come colorante l’Hostasol Red GG (HR).

Sono stati inoltre preparati concentratori solari fluorescenti di entrambe le tipologie contenenti una miscela cromoforica composta dai fluorofori HR e 2,5-bis(5-terz-butil-benzossazol-2-il) tiofene (BTBBT), per i quali sono stati valutati l’efficienza del trasferimento di energia per risonanza (FRET), le proprietà di fluorescenza e le prestazioni ottiche.

Infine, sono stati realizzati dispositivi LSC multistrato, allo scopo di studiare i rendimenti ottici ed effettuare un confronto con i concentratori solari preparati durante l’intero periodo di tirocinio.

I dispositivi LSC realizzati sono stati caratterizzati tramite spettroscopia FTIR-ATR, spettroscopia UV-Vis di assorbimento e di fluorescenza. La misura del rendimento ottico è stata effettuata mediante l’ausilio di un set-up sperimentale messo a punto nel laboratorio di ricerca costituito da una cella fotovoltaica a base di silicio monocristallino.

Infine, sono stati effettuati studi di fotodegradazione accelerata, tramite l’impiego di una lampada UV ad alta potenza, al fine di monitorare l’effetto dell’irraggiamento sulle proprietà ottiche dei materiali costituenti il dispositivo stesso.

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Indice

1. Introduzione ... 5

1.1. Radiazione solare come fonte di energia rinnovabile ... 5

1.2. Dispositivi fotovoltaici ... 8

1.3. Tipologie di celle fotovoltaiche ... 14

1.3.1. Prima generazione ... 14

1.3.2. Seconda generazione ... 16

1.3.3. Terza generazione ... 17

1.4. Concentratori solari ... 18

1.5. Concentratori solari luminescenti ... 20

1.6. Efficienza di conversione ottica (ηopt) ... 22

1.6.1. Efficienza di trasmissione (ηT) ... 23

1.6.2. Efficienza di riflessione interna totale (ηTIR) ... 24

1.6.3. Efficienza quantica di fluorescenza (ηQE) ... 26

1.6.4. Efficienza legata a fenomeni di auto-assorbimento (ηSA)... 26

1.6.5. Efficienza legata a perdite energetiche dovute a spostamento di Stokes (ηStokes) ... 27

1.6.6. Efficienza legata alle imperfezioni della matrice di cui è composto il concentratore solare (ηHost) ... 28

1.6.7. Efficienza di Light Harvesting (ηLH) ... 30

1.7. Fӧrster Resonance Energy Transfer (FRET) ... 31

1.8. Coloranti fluorescenti ... 35

1.8.1. Quantum Dots ... 36

1.8.2. Complessi organo-metallici luminescenti a base di lantanidi ... 37

1.8.3. Coloranti organici ... 38

1.9. Matrici per LSC ... 43

1.10. Configurazione del concentratore solare luminescente ... 45

1.11. Scopo della tesi ... 47

2. Parte sperimentale ... 49

2.1. Solventi e reagenti ... 49

2.2. Strumenti e metodi ... 53

2.2.1. Spettroscopia di assorbimento UV-Visibile ... 53

2.2.2. Spettroscopia di fluorescenza ... 53

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2.2.4. Stufa a ventilazione forzata ... 54

2.2.5. Mulino a palle ... 54

2.2.6. Apparato per la misura del fattore di concentrazione ... 54

2.2.7. Apparato per le analisi di fotodegradazione ... 58

2.3. Preparazione dei concentratori solari a film sottile ... 59

2.4. Preparazione dei concentratori solari a lastra ... 60

2.4.1. Purificazione dell’agente reticolante ... 60

2.4.2. Procedura di reticolazione ... 61

2.4.3. Fasi di levigatura e lucidatura ... 62

3. Risultati e discussione ... 65

3.1. Preparazione e caratterizzazione di LSC a film sottile ... 65

3.1.1. Caratterizzazione spettroscopica ... 67

3.1.1.1. Analisi spettroscopica di assorbimento UV-Visibile e di fluorescenza dei film in PC a base di HR ... 67

3.1.1.2. Analisi spettroscopica di assorbimento UV-Visibile e di fluorescenza dei film in PC a base di BTBBT ... 69

3.1.1.3. Analisi spettroscopica di assorbimento UV-Visibile e di fluorescenza dei film in PC contenenti la miscela cromoforica HR-BTBBT ... 71

3.1.2. Calcolo dell’Efficienza del FRET dei film in PC contenenti la miscela cromoforica HR-BTBBT ... 74

3.1.3. Misura del fattore di concentrazione degli LSC a film sottile ... 75

3.1.4. Analisi di fotodegradazione UV di LSC a film sottile ... 78

3.1.4.1. Analisi di fotodegradazione tramite spettroscopia FTIR-ATR ... 79

3.1.4.2. Analisi di fotodegradazione tramite spettroscopia UV-Vis ... 83

3.1.4.3. Analisi di fotodegradazione tramite spettroscopia di fluorescenza ... 85

3.2. Preparazione e caratterizzazione di LSC a lastra polimerica... 86

3.2.1. Processo di polimerizzazione ... 88

3.2.2. Caratterizzazione spettroscopica ... 91

3.2.2.1. Analisi spettroscopica di assorbimento UV-Visibile e di fluorescenza delle lastre a base di PBI ... 91

3.2.2.2. Analisi spettroscopica di assorbimento UV-Visibile e di fluorescenza delle lastre a base di DHPD ... 92

3.2.2.3. Analisi spettroscopica di assorbimento UV-Visibile e di fluorescenza delle lastre contenenti la miscela cromoforica HR-BTBBT ... 93

3.2.3. Calcolo dell’Efficienza del FRET degli LSC a lastra contenenti la miscela cromoforica HR-BTBBT ... 96

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3.2.5. Misura del fattore di concentrazione di LSC a lastra contenente la miscela

cromoforica HR-BTBBT ... 101

3.2.6. Analisi di fotodegradazione UV di LSC a lastra ... 102

3.2.6.1. Analisi di fotodegradazione tramite FTIR-ATR ... 103

3.2.6.2. Analisi di fotodegradazione tramite spettroscopia UV-Vis ... 108

3.2.6.3. Analisi di fotodegradazione tramite spettroscopia di fluorescenza ... 109

3.3. Confronto tra le efficienze ottiche dei due modelli di LSC contenenti la miscela cromoforica HR-BTBBT ... 111

3.4. Preparazione e misura del fattore di concentrazione di LSC multistrato ... 113

3.5. Analisi di fotodegradazione UV di LSC con strato protettivo ... 117

3.5.1. Analisi di fotodegradazione tramite FTIR-ATR ... 117

3.5.2. Analisi di fotodegradazione tramite spettroscopia UV-Vis ... 118

3.5.3. Analisi di fotodegradazione tramite spettroscopia di fluorescenza ... 119

4. Conclusioni ... 121

Bibliografia

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1. Introduzione

1.1. Radiazione solare come fonte di energia rinnovabile

Lo sviluppo della nostra società è strettamente legato al consumo di energia.

Di fatto, senza la disponibilità di risorse energetiche sufficienti si comprometterebbero gli equilibri sociali, politici ed economici della popolazione mondiale, oltre che la qualità della vita, il livello di benessere e lo sviluppo economico futuro.

La questione energetica occupa un ruolo di rilievo per quanto riguarda lo sviluppo economico e sociale della popolazione mondiale e coinvolge sempre più, oltre ai paesi sviluppati, anche i paesi emergenti dove la richiesta di energia è in costante aumento. In base alle ultime previsioni dell’Agenzia statistica statunitense del Dipartimento dell’Energia (AIE) tra il 2012 e il 2040 il fabbisogno energetico mondiale aumenterà del 48%, passando da 549 quadrilioni di unità termiche britanniche (Btu) nel 2012 a 815 quadrilioni di Btu nel 2040 (1,4%/anno) [1].

I fattori più significativi che determinano il fabbisogno energetico sono l’aumento della popolazione mondiale da un lato e l’incremento economico dall’altro, nonché la crescente industrializzazione ed urbanizzazione nei paesi emergenti e in quelli in via di sviluppo.

A questo proposito tra il 2010 e il 2040 la popolazione mondiale passerà dagli attuali 7 a 9 miliardi di individui. Questo incremento avverrà più intensamente nei paesi emergenti come Asia, Cina e India.

I combustibili fossili costituiscono ancora la fonte principale di energia garantendo oltre l’80% del fabbisogno energetico complessivo.

Molti altri fattori come l’oscillazione del prezzo del petrolio e dell’energia, le emissioni di CO2 (responsabili dell’inquinamento globale e del fenomeno dell’effetto serra),

l’attuazione di forti politiche per la salvaguardia del clima e il progressivo esaurimento delle fonti di energia non rinnovabile come petrolio, carbone e gas naturale, spingono sempre più a considerare l’impiego di fonti di energia alternativa rinnovabile che possano sostituire e/o affiancare le risorse fossili non rinnovabili nel colmare la domanda mondiale energetica.

Per quel che concerne l’utilizzo dei singoli combustibili fossili si profila la seguente situazione: l’impiego di petrolio, gas naturale e carbone passerà dall’82% nell’anno 2010 al 79% nel 2025 e al 77% nel 2040 anche se tali combustibili continueranno a coprire più di un terzo del fabbisogno energetico mondiale.

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Diversamente l’impiego di fonti di energia rinnovabile vedrà una crescita del 2,6% l’anno fino al 2040 [2].

Figura 1.1: Consumo energetico mondiale espresso in quadrilioni di Btu. International Energy Outlook 2016.

Nonostante questo, considerato che il fabbisogno energetico futuro continuerà ad essere coperto principalmente da combustibili fossili, fino al 2025 le emissioni di CO2

continueranno ad aumentare e forse solo dopo il 2040 è previsto un punto di svolta. Con risorse rinnovabili di energia si intendono quelle fonti di energia che vengono rigenerate almeno alla stessa velocità con cui vengono consumate attraverso processi naturali. Le energie rinnovabili presentano un impatto ambientale trascurabile e sono un argomento portante dello “sviluppo sostenibile”. Dal punto di vista degli svantaggi, le fonti rinnovabili sono anche caratterizzate dalla discontinuità che ne riducono l’affidabilità e dalla necessità di beneficiare di incentivi economici per superare i costi elevati dovuti alla bassa scala di produzione. Fra le energie rinnovabili si possono annoverare: energia idroelettrica, eolica, geotermica, derivante dall’impiego delle biomasse e quella solare.

La fonte rinnovabile più interessante e promettente è quella proveniente dal Sole. L’energia solare, associata alla radiazione solare, che arriva sotto forma di fotoni è la fonte primaria di energia sulla Terra. La radiazione emessa dal Sole è convenzionalmente descritta attraverso lo spettro di radiazione di un corpo nero (emettitore ideale) avente una temperatura di circa 6000 K. Il sole riversa sulla Terra circa 120000 TW di radiazioni elettromagnetiche, di cui solo 600 TW sono sfruttabili. Questo è dovuto al fatto che l’intensità della radiazione solare viene attenuata nel suo passaggio attraverso l’atmosfera terrestre, in quanto soggetta a fenomeni di diffusione (di Rayleigh e di Mie), di riflessione ed assorbimento molecolare. L’attenuazione interessa tutte le lunghezze d’onda dello spettro, seppure in maniera differente. Per

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questi motivi, per descrivere la radiazione solare, si fa riferimento allo spettro AM1.5G

[3] nel quale viene simulata la luce che raggiunge la superficie terrestre quando il Sole

forma un angolo di 42° rispetto alla superficie e con un’irradianza totale di 100 W/m2

(Figura 1.2).

Figura 1.2: Spettri di emissione solare: Corpo nero a 5762 K, AM0, AM1.5G.

L’energia solare presenta notevoli vantaggi [4] tra cui: la conversione diretta in energia elettrica e calore, non richiede l’impiego di alte temperature, non produce rumore grazie alla mancanza di parti meccaniche in movimento e non è fonte di inquinamento diretto. Gli svantaggi che ritardano l’impiego di questa inesauribile fonte di energia risiedono fondamentalmente nella sua natura intermittente. Infatti, la radiazione solare subisce variazioni con l’alternanza del giorno e della notte, delle stagioni, dell’altitudine e delle condizioni atmosferiche. Per queste ragioni lo sfruttamento dell’energia solare è caratterizzata da una bassa densità di raccolta, pertanto si richiedono grandi superfici irradiate al fine di ottenere grandi quantità di energia. Questo può essere un punto di forza, poiché è possibile valorizzare lo sfruttamento di vaste aree desertiche ed industrializzate ma, allo stesso tempo, può essere la causa di un certo impatto ambientale dovuto ad esempio all’occupazione di terreni agricoli o edificabili. Di sicuro, la principale motivazione che impedisce la produzione di energia dalla radiazione solare è dovuta agli alti investimenti legati alla progettazione, produzione e manutenzione di dispositivi in grado di trasformare l’energia solare in energia disponibile al consumo.

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1.2. Dispositivi fotovoltaici.

[4],[6-9]

I processi di conversione di energia associati con la radiazione solare sono di tipo fotochimico (Es. fotosintesi), fototermico (da radiazione a calore) e fotoelettrico (da radiazione ad energia elettrica).

I processi fotochimici si basano sull’assorbimento di fotoni di lunghezza d’onda opportuna da parte di atomi o molecole che, trovandosi in uno stato eccitato, promuovono specifiche reazioni chimiche.

La trasformazione della radiazione solare in calore (processo fototermico) avviene tramite l’impiego di pannelli solari termici che sfruttano l’energia solare sotto forma di radiazione per scaldare un liquido con speciali caratteristiche, contenuto nel suo interno, che cede calore tramite uno scambiatore di calore all’acqua contenuta in un serbatoio di accumulo.

La conversione diretta della radiazione solare in energia elettrica (processo fotoelettrico) è possibile tramite l’impiego di particolari dispositivi fotovoltaici costituiti da materiali semiconduttori che sfruttano l’effetto fotovoltaico.

La scoperta dell’effetto fotovoltaico è stata attribuita al fisico francese Alexander-Edmond Becquerel [5] nel 1839 e costituisce una delle prove indirette della natura corpuscolare delle onde elettromagnetiche. In particolare, l’effetto fotovoltaico è una sottocategoria dell’effetto fotoelettrico scoperto dallo scienziato tedesco Heinrich Herzt nel 1887 e poi spiegato da Albert Einstein nel 1905, il quale formalizzò la teoria dell’effetto fotoelettrico che gli valse il premio Nobel nel 1921.

In una generica cella fotovoltaica l’effetto fotovoltaico si verifica quando un elettrone, presente nella banda di valenza di un materiale semiconduttore, passa alla banda di conduzione a causa dell’assorbimento di un fotone di opportuna energia.

I semiconduttori sono materiali che presentano una resistività intermedia tra i conduttori (metalli) e gli isolanti. Uno degli elementi di base per la loro realizzazione è il silicio, appartenente al quarto gruppo della tavola periodica e avente quattro elettroni di valenza. Ogni atomo di silicio, presente all’interno di un materiale semiconduttore solido, si lega covalentemente con altri quattro atomi dello stesso tipo in modo da riempire completamente gli orbitali esterni con otto elettroni, raggiungendo la stabilità chimica e formando un reticolo cristallino.

Dalla meccanica quantistica è noto che quando atomi isolati si legano per formare un reticolo cristallino, la struttura dei livelli energetici degli elettroni più esterni e le corrispondenti funzioni d’onda vengono drasticamente modificate, mentre i livelli

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energetici degli elettroni interni non vengono apprezzabilmente alterati per cui rimangono saldamente vincolari ai singoli atomi di appartenenza. In altri termini, l’interazione fra gli atomi che costituiscono il reticolo cristallino porta alla formazione di una banda di valenza, definita come l’insieme dei livelli energetici posseduti dagli elettroni di legame i quali sono delocalizzati, e una banda di conduzione ovvero l’insieme dei livelli energetici permessi agli elettroni che possiedono una energia superiore a quella della banda di valenza. Tra le due bande esiste una banda proibita, più precisamente un gap energetico che gli elettroni devono superare per poter passare dalla banda di valenza a quella di conduzione.

Nei materiali semiconduttori le due bande permesse sono separate da un piccolo gap energetico proibito (nel caso del silicio 1,1 eV) e la probabilità che un elettrone passi dalla banda di valenza a quella di conduzione aumenta esponenzialmente al crescere della temperatura. Nei materiali conduttori (metalli) non esiste un gap energetico proibito poiché le due bande permesse sono in parte degeneri. Quindi la promozione degli elettroni alla banda di conduzione è molto più facile e questo porta alla formazione di una maggiore quantità di portatori di carica negativi (elettroni) in grado di generare corrente elettrica. Nei materiali isolanti, invece, il gap energetico è molto elevato per cui risulta estremamente difficile per gli elettroni passare dalla banda di valenza a quella di conduzione, anche aumentando la temperatura.

Figura 1.3: Disposizione delle bande di valenza e di conduzione e ampiezza della banda proibita nei materiali: (a) isolanti, (b) semiconduttori e (c) conduttori.

Quando fotoni incidenti sulla superficie del materiale possiedono una energia maggiore del gap energetico, vengono assorbiti portando alla promozione di un elettrone dalla banda di valenza a quella di conduzione, lasciando una buca elettronica (lacuna) nella banda di valenza. Si ha perciò la formazione di una coppia elettrone-lacuna, ovvero una coppia di portatori di carica mobili negativi (elettroni) e positivi (lacune). L’elettrone presente nella banda di conduzione è mobile e quindi in grado di generare corrente. La

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stessa cosa succede nella banda di valenza poiché anche il movimento delle lacune elettroniche può generare corrente che ha verso opposto rispetto al movimento degli elettroni. Il movimento delle lacune è solamente virtuale in quanto sono gli elettroni della banda di valenza a muoversi poiché tendono ad occupare la lacuna liberandone un’altra.

Le coppie elettrone-lacuna (eccitoni) hanno una durata limitata in quanto sono soggetti a fenomeni di rilassamento e di ricombinazione che impediscono la generazione di energia elettrica. Per questo motivo è necessario promuovere la loro migrazione tramite l’applicazione di una differenza di potenziale.

Figura 1.4: Descrizione dell’effetto fotovoltaico in un cristallo di silicio e formazione di una coppia elettrone-lacuna (eccitone).

A tale scopo sono stati messi a punto dispositivi basati sulla giunzione p-n [10], termine con il quale si indica l’interfaccia che separa le parti di un semiconduttore sottoposte a drogaggio di tipo differente.

Il processo di drogaggio consiste nell’aggiunta voluta ad un semiconduttore intrinseco (puro) di tracce di impurità le quali influenzano enormemente le concentrazioni relative dei portatori di carica e quindi della conducibilità.

L’inserimento di elementi “donatori” come arsenico, fosforo ed antimonio, aventi 5 elettroni di valenza anziché 4 come per il silicio, generano un eccesso di portatori di carica negativi all’interno della struttura cristallina. Questa tipologia di drogaggio porta alla formazione di un semiconduttore estrinseco di tipo n. Mentre, l’aggiunta di elementi “accettori” come il boro, l’alluminio e il gallio, aventi 3 elettroni di valenza, genera un eccesso di lacune mobili con formazione di un semiconduttore estrinseco di tipo p.

Mettendo a contatto un semiconduttore di tipo n ed uno di tipo p si ottiene una giunzione p-n. Il gradiente di concentrazione dei portatori di carica, genera un movimento diffusivo degli stessi da una zona all’altra, in particolare si assiste al flusso

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degli elettroni dalla zona n alla zona p e, viceversa, allo spostamento delle lacune dalla zona p alla zone n. Questo movimento dei portatori di carica genera una corrente di

diffusione che porta alla formazione di un doppio strato di carica in corrispondenza della

giunzione p-n, definita zona di svuotamento o zona di carica spaziale [10]. Il doppio strato che si viene a formare è costituito da una zona di tipo p con carica negativa ed una zona di tipo n con carica positiva. Man mano che la corrente di diffusione fluisce, aumentano le dimensioni della zona di svuotamento e quindi anche l’intensità del campo elettrico che ha verso np.

La presenza di questo campo elettrico genera un’altra corrente detta di deriva che presenta verso opposto alla corrente di diffusione e la quale intensità è proporzionale al campo elettrico. Quindi, la zona di svuotamento aumenta fino al raggiungimento di una situazione di equilibrio che si verifica quando la corrente di diffusione e quella di deriva sono all’equilibrio. Il campo elettrico all’equilibrio genera una differenza di potenziale a cavallo della giunzione, definita barriera di potenziale (“built in”) la quale agisce soltanto all’interno della zona di svuotamento, le cui dimensioni all’equilibrio, ovvero senza che nessun potenziale venga applicato ai capi della giunzione, dipendono dalla concentrazione dei portatori di carica nelle due zone e dalla temperatura. Questa differenza di potenziale si pone come barriera ai portatori di carica soggetti alla spinta dalla diffusione. La corrente misurata in queste condizioni, ovvero senza che venga applicato nessun potenziale ai capi della giunzione, è definita corrente di corto-circuito

[10].

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La giunzione p-n costituisce l’unità fondamentale dei dispositivi fotovoltaici. Di fatti, quando la giunzione è posta in condizioni di illuminazione [9] si ha l’assorbimento di energia (fotoni) da parte del materiale semiconduttore con conseguente formazione di coppie di portatori di carica (effetto fotoelettrico).

In particolare si ha l’aumento dei portatori di carica minoritari, ovvero degli elettroni nella zona p e delle lacune nella zona n. Questo porta al movimento diffusivo dei portatori di carica minoritari e quindi al flusso di elettroni dalla zona p, attraverso la zona di svuotamento fino a raggiungere la zona n e viceversa per le lacune.

Se i capi della giunzione non sono collegati (condizioni di circuito aperto) non si osserva alcun passaggio di corrente. In particolare, la diffusione dei portatori di carica minoritari porta all’abbassamento del potenziale interno e di conseguenza alla diminuzione delle dimensioni del doppio strato di carica. Questo comporta un aumento del fenomeno di ricombinazione all’interno del semiconduttore fino a quando si raggiunge un valore di potenziale ben preciso, detto potenziale di circuito aperto (VOC).

Se i capi della giunzione vengono sottoposti in condizioni di circuito chiuso si osserva la produzione di una corrente elettrica foto-generata, definita corrente di corto-circuito nel momento in cui non viene applicato nessun potenziale alla cella.

Figura 1.6: Effetto fotoelettrico e produzione di corrente elettrica in corrispondenza di una giunzione p-n di un dispositivo fotovoltaico a base di silicio.

Per descrivere il comportamento elettrico di una cella solare in condizioni di buio o di illuminazione si fa riferimento al grafico caratteristico della corrente (I) in funzione del voltaggio (V) [11].

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Figura 1.7: Curva I-V caratteristica, in condizioni di buio (linea verde) ed in condizioni di illuminazione (linea rossa). Imp=densità di corrente di massima potenza; Vmp=tensione di massima potenza;

Isc=corrente di corto-circuito; Voc=tensione di circuito aperto.

Come si può notare dal grafico, in condizioni di buio non si genera nessuna corrente elettrica all’interno della cella solare, a meno che non si applichi ai capi della cella un determinato voltaggio.

Quando il dispositivo è esposto alla luce la curva V-I trasla verticalmente in basso di una quantità corrispondente alla corrente di corto-circuito.

Dall’analisi della curva caratteristica V-I [11] è possibile ottenere una serie di parametri fondamentali che consentono di caratterizzare il dispositivo solare. Alcuni di questi parametri sono stati definiti precedentemente, come il voltaggio di circuito aperto (VOC) e la corrente di corto circuito (ISC). Altri parametri sono:

Il Punto di potenza massima, che indica le condizioni di corrente e di voltaggio per cui si osserva la massima produzione di potenza elettrica per unità di superficie.

Pmax= 𝐽𝑚𝑎𝑥 𝑉𝑚𝑎𝑥 Eq. 1.1

Il Fattore di riempimento “Fill Factor” (FF) è un parametro che caratterizza la performance del dispositivo fotovoltaico ed è definito come il rapporto tra la potenza massima effettiva e la potenza teorica della cella solare, ovvero, il prodotto tra la corrente foto-generata (JPH) e il voltaggio di circuito aperto (VOC) (Eq. 1.2).

𝐹𝐹 = 𝐽𝑚𝑝 𝑉𝑚𝑝

𝐽𝑃𝐻 𝑉𝑂𝐶 Eq. 1.2

L’efficienza di conversione (PCE o ηe) definita come il rapporto tra la potenza massima della cella solare e la potenza luminosa raccolta dalla radiazione solare incidente (Pin) (Eq. 1.3).

ηcella = 𝑃𝑚𝑎𝑥

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L’efficienza quantica (QE) definita come l’efficienza del dispositivo in relazione della lunghezza d’onda della radiazione incidente.

1.3. Tipologie di celle fotovoltaiche

Sebbene la scoperta dell’effetto fotoelettrico, attribuita al fisico Becquerel, risalga agli inizi dell’800 i primi dispositivi fotovoltaici in grado di generare corrente elettrica sfruttando tale effetto furono sviluppati soltanto recentemente nei primi anni ’50.

Nella primavera del 1953 Gerald Pearson, fisico presso i Laboratori Bell, studiando il silicio e le sue possibili applicazioni nell’elettronica, costruì involontariamente una cella solare al silicio. Questa scoperta fu perfezionata da altri due scienziati dei laboratori Bell – Darryl Chapin e Calvin Fuller – realizzando la prima cella in grado di convertire in elettricità abbastanza energia solare per alimentare dispositivi elettronici di uso quotidiano.

Inizialmente la giovane tecnologia fotovoltaica è stata impiegata soprattutto in campo aereo-spaziale. Di fatti già alla fine degli anni ’50 il fotovoltaico forniva elettricità ai satelliti americani e sovietici. Solo negli anni ’70 si è cominciato a pensare che i dispositivi fotovoltaici potessero essere impiegati per la produzione di energia su larga scala.

Negli odierni dispositivi solari l’unità base è costituita dalla cella solare, che viene assemblata con altre celle solari così da ottenere un modulo e questi ultimi sono connessi al fine di ottenere dispositivi più complessi ed efficienti come i pannelli solari

[10].

Gli sforzi nello sviluppo del settore fotovoltaico sono sempre stati incentrati alla ricerca di dispositivi più economici, più efficienti, più leggeri, meno rigidi e meno voluminosi al fine di adattarsi facilmente agli ambienti urbani ed essere più facilmente accessibili, dal punto di vista economico, alla maggior parte della popolazione.

Le celle fotovoltaiche possono essere classificate sulla base dei materiali di cui sono costituiti, delle tecnologie impiegate per la loro realizzazione e della generazione di sviluppo.

1.3.1. Prima generazione

Come detto in precedenza, le prime celle solari sono a base di silicio e tutt’ora risultano i dispositivi fotovoltaici maggiormente prodotti ed impiegati a livello mondiale.

I materiali a base di silicio presentano ottime proprietà da semiconduttore e sono caratterizzati da un gap energetico di 1,1 eV [12].

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Inizialmente, la produzione delle celle solari impiegava diverse tipologie di silicio, in particolare: il silicio policristallino (m-Si) e quello monocristallino (sc-Si). Le celle costituite da silicio monocristallino presentano una migliore efficienza (25,6%) [13] rispetto quelle a base di silicio policristallino (20,4%) [14]. Questo è dovuto al fatto che il silicio policristallino è caratterizzato da difetti nella struttura cristallina (bordi di grano) che rappresentano delle imperfezioni e delle discontinuità strutturali all’interno del semiconduttore che ostacolano il passaggio della corrente elettrica.

Una importante caratteristica dei semiconduttori è la struttura dell’intervallo di banda che influenza enormemente le proprietà di assorbimento e di emissione del materiale stesso.

Un semiconduttore caratterizzato da un intervallo di banda indiretto presenta il massimo energetico della banda di valenza non allineato con il minimo della banda di conduzione poiché presentano momenti cristallini differenti [4]. Pertanto l’assorbimento del fotone non è una condizione sufficiente per garantire la transizione dell’elettrone dalla banda di valenza a quella di conduzione. Quindi nella transizione elettronica viene coinvolto un fonone, una quasi-particella associata alla vibrazione del reticolo cristallino, che viene assorbita o emessa al fine di completare la transizione dell’elettrone alla banda di conduzione.

Diversamente, si parla di intervallo di banda diretto quando al massimo energetico della banda di valenza corrisponde il minimo della banda di conduzione. In questo caso la transizione elettronica non richiede l’ausilio delle particelle di fonone, poiché il momento cristallino del minimo della banda di conduzione e del massimo della banda di valenza è lo stesso.

Figura 1.8: Differenza tra (a) bandgap indiretto e (b) bandgap diretto.

È facilmente intuibile che in semiconduttori con intervallo di banda diretto la probabilità che l’effetto fotoelettrico si verifichi è molto maggiore rispetto a quelli

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aventi bandgap indiretto. Questo si traduce in un maggiore coefficiente di assorbimento per i semiconduttori con bandgap diretto. Questo è stato uno dei principali motivi che ha portato al tramonto dei dispositivi solari a base di silicio mono- e policristallino, poiché caratterizzati da un intervallo di banda indiretto, a favore delle celle a base di silicio amorfo (a-Si).

Contrariamente ai precedenti, il silicio amorfo possiede un intervallo di banda diretto ed è quindi caratterizzato da un notevole coefficiente di assorbimento, ma la sua struttura cristallina è costellata da difetti reticolari che giustifica bassi rendimenti della cella fotovoltaica, che si aggirano intorno al 10% [15]. Questo fenomeno è detto di

Staebler-Wronski e consiste nell’aumento della ricombinazione lacuna-elettrone all’aumentare

dei difetti cristallini nel materiale semiconduttore [16].

Altri dispositivi solari appartenenti a questa categoria sono quelli a base di arseniuro di gallio (GaAs), i quali raggiungono rendimenti anche del 28,8 % [6,17]. Le elevate prestazioni in assorbimento di tali dispositivi hanno permesso di ridurre drasticamente lo spessore delle celle solari da 100 μm (celle a base di a-Si) a pochi micron. Tuttavia le sue scarse proprietà meccaniche e fisiche (elevata densità), oltre che l’elevato costo dei materiali di cui è costituito, ne hanno diminuito il campo di applicazione.

Una delle problematiche che affligge il rendimento delle celle solari consiste nel fatto che sono in grado di assorbire soltanto una piccola porzione dello spettro solare. Il range spettrale che un dispositivo solare può assorbire è caratteristico del tipo di cella, dai materiali impiegati e quindi dall’ampiezza del proprio bandgap. Il rendimento di questi dispositivi risulta diminuito poiché quando le celle assorbono una radiazione avente energia superiore al bandgap energetico, il surplus di energia viene disperso sotto forma di calore (processo di termalizzazione) [18].

Per ovviare a questo problema sono stati ideati dei dispositivi fotovoltaici

multigiunzione [19] costituiti da più giunzioni diverse impilate fra loro, caratterizzate da

differenti materiali e quindi da diverso bandgap. Grazie a questi particolari dispositivi è possibile sfruttare una porzione più ampia dello spettro solare con conseguente drastico aumento dell’efficienza [20]. Di fatto, dispositivi multigiunzione a base di InGaP/GaAs/InGaAs arrivano ad un rendimento massimo del 38% [21].

1.3.2. Seconda generazione

Appartengono a questa categoria le celle fotovoltaiche a “film sottile”, costituite da strati sottili di materiale semiconduttore depositati su una matrice di natura vetrosa,

(21)

17

polimerica o metallica. Lo sviluppo della tecnologia a film sottile presenta una serie di vantaggi tra cui l’impiego di una minore quantità di materiale semiconduttore (silicio) e di conseguenza un drastico abbassamento dei costi di produzione dei dispositivi fotovoltaici. Inoltre, l’ottenimento di celle con spessori inferiori (10-15 μm) rispetto a quelle di prima generazione (100 μm) conferisce una notevole flessibilità e leggerezza che si traducono in vantaggi in campo applicativo. In particolare, le celle a film sottile sono in grado di ricoprire ampie superfici e di integrarsi facilmente in ambienti urbani

[22,23].

Ciò nonostante i dispositivi di seconda generazione presentano rendimenti minori se paragonate alle celle di prima generazione.

Celle a film sottile di telluro di cadmio (CdTe) [6] hanno registrato il record di efficienza del 19,6% [24]. Inoltre, possiedono alti coefficienti di assorbimento e un intervallo di banda di 1,5 eV (830 nm) che permette l’assorbimento ad un range spettrale molto vicino al massimo dello spettro solare. Tuttavia, le problematiche legate a questi dispositivi consistono nella scarsità [25] e nell’elevato costo del tellurio e nella tossicità del cadmio [26], ragion per cui tali dispositivi non hanno trovato largo spazio nel mercato.

Altre tipologie di celle solari a film sottile sono quelle a base di (di)seleniuro di rame-indio-gallio (CIGS) [27] e di seleniuro di rame-indio (CIS) [10] caratterizzati da elevati coefficienti di assorbimento e da rendimenti che si attestano intorno al 20%, ma affetti da un elevato costo dei materiali [28].

1.3.3. Terza generazione

I dispositivi fotovoltaici di terza generazione rappresentano un campo di ricerca ancora in via di sviluppo che suscita un notevole interesse in quanto pongono una serie di possibili soluzioni alle problematiche che affliggono le celle di generazione precedente legate alla produzione e commercializzazione, all’aspetto economico, al rendimento e all’impatto ambientale. In particolare, questi dispositivi possiedono una elevata efficienza e sono in grado di oltrepassare il limite di Shockley-Queisser [29], che considera la massima efficienza di una singola giunzione p-n al 33,7%, considerando uno spettro AM 1.5 e un band gap di 1,4 eV. Appartengono a questa categoria le celle

ibride o Dye Sensitized Solar Cells (DSSCs) e le celle solari organiche (OPVs).

I dispositivi DSSCs, dette anche celle di Graetzel [30,31], sfruttano coloranti organici piuttosto che semiconduttori inorganici e il loro funzionamento imita i processi naturali

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18

di fotosintesi per la conversione della radiazione solare in energia elettrica. Queste celle sono costituite da un elettrodo di vetro conduttore ricoperto con biossido di titanio nano-cristallino, da un colorante legato alla superficie del biossido, da una soluzione elettrolitica contenente una coppia redox e da un contro-elettrodo la cui superficie è ricoperta da un catalizzatore.

Il colorante assorbe la radiazione solare eccitandosi e trasporta gli elettroni al semiconduttore TiO2. L’elettrone raggiunge l’anodo tramite un processo diffusivo

(senza andare incontro a ricombinazione) e, sotto l’azione di una differenza di potenziale, circola nel circuito esterno che collega l’anodo al catodo. Il catodo è a contatto con una soluzione elettrolitica contenente la coppia redox ioduro/triioduro in acetonitrile. Il catalizzatore che ricopre il catodo aiuta il trasferimento dell’elettrone dal catodo alla soluzione elettrolitica con conseguente riduzione del triioduro a ioduro. A loro volta le molecole di ioduro riducono la molecola di colorante generando nuovamente lo ione triioduro e chiudendo il circuito [31]. Il rendimento di queste celle è basso e si aggira intorno all’11% [6], ma viene compensato dall’impiego di materiali a basso costo.

Le celle solari organiche (OPV) sono costituite da materiali polimerici con una struttura altamente delocalizzata che gli conferisce un elevato coefficiente di assorbimento nel range del visibile ed in corrispondenza del massimo dello spettro solare. Tuttavia, nonostante la grande varietà di materiali a disposizione e gli ottimi vantaggi a livello ambientale ed economico, presentano pesanti problematiche legate al rendimento, ragion per cui è una tecnologia in fase di sviluppo.

Altri sistemi fotovoltaici appartenenti a questa categoria sono i dispositivi accoppiati a concentratori solari [32].

1.4. Concentratori solari

I concentratori solari sono sistemi ottici in grado di assorbire la radiazione solare di una vasta superficie, convogliarla su una superficie più piccola e quindi ottenere una radiazione molto più intensa (con una più alta concentrazione di fotoni) la quale viene fatta incidere su di una cella fotovoltaica [33,34]. L’impego di questi dispositivi accoppiati a delle celle solari genera un drastico aumento dell’irradianza, che incide sulla superficie della cella, e quindi un forte aumento della densità di corrente fotogenerata dalla cella fotovoltaica.

(23)

19

I concentratori solari possono essere di diversa tipologia [35,36,37]:

Concentratori parabolici lineari, che concentrano la radiazione solare su una tubazione (ricevitore) posta nella linea focale di un cilindro a sezione parabolica (concentratore) con asse longitudinale parallelo al terreno;

Torri solari; ovvero impianti costituiti da una serie di specchi piani (eliostati) che inseguono il movimento solare e concentrano l’energia solare in un ricevitore installato sulla sommità di una torre;

Concentratori lineari Fresnel; costituiti da una serie di specchi eliostati lineari, in grado di seguire il movimento solare, che riflettono e concentrano la radiazione solare su un tubo ricevitore, posto in posizione orizzontale al di sopra del collettore;

Concentratori a dischi parabolici; caratterizzati da un paraboloide in alluminio rivestito interamente di un film polimerico che riflette l’energia solare ad un ricevitore installato in corrispondenza del fuoco.

Figura 1.9: Concentratori solari tradizionali: a) impianto a torre solare; b) impianto a collettore di Fresnel; c) impianto a collettore parabolico lineare; d) collettore a disco parabolico.

L’impiego di concentratori tradizionali (come quelli descritti prima) comporta una serie di svantaggi, primo fra tutti il fatto che questi sistemi sono molto ingombranti e voluminosi, ragion per cui non hanno un ampio campo di applicabilità in ambienti urbani, ma possono valorizzare vaste aree desertiche e/o non abitate [38]. La capacità di concentrare la luce solare dipende, oltre che dalla geometria del dispositivo, dalla direzione di incidenza della radiazione solare. Questo problema può essere risolto dotando i concentratori di un sistema mobile per il tracciamento del sole. Un problematica che affligge questi sistemi è il raggiungimento di temperature molto elevate, durante le fasi di concentrazione solare, che possono danneggiare la cella

(24)

20

fotovoltaica, richiedendo l’impiego di un sistema di raffreddamento [39]. Inoltre, questa tipologia di concentratori solari mostra bassi rendimenti in condizioni di luce diffusa

[32].

1.5. Concentratori solari luminescenti

Un modo alternativo e innovativo di concentrare la radiazione solare, svincolandosi dall’impiego di dispositivi complicati e di grandi dimensioni, come quelli visti in precedenza, è quello utilizzato nei concentratori solari luminescenti, LSC dall’inglese “Luminescent Solar Concentrators” [40,41].

I concentratori solari luminescenti sono dei dispositivi ottici piani all’interno dei quali sono disperse molecole di fluoroforo ad alta resa quantica in grado di assorbire la radiazione elettromagnetica solare incidente e di emettere successivamente radiazione luminescente, la quale viene per la maggior parte intrappolata e concentrata sui bordi del dispositivo stesso [40]. Quindi la radiazione solare raccolta sulla superficie del dispositivo esposta alla luce, viene convogliata sulla superficie laterale, più piccola rispetto alla precedente, ottenendo una radiazione avente una maggiore intensità, ovvero più concentrata.

Le celle fotovoltaiche poste ai bordi del dispositivo assorbiranno la fluorescenza convertendo l’energia luminosa in elettrica.

Figura 1.10: Principio di funzionamento di un concentratore solare luminescente.

Il fenomeno fisico che permette di guidare la radiazione luminescente ai bordi del concentratore è definito di riflessione interna totale, TIR dall’inglese “Total Internal

Reflection”. Tale fenomeno descrive il comportamento di riflessione di un’onda

elettromagnetica quando colpisce il confine tra due materiali aventi indici di rifrazione differente. In particolare, se la radiazione luminosa si propaga all’interno del materiale avente indice di rifrazione più elevato e colpisce il confine con il materiale ad indice di

(25)

21

rifrazione minore, tramite un angolo maggiore di un certo angolo critico, l’onda viene riflessa totalmente e non passa nel materiale a minore indice di rifrazione.

Figura 1.11: Angoli di incidenza e TIR: a) Angolo cui la radiazione luminosa viene trasmessa al di fuori del concentratore; b) angolo critico per cui si genera un’onda di superficie (onda evanescente); c)

Angolo cui la radiazione subisce la TIR.

Tale angolo critico è facilmente ricavabile dalla legge di Snell (Eq. 1.4) [42]:

θc = sin-1(𝜂𝑎𝑟𝑖𝑎

𝜂𝐿𝑆𝐶) Eq. 1.4

Dove θc è l’angolo critico; ηaria è l’indice di rifrazione dell’aria (uguale a 1); ηLSC è

l’indice di rifrazione del materiale di cui è composto il concentratore solare luminescente. La radiazione solare che incide sulla superficie del dispositivo con un angolo minore rispetto all’angolo critico viene solo in parte riflessa internamente. D’altronde l’intensità di questa parte di radiazione diminuisce ad ogni successiva riflessione contro la superficie del dispositivo durante il cammino verso il bordo.

Fattore importante è la tipologia di materiali impiegati come matrice dei concentratori solari i quali generalmente possiedono un’elevata trasparenza e un indice di rifrazione di circa 1,5-1,6. Per un materiale avente un indice di rifrazione di 1,5, l’angolo critico è di 41,8° (0,66 rad) e risulta in grado di intrappolare al suo interno il 75% della radiazione emessa dal colorante.

Questa tecnologia presenta molteplici vantaggi rispetto alle altre tipologie di concentrazione viste in precedenza:

Presentano una struttura leggera e poco voluminosa [43] che non richiede l’impego di sistemi di tracciamento né di apparati di raffreddamento. Inoltre, è una tecnologia molto versatile, poiché è possibile produrre concentratori di qualsiasi forma, colore e trasparenza. Queste caratteristiche si traducono in più esteso campo di applicabilità, in particolare per integrazione in ambiente urbano

(26)

22

(finestre, illuminazione stradale) [40,44], ma anche come fonte di energia per dispositivi elettronici mobile.

Possiedono alte efficienze anche in condizioni di luce diffusa [43,45], grazie soprattutto alla vasta scelta di coloranti disponibili.

Sono caratterizzati da un basso costo di produzione [40]. Ciò è dovuto soprattutto all’utilizzo di celle fotovoltaiche di dimensioni ridotte [43], all’impiego di materiali a basso costo (come materie plastiche impiegate come matrici) e alle semplici metodologie di produzione.

1.6. Efficienza di conversione ottica (η

opt

)

Durante la fase di concentrazione della radiazione solare, quest’ultima può andare incontro ad una serie di fenomeni che ne diminuiscono l’intensità prima di raggiungere il bordo del dispositivo. Di conseguenza l’efficienza reale di un concentratore solare luminescente è molto minore di quella teorica.

Figura 1.12: Rappresentazione grafica dei fenomeni di perdita ottica durante il processo di concentrazione all’interno di un generico dispositivo LSC: a) perdite da riflessione Fresnel; b) perdite da

TIR; c) perdite da auto-assorbimento; d) perdite dovute ad efficienza quantica non unitaria; e) radiazione che viene trasmessa; f) perdite dovute ad imperfezioni della matrice; g) assorbimento da impurità; h) perdite dovute ad imperfezioni superficiali; i) radiazione che raggiunge la superficie del

concentratore.

Tali fenomeni dipendono da una serie di fattori che devono essere considerati singolarmente al fine di determinare l’efficienza di conversione ottica (ηopt) del dispositivo.

Le prestazioni di un LSC possono essere definite dal fattore di concentrazione effettivo, chiamato semplicemente fattore di concentrazione, definito dalla seguente equazione (Eq. 1.5) [46]:

(27)

23

Dove G è il fattore geometrico del concentratore, definito come il rapporto tra la superficie esposta alla radiazione solare e la superficie laterale, e lega il fattore di concentrazione alla geometria del dispositivo.

L’efficienza di conversione ottica (ηopt) è definita come il rapporto tra la potenza in

uscita dal bordo del concentratore (Pout) e la potenza raccolta dalla superficie esposta

alla radiazione solare (Pin) (Eq. 1.6):

ηopt = 𝑃out

𝑃𝑖𝑛 Eq.1.6

L’equazione ideata da A. Goetzberger [40,42,47] descrive in maniera esaustiva l’efficienza di conversione ottica, definita come la produttoria delle efficienze legate a ciascun fenomeno di perdita durante il processo di concentrazione (Eq. 1.7):

ηopt = ηT ηTIR ηQE ηLH ηSA ηStokes ηHost Eq. 1.7

Di questa equazione, ne sono state elaborate varie versioni successive, che differiscono per l’approccio diverso alla soluzione del solito problema.

1.6.1. Efficienza di trasmissione (η

T

)

Questo fattore considera le perdite dovute alla frazione della luce che non penetra all’interno del dispositivo, ma che viene riflessa dalla sua superficie.

Tale fenomeno ottico prende il nome di riflessione di Fresnel e dipende dall’indice di rifrazione del materiale.

Considerando una radiazione perpendicolare alla superficie del concentratore, la quantità di luce riflessa (R), e quindi persa, è calcolata tramite la legge di Fresnel (Eq.

1.8):

R = (𝑛−1)2

(𝑛+1)2 Eq. 1.8

L’efficienza di trasmissione dovuta all’intrappolamento della radiazione viene determinata tramite l’Eq. 1.9:

ηT = (1 – R) Eq. 1.9

A titolo di esempio, considerando che l’indice di rifrazione del policarbonato (PC) è di 1,586, si ottiene un fattore R = 0,05 ed un’efficienza pari al 95%.

Si può notare come all’aumentare dell’indice di rifrazione della matrice, aumenta il parametro R con conseguente riduzione del valore di efficienza.

(28)

24

1.6.2. Efficienza di riflessione interna totale (η

TIR

)

Questa efficienza tiene in considerazione la quantità di luce che non viene riflessa all’interno del concentratore. La luce riemessa dal colorante, che colpisce la superficie interna del dispositivo, con un angolo maggiore rispetto all’angolo critico si riflette totalmente all’interno del concentratore. Diversamente, per angoli minori rispetto all’angolo critico questa radiazione viene solo parzialmente riflessa, per cui risulta avere un percorso maggiore all’interno del dispositivo andando a compromettere l’efficacia di quest’ultima.

Per descrivere meglio il processo di perdita si prende come riferimento la molecola di fluoroforo e l’angolo formato dal raggio luminescente con la retta perpendicolare alla superficie interna del concentratore (Figura 1.13).

Figura 1.13: Sezione di un concentratore solare, con rappresentazione del cono di uscita il cui angolo al vertice (θc) è definito come angolo critico in base alla legge di Snell.

Visto nello spazio questo angolo rappresenta l’angolo al vertice di un cono, definito come cono di uscita (uno superiore ed uno inferiore). Tutta la radiazione emessa all’interno del cono di uscita viene persa.

Come l’angolo critico, anche l’efficienza di TIR (ηTIR) è legata solamente all’indice di rifrazione del materiale tramite la seguente equazione (Eq. 1.10):

ηTIR =

√𝑛2−1

𝑛 Eq. 1.10

Si può assumere ogni singola molecola di colorante come una nuova sorgente luminosa che emette isotropicamente all’interno della matrice, ragion per cui è possibile considerare queste perdite in funzione della parte di spazio occupata dai coni di uscita. Prendendo come esempio il Policarbonato (PC) avente un indice di rifrazione di 1,586, tramite l’equazione precedente si ricava un’efficienza di TIR di 0,77. Ciò significa che

(29)

25

circa un quarto della radiazione emessa dalle molecole di colorante viene persa. Quindi il fattore ηTIR ha un forte peso nel valore finale dell’efficienza ottica del dispositivo. Al fine di limitare questa tipologia di perdita sono state valutate diverse soluzioni, come ad esempio l’impiego di specchi selettivi, che permettono l’ingresso della radiazione di assorbimento ed impediscono la successiva uscita della radiazione emessa [48-51]. Un’altra soluzione simile prevede l’utilizzo di specchi riflettenti, posti al di sotto del concentratore solare, che possono essere sia speculari che diffusivi [42,52]. L’impiego di questa tipologia di specchi porta due grandi vantaggi: la retro-riflessione della radiazione emessa dalle molecole di colorante che viene persa dal cono di uscita, dando a questi fotoni la possibilità di essere riassorbiti, e la riflessione della radiazione solare trasmessa, che non è stata assorbita in un primo passaggio. Inoltre, gli specchi riflettenti possono essere posizionati in corrispondenza dei bordi laterali del concentratore solare qualora non tutto il perimetro sia coperto da celle fotovoltaiche.

Ancora un’altra soluzione è quella di impiegare fluorofori dicroici, ovvero, molecole di colorante che presentano una direzione di assorbimento e di emissione preferenziale (asimmetrica), così da fornire una direzione preferenziale anche alla radiazione emessa dal colorante. È possibile conferire anisotropia alle molecole di fluoroforo impiegando matrici apposite come i liquidi cristallini [40,47]. Posizionando il colorante in maniera anisotropa, tuttavia si può incorrere in altre tipologie di perdita, ad esempio l’aumento dei fenomeni di auto-assorbimento o all’abbattimento delle capacità di assorbimento del colorante a causa della non ottimale disposizione spaziale all’interno della matrice. I due contributi all’efficienza ottica appena descritti ηTIR e ηT, dipendono esclusivamente dall’indice di rifrazione della matrice e possono essere riassunti tramite un’equazione (Eq. 1.11) che definisce quale sia l’indice di rifrazione ottimale per costruire un concentratore solare.

LTOT = (1 – R) (1 – ηTIR) + R Eq. 1.11

In cui LTOT indica la frazione di radiazione persa nel mezzo a causa dell’indice di rifrazione non ottimale, la quale può essere indicata con la seguente equazione (Eq.

1.12):

LTOT = 1 – 4

√𝑛2−1

(30)

26

Come si può notare dal grafico in Figura 1.14 [51], le perdite diminuiscono molto fino ad un determinato valore (circa 1,7), quindi il grafico della curva si appiattisce, ciò indica che non risulta indispensabile utilizzare indici di rifrazione del mezzo troppo elevati. Facendo un paragone, con un indice di rifrazione di 1,5 si hanno perdite per circa il 28% della radiazione entrante, mentre aumentando fino a 2 l’indice di rifrazione le perdite si attestano a circa il 23%. Il guadagno non è quindi molto ed il valore di perdite risulta comunque sempre molto alto.

Figura 1.14: Andamento di LTOT in funzione dell’indice di rifrazione della matrice.

1.6.3. Efficienza quantica di fluorescenza (η

QE

)

Con resa quantica di fluorescenza si indica la frazione di molecole che si rilassa allo stato fondamentale tramite emissione di fotoni rispetto al totale delle molecole eccitate

[53].

Viene comunemente indicata come QY, dall’inglese “Quantum Yield”, ed è una caratteristica del fluoroforo che dipende fortemente dall’ambiente circonstante. A seconda dell’intorno chimico del colorante, quest’ultimo può essere più o meno spinto verso un decadimento non radiativo. La resa quantica risulta in principio indipendente dalla concentrazione.

Per dispositivi quali gli LSC risulta opportuno definire l’efficienza quantica, dall’inglese” Quantum Efficiency” che indica la frazione di fotoni emessi su quelli assorbiti quando il campione è soggetto ad eccitazione. Quest’ultima al contrario della resa quantica dipende dalla concentrazione di fluoroforo nel campione [54,55].

1.6.4. Efficienza legata a fenomeni di auto-assorbimento (

ηSA)

L’auto-assorbimento è un fenomeno che consiste nell’assorbimento da parte di una molecola di colorante della radiazione emessa da una stessa molecola di colorante nelle

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27

vicinanze. Questo fenomeno può essere osservato sovrapponendo lo spettro di assorbimento con lo spettro di emissione della stessa molecola (Figura 1.15).

Figura 1.15: Sovrapposizione tra uno spettro di assorbimento ed uno di emissione generici. La differenza tra le lunghezze d’onda del massimo di assorbimento ed il massimo di emissione, viene chiamata spostamento di Stokes [53]. Maggiore è il valore dello spostamento di Stokes, minore risulta l’area di sovrapposizione tra le curve di assorbimento ed emissione e quindi minore è l’entità del fenomeno dell’auto-assorbimento. Questo fenomeno risulta dannoso all’efficienza di concentrazione, in quanto la radiazione riemessa incorre nuovamente in perdite di efficienza legate ad ηTIR

ed a ηQY. Dopo il secondo assorbimento, la radiazione viene dispersa di nuovo

isotropicamente e quindi anche all’interno del cono di uscita. Inoltre, non avendo una resa quantica unitaria, ad ogni assorbimento, il fluoroforo agisce come un filtro sulla radiazione fluorescente, restituendone solo una parte.

È quindi preferibile impiegare coloranti aventi un largo spostamento di Stokes. Alcuni esempi di coloranti fluorescenti che possiedono questa caratteristica sono quelli a base di Lantanidi e i Quantum Dots.

1.6.5. Efficienza legata a perdite energetiche dovute a spostamento di

Stokes (η

Stokes

)

Tali perdite energetiche, non radiative, stanno alla base del fenomeno dello spostamento di Stokes. Quando un fluoroforo assorbe una particolare radiazione ad una certa lunghezza d’onda, lo stesso riemetterà una radiazione luminescente che presenta una lunghezza d’onda maggiore rispetto a quella precedentemente assorbita. Questo è il risultato di una perdita di energia della radiazione. Si osserva quindi una perdita dell’energia raccolta per irraggiamento dal concentratore che non è possibile evitare

(32)

28

Tale efficienza può essere calcolata come il rapporto tra le energie dei fotoni emessi e quelli assorbiti. È possibile effettuare una stima approssimativa di questa efficienza, supponendo, ad esempio, uno spostamento di Stokes di 50 nm nella regione del visibile, tra 550 e 600 nm. L’energia di un fotone può essere calcolata utilizzando la seguente relazione (Eq. 1.13) [7]:

E = ℎ𝑐

𝜆 Eq. 1.13

Il rapporto tra le due energie (E(600nm)/E(550nm)) porta ad un’efficienza ηStokes di circa

0,91. La perdita energetica che si basa su questo fenomeno può essere comunque maggiore rispetto a quella stimata, in quanto in media un fotone assorbito possiede un’energia maggiore rispetto a quella corrispondente al massimo di assorbimento, mentre l’energia di un fotone emesso risulta di solito minore rispetto a quella corrispondente al massimo di emissione.

Tuttavia le perdite associate a tale parametro non presentano un’influenza molto marcata sul computo totale di ηopt. Cercando di aumentare questa efficienza si può

incorrere nella progressiva diminuzione del valore di efficienza di auto-assorbimento. Per aumentare quest’ultima è infatti fondamentale impiegare un colorante dotato di uno spostamento di Stokes elevato. Risulta necessaria quindi una ottimizzazione del dispositivo così da bilanciare i due parametri, anche se le perdite dovute al fenomeno dell’auto-assorbimento risultano comunque più influenti.

Infine ciò che più conta risulta l’assorbimento del fotone da parte della cella solare e la conseguente messa in moto di un elettrone, considerando che le celle comunemente utilizzate, richiedono fotoni di bassa energia, tale perdita di energia può risultare un guadagno.

1.6.6. Efficienza legata alle imperfezioni della matrice di cui è

composto il concentratore solare (η

Host

)

Questo termine di efficienza tiene conto di tutte le perdite di radiazione legate alle caratteristiche ottiche del materiale che compone il concentratore solare, in particolare alla presenza o meno di imperfezioni all’interno e sulla superficie del dispositivo (disomogeneità e centri di diffusione) e alla geometria impiegata.

La presenza di imperfezioni sono spesso causa della scarsa trasparenza del materiale (traslucenza) dando origine alla diffusione della radiazione. Quindi una radiazione luminosa correttamente direzionata verso il bordo del concentratore solare viene

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29

dispersa in tutte le direzioni, in corrispondenza dell’imperfezione strutturale, andando nuovamente incontro a perdite dovute all’ingresso nel cono di uscita imposto dalla legge di Snell. Punti di dispersione di questo tipo sono in grado di disperdere o assorbire la radiazione incidente e possono essere causati da impurità contenute nel materiale oppure dalla presenza di monomero non reagito. Anche imperfezioni superficiali come graffi o rugosità possono causare perdite di efficienza. Tali perdite possono essere limitate impiegando materiali ad alte prestazioni, come vetri ad alta purezza ottica, ma questo può cadere in contraddizione con lo scopo principale di questa tecnologia, ovvero la riduzione del costo del dispositivo.

Questo fattore di perdita non influenza particolarmente l’efficienza totale delle più comuni matrici per LSC, in quanto presentano un elevato grado di trasparenza nella regione dell’UV-Visibile. Tuttavia diventa rilevante quando si opera a lunghezze d’onda del vicino IR (oltre i 700 nm). Questo è il caso di molti composti organici come il Polimetilmetacrilato (PMMA) il quale presenta assorbimenti nella zona del vicino IR, causate dalle bande armoniche di stretching dei legami C-H. Tale assorbimento può influenzare negativamente le proprietà ottiche di un concentratore solare qualora vengano impiegati coloranti aventi una lunghezza d’onda di emissione oltre i 700 nm. La geometria comunemente impiegata per la produzione di dispositivi LSC è quella di una lastra a base quadrata o rettangolare, spesse non più di 1 cm, aventi aree di raccolta di luce di varie dimensioni. La migliore geometria a livello teorico è quella piana a base circolare in quanto permette una concentrazione della radiazione migliore e più omogenea lungo tutto il bordo, a differenza della geometria a base quadrata caratterizzata da una scarsa capacità di concentrazione della radiazione (quindi una bassa intensità della stessa) in corrispondenza degli angoli. Tuttavia, l’impiego della geometria a base circolare per i dispositivi LSC ha una scarsa applicabilità, per via della complicata realizzazione di dispositivi compatti.

Un buon compromesso consiste nel costruire LSC a base esagonale [41,42,56].

Altro aspetto importante è lo spessore del dispositivo e il suo effetto sulla concentrazione della radiazione sulla superficie laterale. Di fatto aumentando la superficie laterale aumenta anche la quantità si radiazione assorbita e concentrata dal dispositivo, tuttavia non è conveniente dal punto di vista economico impiegare concentratori solari con spessori elevati in quanto comporterebbero l’utilizzo di celle fotovoltaiche più grandi e quindi un costo maggiore per l’intero dispositivo.

(34)

30

1.6.7. Efficienza di Light Harvesting (η

LH

)

Questo parametro di efficienza prende in considerazione il fatto che solo una parte dello spettro solare incidente sul dispositivo LSC può essere assorbita dal fluoroforo. Questo può essere osservato qualitativamente sovrapponendo lo spettro di assorbimento di un colorante con lo spettro di emissione solare. È stato stimato che se un colorante fosse in grado di assorbire tutta la parte di spettro di lunghezza d’onda inferiore a 550 nm otterrebbe un ηLH di circa 0,26. Inoltre, per un colorante in grado di assorbire tutta la

radiazione al di sotto dei 950 nm, tale parametro incrementerebbe fino a 0,7 [56]. Come si può notare da questa stima di valori, il parametro ηLH influenza negativamente

l’efficienza ottica ηopt del dispositivo.

Una soluzione possibile per migliorare questo fattore di efficienza si basa sull’impego di un sistema di diversi concentratori solari, uno sull’altro, drogati con coloranti in grado di assorbire porzioni differenti dello spettro solare. Tale soluzione è molto simile al principio che sta alla base delle celle fotovoltaiche multigiunzione visto in precedenza. Impiegando questa disposizione, la radiazione solare trasmessa attraverso il primo LSC, verrebbe raccolta dal concentratore solare sottostante, con il risultato di ridurre le perdite dovute al cono di uscita. Inoltre, è possibile ottimizzare tale sistema abbinando a ciascun concentratore solare una cella fotovoltaica avente un intervallo di banda opportuno, ottimale per il tipo di emissione del colorante [51,57].

Una soluzione alternativa è quella di impiegare concentratori drogati con apposite miscele di coloranti. I coloranti devono essere selezionati così che tra essi possa esservi trasferimento di energia, ad esempio tramite il meccanismo del Fӧrster Resonance

Energy Transfer (FRET), di cui si parlerà nel dettaglio nel prossimo paragrafo. Tale

meccanismo consiste in un trasferimento di energia, non radiativo, tra lo stato eccitato di una molecola di colorante (donatore) e lo stato fondamentale di un’altra molecola di colorante (accettore) di diverso tipo. Questo genera un trasferimento energetico “a cascata” tra le molecole di colorante, in cui il colorante che assorbe a lunghezza d’onda minore passa la sua energia al colorante avente un assorbimento meno energetico e così via fino all’ultimo emettitore [58,59].

Gli svantaggi che affliggono questa particolare tecnica sono: la possibilità che le molecole di colorante possano interagire tra loro spegnendo l’emissione (quenching) e riducendo l’efficienza del dispositivo; il fatto che tale processo di trasferimento può in parte portare alle medesime perdite attribuite al fenomeno di auto-assorbimento, tra le

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quali la deviazione di un fotone, già direzionato tramite TIR, all’interno del cono di uscita.

Riassumendo, i contributi all’efficienza ottica possono essere suddivisi in base alla loro origine. Alcuni sono costanti e dipendono strettamente dall’indice di rifrazione del mezzo ηTIR e ηT. Invece, ηQY, ηStokes, ηSA e ηLH sono caratteristici del colorante, mentre

ηHost dipende anch’esso dal materiale ma anche dalle sue dimensioni e dal metodo di

preparazione. Di questi contributi, quelli che hanno un’incidenza maggiore sull’efficienza ottica sono: ηTIR il quale può essere stimato intorno a 0,7-0,8; ηLH che

presenta un valore molto basso compreso tra lo 0,15 e lo 0,20 e ηSA che assume valori di

circa 0,5-0,6 [60].

Gli altri parametri di efficienza assumono valori molto più vicini all’unità. Su questi parametri che discostano dall’unità è concentrata ad oggi la maggior parte delle ricerche al fine di realizzare LSC con prestazioni sempre più elevate.

1.7. Fӧrster Resonance Energy Transfer (FRET)

Il trasferimento di energia per risonanza, dall’inglese Fluorescence Resonance Energy

Transfer o Fӧrster Resonance Energy Transfer (FRET), consiste nell’interazione tra gli

stati elettronici di due specie molecolari nel quale, l’energia viene trasferita da una molecola donatore (D) ad una molecola accettore (A), senza alcuna emissione di fotoni

[61-68].

Questo processo viene ampiamente utilizzato per studiare una vasta gamma di fenomeni biologici che producono cambiamenti della struttura e della conformazione molecolare di proteine e altri sistemi biologici [61]. Presenta inoltre una valida soluzione per migliorare e ottimizzare le prestazioni dei dispositivi LSC, andando a minimizzare le perdite di efficienza di Light Harvesting (ηLH) trattate nel capitolo precedente [62,63,65].

Tramite il processo FRET due molecole di colorante che assorbono in regioni dello spettro solare differenti possono scambiarsi energia e quindi massimizzare l’intensità di fluorescenza del colorante che emette in corrispondenza del range spettrale di assorbimento della cella fotovoltaica, posta sul bordo del dispositivo. In questo modo è possibile sfruttare una ulteriore finestra dello spettro solare e quindi concentrare una maggiore quantità di luce.

Secondo Fӧrster e Weber, tale trasferimento di energia non radiativo è causato da una interazione dipolo-dipolo tra la molecola D e la molecola A. Quando una molecola D

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