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Condizione di interregno e crisi odierna

Capitolo 1. La Modernità Liquida

1.3 Condizione di interregno e crisi odierna

Il termine “crisi” (dal greco krisis = separazione, scelta, decisione) rimanda etimologicamente al concetto di rottura, al momento che separa un “modo di essere” diverso da un altro precedente; nel significato datole da Ippocrate come periodo di svolta e decisione e non come catastrofe, ci comunica che occorre reinventarsi perché così non è più sostenibile andare avanti, non possiamo continuare sulla stessa strada senza apportare modifiche a noi stessi o al contesto entro cui ci muoviamo.

Dal punto di vista sociale essere in un periodo di crisi significa trasformare gli schemi che si rivelano non più adeguati a far fronte alla situazione presente; dal punto di vista individuale la crisi si riferisce ad un momento della vita caratterizzato dalla rottura dell'equilibrio precedentemente acquisito.

Come sostiene Ezio Mauro:

«Come un esercito invasore in un regno addormentato, la crisi sta attraversando con una facilità sorprendente tutta l’impalcatura materiale, istituzionale, intellettuale della costruzione democratica che l’Occidente si è dato nella tregua del dopoguerra. Governi, parlamenti, corpi intermedi, soggetti sociali, antagonismi, welfare state, partiti e movimenti nazionali, internazionali, continentali. Come a dire, tutto ciò che avevamo creato al fine di sviluppare e articolare il meccanismo della democrazia per proteggerci nel nostro vivere insieme. […] La democrazia non basta a sé stessa»81.

Nella società attuale purtroppo però l'individuo è portato ad accettare la realtà come dato di fatto, senza riflettere criticamente sulla possibilità di trasformare i vincoli in risorse.

Secondo Bauman, attualmente il problema principale non è più cosa fare, poiché le questioni aperte sono infinite, ma chi siano gli agenti sociali in grado di risolvere i problemi. Viviamo in una sorta d’interregno gramsciano, in cui il modo

di vivere non funziona, ma non si trova una nuova forma di vita che sostituisca il vecchio sistema:

«Viviamo in un tempo di vuoto (simile all’interregnum dell’antica Roma), un periodo in cui i vecchi metodi con cui facevamo andare avanti le cose risultano inefficaci, mentre non ne sono stati ancora inventati di nuovi. È un periodo di cambiamento, non di transizione, perché “transizione” implica un passaggio da un “qui” a un “lì”, e sebbene conosciamo piuttosto bene il “qui” da cui cerchiamo di fuggire non abbiamo idea del “lì” dove vorremmo arrivare. Definire quali fossero i “problemi sociali” su cui intervenire poteva essere un compito difficile ma praticabile al tempo in cui i nostri antenati discutevano su cosa ci fosse da fare, ma erano piuttosto sicuri sul chi lo avrebbe fatto, ovvero lo Stato, un’istituzione potente, dotata di tutto ciò che occorresse per farlo: il potere (la capacità di fare le cose) e la politica (la capacità di decidere quali cose andassero fatte e quali evitate). Oggi invece tutti i poteri che determinano la nostra condizione – la finanza, gli investimenti di capitale, il commercio – sono di natura globale, extraterritoriale, molto al di là della portata di tutti gli organismi politici esistenti; allo stesso tempo, la politica rimane ostinatamente locale, confinata al territorio di un singolo stato. Oggi la domanda vitale è «chi lo farà», nel caso dovessimo decidere ciò che c’è da fare»82.

Le istituzioni cercano di capire come usare le vecchie metodologie per affrontare la crisi ma non hanno capito che devono cercare altrove, che devono trovare soluzioni diverse e nuove.

Anche secondo Ezio Mauro:

«Viviamo in una fase di interregno, e questo può spiegare la crisi della governance, dell'autorità, della rappresentanza. Siamo sospesi tra il “non più” e il “non ancora”, siamo instabili per forza di cose, nulla è solido attorno a noi, nemmeno la direzione di marcia. Non ci sono infatti movimenti politici che, avendo messo in crisi il vecchio mondo, siano oggi pronti a ereditarlo; non c'è

un'ideologia che selezioni un pensiero vincente e lo diffonda; non c'è uno spirito costituente - morale, politico, culturale - che prometta di dare forma a nuove istituzioni per il mondo nuovo.

Stiamo scivolando verso un territorio sconosciuto e lo facciamo da soli, in ordine sparso, con le forme e i modi che hanno regolato le nostre vite che perdono contorno mentre smarriscono efficacia e autorità. Non usiamo più la politica, diffidiamo delle istituzioni che ci siamo dati, dubitiamo persino della democrazia, che sembrava l'unica religione superstite - e secondo alcuni destinata a diventare universale - dopo la fuga dalle false divinità che avevamo creato nel Novecento. […] In questo strappo del patto tra Stato e cittadino c'è una condanna, come se la democrazia fosse una forma temporanea della costruzione umana e non riuscisse a governare il nuovo secolo appena incominciato, arenata nel Novecento; per definizione e per sua natura, la democrazia non prevede esclusioni: o vale per tutti oppure non funziona. Ma c'è anche un insegnamento: la democrazia dopo aver sconfitto le dittature non ha lo scettro per sempre, deve riconquistarlo ogni giorno rilegittimandosi continuamente, e la politica deve ritornare a occuparsi in concreto della vita delle persone, legando gli interessi legittimi in campo con i valori di cui è portatrice e con gli ideali a cui fa riferimento» 83.

Ed ancora:

«[…] l'interregno è anche il luogo in cui si libera l'irrazionale della decadenza, in una ribellione mossa più dall'angoscia che dalla libertà, dove nascono figure sciamaniche che operano una riduzione carismatica del meccanismo politico, rispondono agli istinti con emozioni, coltivano le paure per risolverle in una grande banalizzazione, come se esistessero soluzioni semplici a problemi complessi. Io chiamo tutto questo “neopopulismo”, e credo sia uno spirito dell'epoca, quello in cui sembra rifugiarsi l'energia politica residua di democrazie estenuate, addirittura una riserva di forza e un'illusione di giustizia che le istituzioni temono di aver smarrito»84.

83 Z. Bauman e E. Mauro, Babel, cit. pp. 18-19. 84 Ibidem.

In questo momento per Bauman esiste un potere che non è vincolato alla politica ma al mercato ed una politica che soffre di mancanza di potere e si chiede:

«Dove dunque possiamo approdare, noi gente preoccupata […] per lo stato deplorevole della democrazia e per la sempre più evidente impotenza delle istituzioni fondate nel suo nome? Con la politica ridotta a show, i cittadini ridotti a spettatori, il discorso politico ridotto a occasioni per foto di gruppo dei politici, e con la battaglia di idee ridotta a competizione fra spin doctors?»85.

Crollo di autostima e frustrazione pervadono la società a causa dell’incapacità dello Stato di trovare nuovi modelli di vita che possano portare alla fine della crisi odierna, una crisi che vede il monopolio delle ricchezze in mano a pochi che però non sono capaci di risolvere le problematiche sociali.

In questo contesto lo strumento di dominazione è l’incertezza, mentre la politica di precarizzazione diventa la strategia di dominazione; quando la politica si lascia guidare dall’economia intesa come libero gioco delle forze di mercato, l’equilibrio pende verso il mercato, è il mercato ad essere il vero titolare del potere sovrano nella società dei consumatori.

«[…] le attuali istituzioni sociali sono pensate, presentate e costruite sul modello di una società di mercato e della sua “cultura del prendere”. Privilegiano i cittadini che sono concentrati nel perseguimento dei loro interessi individuali e si astengono dall’impicciarsi di faccende e questioni pubbliche. […] ciò che vogliono e ricercano attivamente è che i cittadini si astengano dall’interferire»86.

C’è la tendenza da parte dello Stato di trasferire lateralmente molte delle proprie funzioni in favore del mercato che si oppone alle politiche sostenute dall’elettorato; si manifesta quindi una graduale separazione tra il potere di agire che ormai è in mano ai mercati, e la politica, che sebbene di dominio dello Stato, è

85 Ivi, p. 29. 86 Ivi, p. 28.

priva della libertà di manovra e della capacità di definire le regole. Lo Stato in ultima analisi diviene quindi l’esecutore della sovranità del mercato, è quest’ultimo a decidere quali siano i bisogni del paese e soprattutto a decidere quali siano i consumatori difettosi di cui la società non ha più bisogno. Non c’è consumatore se non come merce, è la mercificazione a controllare l’accesso al mondo dei consumatori, un paese che affida al mercato la possibilità di redigere le regole ha bisogno di abitanti che siano come delle merci vendibili, per cui è il mercato a valutare quali siano gli esclusi e gli inadeguati ritenuti una mera passività.

«Lo Stato si priva di una sempre più grande dose della sua potenza autarchica, e quindi diventa incapace di assumersi l'insieme delle sue funzioni. Lo Stato, per dovere, ma con l'entusiasmo degno di una causa migliore, delega i propri compiti, anzi lì dà "in affitto" alle forze di mercato, che sono anonime, prive di un volto. Di conseguenza i compiti che sono vitali per il funzionamento e il futuro della società sfuggono alla supervisione della politica e quindi a ogni controllo democratico. Il risultato: si affievolisce il senso di comunità e si frantuma la solidarietà sociale. Se non fosse per la paura degli immigrati e dei terroristi, l'idea stessa dello Stato come un bene comune e una comunità di cittadini sarebbe fallita»87.

Bisogna comprendere il presente per poter controllare il futuro ed è per questo che il cittadino deve essere costantemente aggiornato sui rapidi cambiamenti sociali e politici.

«Le libertà dei cittadini […] sono piantate e radicate in un suolo sociopolitico che richiede di essere concimato quotidianamente ed è destinato ad inaridirsi e sbriciolarsi se non viene coltivato giorno dopo giorno dalle azioni informate di un pubblico competente e impegnato»88.

87 Da In questo mondo di lupi, intervista a Wlodek Goldkorn, L'espresso, anno LIII, n. 52,

3 gennaio 2008, pp. 93 sg.

Purtroppo invece in questo scenario liquido-moderno si assiste ad un progressivo allontanamento delle persone dalla politica e ad una crescita di apatia e calo d’interesse per il funzionamento del processo politico.

I governi non hanno più gli strumenti per rendere appetibile e attraente il coinvolgimento politico, «sono privi di fiducia non tanto per il sospetto di incompetenza o di corruzione nutrito nei loro riguardi dagli elettori […] quanto a causa dello spettacolo quotidiano che offrono della loro inettitudine e inefficienza» e della «cronica incapacità […] di far fronte alle preoccupazioni che toccano la vita quotidiana e le prospettive di vita dei loro cittadini»89.

Per molti ormai la cittadinanza si è ridotta all’atto di comprare e vendere merci, il mercato ha permeato ogni settore e i cittadini non cercano più di ampliare le loro libertà o rafforzare i propri diritti per agevolare una democrazia sostanziale; ignoranza e indifferenza stanno mettendo a repentaglio la politica democratica che non può restare salda di fronte ad un crescente disinteresse pubblico.

«L’ignoranza produce la paralisi della volontà […], questa sorta d’impotenza dell’elettorato prodotta dall’ignoranza, il diffuso scetticismo sull’efficacia del dissenso e l’indisponibilità a un coinvolgimento politico sono fonti molto richieste e gradite di capitale politico: il dominio attraverso l’ignoranza e l’incertezza deliberatamente coltivate è più affidabile e facile che non il governo fondato sul dibattimento esauriente dei fatti e sullo sforzo prolungato per trovare un accordo sulla verità in materia e sui modi meno rischiosi di procedere. L’ignoranza politica si autoperpetua e per soffocare la voce della democrazia o legare a questa le mani torna comodo servirsi di una corda in cui si intrecciano ignoranza e inerzia»90.

Oggi l’individuo è prima di tutto un consumatore, non un cittadino.

«La cultura consumistica fonda il suo sorprendente successo sulla sua abilità nel deviare le vie che portano all’acquisizione di tutti e singoli i valori essenziali

89 Z. Bauman e E. Mauro, Babel, cit. p. 63. 90 Z. Bauman, Vita liquida, cit. p. 146.

della vita (come la dignità, la sicurezza, l’accettazione e il riconoscimento sociale, il senso di appartenenza e insieme di distinzione, una vita carica di significato, il perseguimento della felicità, l’autostima, o infine una chiara coscienza morale) verso le strade dello shopping; con lo shopping che viene rappresentato come la soluzione universale al più universale dei problemi e delle preoccupazioni umane»91.

Il mondo appare come un enorme contenitore di beni di consumo da cui l’uomo cerca di attingere più che può senza che sentimenti di responsabilità civile o politica riescano a scalfire la mentalità consumistica che permea l’uomo della società liquida.

Il buon cittadino è colui che si dimostra soddisfatto dei servizi offerti dallo Stato senza interrogarsi sulla sua capacità e possibilità di intervenire o partecipare alla vita politica.

«Interpellare i soggetti dello Stato innanzitutto come consumatori significa, per lo Stato, lavarsi le mani rispetto agli obblighi che si è assunto in relazione a una società di produttori, vale a dire rispetto ai compiti normativi/amministrativi considerati un tempo la sua principale ragion d’essere, e alle responsabilità conseguenti»92.

Si assiste quindi ad una frattura sempre crescente tra la politica e il cittadino, un crollo di comunicazione tra i due mondi generato dal rapido calo della fiducia nelle capacità delle istituzioni politiche di fornire ciò di cui i cittadini, traditi e frustrati dalle promesse democratiche, necessitano.

Senza il dovere di decidere e di prendere parte attivamente alla vita politica, il cittadino diventa un mero spettatore slegato dalle cause e del tutto irresponsabile degli effetti, senza vincoli e obblighi. L’uomo di oggi si sente a suo modo libero «perché liberato, svuotato della socialità e dei suoi codici, sgravato da obblighi e da carichi doveristici e impegnativi, solo in mezzo alla connettività e senza

91 Z. Bauman e E. Mauro, Babel, cit. p. 61. 92 Ivi, p. 37.

collettività»93.

L’uomo però è così distante dal sociale e dalle questioni politiche, da essere esposto facilmente alla manipolazione da parte del potere che non ha più bisogno di usare la forza bensì la seduzione, costruendo «il consenso attraverso un percorso apparentemente autonomo, teoricamente libero, in realtà emozionalmente pilotato»94.

Per questo motivo la formazione continua è indispensabile perché garantisce all’individuo la possibilità di scegliere.

«[…] nell’ambiente liquido-moderno la formazione e l’apprendimento, perché siano utili, devono essere continui, anzi permanenti, cioè protrarsi per tutta la vita. Non è più concepibile un altro tipo di formazione e/o apprendimento: la ‘costituzione’ dei sé o delle personalità è impensabile in qualsiasi altro modo che non sia quello di una riformazione costante e perennemente incompiuta»95.

Nell’ignoranza è facile sentirsi perduti, smarriti e senza speranza, l’ignoranza conduce all’impotenza dell’elettorato e ad una dominazione indiscussa che approfitta del disinteresse e della passività del singolo.

Quindi «non sono solo le competenze tecniche a dover essere continuamente aggiornate, non è soltanto la formazione finalizzata al lavoro a dover essere continua. Lo stesso va fatto, e molto più urgentemente, per l’educazione alla cittadinanza»96.

«La cultura liquido-moderna non è più avvertita come una cultura di apprendimento e accumulazione […] è avvertita come una cultura di disimpegno, discontinuità e dimenticanza»97, in cui ogni prodotto culturale, adattandosi alle pressioni e caratteristiche del mercato, deve distruggere rapidamente quelli di ieri ed eclissarsi velocemente dal palcoscenico per lasciare il posto a quelli di domani.

93 Ivi, p. 80. 94 Ivi, p. 81.

95 Z. Bauman, Vita liquida, cit. p. 134.

96 Z. Bauman, L’etica in un mondo di consumatori, Editori Laterza, Roma-Bari, 2010, p.

159.

Restare in movimento è più importante della destinazione; caratteristiche della politica della vita quotidiana sono il non far diventare ciò che si pratica un’abitudine, non farsi vincolare dal passato, disprezzare le competenze passate senza alcun rimpianto.

«Il successo nella vita di uomini e donne postmoderni dipende dalla velocità con cui riescono a sbarazzarsi di vecchie abitudini piuttosto che da quella con cui ne acquisiscono di nuove. La cosa migliore è non preoccuparsi di costruire modelli; il tipo di abitudine acquisito con l'apprendimento terziario consiste nel fare a meno delle abitudini»98.

In un contesto liquido come quello della società moderna, in cui tutto si frantuma e si fa flessibile, in cui tutto scorre e muta rapidamente, dal lavoro alle relazioni affettive, dalla cultura all’arte, dalla politica al mercato, paura, insicurezza e solitudine diventano elementi peculiari della vita di ogni individuo che cerca disperatamente un modo per superare la crisi che dura ormai da anni.

«Nessuna società che dimentichi l’arte di porsi domande o che permetta a quest’arte di cadere in disuso può sperare di trovare risposte ai problemi che l’assillano»99.

Di conseguenza:

«Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall'angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere ‘superato’. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell'incompetenza.

98 Z. Bauman, La società individualizzata, cit. p. 160. 99 Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale, cit. p. 14.

L'inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c'è merito. È nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l'unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla»100.