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Intensità della pressione psichica esercitata sul privato e tipo di vantaggio da questi conseguito: un

quater c.p.: norma a più fattispecie o reato plurisoggettivo?

4. I tre orientamenti della giurisprudenza di legittimità circa l’individuazione degli elementi che differenziano la

4.3 Intensità della pressione psichica esercitata sul privato e tipo di vantaggio da questi conseguito: un

orientamento “intermedio”.

Un terzo filone giurisprudenziale, inaugurato dalla sentenza Melfi98, si

colloca in una posizione intermedia, parte dalle premesse formulate dal primo degli indirizzi indicati per proporre una soluzione interpretativa che si avvicina a quella formulata dal secondo orientamento ermeneutico. Il criterio discretivo tra le due ipotesi criminose è ricondotto alla diversa intensità della pressione psichica esercitata sul privato. Per le situazioni dubbie il “tradizionale” criterio discretivo legato al grado di condizionamento psichico deve essere però integrato in via complementare da un elemento obiettivo dato dal tipo di vantaggio che il destinatario della pretesa indebita consegue per effetto della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, in ragione della novità data dall’incriminazione del privato ex art.319- quater comma 2.

98 Cfr. Corte Cass. Sez. VI Pen., sentenza 11 febbraio 2013 n°11794 la cui massima

così dispone:“ Nel reato di induzione indebita il destinatario della pretesa, al pari

della vittima della concussione, soffre l’abusiva iniziativa prevaricatrice del pubblico agente, dalla quale la sua volontà risulta psichicamente condizionata; ma, al pari del corruttore, risponde penalmente della sua condotta, per aver dato o promesso denaro o altra utilità, o perché ha subito una più tenue pretesa

intimidatoria, alla quale, senza eccessivi sforzi, ben avrebbe potuto resistere, ovvero perché da quella dazione o promessa ha tratto un vantaggio non dovutogli, al cui conseguimento, in una logica quasi “negoziale”, ha finito per parametrare la sua decisione”.

Conformemente a quanto sostenuto dal primo degli orientamenti ermeneutici in esame, la circostanza che il legislatore della novella del 2012 nello “sdoppiare” la fattispecie di concussione ha riproposto formulazioni testuali sostanzialmente identiche, fermo restando l’uso del verbo “costringere” nella nuova versione dell’art 317 c.p. e del verbo “indurre” nell’art. 319-quater, è indicativa di come la volontà del legislatore sia stata nel senso di confermare una continuità normativa rispetto alla disposizione previgente, il ché rende possibile recuperare gli approdi ermeneutici antecedenti alla riforma che avevano individuato il discrimen tra la condotta costrittiva e quella induttiva nell’intensità della pressione psichica esercitata sul privato. Caratterizzata da una maggiore carica intimidatoria la prima, tale da non lasciare alcun significativo margine di scelta al destinatario; connotata da una più blanda pressione morale la seconda, tale da lasciare al privato una maggiore libertà di autodeterminazione. È da escludere quindi, diversamente da quanto sostenuto dal secondo filone della giurisprudenza di legittimità, che la l. n. 190/2012 abbia riqualificato le nozioni di costrizione ed induzione, le quali continuano a rappresentare entrambe tanto la condotta che il suo effetto. In entrambe le ipotesi, quindi, la condotta delittuosa deve concretizzarsi in una forma di pressione psichica relativa che determina, proprio per l'abuso delle qualità o dei poteri da parte dell'agente, uno stato di soggezione nel destinatario; e che, per essere idonea a realizzare l'effetto perseguito dal reo, deve sempre contenere una più o meno esplicita prospettazione di un male ovvero di un pregiudizio, patrimoniale o non patrimoniale, le cui conseguenze dannose il destinatario della pressione cerca di evitare soddisfacendo quella pretesa indebita, dando o promettendo denaro o altra utilità. La necessità di integrare questo “tradizionale” criterio distintivo avente carattere meramente soggettivo si coglie alla luce della novità

introdotta dalla l. n. 190/2012 data dalla punibilità del soggetto indotto ex art.319-quater 2 comma. Questo vale soprattutto con riferimento a quei casi ricadenti nella “zona grigia”, cioè quei casi al limite rispetto ai quali non è facile cogliere la misura in cui la libertà di autodeterminazione del privato è stata compressa a causa di una pressione psichica operata dall’agente pubblico in maniera larvata o subdolamente allusiva, ovvero in forma implicita o indiretta.

Questo criterio integrativo è rappresentato dal tipo di vantaggio che il destinatario della pretesa indebita consegue per effetto della dazione o della promessa di denaro o altra utilità. “Egli è certamente persona

offesa di una concussione per costrizione se il pubblico agente, pur senza l'impiego di brutali forme di minaccia psichica diretta, lo ha posto di fronte all'alternativa “secca” di accettare la pretesa indebita oppure di subire il prospettato pregiudizio oggettivamente ingiusto: al destinatario della richiesta non è lasciato, in concreto, alcun apprezzabile margine di scelta, ed è solo vittima del reato perché, lungi dall'essere motivato da un interesse al conseguimento di un qualche vantaggio diretto, si determina a dare o promettere esclusivamente per evitare il pregiudizio minacciato – certat de damno vitando -. Al contrario, il privato è punibile come coautore nel reato se il pubblico agente, abusando della sua qualità o del suo potere, formula una richiesta di dazione o di promessa ponendola come condizione per il compimento o per il mancato compimento di un atto, di un'azione o di una omissione, da cui il destinatario della pretesa trae direttamente un vantaggio indebito – certat de lucro captando- ”.99

In questa prospettiva, l’induzione avrebbe carattere bivalente; sussisterebbe, cioè, sia in presenza di pressione blanda sia quando ciò che viene minacciato è un male giusto .100

Impostazione che sembrerebbe confermata dalla collocazione della fattispecie di induzione indebita a dare o promettere utilità all’art. 319-quater c.p. e cioè nell’alveo delle ipotesi corruttive, essendo che il privato indotto “al pari del corruttore, risponde penalmente della sua

condotta, per aver dato o promesso denaro o altra utilità, o perché ha subito una più tenue pretesa intimidatoria, alla quale, senza eccessivi sforzi, ben avrebbe potuto resistere, ovvero perché da quella dazione o promessa ha tratto un vantaggio non dovutogli, al cui conseguimento, in una logica quasi “negoziale”, ha finito per parametrare la sua decisione”.101

Meno condivisibile pare piuttosto la conservazione del criterio “soggettivizzante” dell’intensità delle pressione psichica con riferimento a quelle situazioni che si situano al di fuori della “zona grigia” e quindi rispetto alle quali non è necessario ricorrere in via complementare al criterio del vantaggio indebito, riproponendosi in questo modo i dubbi del primo orientamento.

5. La concussione ex art. 317 c.p. e la nozione di