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Capitolo 3. La schiavitù a Malta

7. Conclusioni

Per quanto riguarda l’analisi statistica sulla presenza di schiavi musulmani a Malta, abbiamo sottolineato più volte i limiti delle varie fonti utilizzate e la conseguente ap- prossimazione dei risultati ottenuti. Le stime più precise sono sicuramente quelle relati- ve agli schiavi in servizio sulle galere, di cui tuttavia possiamo disporre solo per alcune annate; vista poi l’instabilità della flotta, la minore o maggiore fortuna nelle prese – e quindi, nel ricambio dei rematori – è normale riscontrare variazioni non indifferenti an- che nella composizione delle ciurme.

Per quanto riguarda gli schiavi di terra, la cifra di 500 schiavi privati nel 1781 è cer- tamente sorprendente se messa a confronto con i secoli precedenti, per i quali abbiamo stime che non superano mai le 300 unità. Ma se consideriamo che, fatto salvo qualche censimento condotto scrupolosamente – come quello del 1590 – gli schiavi privati com- paiono in maniera molto approssimativa nelle stime dei secoli XVI e XVII, quasi sem- pre mescolati agli schiavi di terra della Religione, non possiamo escludere che questa componente potesse essere anche allora più numerosa di quanto risulta. A questo propo- sito, è importante sottolineare che la Religione vantava diritti su tutti gli schiavi dell’iso- la, compresi quelli dei privati.

La pratica di “occultare” schiavi, diffusa sicuramente tra i capitani e gli ufficiali di corso – che tentavano di accaparrarsi una parte del bottino prima che la presa fosse ri- partita tra i vari aventi diritto – era probabilmente comune anche a molti padroni privati, che non denunciavano tutti gli individui in loro possesso poiché questo comportava di- verse spese di commissione da corrispondere al Tesoro o al personale addetto alla ge- stione delle prigioni, oltre a eventuali multe o confische nel caso di mancata vigilanza sul proprio schiavo.268

La questione della mobilità degli schiavi rende poi ancora più labile la linea di sepa- razione tra una componente e l’altra: nel 1597, ai Cavalieri fu permesso di “affittare” degli schiavi della Religione per servizi personali, e la possibilità venne più tardi estesa

268 Per i proprietari privati, una spesa di 4 tarì al giorno, poi aumentati a 5 nel 1778, era prevista «per il mantenimento de’ loro schiavi ammalati che li fan curare dell’Ospedale della prigione». AOM 1492, p. 276. Incorrevano inoltre in una sanzione se il loro schiavo non portava l’anello alla caviglia, o nella confisca in caso di assenza all’appello per il pernottamento in prigione. AOM, 6571 f. 92r-v (si tratta in entrambi i casi di disposizioni del Consiglio del 1672, poi rinnovate nel 1749 e ancora nel 1779).

anche ai non religiosi;269 viceversa, l’Ordine poteva disporre praticamente in qualsiasi momento degli schiavi privati. Sebbene i padroni protestassero di non percepire nulla in cambio, possiamo in qualche caso trovare prova del fatto che gli schiavi privati arruolati sulle galere lavoravano, in effetti, come buonavoglia (il salario era ovviamente corrispo- sto al proprietario): tuttavia, eccettuato il ruolo delle ciurme della galera San Giuseppe del 1658, in cui cinque schiavi-buonavoglia sono indicati come una categoria a parte, non saprei dire in quale dei due gruppi venissero generalmente conteggiati.270

Un problema a parte sorge per gli schiavi del gran maestro, che potrebbero rientrare in tutte le tre principali componenti della schiavitù maltese: schiavi di terra dell’Ordine, in quanto a servizio nel palazzo magistrale; schiavi delle galere, perché al remo sulle navi armate dal gran maestro che, però, erano messe a disposizione della squadra; schia- vi privati perché, appunto, proprietà personale di un unico individuo.

Nessun documento tra quelli che ho personalmente esaminato in Archivio e nessuno degli studi che ho menzionato rintraccia gli schiavi del gran maestro al remo sulle galere magistrali, né tantomeno messi a disposizione della squadra della Religione. Come si è visto menzionando le galere armate da Verdalle, abbiamo almeno un caso in cui, al con- trario, è il gran maestro a servirsi degli schiavi pubblici. Dallo stesso documento che ci informa della presenza di schiavi-buonavoglia, sappiamo invece che sulla San Giuseppe servivano 118 schiavi appartenenti alla Fondazione del gran maestro Lascaris;271 tutta- via, parlare di schiavi della Fondazione non equivale a parlare di schiavi personali del gran maestro. Quale fosse la pratica più diffusa tra i gran maestri armatori circa l’utiliz- zo dei propri schiavi è quindi un’informazione ancora sconosciuta.

Una stima affidabile è anche quella basata sulla media delle entrate, pure con i limiti visti per tutte le fonti prese in esame. Se da un lato dobbiamo considerare che un buon numero di prigionieri, catturati tanto dalla squadra dell’Ordine che dai corsari privati,

269 AOM 293, f. 66r, Capitolo Generale del 1597. Per l’estensione ai laici cfr. AOM 6751, f. 96v. 270 Il documento è menzionato in G. Wettinger, Slavery, cit. p. 344.

271 Ibidem. Lo scopo delle fondazioni istituite da molti gran maestri (Wignacourt nel 1617, Cotoner nel 1674, Vilhena nel 1724), era quello di finanziare la costruzione e il mantenimento delle fortificazioni e delle unità della flotta, provvedere artiglieria, munizioni e altre cose necessarie in caso di un attacco turco. La fondazione Lascaris, nata nel 1651, consisteva perlopiù di beni immobili che l’anno dopo furono riconvertiti per la costruzione della settima galera della Religione. Cfr. V. F. Denaro,

Houses in Kingsway and Old Bakery Street, Valletta, «Melita Historica», II, 4 (1959), pp. 201-215;

N. C. Vella - M. Spiteri, Documentary Sources for a Study of the Maltese Landscape, «Storja» (1978-2008), pp. 16-29.

non toccò mai le rive maltesi, perché immediatamente posto al remo oppure riscattato sulle rive barbaresche, è certo anche che altrettante prese non furono registrate negli ar- chivi dei Cavalieri. E senza nulla togliere ai più grandi studiosi del fenomeno che qui abbiamo largamente citato – Fontenay, Brogini e Wettinger su tutti – è ancora probabile che qualche informazione possa essere sfuggita alle ricerche.

Le cifre che ho sintetizzato mostrano che il Seicento è stato sicuramente l’anno più “fortunato” in termini di catture. Dando per buona la somma delle prese menzionate da Dal Pozzo fino al 1644 (8.884 individui); sommandola ai circa 11.000 catturati dai pri- vati nella seconda metà del secolo (ottenuta grazie alla media di 268 individui l’anno calcolata da Fontenay); considerando le mancanze dell’una e dell’altra fonte – Dal Poz- zo riporta sicuramente un numero di spedizioni private inferiore alla realtà, mentre le fonti utilizzate da Fontenay non tengono conto delle catture operate dall’Ordine – e un “buco” di quasi vent’anni – la stima di Fontenay parte dal 1654 e si arresta al 1693 – credo che la stima complessiva per il XVII secolo possa tranquillamente essere arroton- data tra le 22.000 e le 25.000 unità.

Per il XVI secolo, le uniche fonti che ho utilizzato per questo tipo di valutazione sono le due cronache dell’Ordine: anche qui, il risultato approssimativo che si attesta in- torno alle 10.000 catture va sicuramente rivalutato tenendo conto di alcune indiscutibili lacune delle fonti: in primo luogo, la mancanza di notizie circa gli schiavi fatti durante il Grande Assedio e la battaglia di Lepanto; e poi, come per il Seicento, il difetto di infor- mazioni relative alla corsa privata.

Per quanto riguarda il XVIII secolo, la somma dei pochi episodi menzionati dagli storici darebbe un esiguo totale di circa 1.700 uomini. Mi sembra decisamente più atten- dibile la stima di Michel Fontenay basata sulle entrate della Quarantena che, con una media di 125 individui catturati ogni anno tra il 1723 e e il 1797, darebbe un totale di 9.375. Fontenay stima poi che l’effettivo derivato della Quarantena possa essere aumen- tato del 14%, per cui otterremmo un totale di circa 10.600 uomini.

Considerando l’insieme dei tre secoli in esame, possiamo ragionevolmente stimare che a Malta giunsero – e divennero schiavi – almeno 45.000 individui.272

272 Questa mia stima trova un certo conforto nelle conclusioni di M. Fontenay, Il mercato maltese degli

schiavi, cit. pp. 397, che valuta, in base al livello medio degli arrivi annui calcolati per la seconda

metà del XVII secolo e per buona parte del XVIII, che il numero degli schiavi di Malta si aggirereb - be tra le 35.000 e le 40.000 unità per questi due secoli.

Da un lato, alcune cifre che abbiamo citato per singole annate non sembrano partico- larmente straordinarie se messe in relazione con la popolazione totale dell’isola: nel censimento ordinato dal viceré di Sicilia a fine Cinquecento si contavano 27.000 anime, mentre in quello effettuato nel 1632 ne appaiono quasi 52.000, esclusi i Cavalieri che erano all’incirca 3.700.273 Gli schiavi rappresentavano quindi il 6% della popolazione nel primo caso, e quasi il 4% nel secondo. Il fenomeno si presenta in tutta la sua impor- tanza, ed è tale da giustificare tutte le misure di sicurezza prese nel corso dei secoli, solo se consideriamo che gli schiavi, sia pubblici che privati, erano quasi tutti concentrati nella zona del Gran Porto: sempre escludendo i religiosi dell’Ordine, non rimarrebbe che una popolazione di 18.000 civili residenti nelle città di Valletta, Birgu, Senglea e Bormola, e la percentuale di schiavi si eleverebbe allora al 10%; ancora, considerando solo coloro che potevano essere impiegati nelle attività portuali (civili adulti di sesso maschile, Cavalieri e schiavi insieme), possiamo stimare che degli uomini che potevano passeggiare su quelle banchine, per dirla con una suggestiva frase di Michel Fontenay, «uno su quattro era uno schiavo».274

Quanto al riscatto, i salvacondotti che ho analizzato dimostrano come il commercio degli schiavi e dei captivi fosse capillarmente strutturato e come il governo cristiano dell’isola favorisse il riscatto dei musulmani, nella stessa ottica di profitto secondo cui le Reggenze barbaresche (abbiamo visto l’esempio di Tunisi) favorivano quello dei cri- stiani.

L’eccezionalità del fatto che il salvacondotto potesse essere concesso a un individuo ancora in stato di schiavitù si può certamente ridimensionare se si tiene conto, come ho evidenziato, dell’età avanzata degli schiavi in questione. L’apparente grado di libertà che sembra essere lasciato agli schiavi nel momento in cui decidevano di intraprendere le negoziazioni del proprio riscatto deve sempre essere osservato sotto il profilo della convenienza economica.

Quanto agli intermediari, si dovette ben presto fare i conti con la presenza di musul- mani liberi sull’isola, ex-schiavi o mercanti che non solo facevano parte di strutturate reti commerciali, ma erano direttamente protetti dall’Ordine stesso grazie ai salvacon- dotti. Nel favorire queste procedure in nome dei propri interessi economici, l’Ordine do- 273 B. Dal Pozzo, Historia, cit., vol. I, p. 324 e p. 803.

vette necessariamente aprirsi all’altro e favorire la circolazione di uomini non cristiani sul proprio territorio, sempre, però, nel costante timore che gli schiavi venissero in con- tatto con i musulmani liberi e che da quell’alleanza potesse nascere una ribellione. Le numerose ordinanze sopra la buona custodia delli schiavi sono evidente manifestazione del costante pericolo da cui l’Ordine si sentiva minacciato: la penetrazione di elementi stranieri e l’incentivazione data alle attività di riscatto non si tradussero mai in una for- male accettazione dell’alterità, soprattutto in termini religiosi.