In questa ultima sezione si affronterà in maniera molto sintetica il rapporto tra la Santa
Sede e i regimi totalitari, in special modo il fascismo e il nazismo. Del caso bolscevico si è
invece già parlato. Il periodo considerato sarà fino al 1936, anno nel quale si conclude questa
ricerca. Nel 1922, nel mese di febbraio, diventò Papa Achille Ratti,207 pochi mesi prima che il partito Nazionale Fascista mediante la forza, con la ben nota “Marcia su Roma”, prendesse
il potere in Italia.208 L’apparizione non solo del fascismo, ma anche del nazismo in Germania
e di altri regimi totalitari in Europa ebbe come origine alcuni punti in comuni tra cui ebbero
particolare rilievo la paura del socialismo, che si era trasformato in comunismo in molti Paesi;
il malcontento sociale che la borghesia non seppe adeguatamente affrontare attraverso una riforma sociale; e “el apoyo económico del capitalismo, el apoyo político de los estamentos
militares, la violencia de los grupos de acción y el poder de sugestión de los líderes”.209
Questi fattori permisero che non solo in Italia e Germania, ma anche in Spagna, Portogallo,
Polonia, Lituania, Jugoslavia, Ungheria, Austria, Bulgaria, Grecia e Romania si registrasse
una svolta politica in chiave autoritaria o totalitaria.210
La Santa Sede quando cominciò le relazioni con il fascismo e con il nazismo, sapeva bene
con chi stava trattando. Nel caso italiano lo stesso Pio XI, sapeva che tipo di uomo fosse Mussolini, poiché aveva scritto che: “egli [il Papa] avrebbe negoziato con il diavolo in
207 LILL, Il potere dei papi. Dall’età moderna a oggi, p.120.
208 G. ALBANESE, La marcia su Roma, Bari, Italia, Laterza 2006, p. 127. 209 MARTINA, La Iglesia, de Lutero a Nuestros días, (Tomo IV), p. 114. 210 BANTI, L’età contemporanea Dalla Grande Guerra a Oggi, pp. 196-198.
persona se il bene delle anime lo avesse richiesto”, in chiara allusione alle trattative per
stabilire un Concordato tra la Santa Sede e il governo italiano.211 Inoltre, il cardinal Gasparri
aveva indicato di non credere che il regime potesse durare, al punto di affermare che la sua esistenza sarebbe stata di “Più o meno un ventennio”, profezia che si sarebbe avverata.
Gasparri riteneva che era necessario trattare con il regime perché non credeva che mediante
trattative con governi parlamentari si sarebbe potuti arrivare a un accordo con il governo italiano per risolvere la “Questione Romana”.212 La curia “approfittava” del momento, per
“negoziare” con un solo uomo e trovare così una soluzione ai problemi tra le parti. La
posizione di Mussolini fu più o meno la stessa, visto che considerava la Chiesa come uno
strumento per consolidarsi nel potere e con cui trovare dei punti in comuni per sbarazzarsi di
possibili nemici. Insomma, entrambi approfittarono della contingenza.
Questa è senza dubbio una dimostrazione dell’ambivalenza della Santa Sede nei suoi
rapporti con i diversi regimi totalitari. Come afferma Giacomo Martina, con il “Totalitarismo
de izquierda la oposición de la jerarquía y de la gran mayoría de los fieles ha sido siempre neta y constante”, mentre, con il fascismo la posizione della Chiesa fu “una línea ondulante, pasando de intentos de compromiso y, dentro de cierto límites, de instrumentalización religiosa de las fuerzas política, realizando sobre todo, a través de instrumento clásicos que es el concordato a una creciente oposición teórica y práctica”.213 Se Martina coglie giustamente nell’opposizione al comunismo un elemento di convergenza tra Chiesa e
fascismo, ne sottovaluta però un altro: la comune opposizione ai valori di libertà e
democrazia. In questo panorama si capisce perché la Santa Sede negoziò con i regimi
211 A. RHODES, Il Vaticano e le dittature 1922-1945, Mursia, Milano 1975, p. 47. 212 RHODES, Il Vaticano e le dittature 1922-1945, p. 48.
totalitari. Nel caso italiano aveva lo scopo principale di trovare una soluzione alla “Questione
Romana” mentre per quello nazista era proteggere i 18.000.000 di cattolici che vivevano nel
Terzo Reich. Ma giocava anche un altro fattore: l’attesa che, grazie a regimi politici opposti
a quel mondo moderno che aveva portato al comunismo, al liberalismo, alla democrazia, si
potesse finalmente avviare un processo di ricostruzione della società cristiana che la
modernità aveva sgretolato. Miccoli lo presentò come la opportunità nel quale il fascismo
dava “alla Santa Sede ed alle gerarchie ecclesiastiche una grande occasione, lo strumento
per il ritorno ad una situazione politico-sociale che sembrava rappresentare la premessa per la realizzazione successiva di una società effettivamente ierocratica”.214
La Santa Sede dopo diverse trattative con il fascismo, giunse a un trattato e a un
concordato che attribuivano al Papa la sovranità su un proprio territorio, deregolavano quindi
i rapporti tra la Santa Sede e il governo italiano, e disciplinavano poi le relazioni tra lo Stato italiano e la Chiesa italiana. C’è un fatto innegabile. Pio XI, con il suo carattere di avversione
al liberalismo, al marxismo e per essere lui stesso una persona dall’indole autoritaria, prese
una posizione più o meno favorevole al fascismo, la quale le “disimuló su carácter
sustancialmente anticristiano” alla ricerca di punti in comune. Questo atteggiamento favorì
la ricerca di un accordo. Ordinò al cardinale Gasparri e all’avvocato curiale Francesco Pacelli
(fratello di Eugenio Pacelli, futuro Pio XII) di negoziare con il regime, il quale aveva
214 G. MICCOLI, Fra mito della cristianità e secolarizzazione. Studi sul rapporto chiesa-società nell’età
contemporanea, Marietti, Casale Monferrato 1985, p. 120.
Inoltre su questo argomento lo stesso autore lo svolge ancora in: G. MICCOLI, Chiesa cattolica e totalitarismo, in La Chiesa Cattolica e il Totalitarismo. VIII giornata Luigi Firpo. Atti del Convegno Torino, 25-26 ottobre
2001, a cura di V. FERRONE, Olschki, Firenze 2004, pp. 1-26.
Dello stesso modo nel libro I papi e il moderno di Daniele Menozzi si svolge lo stesso argomento de maniera molto chiara. D. MENOZZI, I papi e il moderno. Una lettura del cattolicesimo contemporaneo (1903-2016), Morcelliana, Brescia 2016, pp. 50-70.
consegnato a Domenico Barone il compito di trattare con la Santa Sede.215 Mussolini, il 4 ottobre 1926, chiese alla curia papale “a quali condizioni fosse disposta ad addivenire a una
amichevole, generale e definitiva sistemazione dei suoi rapporti con lo Stato italiano”. Trovò
come risposta la richiesta di: “libertà e indipendenza non solamente reale ed effettiva,…un
territorio di sua piena ed esclusiva proprietà sia di dominio sia di giurisdizione,…un assetto politico territoriale riconosciuto dalle potenze,… una convenzione concordataria”.216 Dopo
diversi negoziati con alterni risultati (come fu il rifiuto da parte di Mussolini dell’idea di un
corridoio fra il Vaticano e il mare)217 si arrivò al giorno della firma dei ben noti Patti Lateranensi. L’11 febbraio 1929, il cardinal Gasparri e Benito Mussolini apposero la loro
firma a un trattato e a un concordato. Il trattato riconosceva lo Stato della Città del Vaticano,
con la delimitazione della sua estensione. Nei punti successivi si affermava che la religione
cattolica era riconosciuta come religione di Stato, ottenendo con questo prerogative speciali
sul piano giuridico per gli ordini religiosi e ai rappresentanti del supremo governo della
Chiesa. Inoltre, come dice Martina, si concesse alla Chiesa la garanzia di “derecho de
legación activa y pasiva, libertad en los cónclaves y en los concilios” e, infine, le si
consegnava “un millón de millones de títulos del Estado y de 750 millones de liras al
contado”.218 Il concordato, per conto suo, “definiva i diritti dei due Stati nei campi
dell’educazione e degli argomenti spirituali” sul territorio italiano. Tra le altre cose, si
stabiliva: “il pieno riconoscimento e autonomia all’Azione Cattolica… restauratigli edifici
ecclesiastici e fu reso obbligatorio l’insegnamento religioso nelle scuole. La propaganda dei frammassoni dei metodisti e digli eretici poteva, in alcuni casi, essere considerata reato”.
215 MARTINA, La Iglesia, de Lutero a Nuestros días, (Tomo IV), pp. 125-126. 216 RHODES, Il Vaticano e le dittature 1922-1945, pp. 45-46.
217 RHODES, Il Vaticano e le dittature 1922-1945, p. 46.
Inoltre, venne concesso un controllo più rigido sui teatri e cinematografi e, soprattutto, venne ratificato “il provvedimento relativo al matrimonio che da quel momento in poi doveva essere
contratto secondo i canoni ecclesiastici”.219 La Santa Sede trovò, alla fine, ciò che cercava
da tanti anni, ottenere la sovranità come garanzia della libertà del Papa, fare del cattolicesimo
la religione ufficiale dello Stato italiano, ottenere per la Chiesa uno spazio importante nell’educazione e innalzare il matrimonio cattolico a modello imposto dalla legislazione
civile. Mussolini e i suoi trovarono, grazie a questi trattati, l’approvazione della grande
maggioranza degli italiani legati alla Chiesa. Non tutti i cattolici erano soddisfatti, ma c’era
chi diceva che l’approvazione riguardava “anche gli antifascisti... gli Accordi sono una
vittoria di Mussolini”.220
Il periodo di armonia tra la Chiesa e lo Stato italiano durò veramente poco. Di fronte alle critiche non solo dei “viejos parlamentarios de ascendencia liberal y de los fascistas
procedentes del anticlericalismo” Mussolini cercò, mediante due discorsi fatti uno davanti al
Senato e l’altro alla Camera, i giorni 13 e 25 maggio221 di “minimizar el alcance de las
concesiones hechas a la Santa Sede”,222 affermando che: “La religione cristiana è nata nella
Palestina, ma è diventata cattolica a Roma. Se fosse rimasta nella Palestina, molto probabilmente sarebbe stata una delle tante sette che fiorivano in quell’ambiente arroventato, come ad esempio quelle degli Esseni e dei Terapeuti, molto probabilmente si sarebbe spenta, senza lasciare traccia di sé”. Inoltre, indicava che: “Non abbiamo risuscitato il potere temporale dei Papi: lo abbiamo sepolto”, e infine asseriva che: “Nostro dev’essere
219 RHODES, Il Vaticano e le dittature 1922-1945, p. 53.
220 JEMOLO, Chiesa e stato in Italia. Dall’unificazione ai giorni nostri, p.232.
221 I due discorsi si trovano pubblicati su: R. PERTICI, Chiesa e Stato in Italia. Dalla Grande Guerra al nuovo
Concordato (1914-1984), Il Mulino, Roma 2009, pp. 603-669.
l’insegnamento. Questi fanciulli debbono essere educati nella nostra fede religiosa, ma noi abbiamo bisogno di integrare questa educazione, abbiamo bisogno di dare a questi giovani il senso della virilità, della potenza, della conquista; soprattutto abbiamo bisogno di ispirare loro la nostra fede, e accenderli delle nostre speranze”.223 Come è ovvio il Papa non poteva
tacere, nonostante mesi prima avesse chiamato Mussolini l’uomo che la Provvidenza gli
aveva permesso di incontrare.
Pio XI scrisse una lettera al cardinal Gasparri il 30 maggio “ove si duole delle parole od
espressioni dure, crude, drastiche, e soprattutto delle espressioni ereticali e peggio che ereticali sulla essenza stessa del Cristianesimo e del Cattolicesimo”, che Mussolini aveva
detto nei suoi discorsi.224 Il documento di Pio XI precisava i limiti della missione educativa
dello Stato, rifiutava diversi argomenti di Mussolini, qualificandoli come eresie, rivendicava
la sovranità della Chiesa sul tema educativo e, infine, sottolineava il nesso inscindibile tra il trattato e il concordato, attraverso l’espressione latina di: “Simul stabunt aut simul cadent”.
Questo primo scontro era solo una dimostrazione di quello che ci si doveva aspettare nelle
future relazioni tra i due contraenti, anche se non fu impedimento alla ratifica dei documenti,
che lo Stato italiano e la Santa Sede firmarono nel giugno 1929.225
Il rapporto, nel caso italiano, fu aspro sin dall’inizio. La Santa Sede voleva un concordato
con lo Stato italiano per diversi motivi, il più importante dei quali era quello di risolvere la “Questione Romana”, per poi quindi stabilire una relazione che desse alla Chiesa
un’ingerenza nell’educazione della gioventù italiana. Siccome Mussolini non sprecava
opportunità per sostenere che il regime aveva l’obbligo di educare la gioventù, il Papa nello
223 JEMOLO, Chiesa e stato in Italia. Dall’unificazione ai giorni nostri, p. 234. 224 JEMOLO, Chiesa e stato in Italia. Dall’unificazione ai giorni nostri, p. 235. 225 PERTICI, Chiesa e Stato in Italia, p. 229.
stesso 1929, pubblicò l’enciclica “Divinis illus magistri” che interveniva sull’educazione
cristiana dei giovani e che attaccava le dottrine che il regime stava inculcando negli italiani
mediante una propaganda che esaltava la violenza e la guerra.226 Nel 1931, lo scontro tra il
regime e la Santa Sede si intensificò a causa di due encicliche pubblicate dal Vaticano. La prima era la “Quadragesimo anno” che venne divulgata il 15 maggio e la seconda era la “Non
abbiamo bisogno” del 29 giugno. Nella prima si commemoravano i quaranta anni della
“Rerum Novarum”, un documento che fu visto dai fascisti come una nuova ingerenza da parte
della Chiesa nell’ambito sociale che il regime rivendicava a sé. Con l’altra enciclica “Non
abbiamo bisogno”, documento scritto dallo stesso pontefice, si esprimeva invece un
ringraziamento alla gerarchia cattolica e al clero per l’unità dimostrata col papato davanti alle
accuse e alle critiche rivoltegli dai fautori della concezione totalitaria dello Stato auspicata
dai fascisti. Inoltre, rivendicava i diritti naturali della famiglia e quelli soprannaturali della Chiesa nell’educazione.227 Di fronte a questi fatti le due parti sembravano pronte ad un
conflitto diplomatico, ma vinse invece la prudenza e nel settembre di quell’anno si arrivò a
un accordo che decretò la “salvezza” dell’Azione Cattolica, che vedeva però limitato il suo
operato “al terreno estrictamente religioso y renunciando a una dirección centralizada de
carácter nacional”.228 Un sostanziale accordo caratterizzò dunque il rapporto tra la Santa
Sede e il governo fascista italiano, fino al 1936, anno della fine di questo lavoro. Ora si
passerà a descrivere il rapporto tra il Vaticano e il Terzo Reich.
Come già visto per Mussolini, Roma sapeva molto bene chi fosse Hitler. Sin dall’inizio
del suo movimento, i vescovi tedeschi avevano dimostrato la loro disapprovazione e Roma
226 MARTINA, La Iglesia, de Lutero a Nuestros días, (Tomo IV), p. 167. 227 D. MENOZZI, I papi e il moderno, p. 59.
era consapevole di questo fatto. I vescovi tedeschi resero pubblico il loro pensiero nel 1932,
quando dichiararono “ilícito pertenecer al nazismo por su propaganda incompatible con la
católica y por las inequivocas manifestaciones hostiles de sus jefes contra la Iglesia”. Inoltre,
avevano chiaramente affermato che la vittoria del partito nazista alle elezioni avrebbe
rappresentato un grande male per la Chiesa e per i cattolici. La loro opposizione al partito e
al suo capo, arrivò al punto che quando Hitler giunse alla Cancelleria tedesca, la maggioranza
dei vescovi diede il proprio appoggio al partito Zentrum.229
Mentre questo era il comportamento dei vescovi tedeschi, da Roma arrivavano altre
indicazioni. Il Vice-Cancelliere tedesco, Von Papen, un cattolico conservatore, nemico del partito del Zentrum presentò l’idea di un Concordato tra la Santa Sede e il governo tedesco;
idea cui aderì con convinzione, il nuovo Segretario di Stato, cardinale Pacelli, che era stato per dodici anni Nunzio a Monaco e Berlino, e che conosceva molto bene l’ambiente
tedesco.230 A Hitler e al suo governo un accordo con Roma appariva vantaggioso per due
motivi; il primo per una questione di prestigio dal momento che un concordato con la Chiesa
permetteva al regime di presentarsi sul piano internazionale come un regime rispettabile e il
secondo perché consentiva di assicurarsi il controllo del panorama politico, con l’annientamento del partito Zentrum.231 Hitler approfittò dell’animo autoritario di Papa Ratti
che non sopportava i partiti cattolici. In vista di ottenere questo risultato, al momento di
negoziare il concordato il Terzo Reich, si dimostrò molto “generoso” con la Chiesa. Era però
lecito, si chiede Giacomo Martina, arrivare a un accordo con un governo che ledeva
gravemente i diritti delle persone e che nel suo programma presentava punti anticristiani e
229 MARTINA, La Iglesia, de Lutero a Nuestros días, (Tomo IV), p. 158.
230 U. MAZZONE, Cristianesimo. Istituzioni e società dalla Rivoluzione francese alla globalizzazione, Archetipolibri, Bologna 2011, p. 62.
antireligiosi?232 La risposta della Santa Sede venne dopo aver contemplato il panorama: da
un lato il nazismo continuava a dimostrarsi ostile, in certe occasioni, alla Chiesa e la sua visione totalitaria, che voleva monopolizzare l’educazione, offendeva il pontefice; dall’altro
però, si trattava di difendere 18.000.000 di cattolici tedeschi e di approfittare del fatto che
Hitler, come anteriormente Mussolini, concedeva diversi vantaggi alla Chiesa.233 Senza
contare l’impegno anticomunista di Hitler, che ovviamente la Santa Sede gradiva in maniera
particolare. Il Vaticano, ponderata la situazione, ritenne opportuno stabilire un Concordato
nel quale Roma non vedeva un accordo con il nazismo, ma con il governo tedesco.
Il 20 luglio 1933 il “Concordato con la Germania Hitleriana era un fatto reale”. Che
cosa stabiliva questo documento? In quale maniera risultò favorevole per i cattolici e per i
loro leader? Il documento concedeva la libertà religiosa e riconosceva tutti i diritti che la
Chiesa aveva già ottenuto anteriormente nelle altre regioni e dai governi della Germania di
Weimar. Alla Chiesa venne inoltre riconosciuto il diritto di gestire le scuole cattoliche e la libertà di azione di “tutte le organizzazioni, associazioni e federazioni cattoliche e carattere
religioso, culturale o educativo”. Da parte sua, il governo tedesco ottenne che i religiosi non
partecipassero più alla vita politica, e l’abbandono di ogni sostegno ecclesiastico al Partito
del Zentrum, misura che ne determinava la fine. Tra le clausole segrete del documento se ne
trovano due in particolare. La prima si riferisce alla creazione di un fronte comune contro la
Russia comunista e la seconda ai doveri dei sacerdoti chiamati alle armi. Roma chiese che quest’ultima non fosse divulgata, perché era un “riconoscimento da parte del Papa del
servizio militare obbligatorio in Germania”. Tra gli accordi segreti ne compariva anche uno
232 MARTINA, La Iglesia, de Lutero a Nuestros días, (Tomo IV), p. 159. 233 RHODES, Il Vaticano e le dittature 1922-1945, p. 184.
che riguardava gli ebrei tedeschi. Il cardinale Pacelli aveva chiesto che gli ebrei battezzati
fossero qualificati come cattolici, in modo da prevenire la perdita del lavoro e dei loro diritti dal momento che secondo il governo nazista, gli ebrei rappresentavano “un pericolo per lo
Stato”. Questa richiesta di Pacelli venne verbalmente esaudita da von Bergen, che rasserenò
il cardinale affermando che gli ebrei-cattolici non sarebbero stati perseguitati dal regime. Con la stipulata di questo Concordato, il Terzo Reich, a soli sei mesi dalla sua nascita, “aveva
ricevuto piena sanzione da parte del più alto potere spirituale del mondo”.234
L’atteggiamento della Santa Sede verso i regimi totalitari dimostrò ciò che stava a cuore
alla leadership cattolica, al momento di negoziare con gli stessi. Roma, in un primo momento, voleva “approfittare” della situazione politica relativamente favorevole per migliorare il
proprio ruolo, sia dal punto di vista politico che religioso ed economico. Dall’Italia ottenne
la creazione dello Stato del Vaticano, una presenza di rilievo in materia educativa e un
tornaconto economico attraverso il pagamento che il governo italiano dispose come indennizzo per la perdita delle proprietà pontificie requisite all’indomani del 20 settembre
1870. Dal governo nazista la Chiesa ottenne libertà di movimento all’interno della Germania,
visto che il Concordato riguardava tutta la nazione, comprese le regioni non cattoliche come
la Sassonia o il Wurttemberg.235 Inoltre, si apriva la possibilità di fondare scuole cattoliche,
provvedimento al quale i protestanti si erano sempre opposti. Con questo non si vuole dire
che i vertici cattolici tacessero sui più vistosi attacchi compiuti da questi regimi contro la
Chiesa e la sua dottrina. Ne fu dimostrazione, ad esempio, il fatto che il libro scritto da Alfred Rosenberg “Il mito del XX secolo”,236 così come quello di Ernst Bergmann, “Die deustche
234 RHODES, Il Vaticano e le dittature 1922-1945, pp. 186-190. 235 MARTINA, La Iglesia, de Lutero a Nuestros días, (Tomo IV), p.160. 236 LILL, Il potere dei papi. Dall’età moderna a oggi, p. 129.
Nationalkirche”, finirono nell’Indice del Sant’Uffizio. Inoltre, durante il periodo compreso
tra il 1935 e il 1937, la Santa Sede preparò l’enciclica “Mit brennender Sorge” che esaminò
la situazione religiosa in Germania, condannando la divinizzazione della razza così come il
non riconoscimento di alcuni diritti fondamentali della persona e delle associazioni che nei
regimi totalitari venivano completamente sottoposte allo Stato.237 Si conclude con questi
esempi, che mostrano la risposta della Santa Sede alle dottrine totalitarie, l’esame sulla