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La relazione tra consumi e sentimenti nella Modernità Liquida di Zygmunt Bauman

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Scienze Politiche

Corso di laurea in Scienze Politiche

LA RELAZIONE TRA CONSUMI E SENTIMENTI

NELLA MODERNITÀ LIQUIDA DI

ZYGMUNT BAUMAN

Relatore:

Prof. Andrea BORGHINI

Candidata

Francesca CASTALDI

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Abstract

La tesi parte dall’individuare, nel primo capitolo, le caratteristiche della condizione umana nella società liquida-moderna: l’uomo vive in una società che si trova in una fase di interregno in cui le condizioni politiche, sociali, lavorative e personali mutano in modo imprevisto ed imprevedibile, ancora prima che i modi di agire degli uomini possano consolidarsi in abitudini; precarietà, incertezza, flessibilità, velocità, individualismo, continuo movimento, consumismo sfrenato e paura spingono l’individuo ad una continua ed estenuante ricerca della propria identità tramite la propria autorealizzazione ed il proprio piacere.

Nel secondo capitolo viene approfondito l’aspetto consumistico della società liquida, che vede nel consumo l’attività principe di un uomo perennemente insoddisfatto. Il mercato alimenta i desideri del singolo lanciando ogni giorno prodotti nuovi che contengono la promessa di fornire più appagamento di quelli già in uso; eccesso e sperpero sono quindi all’ordine del giorno, aiutati da una fiorente industria di smaltimento dei rifiuti. Si respinge il valore della dilazione e del rinvio della gratificazione; la durata viene sostituita dalla novità e transitorietà. La felicità consiste nello sbarazzarsi del vecchio per fare posto al nuovo; il desiderio lascia il posto al capriccio, l’acquisto diventa quindi casuale, imprevisto e spontaneo.

In questo scenario, anche le relazioni affettive, analizzate nel terzo capitolo, assumono le caratteristiche di precarietà, velocità e instabilità; sono basate sull’utilità e sulla convenienza; i legami, considerati alla stregua dei beni di consumo, sono pronti ad esaurirsi non appena la soddisfazione scema e si teme che la relazione possa diventare troppo vincolante e stabile. L’impegno a lungo termine va evitato a tutti i costi perché impedisce di instaurare nuove relazioni.

Non si parla più di partner ma di rete; le connessioni sono superficiali e permettono una prossimità virtuale che garantisce all’individuo la libertà di staccarsi con facilità e senza troppo dolore.

Il lavoro si conclude illustrando l’idea di Bauman secondo la quale la felicità va cercata fuori dalla rete e che la solidarietà globale possa essere la soluzione al crescente divario sociale e all’incertezza e precarietà dell’uomo moderno.

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INDICE

Introduzione ... 1

Capitolo 1. La Modernità Liquida 1.1 Introduzione generale ... 10

1.2 La condizione umana nella Modernità Liquida ... 20

1.3 Condizione di interregno e crisi odierna ... 27

1.4 La Paura ... 37

Capitolo 2. L’homo consumens 2.1 La società dei consumatori ... 43

2.2 La felicità ... 56

2.3 Istantaneità e velocità dei consumi: dal bisogno al desiderio, dal desiderio al capriccio ... 63

2.4 La tv come modello aspirazionale di vita per il consumatore ... 70

Capitolo 3. L’amore liquido 3.1 Desiderio di connessione e paura del legame «solido» ... 75

3.2 Istantaneità e velocità delle relazioni: soddisfatti o rimborsati ... 86

3.3 Innamorarsi e disamorarsi: la difficoltà ad amare il prossimo ... 95

Capitolo 4. Conclusioni ... 104

Bibliografia dell’autore ... 114

Bibliografia ... 117

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Introduzione

Durante un incontro tenutosi a Roma in occasione della terza edizione del Salone dell’Editoria Sociale, Zygmunt Bauman pronuncia queste parole:

«Se mi avessero chiesto quaranta anni fa o anche trenta anni fa quali fossero i problemi sociali, avrei saputo chiaramente di cosa parlare e come parlarne, venti anni fa avrei avuto dei dubbi, oggi devo confessare onestamente di fronte a voi, perché non rimaniate delusi, che non sono molto sicuro dell’argomento di cui parlare, brancolo nel buio»1.

Parole che dimostrano quanto il pensiero del noto teorico della Modernità Liquida2, termine col quale indica la società contemporanea post moderna, sia in costante e mutevole divenire in base alle trasformazioni del vivere sociale, divenire che inevitabilmente ha prodotto cambiamenti di riflessione anche nel modo di vedere i rapporti di coppia all’interno di una società sempre più frenetica e dinamica.

Questa tesi mira a investigare e analizzare il parallelismo che intercorre tra le relazioni amorose e il consumismo moderno.

Negli scritti di Bauman ritroviamo temi che traggono origine direttamente dalla sua esperienza di vita, dal suo passare attraverso l’antisemitismo, lo stalinismo, il nazismo e la guerra.

Nato a Poznan (Polonia) nel 1925 da genitori ebrei, Z. Bauman nel 1939, in seguito all’invasione del suo paese da parte delle truppe tedesche, è costretto a rifugiarsi nella zona di occupazione sovietica dove entra a far parte di un’unità militare che combatte l’anticomunismo.

1 Z. Bauman, Lectio Magistralis, Quali sono i problemi sociali oggi, Salone dell’Editoria

Sociale, Roma, Porta Futura, 29 ottobre 2011.

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Finita la guerra continua la carriera militare in Polonia divenendo capitano, fino a quando nel 1953 viene espulso dall’esercito a causa di una epurazione antisemita.

Inizia allora ad occuparsi di sociologia collaborando con riviste specializzate3 e ottenendo la cattedra all’università di Varsavia. Nel 1959, dopo aver frequentato la London School of Economics, pubblica un importante saggio sul socialismo britannico.

Un’epurazione antisemita lo costringe nel 1968 a lasciare nuovamente il suo paese emigrando prima in Israele, dove ha l’opportunità di insegnare all’università di Tel Aviv, e poi in Inghilterra, dove riceve l’incarico di insegnare all’Università di Leeds fino a quando non andrà in pensione nel 1990 e dove morirà il 9 gennaio 2017.

È nel periodo che va dal 1957 al 1963, anni in cui in Polonia si ha una breve stabilizzazione politica, che Bauman sviluppa la sua immaginazione sociologica: in quegli anni si percepiscono una sorta di torpore sociale e di delusione politica in seguito alla rinuncia di Gomulka, a capo della Polonia in quegli anni, a creare una società libera e pluralista.

Ed è allora che Bauman inizia a domandarsi cosa fosse andato storto e ad interrogarsi sulle dinamiche sociali; l’interesse per la classe dei lavoratori come simbolo dei derelitti ed emblema della sofferenza umana col tempo diventa interesse per le minoranze, i rifugiati e gli esclusi.

È questo l’aspetto innovativo del pensiero di Bauman, una combinazione di umanesimo e socialismo, o meglio un socialismo umanista che parte dall’ortodossia marxista.

È un socialismo critico, che cerca alternative alla società e ne mette in discussione le strutture di potere, è una forma di impegno a favore di una teoria e di una prassi sociologica che si adatti alla fluidità del mondo.

Per Bauman la situazione più pericolosa e disperata per il socialismo è quella in cui qualcuno ritiene di averlo realizzato, in quanto, nel momento stesso in cui

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se ne proclama la realizzazione, esso perde di creatività e preclude nuove possibilità future nella prassi.

Il sociologo sostiene la causa del revisionismo marxista, quel filone di pensiero che vede nei regimi di socialismo reale un ostacolo per l’iniziativa umana e che desiderano rivitalizzare le teorie marxiste e “riumanizzare” il socialismo ormai caratterizzato da una forte fossilizzazione burocratica.

Nella prospettiva di Bauman il marxismo dovrebbe rinnegare gli apparati burocratici del socialismo reale per incoraggiare le nuove potenzialità d’azione di tutti gli uomini4.

Ma Bauman non è soltanto un filosofo sociale, un sociologo e, almeno in un certo senso, un socialista. È anche un esperto narratore, un autore di narrazioni storiche. Non c’è dubbio che la sociologia di Bauman ricerchi stimoli e ispirazioni nella letteratura.

Si possono citare diversi testi che hanno esercitato una grande influenza sul suo pensiero sociologico: L’uomo senza qualità di Musil5, La vita: istruzioni per l’uso di Perec6, molti racconti di Borges7, Le città invisibili di Calvino8 e, altro importante punto di riferimento, La denigrata eredità di Cervantes di Milan Kundera9.

Di questi autori Bauman apprezza il loro tentativo di costruire universi inediti, in cui possibilità e ambivalenza permettono di modificare una realtà che molti considerano immutabile; il lettore quindi è stimolato a pensare in modo diverso da prima e a scoprire nuovi possibili mondi10.

4 Cfr. K. Tester, The Social Thought of Zygmunt Bauman, Palgrave Macmillian, New

York, 2004. Trad. it. Il pensiero di Zygmunt Bauman, Erikson, Trento, 2005.

5 R. Musil, L’uomo senza qualità, romanzo incompiuto suddiviso in tre parti, i primi due

volumi vengono pubblicati a Berlino rispettivamente nel 1930 e nel 1933. Prima edizione italiana, in tre volumi, Torino, Einaudi, 1956. 1962.

6 G. Perec, La vita: istruzioni per l’uso, BUR Biblioteca Universale Rizzoli, 1984. 7 In particolare, il racconto Il giardino dei sentieri che si biforcano, in J. L. Borges,

Finzioni, Mondadori, Milano, 1984.

8 I. Calvino, Le città invisibili, Einaudi, Torino, 1972.

9 M. Kundera, «La denigrata eredità di Cervantes», in L’arte del romanzo, Adelphi,

Milano, 1988.

10 Si veda, sull'argomento, E. Spanò, Zygmunt Bauman: la letteratura come strumento e

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La missione della sociologia è far capire agli uomini che il mondo che noi vediamo e viviamo non è inevitabile, che le cose potrebbero essere anche diverse da come appaiono.

Facendo un parallelismo con la narrativa di Musil, che interpreta l’egemonia della scienza come una limitazione delle possibilità umane, la sociologia di Bauman è antinaturalista in quanto critica l’idea che esista un mondo naturale al quale l’uomo è soggetto spesso con mezzi coercitivi ed è inoltre una forma di prassi, intesa come luogo in cui sperimentare le possibilità umane.

Di profonda ispirazione sono anche due grandi sociologi polacchi, Julian Hochfeld e Stanislaw Ossowski, il primo per il suo rifiuto dell’inevitabilità della sofferenza sociale, il secondo perché rivendica il diritto alla disobbedienza, tema trattato da Bauman in Voglia di comunità11.

Grande influenza hanno inoltre i testi di Albert Camus e di Antonio Gramsci. Del primo coglie il concetto di ribellione espresso in L’uomo in rivolta, libro in cui Camus, nel 1953, delinea il ritratto di un ribelle che mette in discussione l’apparente normalità: «La ribellione è il punto d’incontro su cui ogni uomo, in ultima istanza, fonda i propri valori. Mi ribello, dunque esistiamo»12.

Gramsci invece, come sostiene lo stesso Bauman in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, è colui che gli ha permesso di congedarsi «onorevolmente dall'ortodossia marxista senza vergogna per averla condivisa e senza l'odio di tanti ex»13.

In Quaderni dal carcere14 Gramsci mostra come la realtà non sia un qualcosa di ineluttabile e inevitabile, rifiuta l’idea che la storia sarebbe opera dei rapporti di produzione, del partito rivoluzionario o del progresso. La storia per dirla con le

http://www.academia.edu/9382640/Zygmunt_Bauman_la_letteratura_come_strumento_e come_piacere.

11 Z. Bauman, Voglia di comunità, Editori Laterza, Roma-Bari, 2001. 12 A. Camus, L’uomo in rivolta, Bompiani, Milano, 1996, p. 28. 13 Cfr:

http://archiviostorico.corriere.it/2002/ottobre/13/Bauman_devo_tutto_Gramsci_Calvino_ co_0_0210134304.shtml, pagina visionata il 28 ottobre 2011.

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parole di Leszek Kolakowski «è un prodotto umano. Nessun individuo, in sé è responsabile dei risultati dei processi storici; ciascun individuo, però, è responsabile, nella misura in cui partecipa direttamente a tali processi»15.

Gramsci vuole dimostrare che c’è un’alternativa al mondo in cui viviamo, che è a causa delle strutture del potere che gli uomini sono portati a vedere il mondo in una determinata maniera e a non capire invece che sono loro i diretti responsabili della storia.

È con la conoscenza che si può cambiare il mondo, capendo i meccanismi di costruzione sociale del potere e della realtà e interrogandosi sul perché si è portati a ritenere che certe circostanze siano vere e naturali.

Assorbendo molto dal pensiero gramsciano, Bauman sostiene infatti che la sociologia debba analizzare la realtà e non confermarla, denunciare le circostanze che ostacolano il libero arbitrio dell’uomo, rifiutare qualsiasi forma di verità che viene data come inconfutabile a priori, criticare il senso comune per indagare sull’origine «dell’annichilimento dell’azione, dell’esperienza e della dignità degli uomini» 16.

La sua intensa produzione letteraria va da pubblicazioni di sociologia marxista e di temi legati alla classe operaia fino al ruolo degli intellettuali nella società (citiamo tra i suoi molti scritti Lineamenti di una sociologia marxista17; Memorie di classe. Preistoria e sopravvivenza di un concetto18; La decadenza degli intellettuali. Da legislatori a interpreti19); dallo studio della modernità e post modernità ad approfondimenti sulla situazione dell’uomo e dei rapporti di coppia, fino ad arrivare ai temi più attuali legati alla globalizzazione e alle conseguenze che quest’ultima ha sulla società e sull’individuo.

15 L. Kolakowski, Marxism and Beyond. On Historical Understanding and Individual

Rresponsability, trans. Jane Zielonko Peel, The Pall Mall Press, London, 1969, p. 88.

16 K. Tester, Il pensiero di Zygmunt Bauman, op. cit., p. 71.

17 Z. Bauman, Lineamenti di una sociologia marxista, Editori Riuniti, Roma, 1971. 18 Z. Bauman, Memorie di classe. Preistoria e sopravvivenza di un concetto, Einaudi,

Torino, 1987.

19 Z. Bauman, La decadenza degli intellettuali. Da legislatori a interpreti, Bollati

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Modernity and the Holocaust20 (1989), tradotto e pubblicato in Italia nel 1992, segna il passaggio dall’ortodossia sociologica e politica di stampo marxista ad una nuova sociologia non più propriamente ortodossa.

In questa opera Bauman spiega come l’Olocausto sia stato il prodotto di una società moderna che ha saputo sfruttare l’enorme potenziale che essa stessa ha prodotto, le condizioni che portarono all’Olocausto risiedono quindi nell’incontro tra gli sconvolgimenti sociali provocati dalla modernizzazione e gli strumenti di ingegneria sociale creati dal progresso tecnologico.

Sono proprio la modernità e la post modernità a costituire temi centrali negli scritti successivi quali ad esempio Modernity and Ambivalence (1991)21; Postmodern Ethics (1993)22; Postmodernity and its Discontents (1997)23.

Seguono poi Dentro la globalizzazione (1998)24; La società dell’incertezza

(1999)25; La solitudine del cittadino globale (2000)26; Globalizzazione e

glocalizzazione (2001)27; Voglia di comunità (2001)28 e La società sotto assedio (2003)29, solo per citarne alcuni.

Tutti descrivono la condizione di disagio e di precarietà in cui si trovano la società e l’uomo nella realtà moderna.

Incertezza, paura e insicurezza collettiva sono protagoniste della modernità; la globalizzazione divide mentre unisce accentuando il divario tra l’élite da un lato e le masse dall’altro, l’estraneo diventa il nemico, la comunità si disgrega mentre invece l’individuo è alla continua ricerca di sicurezza.

Questa è la modernità, o meglio, la modernità liquida.

20 Z. Bauman, Modernità e olocausto, il Mulino, Bologna, 1992.

21 Z. Bauman, Modernità e ambivalenza, Bollati Boringhieri, Torino, 2010. 22 Z. Bauman, Le sfide dell’etica, Feltrinelli, Milano, 1996.

23 Z. Bauman, Il disagio della postmodernità, Mondadori, Milano, 2002.

24 Z. Bauman, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Editori Laterza,

Roma-Bari, 1999.

25 Z. Bauman, La società dell’incertezza, il Mulino, Bologna, 1999.

26 Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano, 2000. 27 Z. Bauman, Globalizzazione e glocalizzazione, Armando Editore, Roma, 2005. 28 Z. Bauman, Voglia di comunità, cit..

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È questo il termine con cui Bauman, distinguendosi dagli altri sociologi, definisce la postmodernità nel libro Liquid Modernity (2000)30, pubblicato in Italia nel 2002, per poi riutilizzare il termine in Liquid Love. On the Frailty of Human Bonds (2003)31 e Liquid Life (2005)32.

Bauman è il teorico della modernità liquida, termine con il quale indica una società caratterizzata dalla transitorietà e dalla spasmodica accelerazione; ci descrive un individuo in balia della precarietà e della paura del fallimento e del licenziamento, un individuo instabile che vive all’insegna del consumo sfrenato di oggetti sempre nuovi, che passa rapidamente e fluidamente da un desiderio all’altro senza mai essere soddisfatto.

La mercificazione riguarda anche i rapporti personali, le relazioni sono a tempo e, così come i beni di consumo, hanno una data di scadenza; la fragilità dei rapporti crea sofferenza e miseria, rende l’uomo debole e infelice.

Negli ultimi anni Bauman ha approfondito maggiormente queste tematiche analizzando, in modo sempre più coerente con gli sviluppi sociali, la condizione dell’uomo in una società sempre più individualizzata e permeata di paure.

In Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi (2007)33; Modus Vivendi. Inferno e utopia del mondo liquido (2007)34; Paura Liquida (2008)35; Consumo dunque sono (2008)36; Capitalismo parassitario (2009)37; Modernità e globalizzazione (2009)38, Bauman descrive una società che vive per il consumo e trasforma tutto in merce, in cui il valore supremo è il diritto/obbligo alla ricerca di una felicità istantanea.

30 Z. Bauman, Modernità liquida, cit..

31 Z. Bauman, Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi, Editori Laterza,

Roma-Bari, 2006.

32 Z. Bauman, Vita liquida, Editori Laterza, Roma-Bari, 2008.

33 Z. Bauman, Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli

esclusi, Erikson, Gardolo, 2007.

34 Z. Bauman, Modus Vivendi. Inferno e utopia del mondo liquido, Editori Laterza,

Roma-Bari, 2007.

35 Z. Bauman, Paura Liquida, Editori Laterza, Roma-Bari, 2008.

36 Z. Bauman, Consumo dunque sono, Editori Laterza, Roma-Bari, 2008. 37 Z. Bauman, Capitalismo parassitario, Editori Laterza, Roma-Bari, 2009.

38 Z. Bauman, Modernità e globalizzazione, Intervista di Giuliano Battiston, Edizioni

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La globalizzazione, il capitalismo senza regole, il consumismo sfrenato, sono tutti fenomeni concatenati che alienano l’uomo, lo distruggono e, isolandolo dagli altri, lo rendono vittima di una frustrazione irrisolvibile in una società impaurita e impotente che non riesce a trovare alternative all’esistente.

Ciò che rende affascinante ed interessante la sociologia di Bauman è la sua capacità di parlare al mondo, il suo mettersi sempre dalla parte dell’essere umano e riuscire a sintetizzare in modo comprensibile complessi fenomeni sociali.

Se cerchiamo «Bauman» su Google vediamo comparire più di dieci milioni di risultati; su Facebook abbiamo pagine di fan e gruppi creati da persone che raccontano di come Bauman abbia cambiato le loro vite; le sue conferenze e gli incontri a cui ha partecipato hanno suscitato un interesse più simile a quello che viene mostrato di solito per un divo del mondo dello spettacolo, come dimostrato anche nell' ottobre 2011 in occasione del citato incontro tenuto a Roma, caratterizzato da posti in piedi e caccia all’autografo.

Questa tesi, permeata dall’entusiasmo da me stessa provato nel trovarmi di fronte una personalità così importante ed affascinante, pone l’attenzione da un lato sull’individuo consumatore, in preda ad un costante impulso di acquisire e possedere per poi disfarsi immediatamente del prodotto acquistato per sostituirlo con uno più appagante e dall’altro sull’amore “liquido” e sui rapporti di coppia, divenuti anch’essi una merce di consumo.

Partendo da un’analisi del nuovo concetto di modernità liquida espresso da Bauman, viene approfondita l’investigazione sulla condizione umana all’interno della società attuale, concentrando l’attenzione principalmente sull’homo consumens e sulla sua continua ricerca della felicità tramite la crescita dei consumi.

L’analisi si sposta poi sul rapporto di coppia evidenziando come il legame affettivo sia ormai ridotto ad un prodotto “usa e getta” che deve avere il carattere di sostituibilità in ogni momento, con evidenti ed inquietanti analogie tra il rapporto amoroso ed il consumismo “soddisfatti o rimborsati”; concludendo infine con la visione della società futura nelle riflessioni di Bauman, società in cui, come conseguenza della globalizzazione, emergono le due tipologie in cui sono divisi

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gli abitanti della terra: il turista (che convive con la paura che il suo status possa cambiare improvvisamente) e il vagabondo (che non è in grado di sostenere i ritmi di consumo che la società impone e che invidia la vita del turista), protagonisti inconsapevoli di una vita sempre più ineluttabilmente liquida.

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Capitolo 1. La Modernità Liquida

«C’è uno sgradevole aroma di impotenza nella gustosa pietanza della libertà cucinata nel calderone dell’individualizzazione»39.

1.1 Introduzione generale

Per comprendere la natura della nuova e attuale fase della storia nella modernità, dobbiamo, secondo Bauman, considerare i concetti di fluidità e liquidità ed interrogarci se la storia della modernità non fu fin dall'inizio un lungo processo di liquefazione. I liquidi a differenza dei corpi solidi non mantengono una forma propria, non fissano lo spazio e non legano il tempo, sono in continuo movimento e mutamento, sono come delle «istantanee sul cui retro occorre sempre apporre la data»40.

«I fluidi viaggiano con estrema facilità. Essi “scorrono”, “traboccano”, “si spargono”, “filtrano”, “tracimano”, “colano”, “gocciolano”, “trapelano”; a differenza dei solidi non sono facili da fermare: possono aggirare gli ostacoli, scavalcarli, o ancora infiltrarvisi. […] La straordinaria mobilità dei fluidi è ciò che li associa all’idea di leggerezza. […] Sono questi i motivi per considerare la “fluidità” o la “liquidità” come metafore pertinenti allorché intendiamo comprendere la natura dell’attuale e per molti aspetti nuova fase nella storia della modernità»41.

Se consideriamo la modernità attraverso lo sguardo rivoltole da autori quali M. Weber e A. De Tocqueville, scopriamo infatti che lo spirito moderno si poneva come obiettivo quello di fondere i corpi solidi che una società ormai refrattaria al

39 Z. Bauman, Modernità liquida, cit.. 40 Z. Bauman, Modernità liquida, cit. p. VI. 41 Ibidem.

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cambiamento aveva costruito per sostituirli con elementi più nuovi e migliori; i primi corpi solidi ad essere liquefatti furono in generale gli obblighi etici e religiosi e la fedeltà alla tradizione che caratterizzavano e tenevano unite le società pre-moderne e che impedivano e soffocavano qualsiasi spirito d'iniziativa. Nella teoria critica classica di Adorno e Horkheimer, «la modernità pesante/solida/compatta/sistemica […] aveva un’endemica tendenza al totalitarismo. […]. Quella modernità era un nemico giurato della contingenza, della varietà, dell’ambivalenza, dell’indocilità e dell’idiosincrasia, tutte “anomalie” cui aveva giurato guerra; e tutti si aspettavano che le prime vittime della crociata sarebbero state la libertà e l’autonomia individuale»42.

Icone principali di quel tipo di modernità possono considerarsi la fabbrica fordista, caratterizzata da attività standardizzate e da movimenti preprogrammati e da eseguire meccanicamente senza permettere alcuna libertà individuale; il Panopticon, questo luogo inventato da J. Bentham e ripreso da M. Foucault, nel quale le persone vivono costantemente controllate e sorvegliate dal potere, potere che aveva la possibilità di contare sulla sua velocità e facilità di spostamento per tenere sotto controllo i propri sudditi; il Grande Fratello che premia il fedele e punisce l'infedele ed infine il Konzlager, in cui chi non era abbastanza malleabile era destinato a morire di stenti e fatiche oppure gettato in una camera a gas o in un forno crematorio.

La società attuale può ancora definirsi moderna in quanto caratterizzata dalla «compulsiva e ossessiva, continua, irrefrenabile, sempre incompleta modernizzazione; l’incontenibile e inestinguibile sete di distruzione creativa (o di creatività distruttiva, a seconda dei casi; di “fare piazza pulita” in nome di un progetto “nuovo e migliore”; di “smantellare”, “tagliare”, “eliminare gradualmente”, “fondere” o “ridimensionare”, il tutto in funzione di una futura maggiore capacità di fare meglio la medesima cosa: accrescere la produttività o la competitività)»43.

42 Ivi, p. 15.

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Essere moderni significava allora e significa oggi, essere incapaci di fermarsi e di restare fermi; l’uomo a detta di Max Weber è condannato a muoversi continuamente non tanto a causa del ritardo della gratificazione ma a causa dell’impossibilità di sentirsi gratificato; la realizzazione è sempre un progetto lontano e i successi ottenuti perdono attrattiva e capacità di soddisfare nel momento stesso in cui vengono ottenuti.

La modernità di oggi differisce però da quella precedente per due motivi: il crollo dell'illusione protomoderna da un lato, ossia della convinzione che esista un telos, un fine da perseguire per poter raggiungere uno stato di perfezione, una sorta di società giusta e perfetta in cui ci sia un ordine completamente privo di conflitti e dall'altro l'autoaffermazione dell'individuo come protagonista e la deregolamentazione e privatizzazione dei compiti e dei doveri.

Queste trasformazioni che tutti noi stiamo vivendo, provocano la «sempre più rapida liquefazione delle strutture e delle istituzioni sociali»44.

Non esiste più la società a cui rivolgersi per la speranza di un miglioramento, adesso tutto è focalizzato sull’individuo che sceglie liberamente i propri modelli di felicità, assumendosi la piena responsabilità per le conseguenze derivanti dall’aver scelto uno stile di vita rispetto ad un altro.

Il passaggio dalla modernità solida a quella fluida, indica che tutte le certezze su cui si è costruita la modernizzazione fino ad oggi stanno venendo meno, sostituite da una fase di sfrenata deregolamentazione e flessibilizzazione dei rapporti sociali; non sorprende, allora, che questa nuova fase veda al centro del suo sviluppo proprio l’individuo; si assiste quindi alla continua ed incessante attività di individualizzazione che porta lentamente alla fine della nozione di cittadino.

L’individuo diventa il peggior nemico del cittadino: quest’ultimo tende a ricercare il proprio benessere attraverso il benessere della città mentre l’individuo è diffidente e disinteressato a temi quali causa o bene comune, il senso dell’interesse comune è di procurare un vantaggio o una gratificazione al singolo.

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Le azioni comuni sono un limite alla libertà individuale, quello che ci si aspetta dal potere pubblico è che garantisca il rispetto dei diritti umani in modo da consentire all’individuo di realizzare in sicurezza e tranquillità i propri scopi.

C’è un conflitto perenne tra il desiderio di libertà e il bisogno di sicurezza che porta l’uomo ad avere costantemente paura della solitudine.

«C’è uno sgradevole aroma di impotenza nella gustosa pietanza della libertà cucinata nel calderone dell’individualizzazione; un’impotenza avvertita come ancor più odiosa e frustrante se si pensa al potere che - si riteneva - la libertà avrebbe conferito»45.

Il prezzo che il singolo deve pagare per questa libertà è l’insicurezza generata dalla moltitudine di scelte a cui deve pensare una persona libera, «senza la convinzione che le nostre mosse avranno i risultati previsti, che gli investimenti di oggi porteranno i guadagni di domani e che stare alla larga dalle opzioni che oggi ci appaiono negative non si trasformerà domani in una dolorosa perdita»46.

L’individualizzazione porta agli uomini una libertà di sperimentazione senza precedenti ma al contempo anche il peso di sopportarne le conseguenze; cresce infatti il divario tra il diritto di autoaffermazione e la capacità di controllo degli ordinamenti sociali che permettono tale diritto.

Individualizzazione significa guai per la cittadinanza e per la politica basata su di essa e questo perché ormai timori, preoccupazioni ed ansie del singolo riempiono completamente lo spazio pubblico:

«Il “pubblico” viene colonizzato dal “privato”; il “pubblico interesse” è ridotto a mera curiosità per la vita privata dei personaggi pubblici, e l’arte della vita pubblica è confinata alla pubblica esibizione di affari privati e alle pubbliche confessioni di sentimenti privati»47.

45 Z. Bauman, Modernità liquida, cit. p. 27.

46 Z. Bauman, La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza, il Mulino,

Bologna, 2002, p. 61.

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Il condividere l’intimità resta l’unico disperato modo che l’individuo ha di relazionarsi con il prossimo e di costruire una comunità, seppur fragile ed effimera:

«Oggi è la sfera pubblica a dover essere difesa dall’invasione del privato, e ciò, paradossalmente, al fine di accrescere, non ridurre, la libertà individuale»48.

Secondo Bauman siamo di fronte ad una società sempre più atomizzata, formata da individui alle prese con il compito di trovare soluzioni individuali a problemi generati a livello sociale puntando sulle proprie capacità personali; «l'avvento della società liquido-moderna ha segnato la fine delle utopie incentrate sulla società e, più in generale, il tramonto dell'idea di “società buona”»49 da cui

dipendono il benessere e la dignità di ogni singola vita.

«Le cause del cambiamento non sono semplicemente riconducibili ad un mutato stato d'animo dell'opinione pubblica, un minor anelito di riforma sociale, l'assopirsi di un interesse per il bene comune e gli ideali della buona società, il voltare le spalle all'impegno politico o l'ondata montante di sentimenti edonistici ed egoistici [...]. Le cause del cambiamento sono più profonde, radicate nella profonda trasformazione dello spazio pubblico e, più in generale, nel modo in cui la società moderna opera e perpetua se stessa»50.

Nella società liquido-moderna le situazioni in cui gli uomini si trovano ad agire si modificano prima ancora che i loro modi di agire riescano a diventare abitudini consolidate; la vita liquida come la società liquida non è in grado di mantenere la propria forma, gli individui non hanno la capacità di concretizzare i propri risultati in beni duraturi:

«[…] in un attimo, infatti, le attività si traducono in passività e le capacità in incapacità. Le condizioni in cui si opera e le strategie formulate in risposta a tali

48 Ivi, p. 48.

49 Z. Bauman, Vita liquida, cit. p. XX Introduzione. 50 Z. Bauman, Modernità liquida, cit. p. 14.

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condizioni invecchiano rapidamente e diventano obsolete prima che gli attori abbiano avuto una qualche possibilità di apprenderle correttamente»51.

In questa vita precaria e caratterizzata dall'incertezza, non è possibile trarre lezioni dall'esperienza poiché le circostanze mutano velocemente ed in modo imprevisto ed imprevedibile. Il tempo prende il sopravvento sullo spazio in una società in continuo cambiamento; processi, strategie di vita e di lavoro, comportamenti, invecchiano rapidamente e diventano obsoleti, prima che gli stessi attori abbiano la possibilità di apprenderne completamente tutte le implicazioni.

«Il mondo attorno a noi è tagliuzzato in frammenti scarsamente coordinati, mentre le nostre vite individuali sono frammentate in una serie di episodi mal collegati fra loro»52.

L’uomo cessa di avere un’identità innata, «Dover diventare ciò che un altro è costituisce l’elemento peculiare della vita moderna, e solo ed esclusivamente di questa vita»53.

L’individuo della modernità liquida, soggiogato da una continua ed estenuante ricerca della propria identità tramite la propria autorealizzazione ed il proprio piacere, non è più capace di vivere in un noi comunitario, preso com’è dal suo individualismo esasperato.

La ricerca della felicità è l’elemento essenziale e predominante nella vita dell’uomo, ricerca che ha nello shopping sfrenato la soluzione.

La società liquida infatti si presenta come un mondo ricolmo di opportunità, una più accattivante dell’altra; «perché le possibilità restino infinite, a nessuno è consentito pietrificarsi in una realtà perenne. Meglio che restino liquide e fluide, con tanto di “data di scadenza”, onde evitare il pericolo che impediscano di

51 Z. Bauman, Vita liquida, cit. p. VII Introduzione. 52 Z. Bauman, Intervista sull’identità, cit. p. 4. 53 Z. Bauman, Modernità liquida, cit. p. 23.

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cogliere altre opportunità e distruggano sul nascere l’avventura che sta per iniziare»54.

Ma non si comprano solo beni alimentari, automobili o scarpe.

«Facciamo shopping per cercare i mezzi necessari a guadagnarci da vivere e i modi per convincere potenziali datori di lavoro che li possediamo; il tipo di immagine che ci piacerebbe avere e i modi per far credere agli altri che siamo ciò che appariamo; modi di fare nuove amicizie e di liberarci di quelle vecchie che non desideriamo più; modi per attirare l’attenzione e modi per sfuggire all’occhio indagatore; modi per trarre il massimo godimento dall’amore e modi per evitare di diventare “dipendenti” dal partner amato o che ci ama; modi per conquistare l’amore della persona amata e il modo meno costoso per troncare una relazione allorché l’amore svanisce; i miglior espedienti per risparmiare denaro per i giorni bui e il modo più conveniente di spenderlo ancor prima di averlo guadagnato; […] La lista della spesa non finisce mai. […] L’odierno consumismo, tuttavia, non è più incentrato sul soddisfacimento dei bisogni, neanche i più sublimi»55.

Inizialmente il bisogno ha lasciato il posto al desiderio, che per sua natura è destinato a restare insaziabile e continuamente alimentato dal mercato, poi lo stesso desiderio è stato abbandonato; ormai ciò che muove il consumismo è il capriccio, per cui l’acquisto diventa casuale, imprevisto, spontaneo, immediato e bambinesco.

La dipendenza da shopping nasconde in sé però una difficile e quotidiana lotta alle incertezze della vita, i consumatori cercano una «via di fuga dall’agonia chiamata insicurezza. Desiderano essere, una volta tanto, liberi dalla paura di sbagliare, di essere abbandonati o ignorati. Desiderano essere una volta tanto, sicuri di sé, fiduciosi; e la magica virtù degli oggetti individuati nel corso dello shopping è che sono tutti corredati (o così sembra al momento) della promessa della certezza»56.

54 Ivi, p. 61.

55 Ivi, p. 77. 56 Ivi, p. 86.

(21)

«La cultura consumistica è contrassegnata dalla costante pressione a essere qualcun altro. I mercati dei beni di consumo sono imperniati sulla svalutazione delle loro precedenti offerte, in modo da creare nella domanda del pubblico uno spazio che sarà riempito dalle nuove offerte. Essi alimentano l’insoddisfazione nei confronti dei prodotti usati dai consumatori per soddisfare i propri bisogni, e coltivano un perenne scontento verso l’identità acquisita e verso l’insieme di bisogni attraverso i quali viene definita. Cambiare identità, liberarsi del passato e ricercare nuovi inizi, lottando per rinascere: tutto ciò viene incoraggiato da quella cultura come un dovere camuffato da privilegio»57.

In una società dei consumi la libertà individuale si manifesta tramite la condivisione della dipendenza da shopping; l’identità che tutti cercano, unica ed individuale, può essere acquistata solo tramite il prodotto pubblicizzato dal mercato e acquistato da tutti. I mezzi di comunicazione giocano un ruolo importante nel processo di acquisizione dell’identità voluta:

«La vita desiderata tende ad essere la vita “come la si vede in TV”. La vita sugli schermi prevarica e spoglia di qualsiasi attrattiva la vita vissuta: è la vita vissuta ad apparire irreale e continuerà ad apparire tale fino a quando non sarà a sua volta rimodellata in immagini da schermo»58.

Maggiori sono i piaceri e le libertà mostrate nello schermo e più seduttive le tentazioni in mostra nelle vetrine dei negozi, maggiore diventa la percezione di impoverimento della realtà e il desiderio di assaggiare quel «buffet ricolmo di prelibatezze»59.

I luoghi dello shopping diventano quindi dei luoghi senza luogo, degli spazi in cui godere di libertà e sicurezza, templi in cui «gli acquirenti/consumatori possono […] trovare ciò che cercavano, strenuamente quanto vanamente, all’esterno: il

57 Z. Bauman, Consumo, dunque sono, cit. p. 125. 58 Z. Bauman, Modernità liquida, cit. p. 90. 59 Ivi, p. 62.

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confortevole sentimento di appartenenza, la rassicurante impressione di fare parte di una comunità»60.

Si suppone che tutti coloro che si trovano all’interno dei templi dello shopping, siano accomunati da stessi desideri, attirati dagli stessi obiettivi, «essere dentro costituisce una vera comunità di fedeli, uniti sia dai mezzi che dai fini, dai valori in cui si crede e dalla conseguente logica comportamentale. Nel complesso, un viaggio negli “spazi del consumo” è un viaggio in quella comunità tanto agognata che, come la stessa esperienza dello shopping, è oggi perpetuamente “altrove”»61.

Il consumatore, in perenne movimento tra le offerte del mercato, è sempre alla ricerca del maggiore godimento possibile da trarre dall’oggetto appena acquistato e questa sua inclinazione la ritroviamo anche nelle relazioni, considerate in base all’indice di soddisfacimento che possono arrecare.

Le relazioni affettive nella società liquida moderna hanno quindi la stessa caratteristica di flessibilità, fragilità e temporaneità di qualsiasi rapporto di consumo; sono provvisorie, instabili e precarie. Si parla di connessioni, di reti da cui è facile scollegarsi.

«A differenza di “relazioni”, “parentele”, “partnership” e di nozioni simili che puntano l’accento sul reciproco impegno ed escludono o passano sotto silenzio il loro opposto, il disimpegno e il distacco, il termine “rete” indica un contesto in cui è possibile con pari facilità entrare e uscire; impossibile immaginare una rete che non consenta entrambe le attività. In una rete connettersi e sconnettersi sono entrambe scelte legittime, godono del medesimo status e hanno pari rilevanza. […] In una rete le connessioni avvengono su richiesta e possono essere interrotte a proprio piacimento»62.

Le promesse di impegno a lungo termine sono ormai insignificanti, anche il matrimonio, così come un oggetto di consumo qualsiasi, è divenuto un modello flessibile, part-time di stare insieme, una relazione tascabile che è facile smaltire nel momento in cui non offre più piacere e soddisfazione.

60 Ivi, p. 110.

61 Ivi, p. 111.

(23)

Le conseguenze di questa fluidità e liquidità della vita sui legami affettivi che si instaurano nella società moderna, saranno i temi che verranno investigati in questa tesi.

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1.2 La condizione umana nella Modernità Liquida

La vita liquida è precaria ed incerta, è una successione di nuovi inizi, l’uomo vive con la costante paura di non riuscire a tenere il passo con i nuovi avvenimenti che si muovono velocemente, teme di restare indietro, di non accorgersi della “data di scadenza” e di restare intrappolato nel possesso di qualcosa che in realtà non è più desiderabile; «sapersi sbarazzare delle cose diventa più importante che acquisirle»63.

«“Vita liquida” e “modernità liquida” sono profondamente connesse tra loro. Liquido è il tipo di vita che si tende a vivere nella società liquido-moderna. Una società può essere definita “liquido-moderna” se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure. Il carattere liquido della vita e quello della società si alimentano e si rafforzano a vicenda. La vita liquida, come la società liquido-moderna, non è in grado di conservare la propria forma o di tenersi in rotta a lungo»64.

La sopravvivenza di questo tipo di società dipende dalla velocità con cui i prodotti vengono portati alla discarica e gli scarti eliminati. Nulla deve restare più dello stretto necessario perché la società liquido-moderna deve modernizzarsi attraverso una distruzione creatrice che travolge però anche gli uomini. Nella società dei consumi nessuno può evitare di essere oggetto di consumo e l’unica via di salvezza dell’uomo è quella di correre sempre più velocemente per evitare di finire nella discarica tra gli scarti.

La vita liquida si alimenta grazie ad una costante e continua insoddisfazione dell’io rispetto a se stesso: «accanto alla linea di produzione che sforna consumatori felici ce n’è un’altra, meno pubblicizzata ma non per questo meno

63 Z. Bauman, Vita liquida, cit. p. VIII Introduzione. 64 Ivi, p. VII.

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efficiente, che fabbrica persone squalificate ed escluse sia dalla festa dei consumi che dalla corsa all’individualizzazione»65.

Il senso di incertezza e di insoddisfazione, che consegue ad uno stile di vita consumistico e competitivo, condanna l’uomo a vivere in un’incertezza permanente, che è causa ed effetto di precarietà emozionale ed instabilità relazionale e valoriale.

La società punta a far sì che l'essere umano sia un consumatore sempre più distante dai bisogni delle persone che gli stanno accanto, tagliato dai legami con gli altri. La crescente individualizzazione spinge le persone a distaccarsi sempre di più dall’arena sociale e politica, gli individui sono «in competizione tra loro e […] la solidarietà collettiva (a meno che non si presenti sotto forma di coalizioni temporanee, basate sulla convenienza, ovvero di legami umani stretti e sciolti su richiesta e con l’indicazione “senza obblighi o limitazioni”)» viene «avvertita per lo più come irrilevante, se non addirittura controproducente»66.

La mancanza di punti di riferimento spinge l’uomo ad inseguire forme identitarie in continua mutazione.

Le identità vecchio stile, tutte d’un pezzo, certe, definite, monolitiche e non negoziabili, oggi sono divenute semplicemente inadatte. Bauman ricorda le parole di un manifesto che, affisso sui muri di Berlino nel 1994, descriveva con ironia il mosaico che caratterizza il nostro vivere quotidiano e la nostra identità polimorfa postmoderna:

«Il tuo Cristo è un ebreo. La tua macchina è giapponese. La tua pizza è italiana. La tua democrazia greca. Il tuo caffè brasiliano. La tua vacanza turca. I tuoi numeri arabi. Il tuo alfabeto latino. Solo il tuo vicino è uno straniero»67.

L’individuo cessa di essere se stesso, adotta in tutto e per tutto il tipo di personalità che gli viene offerta dai modelli culturali e perciò diventa esattamente come tutti gli altri, come questi pretendono che egli sia.

65 Ivi, p. 16.

66 Z. Bauman, Danni collaterali, Editori Laterza, Roma-Bari, 2014, p. 12. 67 Z. Bauman, Intervista sull’identità, cit. pp. 28-29.

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La persona che rinuncia al suo io individuale «diventa un automa, identico a milioni di altri automi che la circondano, non deve più sentirsi sola e ansiosa. Ma il prezzo che paga è alto; è la perdita del suo io»68.

L’individualità, la ricerca del “vero me stesso”, appare come un obiettivo da svolgere individualmente, «un compito affidato dalla società ai suoi membri»69; ma è un obiettivo che, nel momento stesso in cui è dato, è destinato a non essere mai raggiunto.

In una società di questo tipo si crea quindi un paradosso di fondo: se essere individui significa “essere tutti diversi”, allora ognuno è uguale all’altro. In una società individualista «ciascuno deve essere un individuo: almeno in questo senso, chi fa parte di una simile società è tutto fuorché un individuo diverso dagli altri, o addirittura unico»70. Il conformismo accusato un tempo di soffocare

l’individualità, diventa adesso il miglior amico dell’individuo perché «è solo seguendo la norma cui obbedisce la generalità che si può pensare di soddisfare le richieste d’individualità» 71.

E ancora

«La contesa per l’unicità è ormai il principale motore della produzione e del consumo di massa. […] L’unicità è ormai segnata e misurata dalla differenza tra ciò che è ‘aggiornato’ e ciò che è ‘superato’, o piuttosto tra le merci di oggi e quelle di ieri che sono ancora ‘aggiornate’ e che perciò si trovano ancora esposte nei negozi»72.

La costruzione dell’identità diventa un processo sempre più difficile da realizzare con sicurezza e progettualità, diventa incerta e problematica perché l'individuo non abita più in un mondo stabile, costante, durevole nella sua solidità: il mondo che conosce l'uomo attuale è un mondo che si crea e si ricrea continuamente, caratterizzato dalla categoria dell'avere e del possesso.

68 E. Fromm, Fuga dalla libertà, Mondadori, Milano, 2011, p. 160. 69 Z. Bauman, Intervista sull’identità, cit. p. 7.

70 Z. Bauman, Vita liquida, cit. p. 4. 71 Ivi, p. 14.

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«Nella società dei consumatori liquido-moderna nessuna identità è un dono ricevuto alla nascita, nessuna identità è “data” e tanto meno lo è una volta per tutte e in modo sicuro. Le identità sono progetti: compiti da assumersi e svolgere con impegno fino a un completamento infinitamente remoto. Anche nel caso di quelle identità che aspirano ad essere e/o sono ritenute “date” e non negoziabili, l’obbligo di compiere uno sforzo individuale per appropriarsene e di combattere quotidianamente per conservarle è presentato e percepito come il principale requisito e la condizione indispensabile del loro essere “date”. A chi è negligente, fiacco e indolente, e ancor più al rinnegato, all’ambiguo e al fedifrago, sarà negata la possibilità di invocare il proprio diritto di nascita.

L’identità […] è una sentenza di condanna ai lavori forzati a vita» ed una «fonte inesauribile di capitale per i produttori di avidi e infaticabili consumatori e per i venditori di beni di consumo»73.

Nella società liquido-moderna il mercato dei consumi diventa quindi il miglior amico dell’uomo, che si identifica con le cose che possiede, se non possiede nulla la sua esistenza viene negata, ne consegue che «Per essere individui, nella società degli individui, bisogna tirar fuori i soldi, un sacco di soldi; la corsa all’individualizzazione non è aperta a tutti, e seleziona i concorrenti in base alle loro credenziali»74.

La tendenza e la deriva della società occidentale è quella di aver sostituito l'Essere con l'Avere, per cui l'individuo trae la consapevolezza del suo essere Io, la sua identità, da ciò che ha e possiede (oggetti, macchine, denaro, ruolo sociale, amicizie, persone, il suo stesso Io, la sua stessa identità personale): gli oggetti non servono più soltanto a soddisfare un bisogno, gli oggetti sono uno status-symbol.

«I consumatori moderni possono etichettare se stessi con questa formula: io sono = ciò che ho e ciò che consumo»75.

73 Z. Bauman, Consumo, dunque sono, cit. pp. 138-139. 74 Z. Bauman, Vita liquida, cit. p. 15.

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In tale condizione l'uomo possiede le cose ma è vera anche la situazione inversa e cioè che le cose possiedono l'uomo.

Mentre coscientemente l'individuo cerca la realizzazione di sé attraverso il possesso, inconsciamente decrementa il valore dell'Essere e le sue qualità umane, divenendo dipendente da oggetti esterni a sé e quindi alienando il suo vero Sé, il nucleo centrale della sua identità ed essenza umana.

Gli uomini sono stranieri a loro stessi, imparano che l'immagine di sé è più importante della loro personalità e dal momento che verranno giudicati da chi incontrano in base a ciò che possiedono e all'immagine che rinviano e non in base al carattere o alle loro capacità, tenderanno a fare della loro vita una rappresentazione e soprattutto a percepirsi con gli occhi degli altri, fino a fare del loro Sé uno dei tanti beni di consumo da immettere sul mercato.

Caratteristica dell’uomo nella modernità liquida è quindi il restare in costante movimento per non lasciarsi sfuggire le occasioni che la vita può offrire e che pensa possano procurargli una nuova identità ed una soddisfazione immediata; l’individuo non è legato più alla gratificazione futura e al piacere ritardato (tipici della modernità solida); nella società liquida tutto è pensato affinché possa dare un piacere immediato e tutto deve durare il tempo necessario per godere di quella gratificazione. Si assiste quindi ad una continua produzione di cose che possano sostituire quelle in uso, pubblicizzate dal mercato con l’ingannevole promessa di una felicità superiore ed immediata.

Ed il mercato non vivrebbe se gli uomini non desiderassero rinnovare velocemente ciò che hanno:

«Esso non può tollerare, pena la propria sopravvivenza, clienti fedeli e impegnati, o semplicemente capaci di mantenere un percorso coerente e coeso, senza lasciarsi distrarre o fare giri inutili […]. Il mercato subirebbe un colpo mortale se lo status degli individui non si sentisse a rischio, se le loro conquiste e i loro averi fossero al sicuro, i loro progetti definiti e la fine delle loro difficili imprese all’orizzonte»76.

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La sindrome consumista ha permeato anche i rapporti umani, per cui il partner ad un certo momento diventa obsoleto, non più attuale e quindi da cambiare. Anche nelle relazioni, la società dei consumi rende permanente l’insoddisfazione e legittima il cambiamento: un cambiamento che diventa ossessivo, compulsivo. Come per i normali consumi, la fedeltà diviene motivo di imbarazzo, anziché di orgoglio.

«Le “nuove e migliorate” relazioni a “basso impegno” riducono la loro durata prevista alla durata della soddisfazione che offrono: l’impegno è valido finché questa non finisca o non scenda sotto uno standard accettabile, e non un momento di più» 77.

La flessibilità dei legami sociali ha come risultato paradossale quello di aumentare il fascino dell’idea comunitarista dei rapporti interumani: la cosa è paradossale in quanto la società fluido-moderna spinge senza sosta verso l’individualizzazione di tutti i legami sociali, mentre la continua ricerca dell’appartenenza spinge a creare una nuova solidarietà tra gli individui della comunità che sappia controbilanciare la crescente insicurezza del mondo fluido moderno; la comunità, insomma, è oggi l’unico luogo nel quale l’uomo trova riparo dalle crescenti insicurezze della società liquida moderna.

Gli individui cercano “un noi” di cui entrare a far parte, gruppi mediati elettronicamente, fragili e virtuali da cui però è facile uscire, comunità “flessibili” e “a tempo”, che si possano smontare facilmente e che facciano leva unicamente sui sogni e desideri del singolo.

Le comunità odierne, in pieno accordo con le caratteristiche delle identità dell’era liquido-moderna, sono effimere, transitorie, «Il loro arco vitale è breve e al contempo pieno di parole senza senso. Il loro potere emana non dalla loro durata prevista ma, paradossalmente, dalla loro precarietà e incertezza del futuro, dalla vigilanza e dall’investimento emotivo che la loro fragile esistenza reclama a gran voce»78.

77 Z. Bauman, L’arte della vita, Editori Laterza, Roma-Bari, 2010, p. 21. 78 Z. Bauman, Modernità liquida, cit. p. 235.

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Bauman le definisce comunità guardaroba o carnevalesche, comunità che «rompono la monotonia della solitudine quotidiana, e come tutti gli eventi ricreativi fanno defluire la pressione accumulata e consentono ai festaioli di sopportare meglio la routine alla quale devono tornare una volta finita la festa»79.

Le comunità guardaroba hanno bisogno di uno spettacolo che riesca a convogliare tutti gli individui con interessi simili, senza però che le preoccupazioni singole si trasformino in interessi di gruppo.

Le comunità sono una risposta al bisogno di sicurezza e punti di riferimento dei “solitari cittadini globali” però paradossalmente l’unica cosa che ne deriva è l’accentuazione dei processi di esclusione, ghettizzazione e frammentazione all’interno della società, ovvero le stesse ragioni che impediscono il costituirsi di una comunità politica intessuta di comune e reciproco interesse, unica via percorribile, secondo Bauman, per contrastare gli effetti devastanti e dirompenti della globalizzazione.

«Uno degli effetti prodotti dalle comunità guardaroba/carnevalesche è quello di impedire il condensarsi di comunità “reali” (vale a dire onnicomprensive e durature) che esse minano e che promettono (ingannevolmente) di replicare o di creare dal nulla. Esse disperdono anziché condensare l’inutilizzata energia degli impulsi socializzanti e in tal modo contribuiscono al perpetuarsi di quella solitudine che cerca disperatamente ma vanamente rimedio in rare iniziative collettive concertate e armoniose.

Lungi dall’essere una cura per le sofferenze nate dall’incolmato e apparentemente incolmabile divario tra la sorte dell’individuo de iure e il destino dell’individuo de facto, esse sono i sintomi e a volte le cause del disordine sociale caratteristico della condizione liquido-moderna»80.

79 Ivi, p. 237.

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1.3 Condizione di Interregno e crisi odierna

Il termine “crisi” (dal greco krisis = separazione, scelta, decisione) rimanda etimologicamente al concetto di rottura, al momento che separa un “modo di essere” diverso da un altro precedente; nel significato datole da Ippocrate come periodo di svolta e decisione e non come catastrofe, ci comunica che occorre reinventarsi perché così non è più sostenibile andare avanti, non possiamo continuare sulla stessa strada senza apportare modifiche a noi stessi o al contesto entro cui ci muoviamo.

Dal punto di vista sociale essere in un periodo di crisi significa trasformare gli schemi che si rivelano non più adeguati a far fronte alla situazione presente; dal punto di vista individuale la crisi si riferisce ad un momento della vita caratterizzato dalla rottura dell'equilibrio precedentemente acquisito.

Come sostiene Ezio Mauro:

«Come un esercito invasore in un regno addormentato, la crisi sta attraversando con una facilità sorprendente tutta l’impalcatura materiale, istituzionale, intellettuale della costruzione democratica che l’Occidente si è dato nella tregua del dopoguerra. Governi, parlamenti, corpi intermedi, soggetti sociali, antagonismi, welfare state, partiti e movimenti nazionali, internazionali, continentali. Come a dire, tutto ciò che avevamo creato al fine di sviluppare e articolare il meccanismo della democrazia per proteggerci nel nostro vivere insieme. […] La democrazia non basta a sé stessa»81.

Nella società attuale purtroppo però l'individuo è portato ad accettare la realtà come dato di fatto, senza riflettere criticamente sulla possibilità di trasformare i vincoli in risorse.

Secondo Bauman, attualmente il problema principale non è più cosa fare, poiché le questioni aperte sono infinite, ma chi siano gli agenti sociali in grado di risolvere i problemi. Viviamo in una sorta d’interregno gramsciano, in cui il modo

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di vivere non funziona, ma non si trova una nuova forma di vita che sostituisca il vecchio sistema:

«Viviamo in un tempo di vuoto (simile all’interregnum dell’antica Roma), un periodo in cui i vecchi metodi con cui facevamo andare avanti le cose risultano inefficaci, mentre non ne sono stati ancora inventati di nuovi. È un periodo di cambiamento, non di transizione, perché “transizione” implica un passaggio da un “qui” a un “lì”, e sebbene conosciamo piuttosto bene il “qui” da cui cerchiamo di fuggire non abbiamo idea del “lì” dove vorremmo arrivare. Definire quali fossero i “problemi sociali” su cui intervenire poteva essere un compito difficile ma praticabile al tempo in cui i nostri antenati discutevano su cosa ci fosse da fare, ma erano piuttosto sicuri sul chi lo avrebbe fatto, ovvero lo Stato, un’istituzione potente, dotata di tutto ciò che occorresse per farlo: il potere (la capacità di fare le cose) e la politica (la capacità di decidere quali cose andassero fatte e quali evitate). Oggi invece tutti i poteri che determinano la nostra condizione – la finanza, gli investimenti di capitale, il commercio – sono di natura globale, extraterritoriale, molto al di là della portata di tutti gli organismi politici esistenti; allo stesso tempo, la politica rimane ostinatamente locale, confinata al territorio di un singolo stato. Oggi la domanda vitale è «chi lo farà», nel caso dovessimo decidere ciò che c’è da fare»82.

Le istituzioni cercano di capire come usare le vecchie metodologie per affrontare la crisi ma non hanno capito che devono cercare altrove, che devono trovare soluzioni diverse e nuove.

Anche secondo Ezio Mauro:

«Viviamo in una fase di interregno, e questo può spiegare la crisi della governance, dell'autorità, della rappresentanza. Siamo sospesi tra il “non più” e il “non ancora”, siamo instabili per forza di cose, nulla è solido attorno a noi, nemmeno la direzione di marcia. Non ci sono infatti movimenti politici che, avendo messo in crisi il vecchio mondo, siano oggi pronti a ereditarlo; non c'è

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un'ideologia che selezioni un pensiero vincente e lo diffonda; non c'è uno spirito costituente - morale, politico, culturale - che prometta di dare forma a nuove istituzioni per il mondo nuovo.

Stiamo scivolando verso un territorio sconosciuto e lo facciamo da soli, in ordine sparso, con le forme e i modi che hanno regolato le nostre vite che perdono contorno mentre smarriscono efficacia e autorità. Non usiamo più la politica, diffidiamo delle istituzioni che ci siamo dati, dubitiamo persino della democrazia, che sembrava l'unica religione superstite - e secondo alcuni destinata a diventare universale - dopo la fuga dalle false divinità che avevamo creato nel Novecento. […] In questo strappo del patto tra Stato e cittadino c'è una condanna, come se la democrazia fosse una forma temporanea della costruzione umana e non riuscisse a governare il nuovo secolo appena incominciato, arenata nel Novecento; per definizione e per sua natura, la democrazia non prevede esclusioni: o vale per tutti oppure non funziona. Ma c'è anche un insegnamento: la democrazia dopo aver sconfitto le dittature non ha lo scettro per sempre, deve riconquistarlo ogni giorno rilegittimandosi continuamente, e la politica deve ritornare a occuparsi in concreto della vita delle persone, legando gli interessi legittimi in campo con i valori di cui è portatrice e con gli ideali a cui fa riferimento» 83.

Ed ancora:

«[…] l'interregno è anche il luogo in cui si libera l'irrazionale della decadenza, in una ribellione mossa più dall'angoscia che dalla libertà, dove nascono figure sciamaniche che operano una riduzione carismatica del meccanismo politico, rispondono agli istinti con emozioni, coltivano le paure per risolverle in una grande banalizzazione, come se esistessero soluzioni semplici a problemi complessi. Io chiamo tutto questo “neopopulismo”, e credo sia uno spirito dell'epoca, quello in cui sembra rifugiarsi l'energia politica residua di democrazie estenuate, addirittura una riserva di forza e un'illusione di giustizia che le istituzioni temono di aver smarrito»84.

83 Z. Bauman e E. Mauro, Babel, cit. pp. 18-19. 84 Ibidem.

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In questo momento per Bauman esiste un potere che non è vincolato alla politica ma al mercato ed una politica che soffre di mancanza di potere e si chiede:

«Dove dunque possiamo approdare, noi gente preoccupata […] per lo stato deplorevole della democrazia e per la sempre più evidente impotenza delle istituzioni fondate nel suo nome? Con la politica ridotta a show, i cittadini ridotti a spettatori, il discorso politico ridotto a occasioni per foto di gruppo dei politici, e con la battaglia di idee ridotta a competizione fra spin doctors?»85.

Crollo di autostima e frustrazione pervadono la società a causa dell’incapacità dello Stato di trovare nuovi modelli di vita che possano portare alla fine della crisi odierna, una crisi che vede il monopolio delle ricchezze in mano a pochi che però non sono capaci di risolvere le problematiche sociali.

In questo contesto lo strumento di dominazione è l’incertezza, mentre la politica di precarizzazione diventa la strategia di dominazione; quando la politica si lascia guidare dall’economia intesa come libero gioco delle forze di mercato, l’equilibrio pende verso il mercato, è il mercato ad essere il vero titolare del potere sovrano nella società dei consumatori.

«[…] le attuali istituzioni sociali sono pensate, presentate e costruite sul modello di una società di mercato e della sua “cultura del prendere”. Privilegiano i cittadini che sono concentrati nel perseguimento dei loro interessi individuali e si astengono dall’impicciarsi di faccende e questioni pubbliche. […] ciò che vogliono e ricercano attivamente è che i cittadini si astengano dall’interferire»86.

C’è la tendenza da parte dello Stato di trasferire lateralmente molte delle proprie funzioni in favore del mercato che si oppone alle politiche sostenute dall’elettorato; si manifesta quindi una graduale separazione tra il potere di agire che ormai è in mano ai mercati, e la politica, che sebbene di dominio dello Stato, è

85 Ivi, p. 29. 86 Ivi, p. 28.

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priva della libertà di manovra e della capacità di definire le regole. Lo Stato in ultima analisi diviene quindi l’esecutore della sovranità del mercato, è quest’ultimo a decidere quali siano i bisogni del paese e soprattutto a decidere quali siano i consumatori difettosi di cui la società non ha più bisogno. Non c’è consumatore se non come merce, è la mercificazione a controllare l’accesso al mondo dei consumatori, un paese che affida al mercato la possibilità di redigere le regole ha bisogno di abitanti che siano come delle merci vendibili, per cui è il mercato a valutare quali siano gli esclusi e gli inadeguati ritenuti una mera passività.

«Lo Stato si priva di una sempre più grande dose della sua potenza autarchica, e quindi diventa incapace di assumersi l'insieme delle sue funzioni. Lo Stato, per dovere, ma con l'entusiasmo degno di una causa migliore, delega i propri compiti, anzi lì dà "in affitto" alle forze di mercato, che sono anonime, prive di un volto. Di conseguenza i compiti che sono vitali per il funzionamento e il futuro della società sfuggono alla supervisione della politica e quindi a ogni controllo democratico. Il risultato: si affievolisce il senso di comunità e si frantuma la solidarietà sociale. Se non fosse per la paura degli immigrati e dei terroristi, l'idea stessa dello Stato come un bene comune e una comunità di cittadini sarebbe fallita»87.

Bisogna comprendere il presente per poter controllare il futuro ed è per questo che il cittadino deve essere costantemente aggiornato sui rapidi cambiamenti sociali e politici.

«Le libertà dei cittadini […] sono piantate e radicate in un suolo sociopolitico che richiede di essere concimato quotidianamente ed è destinato ad inaridirsi e sbriciolarsi se non viene coltivato giorno dopo giorno dalle azioni informate di un pubblico competente e impegnato»88.

87 Da In questo mondo di lupi, intervista a Wlodek Goldkorn, L'espresso, anno LIII, n. 52,

3 gennaio 2008, pp. 93 sg.

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Purtroppo invece in questo scenario liquido-moderno si assiste ad un progressivo allontanamento delle persone dalla politica e ad una crescita di apatia e calo d’interesse per il funzionamento del processo politico.

I governi non hanno più gli strumenti per rendere appetibile e attraente il coinvolgimento politico, «sono privi di fiducia non tanto per il sospetto di incompetenza o di corruzione nutrito nei loro riguardi dagli elettori […] quanto a causa dello spettacolo quotidiano che offrono della loro inettitudine e inefficienza» e della «cronica incapacità […] di far fronte alle preoccupazioni che toccano la vita quotidiana e le prospettive di vita dei loro cittadini»89.

Per molti ormai la cittadinanza si è ridotta all’atto di comprare e vendere merci, il mercato ha permeato ogni settore e i cittadini non cercano più di ampliare le loro libertà o rafforzare i propri diritti per agevolare una democrazia sostanziale; ignoranza e indifferenza stanno mettendo a repentaglio la politica democratica che non può restare salda di fronte ad un crescente disinteresse pubblico.

«L’ignoranza produce la paralisi della volontà […], questa sorta d’impotenza dell’elettorato prodotta dall’ignoranza, il diffuso scetticismo sull’efficacia del dissenso e l’indisponibilità a un coinvolgimento politico sono fonti molto richieste e gradite di capitale politico: il dominio attraverso l’ignoranza e l’incertezza deliberatamente coltivate è più affidabile e facile che non il governo fondato sul dibattimento esauriente dei fatti e sullo sforzo prolungato per trovare un accordo sulla verità in materia e sui modi meno rischiosi di procedere. L’ignoranza politica si autoperpetua e per soffocare la voce della democrazia o legare a questa le mani torna comodo servirsi di una corda in cui si intrecciano ignoranza e inerzia»90.

Oggi l’individuo è prima di tutto un consumatore, non un cittadino.

«La cultura consumistica fonda il suo sorprendente successo sulla sua abilità nel deviare le vie che portano all’acquisizione di tutti e singoli i valori essenziali

89 Z. Bauman e E. Mauro, Babel, cit. p. 63. 90 Z. Bauman, Vita liquida, cit. p. 146.

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