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Nel periodo 1870-1936 la Santa Sede affrontò, a livello internazionale, differenti episodi

e diverse correnti ideologiche che agivano contro la stabilità e la fede della Chiesa. Di fronte ai grandi sconvolgimenti dell’epoca, la reazione dei vertici cattolici cambiò a seconda

dell’avvenimento. In certe occasioni la risposta fu quella di una condanna forte e severa; in

altre circostanze colse l’opportunità, di rafforzare i pilastri della propria struttura

intervenendo sulla gerarchia, sulla santità o su altri elementi della fede; in altri momenti,

invece, accettò di sedersi a negoziare per trovare, di comune accordo una soluzione alle

problematiche sul tappeto. Dopo la caduta di Roma, la Santa Sede prese una posizione chiara e risoluta sui problemi che ne minacciavano l’integrità, come il liberalismo, gli stati liberali,

la massoneria e il socialismo: la loro condanna. In seguito, si dedicò a elaborare le diverse

strategie per risolvere le varie problematiche e rafforzare la figura del papato. La Santa Sede

condannò la perdita della Città Eterna a favore del regno sardo, che considerò un governo di

237 D. MENOZZI, Chiesa e diritti umani. Legge naturale e modernità politica dalla Rivoluzione francese ai

natura laicista che voleva togliere alla Santa Sede il diritto divino che le concedeva un

territorio che permetteva al Vicario di Cristo in Terra di poter sviluppare liberamente la sua

azione di governo della Chiesa. Per questo motivo, il pontefice si dichiarò prigioniero in

Vaticano e continuò a ribadire non solo la condanna del liberalismo, della massoneria, degli

stati liberali, ma avviò anche una serie di provvedimenti volti a rafforzare la figura del Papa

e la fede cattolica. Mediante varie encicliche e altri documenti di indole politico-religiosa la

Santa Sede diffuse il proprio messaggio all’interno del mondo cattolico, mettendolo in

guardia su quelli che considerava gli errori del periodo. Oltre a questo processo, come già si

è detto, si interessò a rafforzare vecchie forme di pietà e a crearne di nuove con lo scopo di

correggere gli errori della modernità.

L’importanza che si diede alla figura del Santo Padre, insieme alla propagazione di

devozioni come quelle dell’Immacolata Concezione, del Sacro Cuore, del Santissimo

Sacramento, di Cristo Re e San Giuseppe, dei santi Pietro e Paolo, avvenne nell’ambito della prospettiva di propiziare l’avvento del regno sociale di Cristo. Questo regno disponeva di un

capo terreno, il Papa, il quale doveva essere rispettato, obbedito e seguito. Le disposizioni e

gli ordini che il Santo Padre emanava, erano a favore del bene delle persone, dato che seguiva le consegne del compito consegnato a Pietro dallo stesso Gesù e di cui ora era l’erede. Le

devozioni avevano il compito di risvegliare le coscienze dei cattolici che, nel seguire le

indicazioni del loro capo, avrebbero vintogli errori del momento. Le soluzioni adottate dimostrarono che la Santa Sede non si limitò a condannare i mali dell’epoca, ma creò, divulgò

e consolidò un processo che riusciva a dare forza all’istituzione, alla sua principale figura

nella terra, il Papa, e a tutti i membri della comunità ecclesiale. L’intero processo mirava a

sociale capace di assicurare giustizia e pace per tutti, che né il liberalismo, né la proposta

socialista avrebbero potuto mai offrire alle persone.

La posizione di Roma contro il modernismo fu molto chiara: una condanna diretta e

definitiva. I principali esponenti di questo orientamento culturale e religioso furono

perseguitati e perfino scomunicati, mentre il movimento venne condannato da differenti

documenti papali. Roma mise in atto altre strategie per combattere il modernismo: la creazione dell’Istituto Biblico e la preparazione di una versione critica della Vulgata, un

maggiore controllo sui libri, sui professori e sui pensatori cattolici e l’istituzione del

giuramento antimodernista. Questo dimostra che Roma non si limitò solo a condannare, ma

propose anche, in positivo altri rimedi.

Il caso della Santa Sede e la sua partecipazione alla Prima Guerra Mondiale fu un fatto

molto particolare perché combinava diversi elementi. Da una parte, la Santa Sede propose,

sin dal principio del conflitto, la cessazione della guerra, poi suggerì una pace senza vinti né

vincitori, infine cercò di partecipare al congresso dove si sarebbero stabiliti i termini della

pace. Tutte le sue proposte vennero presentate come frutto della neutralità e della imparzialità

della Santa Sede, dal momento che Roma non prese mai le parti di un Paese belligerante.

Tutti i suggerimenti romani furono rifiutati da entrambe le parti in conflitto. Ad esempio, la richiesta di pace presentata all’inizio del conflitto non fu ascoltata da nessuna parte. La

proposta di un accordo finale senza vincitori e vinti, venne addirittura molto criticata, al punto che il Papa venne accusato di voler appoggiare l’Austria cattolica, che si trovava in situazione

di svantaggio militare. Inoltre, la sua aperta neutralità gli valse diverse accuse, tra cui quella

di non prendere una posizione seria e determinata sulle violazioni del diritto delle genti

più volte contattato dai differenti contendenti per ottenere un sostegno nel conflitto. Infine,

il tentativo di partecipare attivamente al Congresso che sanciva la pace si rivelò uno sforzo inutile. In conseguenza dell’opposizione del governo italiano, convinto che la Santa Sede

potesse approfittare il simposio per sollevare sul piano internazionale il problema della “Questione Romana”, ogni porta che potesse dar spazio al rappresentante del pontefice per

prendere parte in quel Congresso venne chiusa. Alla fine, ebbe più efficacia il trattato di

Londra e in special modo il suo articolo 15º, che la volontà della Santa Sede di prendere parte

al processo di pace. Le proposte della Santa Sede non furono ascoltate da nessuno, però

lasciarono una traccia. Roma ora sapeva quale fosse il suo posto nello scacchiere diplomatico

mondiale e cominciò così a giocare un nuovo ruolo, quello di richiamare, sul piano morale,

la necessità della pace.

Il comportamento della Santa Sede con i regimi totalitari fu ambivalente. Da un lato,

come nel caso russo, la condanna fu immediata e severa, ma nel caso del governo “socialista”

messicano (non si può dire che fosse un regime totalitario come quelli europei, ma presentava caratteristiche simili), Roma cercò, nel mezzo della “Guerra Cristera” di giungere a una

mediazione con il governo per non aggravare la situazione della gerarchia cattolica e dei

fedeli. Nei casi del fascismo e del nazismo, la Santa Sede entrò in trattative con questi governi con l’idea di migliorare la situazione dei cattolici all’interno dei rispettivi stati, cosa che,

almeno sotto certi profili, riuscì effettivamente a realizzare. Con il fascismo la Chiesa riuscì a risolvere la “Questione Romana”, così come a procurarsi un posto di rilievo nel campo

dell’educazione dei giovani italiani. Con il nazismo, Roma ottenne dalla Germania, a

maggioranza “protestante”, un concordato che coinvolgeva tutto il Paese, comprese le regioni

ottenere l’apertura di scuole cattoliche in Germania. Acquistare queste prerogative dai

governi totalitari di Italia e Germania non fu facile e fu possibile grazie alla contingenza del

momento che permise a ciascuna delle parti in causa di ottenere differenti vantaggi. I regimi

italiano e tedesco riuscirono in questa maniera a cancellare temibili nemici sulla strada del

controllo totale della vita politica, come il Partito Popolare in Italia e il Zentrum in Germania.

Questi governi prepararono e firmarono un concordato con Roma per guadagnare prestigio

non solo nazionale, ma anche internazionale. I fascisti posero fine alla “Questione Romana”,

ottenendo in questa maniera il consenso della grande maggioranza della popolazione italiana,

che era ancora legata alla Chiesa cattolica. Dal canto suo, il Terzo Reich voleva dimostrare

al mondo che in Germania si rispettavano le differenze religiose e culturali, anche se ben

presto si chiarì questo non era altro che un paravento per poter mascherare le reali intenzioni

II Capitolo: Economia, Stato e Società in Costa Rica (1870-1936) 1. Introduzione

Il presente capitolo prende in considerazione aspetti come quello economico, politico e

sociale del Costa Rica nel periodo tra il 1870 e il 1936 oggetto di questo studio. In particolare, si descriverà lo sviluppo che visse il Paese all’indomani della sua entrata nel mercato

internazionale mediante l’esportazione di prodotti agricoli come il caffè e la banana. Inoltre,

si illustrerà il percorso politico realizzato da chi era chiamato a governare, e che indirizzò il

Paese verso il liberalismo e i suoi principi di ordine e progresso, spesso indicati come la

contrapposizione di civiltà contro barbarie. Attraverso questo modello, i governi costaricani del tempo volevano consolidare un sistema democratico che avrebbe saldato l’incremento

economico allo sviluppo sociale della popolazione costaricana.

Prima di iniziare questo capitolo è importante chiarire certi concetti utili per la migliore

comprensione della realtà politica economica e sociale del Paese. Si definiranno i concetti di

Stato, di capitalismo agrario e di sistema agrario, per agevolare la comprensione del modello

politico ed economico applicato in Costa Rica tra il 1870 e il 1936, periodo di riferimento

durante il quale si sviluppò la vita economica, politica, sociale e anche religiosa del Paese di

cui si occupa in modo più specifico in questa sede.

Uno Stato è il primo momento del processo di costruzione sociale in un periodo e

momento storico determinato. Alla stessa maniera, uno Stato –almeno, quello che i liberali

volevano consolidare nella seconda parte del secolo XIX-, poteva disporre di diversi elementi

che giocavano nella sua costruzione e integrazione, tipo: la forza produttiva, le risorse

ma non meno importante, la strutturazione delle classi sociali. In special modo, nel caso

costaricano la borghesia (così come in tutto il mondo occidentale) dominò oppure cercò di

dominare le altre classi mediante il consolidamento di un ente politico, in questo caso lo Stato, che doveva: “articular la dominación en la sociedad, y la materialización de esa

instancia en un conjunto interdependiente de instituciones que permiten su ejercicio”,238

l’esercizio del potere sulla popolazione. Il controllo fu possibile consolidando un tipo di

governo, sia locale che nazionale e con altre forme organizzative come la creazione di una moneta che permetteva lo scambio all’interno di un mercato articolato (mercato interno come

esterno), dove l’intera popolazione giocava un ruolo produttivo secondo la propria

specializzazione. Grazie alla presenza di differenti regioni geografiche, con una propria e

definita realtà produttiva, esistevano beni eterogenei e svariati. Queste regioni vennero

controllate mediante la costruzione di vie di comunicazione come le strade e la ferrovia,

nonché attraverso la posta e il telegrafo e tempo dopo mediante il sistema educativo.

In sintesi, lo Stato ottocentesco rappresentava una costruzione storica e sociale, una forma

di dominazione della borghesia espressa per mezzo delle istituzioni che ne legittimavano il

potere. Le relazioni sociali avevano bisogno di essere regolate, che fossero materiali o

economiche, così come le problematiche che derivavano dalla convivenza in una società. Per

questo motivo, lo Stato si dotava di istituzioni che gli consentivano di intervenire in modo legittimo sui diversi aspetti della società. L’affermazione del settore oligarchico-cafetalero,

avvenne con lo scopo di controllare la produzione e la circolazione delle merci, nel momento dell’istituzione di un mercato interno che doveva avere una relazione commerciale con il

238 O. OSZLAK, La Formación del Estado argentino. Orden, progreso y organización nacional, Editorial Planeta, Buenos Aires, Argentina 1997, p. 16.

mercato internazionale. Queste forme prevalentemente economiche richiedevano

l'istituzione di un sistema di dominio attraverso il nuovo modello di relazioni sociali.239

Questo aspetto si compiva per mezzo dell'esistenza di uno Stato che, mentre regolava le

relazioni sociali, ad esse adeguava le forme del mercato. A questi scopi, come afferma Mann,

era necessario costruire e controllare un territorio, la base indipendente che permetteva l’esercizio del potere e l’influenza necessaria per lo sviluppo sociale.240 Il controllo

centralizzato su questo territorio era la condizione che consentiva allo Stato di intervenire su

quegli aspetti che riguardavano lo sviluppo della società civile. Il controllo, come si è detto,

venne effettuato mediante vie di comunicazione come le strade o la ferrovia e ad altri mezzi

come la posta, il telegrafo e, quindi, l’educazione.

Infine, lo Stato, costituì un'Assemblea di uomini, che doveva in teoria arrivare alla

definizione di un unico interesse comune, il bene di tutti.241 Bene che si “trovava” se si “seguiva” la strada dell’ordine e del progresso, secondo l’ideologia liberale. L’ordine era “la

institucionalización de patrones de organización social que crearon condiciones favorables al desarrollo de relaciones de producción y dominación capitalista”242 e la

239 OSZLAK, La Formación del Estado argentino. Orden, progreso y organización nacional, p. 39.

240 M. MAAN, El poder autónomo del Estado: sus orígenes, mecanismos y resultados, «Revista Zona Abierta», Num. 57-58, 1999,p. 35.

Nel caso costaricano il governo cercò di ottenere la definizione del territorio nella maniera più celere, stabilendo trattati limitrofi con Nicaragua e Colombia e tempo dopo con Panama, le due nazioni confinanti. Con il Nicaragua la frontiera venne stabilita a partire dal 1858, a seguito della firma del Trattato Cañas-Jeréz, consolidato mediante un lodo del 1888 denominato il “Laudo Cleveland”, in quanto era il suo esecutore il presidente degli Stati Uniti Grover Cleveland. Per i dettagli di questo tema si raccomanda di leggere: L.F. SIBAJA, Del Cañas Jeréz al Chamorro-Bryan: las relaciones limítrofes entre Costa Rica y Nicaragua en la

perspectiva histórica 1858-1916, Museo Histórico Juan Santamaría, Costa Rica 2006.

Il caso con la Colombia -e poi con Panama- fu più complesso, non solo per le difficoltà incontrate nel trovare punti d’accordo tra i due Paesi al momento di definire una frontiera, a cui si sommò la separazione di Panama dalla Colombia nel 1903. La frontiera, infine, si definì mediante il Trattato Echandi-Fernández nel 1941. Su questo argomento si raccomanda la lettura di: F. RIVERA Forero. Historia de Límites entre las Repúblicas de

Panamá y Costa Rica. Sin. Editorial. Sin. Fecha. Panamá.

241 T. HOBBES, Leviatán o la materia, forma y poder de una república, eclesiástica y civil, Fondo de Cultura Económica, México 1987. p. 140-141.

istituzionalizzazione di alcune pratiche sociali dei caratteri sociali, come l’educazione

pubblica e i metodi elettorali.

Il progresso, per le repubbliche latinoamericane, e in special modo nel caso costaricano, si sviluppava attraverso l’impulso dato alla creazione del sistema economico capitalista. Una

economia capitalista si può identificare secondo Cristopher Dyer nella seguente forma:

Primero, relaciones de intercambio desarrolladas, en las que el mercado tiene una influencia dominante en la sociedad; segundo, un grupo prominente de empresarios (entrepeneurs) en busca de beneficios económicos a través de su organización de las manufacturas y el comercio; tercero, inversión a una escala considerable en los medios de producción; cuarto, una fuerza de trabajo libre asalariada; y quinto, aunque quizás no tan esencial en la definición, innovación en las técnicas de producción e intercambio.243

Nel caso costaricano prese forza il capitalismo agrario -o il sistema agrario-, perché fu l’agricoltura e specialmente la produzione e l’esportazione di caffè e banane che permisero

la partecipazione al mercato internazionale. Secondo gli storici Iván Molina e Lowell

Gudmundson il consolidamento di questo sistema avvenne tra gli anni 1850-1890, mediante la coltivazione del caffè, che dimostrò di essere il principale stimolo per l’affermazione della

proprietà capitalista della terra.244 La nuova coltivazione provocò la privatizzazione dei terreni nel “Valle Central” e, con la crescita della popolazione, venne a crearsi una divisione

disuguale della terra in questa regione.245 Questo diede origine a un'altra caratteristica di

243 C. DYER, Los orígenes del capitalismo en la Inglaterra medieval, «Brocar: Cuadernos de investigación histórica», No. 22, 1998, scaricabili dal sito <https://dialnet.unirioja.es/servlet/articulo?codigo=227760> (luglio 2017) p. 9.

244 I. MOLINA, Costa Rica (1800-1850): el Legado colonial y la génesis del capitalismo, Editorial UCR, Costa Rica 2007, pp. 181-310.

245 L.GUDMUNDSON, Campesino, granjero, proletario: formación de una clase en una economía cafetalera

de pequeños propietarios, 1850-1900, «Revista de Historia», Nº 21-22. Año enero-diciembre, 1990. Pp. 151-

questo sistema, che fu la mercificazione del lavoro, in quanto gli agricoltori con terra

insufficiente, non solo lavoravano nelle loro proprie piccola proprietà, ma servivano anche

da manodopera nei terreni di altri, occupazione che permetteva loro di guadagnare uno

stipendio supplementare per mantenere la famiglia. È in questo momento che avviene un

cambiamento fondamentale tra le diverse classi del Paese rappresentate da commercianti, agricoltori, produttori diretti della merce e borghesia “cafetalera”.

Infine, in questa struttura economica apparve il sistema agrario che, secondo la storica

Andrea Montero, era un modello che:

se concibe necesariamente a partir de la combinación de tres categorías de componentes. Marc Defumier los llama elementos ecológicos, técnicos y socioeconómicos.246 Arnauld Villaret los

llama el ecosistema local, que son las características medio ambientales; las relaciones sociales de producción y de intercambio, que implican la gestión y la organización del trabajo así como la producción, la repartición y la distribución de los bienes materiales; y las fuerzas productivas, es decir, el medio explotado, los instrumentos de producción, la fuerza de trabajo y los conocimientos técnicos.247 Estos componentes se caracterizan necesariamente por la interacción

de los elementos que lo conforman. De lo contrario, no podría llamarse sistema, es decir: “ese conjunto de elementos en interacción dinámica, organizados en función de un objetivo.248

246 M. DEFUMIER, Historia agraria para los agrónomos, «Revista de Historia», Num. 47, enero-junio, 2003, p. 104.

247 A. VILLARET, El enfoque sistémico aplicado al análisis del medio agrícola introducción al marco teórico

y conceptual, Impreso en Industrias Gráficas Qori Llama, Bolivia 1994, p. 56.

Per questo motivo Montero indica che il sistema agrario era una costruzione storica e un

modello organizzativo in cui interagivano differenti elementi diversi tra loro, come quello

ecologico, quello tecnico e quello socioeconomico.249

La “lotta” tra civiltà e barbarie rappresentò la costruzione ideologica elaborata nel mezzo

del processo di costruzione di identità nazionale in ogni Paese dell’America Latina. In questa

lotta il discorso centrale intendeva delegittimare tutto ciò che non avrebbe potuto riconoscersi con il modello che i liberali dell’epoca volevano imporre, un “processo” che nella loro

ideologia aveva lo scopo di civilizzare. Sorge spontanea una domanda: che cosa significava

realmente civilizzare? Per i pensatori-governanti come Benito Juárez e Gabino Barreda in

Messico, Domingo Faustino Sarmiento in Argentina o Andrés Bello in Cile, questo processo implicava riprodurre l’esempio delle culture civilizzate, le quali mostravano la strada da

seguire ergendosi a modello e paradigma culturale per le “nuove” nazioni, in questo caso le

latinoamericane. Queste “nuove” nazioni erano considerate obbligate a raggiungere il grado

di progresso delle nazioni modello. Il problema era che Messico, Argentina, Brasile, Costa

Rica, Guatemala, Cile, per esempio, percorrevano questa strada da una posizione subordinata

a potenze come Inghilterra, Francia, Stati Uniti e tempo dopo anche alla stessa Spagna.250 Si

può affermare questa tesi perché i principali modelli proposti dai liberali-positivisti latinoamericani erano europei, così come l’Europa era scelta come destinazione per i loro

studi. Ad esempio, i futuri pensatori-governanti citavano nomi e modelli di francesi come

Saint-Simón e Augusto Comte (il messicano Gabino Barreda fu suo allievo), i britannici John

249 A. MONTERO, Una aproximación a la construcción histórica de la calidad del café de Costa Rica, 1890-

1950. Tesis de Maestría en Historia, Universidad Nacional de Costa Rica, Heredia 2012, p. 33.

250 M. URDAPILLETA e H. NUÑEZ, Civilización y barbarie. Ideas acerca de la identidad latinoamericana, «Revista La Colmena» Num.82, abril-junio, 2014, p.33, scaricabili dal sito <http://web.uaemex.mx/plin/colmena/Colmena_82/docs/Civilizacion_y_barbarie.pdf> (luglio 2017)