Perry Anderson, nel suo libro sull’assolutismo, al momento di parlare dell’Italia si pose
una domanda: perché, se lo stato assolutista apparve in Italia, non si trasformò in una unità
politica come in Francia, Spagna, Inghilterra e Portogallo? Anderson riteneva la domanda valida, visto che l’Italia era un’unità geografica (è una penisola) dove la maggioranza degli
abitanti parlava una lingua simile al fiorentino, poi destinata a diventare la lingua ufficiale
della nuova repubblica. Anderson individuò i responsabili di questa situazione nell’impero e
nel papato, istituzioni di stampo medievale. Lo storico fu perfino più preciso e affermò che
il papato “resistió contra toda tentativa de conseguir la unificación territorial de la
península”56. Questa affermazione permette di comprendere perché il papato e la casa dei Savoia entrarono in un conflitto aspro nel processo di unificazione dell’Italia dopo la seconda
metà del secolo XIX.
In questo contesto appare lecita un’altra domanda: perché il papato aveva tanto interesse
ad opporsi all’unificazione italiana? La risposta viene dal documento, conosciuto dal 750 fino al 1440 come la “Donatio Constantini”, il quale indicava che il papato era l’erede (grazie
a Costantino il Grande e suoi doni al Papa Silvestro I) della città di Roma, delle province d’Italia e di grande parte del cosiddetto “Impero Occidentale”, territorio che cominciò a
chiamarsi “Status Pontificius” e che nel suo momento di maggior espansione racchiudeva,
oltre alla città di Roma, tutta la regione del Lazio, le Marche, l’Umbria e l’Emilia-Romagna
(e fino alla Rivoluzione francese anche il Contado Venassino e Avignone in Francia). Fino
al 1440, nessuno aveva posto veramente in dubbio la veridicità di questo documento, ma
Lorenzo Valla, dopo diversi studi linguistici determinò che il documento non poteva essere
del IV secolo d.C. In tal modo la certezza che il Papa era il legittimo regnante dei cosiddetti
stati pontifici venne scemando poco a poco.
Come tutto ciò che aveva relazione con la Chiesa cattolica, all’indomani della
Rivoluzione francese, anche gli Stati Pontifici cominciarono a risentire di vari mutamenti,
non solo geografici, ma anche politici. Nel 1797, le truppe napoleoniche entrarono a Roma57
e un gruppo di italiani, assecondato dai francesi, il 15 febbraio 1798, chiese al Papa la sua rinuncia alla sovranità temporale, per istituire un “repubblica democratica sotto la protezione
della Francia”58.Come c’era da aspettarsi, il Papa rifiutò. Questo produsse la deportazione
di Papa Pio VI in Francia, e il 7 marzo di quell’anno venne dichiarata la Repubblica Romana,
che comportò la rimozione delle insegne papali e cardinalizie dal territorio cittadino e l’introduzione del calendario rivoluzionario, mentre nel Quirinale “vivono i consoli con le
loro mogli; il senato siede in Campidoglio e il tribunato nel Palazzo della Cancelleria”.59Pio
VI morì il 29 agosto 1799 in esilio. Luigi Barnaba Chiaramonti venne eletto al suo posto con
il nome di Pio VII. Il nuovo pontefice, dopo essersi recato in Francia a incoronare Napoleone
fu fatto prigioniero, come ritorsione per la sua opposizione alla politica estera dell’imperatore, mentre gli Stati Pontifici vennero annessi all’Impero Francese. Nel 1815, in
57 P. BOUTRY, La Roma napoleonica fra tradizione e modernità (1809-14), in Storia d’Italia. Annali 16,
Roma, la città del papa: vita civile e religiosa dal giubileo di Bonifacio VIII al giubileo di papa Wojtyla, a cura
di L. Fioranti e A. Prosperi, Einaudi, Torino 2000, p. 937.
58 M. P. DONATO, Roma in rivoluzione (1798, 1848, 1870), in Storia d’Italia. Annali 16, Roma, la città del
papa: vita civile e religiosa dal giubileo di Bonifacio VIII al giubileo di papa Wojtyla, a cura di L. Fioranti e
A. Prosperi, Einaudi, Torino 2000, p. 908. 59 Ibid.
seguito al Congresso di Vienna, Pio VII riottenne i suoi possedimenti sotto la protezione della
Santa Alleanza, e si dedicò alla riorganizzazione in senso autoritario dello Stato Pontificio.60
Negli anni1848-1849,61 a Roma si verifica un nuovo tentativo repubblicano che aveva lo
scopo di togliere il potere temporale al Papa. In quegli anni il Re Sardo-Piemontese Carlo Alberto aveva preso l’iniziativa di una guerra contro gli austriaci nel tentativo di unire parte
del territorio italiano. Pio IX62 non diede il suo appoggio e, in seguito a questo rifiuto, esplose
la ribellione che lo costrinse a fuggire, nel novembre 1848, a Gaeta.63 In questo movimento il neoguelfismo rivestì un ruolo molto importante, perché apriva alla possibilità di un’unione
tra il liberalismo e il cattolicesimo. Pio IX si dichiarò contrario al neoguelfismo, anche se, secondo alcuni autori, il movimento dimostrava “il pensiero istintivo degli italiani cattolici”
per trovare una soluzione alla necessità, avvertita come imperiosa, di unificare l’Italia.64
La II Repubblica Romana, dichiarata nel 1848, aveva diverse caratteristiche. Tra queste, “le istituzioni comunali vengono investite di una funzione centrale diventando
depositarie della sovranità popolare”. Inoltre, si cercò di richiedere la partecipazione dei
cittadini attraverso i comizi elettorali. Le elezioni del 15 aprile furono però annullate per la
scarsa partecipazione. Inoltre, la neonata repubblica dovette affrontare dei seri problemi,
come la povertà e la carestia di alimenti in tutta la regione Lazio.65 Questi problemi e
60 R. MONGE, Duemila anni di Papi, Italia, Gribaudo 2007. p.504
61 Non si può dimenticare il tentativo del 1831 che, sebbene sia durato solo due mesi, dimostrava inequivocamente che l’idea di uno stato ad organizzazione liberale era condivisa dalla maggioranza della popolazione. Il papato con potere temporale apparteneva ormai ad altri tempi e solo grazie all’intervento degli austriaci gli avvenimenti non precipitarono. Il papato del resto non possedeva più un apparato militare e poliziesco in grado di poter contrastare l’imminente disfatta.
62 La visione che ebbe Pio IX, come quella dei gesuiti, durante il Risorgimento si può capire meglio in: D. MENOZZI, I gesuiti, Pio IX e la nazione Italiana. Storia d’Italia. Annali 22, Il Risorgimento, a cura di M. BANTI e P. GINSBORG, Eunaudi Torino 2007. pp.451-478
63 G. MARTINA, Pio IX (1846-1850), Roma Italia, Micellanea Historiae Pontificiae, Università Gregoriana 1974. pp. 285-305.
64 P. GOBETTI, La Rivoluzione Liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia, Einaudi, Torino 2008. pp. 20-21. 65 M. DONATO, Roma in rivoluzione, p. 927.
l’alleanza tra diverse nazioni cattoliche, tra cui la Francia, determinarono il crollo della
repubblica: il 12 aprile 1850 Pio IX rientrò a Roma decretando la dissoluzione della II Repubblica Romana. Ciononostante, l’esperienza repubblicana fu determinante nel processo
di disgregazione del potere temporale del papato. Il processo di annessione non fu così semplice e venne realizzato grazie alle contingenze del momento e all’opera di personaggi
come Vittorio Emanuele II, Re di Sardegna, il suo Ministro, Camillo Benso di Cavour e
Giuseppe Garibaldi.
Il processo di unità rispose a diverse caratteristiche volute proprio da questi personaggi. L’intenzione di Vittorio Emanuele era quella di dichiarare guerra agli austriaci
per poter impossessarsi del territorio e dell’influenza che quel regno aveva all’interno della
penisola italiana. Vittorio Emanuele per realizzare il progetto aveva bisogno di un buon
esercito, per cui investì tempo e denaro per affrontare la guerra che si avvicinava. Nel 1859, l’esercito piemontese contava almeno 47.000 uomini di truppa e 3.000 ufficiali.66 Prima di
quell’anno Vittorio Emanuele e il suo ministro Camillo Benso di Cavour stipularono con la
Francia di Napoleone III, non solo l’alleanza nella Guerra di Crimea, ma anche una
coalizione contro l’Austria. L’alleanza nacque come provvedimento di difesa da una
probabile aggressione austriaca, ma il vero interesse della Francia era quello di indebolire l’Austria, mentre quello del Regno di Sardegna era di ottenere l’unità d’Italia. Il patto, tra la
casa Savoia e Napoleone III, venne firmato nel 1858. Il risultato di tale intesa portò alla guerra, che terminò con l’annessione della Lombardia al regno di Sardegna, ma senza
l’importante territorio del Veneto che, in seguito al patto di Villafranca, rimaneva in mani
austriache.
Il risultato della guerra venne percepito come ingiusto dal Regno di Sardegna, ma presto la situazione divenne favorevole a un’unità italiana. Tra l’aprile e il giugno 1859, la
Toscana,67 Parma, Modena, Bologna e la Romagna decisero di unirsi al Regno Sardo e,
attraverso differenti plebisciti avallarono l’annessione. Il 4 novembre 1860 lo stesso sistema plebiscitario permise che anche le Marche e l’Umbria passassero sotto casa Savoia.
Precedentemente, l’11 maggio 1860, Giuseppe Garibaldi e i suoi “Mille” erano sbarcati a
Marsala, in Sicilia, dove, appoggiati dagli antiborbonici, avevano risalito la penisola con lo
scopo di cacciare Francesco II di Borbone che regnava su Napoli e le Due Sicilie. Il re dovette
abdicare il 6 settembre 1860.68 Le continue vittorie spinsero Garibaldi a marciare su Roma, con il proposito di impossessarsi dell’ultimo territorio che rimaneva al Papa. Per evitare lo
scontro con gli alleati francesi che difendevano la città, Cavour e Vittorio Emanuele
obbligarono Garibaldi a fermarsi, dichiarando esaurita l’offensiva, ritenendosi soddisfatti di
quanto avevano ottenuto fino a quel momento.69
Il 18 febbraio 1861 il Parlamento del nuovo regno si riunì per la prima volta nella sua
capitale Torino. Il 17 marzo Vittorio Emanuele fu proclamato Re d’Italia e il 23 di quello
stesso mese si formò il primo governo del regno, guidato da Cavour.70 In questa maniera, nel
periodo di tempo 1850-1870, anno della caduta di Roma, il Regno di Sardegna era diventato
Regno di Italia, con una notevole crescita del suo territorio. Ad esempio, nel 1850 il Regno
di Sardegna possedeva solo due città importanti -Torino e Genova-, mentre nel 1870, il Regno d’Italia comprendeva, oltre alle già citate città, Milano, Bologna, Firenze (che diventò
67 Nel caso della Toscana i voti furono: 386.445 a favore dell’annessione, contro 14.925. Gli emiliani votarono così: 427.512 a favore e solo 756 contro l’annessione in H. HEARDER, Cavour. Un europeo piemontese, Laterza Bari, Italia 2000, p. 183.
68 BANTI. Il Risorgimento italiano, p.114.
69 HEARDER, Cavour. Un europeo piemontese. pp.185-198. 70 BANTI, Il Risorgimento italiano. p.117.
capitale nel settembre 1865),71 Pisa, Napoli, Palermo.72 Nel 1870, l’unico territorio mancante per completare l’unità della penisola erano la città di Roma e il circostante territorio laziale,
che si trovavano ancora sotto il potere temporale del Papa ed erano custoditi dai francesi.
Che Roma cadesse, era ormai solo una questione di tempo.
Il 20 settembre 1870, i bersaglieri entrarono a Roma, la città del Papa, attraversando Porta Pia. Per quali motivi il Papa, Pio IX, non era d’accordo con l’annessione di Roma al
Regno di Italia? Le ragioni principali erano due. La prima era che la Santa Sede chiedeva fermamente l’esistenza di un pezzo di territorio che potesse dare al Papa la sovranità
necessaria per svolgere liberamente il suo ministero divino e terreno; la seconda era che i
leader dell’impresa unificatrice erano degli esponenti liberali, che credevano nella
secolarizzazione e laicizzazione della società, talora anche vicini alla massoneria. Aderivano
insomma ad ideologie che Roma aveva condannato molto tempo prima e che aveva
ricondannato nel 1864 mediante la pubblicazione dell’enciclica “Quanta Cura” e il “Sillabus”73. Camillo Benso di Cavour era sostenitore delle proposte enunciate da Félicité
Robert de Lamennais che credeva in “una chiesa libera in una società libera” (questa
proposta fu condannata dalla Santa Sede mediante l’Enciclica papale “Mirari Vos” di
Gregorio XVI74) e di quelle di Charles de Montalambert che indicava “Libera Chiesa in
Libero Stato”. Cavour usò quest’ultima frase nel suo intervento dell’11 ottobre 1860, dove
spiegava al Papa che poteva “essere indipendente, perdendo il potere temporale”,75 ossia che
71 A. C. JEMOLO, Chiesa e stato in Italia. Dall’unificazione ai giorni nostri (5ªed), Einaudi, Torino 1978. p. 22.
72 BANTI, Il Risorgimento italiano, p.112.
73 Su questa condanna così come sulle censure contro la secolarizzazione e la laicità si scriverà nel prossimo punto del presente capitolo.
74 H. POTTMEYER, Ultramontanismo ed ecclesiologia, «Cristianesimo nella Storia», XII, Fascicolo 3, Ottobre 1991, p.538.
“il potere temporale era ormai anacronistico e non costituiva un’efficace garanzia
d’indipendenza asservendo il papa a truppe straniere, e la libertà della Chiesa poteva essere assicurata da un’effettiva separazione fra Chiesa e Stato”. Cavour insisteva sul fatto che il
Papa doveva arrendersi all’evidenza che Roma avrebbe fatto parte del nuovo Regno d’Italia.
Questo argomento venne ripetuto il 27 marzo 1861 davanti al parlamento italiano. Cavour,
però, non poté vedere il sogno di Roma italiana realizzarsi. Morì il 6 giugno 1861, anche se l’Italia, ormai, era fatta.76
Tra il 1861, anno dell’unificazione italiana e il 20 settembre 1870, giorno della breccia
di Porta Pia con la conseguente presa di Roma, il conflitto tra il papato e il Regno d’Italia si fece critico. Tra i principali oppositori all’unità d’Italia vi erano i gesuiti, la cui posizione era
apertamente contro la creazione di uno Stato che controllasse l’intera penisola. Il loro rifiuto
non risaliva ai fatti del 1861, ma aveva avuto origine dal 1848, come bene ha spiegato Daniele Menozzi nel suo saggio: “I gesuiti, Pio IX e la nazione italiana”. In questo contributo, si
descrive che esisteva dal 1848 un progetto che intendeva porre Roma a capo del processo unitario italiano, per fare “della penisola il paese che portava nel mondo la civiltà cristiana”.
Per diversi motivi, sia Pio IX che i gesuiti si opposero al progetto. Il principale motivo per il
quale Pio IX avversava le proposte di Cavour e, dopo la morte di costui, quelle del regno
sardo, oltre alla perdita della sovranità, vi era il pericolo della laicizzazione dello Stato, come
dimostrava il destino toccato ai territori annessi al regno sardo.77
Su questo argomento si raccomanda la lettura di: U. LEVRA (a cura di) Cavour, l’Italia e l’Europa, Il Mulino, Italia 2011. H. HEARDER, Cavour. Un europeo piemontese Bari, Italia, Laterza 2000. S. ROMANO, Libera
Chiesa. Libero Stato? Il Vaticano e l’Italia da Pio IX a Benedetto XVI, TEA, Milano 2005.
76 HEARDER, Cavour. Un europeo piemontese, pp.185-198.
77 G. MARTINA, Pio IX (1851-1866), Micellanea Historiae Pontificiae, Università Gregoriana, Roma 1974. pp. 93-94.
Durante questi anni, il Papa cominciò a trovarsi isolato, privo di qualsiasi appoggio, non solo presso settori dell’opinione pubblica, ma anche presso le potenze cattoliche. Poco a
poco iniziarono ad abbandonarlo tutti gli alleati e perfino il suo principale difensore,
Napoleone III, che nella Convenzione franco-italiana del 15 settembre 1864si impegnava a “ritirare da Roma le sue truppe, lasciando al papa due anni di tempo per organizzare un suo
esercito”.78 Inoltre, anche il governo prussiano “spingeva il governo italiano ad occupare lo
Stato pontificio”.79 In questo contesto, si registrò la ritirata delle truppe francesi impegnate
nella guerra franco-prussiana e il 20 settembre 1870 i bersaglieri italiani, approfittando delle
circostanze, fecero il loro ingresso nella città del Papa attraverso Porta Pia. Alle 10:10
Federico Cocito del 12º Battaglione fu il primo bersagliere a superare la breccia, dando inizio
a uno scontro a fuoco nonostante sin dalle 10 di mattina, secondo alcuni autori, sventolasse
una bandiera bianca sulla cupola di San Pietro. Il combattimento durò una ventina di minuti
e quando terminò Roma, la Città Eterna, la Città del Papa, era diventata parte del territorio del Regno d’Italia.80 Il 3 febbraio 1871 venne dichiarata capitale di questo regno.81
Di fronte all’invasione e ai fatti successivi, il Papa protestò con veemenza, ma, mai
né Pio IX né i suoi successori Leone XIII, Pio X e Benedetto XV riuscirono a ottenere la
restituzione del territorio pontificio. Solo nel 1929 con i Patti Lateranensi (di questo tema si
parlerà dettagliatamente tra poco) Pio XI ottenne un piccolo territorio sovrano. Prima di questi patti, i papi concentrarono i loro sforzi sulla cosiddetta “Questione Romana”. Pio IX,
78 G. MARTINA, Pio IX (1851-1866), p. 96.
79 C. M. FIORENTINO, Dalle stanze del Vaticano: il venti settembre e la protesta della S. Sede 1870-1871, «Archivum Historiae Pontificiae», Nº 28, 1990, p. 287.
80 A. DI PIERRO, L’ultimo giorno del Papa Re. 20 settembre 1870: la breccia di porta Pia, Mondadori, Milano 2007. p.139.
81 G. MARTINA, Roma, dal 20 settembre 1870 all’11 febbraio 1929, in Storia d’Italia. Annali 16, Roma, la
città del papa: vita civile e religiosa dal giubileo di Bonifacio VIII al giubileo di papa Wojtyla, a cura di, L.
isolato territorialmente e diplomaticamente, decise di dichiararsi prigioniero all’interno dei Palazzi del Vaticano e scomunicare tutti coloro che “avevano partecipato alla spoliazione
del “patrimonum Petri””.82 Assieme a lui cominciarono a far sentire la loro voce, oltre alla
curia romana, ai vescovi, ai preti regolari e secolari, associazioni e giornali cattolici non solo
di Roma, ma di ogni parte del mondo che protestavano contro la presa della città. La protesta
si basava sugli argomenti tradizionali del mondo cattolico: la presa di Roma era parte del
processo di laicizzazione e secolarizzazione della società iniziato dalla Rivoluzione francese; il governo del regno sardo era diventato solo con l’uso della forza militare italiano, quindi
non con il consenso generale; la spoliazione del patrimonio di san Pietro, con la razzia dei territori che garantivano l’autonomia del Vicario di Cristo, era una dimostrazione
dell’approssimarsi della venuta dell’Anticristo.83 Il processo di unificazione italiana per la
Santa Sede era molto pericoloso, perché toglieva l’indipendenza temporale del Papa e quindi
restringeva il libero esercizio del potere spirituale a lui conferito da Dio. Da un certo punto
di vista, il Papa aveva ragione: era ovvio che la realtà della sua città sarebbe cambiata per
non tornare mai più come prima e non era certo irragionevole pensare che, nel caso in cui l’Italia fosse entrata in una guerra, la libertà di azione della Santa Sede ne sarebbe stata
condizionata.
La caduta di Roma, oltre a rappresentare un importante anello mancante all’unità di
Italia, decretò la scomparsa nella penisola italiana della struttura politica-sociale che seguiva il modello dell’“ancien régime”, come ben ha scritto Giacomo Martina. La realtà cambiava.
Scomparvero la discriminazione confessionale e l’intolleranza religiosa, nonché il monopolio
82 R. LILL, Il potere dei papi. Dall’età moderna a oggi, Laterza, Bari 2010. p. 85.
83 G. MARTINA, La Fine del potere temporale nella coscienza religiosa e nella cultura dell’epoca, in Italia. «Archivum Historiae Pontificiae», Nº 9, 1971, p. 316.
della Chiesa nell’educazione e nell’assistenza. Fu così che a Roma la professione di
insegnante poté essere esercitata anche dagli acattolici e che la società si aprì alla libertà religiosa. Allo stesso tempo crebbe anche la diffidenza per l’educazione cattolica: il tentativo
di fondare un’Università Cattolica “fu presto soffocato dalle autorità italiane”. Nel 1873
successe un episodio simile, quando il Collegio di Trinità dei Monti fu minacciato di chiusura
dal governo se i suoi professori non avessero conseguito il titolo educativo presso le
istituzioni accademiche italiane; fatto difficile da realizzare, visto che questi insegnanti erano in maggioranza cittadini stranieri. Di fronte all’emergenza, il Papa chiese ai professori
“Fatemi ogni sacrificio per salvarmi quelle anime”.84 Per la Santa Sede, insomma, il potere
temporale del Papa era veramente terminato e, per questa ragione, bisognava iniziare un
nuovo capitolo che la riposizionasse nello scenario mondiale.
Il governo italiano il 13 maggio 1871, decretò “La legge delle Guarentigie”. Questo
era un documento composto da 19 articoli, che si prefiggeva di regolare il rapporto tra lo
Stato italiano e la Chiesa cattolica, in special modo con il Papa, capo della Chiesa. Come
afferma Giacomo Martina tali norme dimostravano il “crollo definitivo di un regime secolare,
il trionfo di quelle libertà che [i papi] avevano tante volte condannato, l’affermazione di uno Stato che rivendicava la sua piena autonomia e il suo distacco dalla Chiesa”.85 Le
disposizioni assicuravano un ampio grado di libertà del Papa, la cui persona era dichiarata
sacra e inviolabile. Se qualcuno avesse attentato contro la sua incolumità avrebbe dovuto
risponderne allo Stato italiano. Inoltre, si indicava che, in territorio italiano il governo
avrebbe reso al Papa gli onori destinati a un sovrano, riconoscendo il suo ruolo di guida dei
84 G. MARTINA, La Fine del potere temporale nella coscienza religiosa e nella cultura dell’epoca, in Italia, p. 370.
85 G. MARTINA, Pio IX (1867-1878), Micellanea Historiae Pontificiae, Università Gregoriana, Roma 1974. p. 255.
cattolici; ugualmente si autorizzava il Sommo Pontefice a mantenere il numero consueto di
guardie sia per la sua protezione che per la custodia dei palazzi apostolici. Si stabiliva che il
governo italiano avrebbe pagato alla Santa Sede un totale di 3.225.000 lire come indennizzo.