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Le oscillazioni dello spazio relazionale: dinamiche identitarie e mobilità territorial

2.2 Confini mobili e regimi di immobilità

Gli effetti della globalizzazione sulle diverse forme di mobilità sono aspetti ben noti e presenti in letteratura: il progressivo innalzamento di muri (reali o virtuali) che tentano di circoscrivere spazi politici e sociali va di pari passo con l’annullamento dei confini su altri spazi.

La libertà di movimento di merci e capitali associata ai processi di innovazione tecnologica consente infatti il costituirsi di uno spazio liscio e privo di confini ma questa non trova, sempre più spesso, una contropartita in termini di generalizzata libertà di movimento accordata agli individui.

L’apparente contraddizione esistente tra queste due “libertà” di circolazione (di merci e capitali da un lato e di individui dall’altro) è da ricercarsi nella logica di produzione e riproduzione di rapporti di disuguaglianza, propria della transizione progettuale di cui si è fin qui trattato.

Lo scenario che fa da sfondo a questi “flussi divergenti”, è quello della riorganizzazione della produzione avvenuta col passaggio da un modello fordista, su base nazionale, ad

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un modello postfordista di superamento o comunque attraversamento dell’apparato strettamente fondato su logiche dello stato-nazione in cui:

«[..] i misteriosi spostamenti del capitale finanziario avvengono in parallelo a nuovi tipi di migrazione, insieme elitaria e proletaria, che crea tensioni mai viste tra le identità da un lato, e dall’altro le origini, la residenza e le aspirazioni di molti migranti nel mercato mondiale del lavoro. Frontiere finanziarie permeabili, identità mobili e tecnologie rapide di comunicazione e transazione producono nel complesso una serie di dibattiti, entro e attraverso i confini nazionali, che costituiscono un nuovo potenziale di violenza [..]» (Appadurai, 2005: 23).

In un tale contesto, alle sistematiche operazioni di “chiusura” si accompagna una concatenazione di dispositivi di confine, in cui la realtà sociale tende a essere attraversata da una indifferenziata e interconnessa rete di poteri politici e economici. Il controllo dell’insieme totale dei movimenti mette in campo un’ambivalente strategia di im/mobilizzazione (Turner 2007), che rimanda alle problematiche affrontate nel precedente capitolo, e che riguarda la necessità che l’attuale sistema, per poter adeguatamente funzionare, ha di “ricostruire” nuove forme di stato:

«Per la loro libertà di movimento e la possibilità illimitata di perseguire i propri fini, la finanza, il commercio e l’industria globale dell’informazione globali dipendono dalla frammentazione politica -il morcellement- della scena mondiale. Avendo tutti sviluppato, si potrebbe dire, un interesse rilevante per la “debolezza statale”, per stati deboli ma tuttavia tali da rimanere stati» (Bauman, 1998: 76).

La rappresentazione di un “mondo in movimento”, derivante anche dalla ridefinizione della cornice discorsiva che innerva il campo dell’antropologia e delle teorie sociologiche in generale, è tesa a narrare un mondo privo di confini, espressione compiuta di apertura e fluidità sociale in cui è sempre più possibile assistere a crescenti forme di interdipendenze “cross-border”, esperienze di cooperazione transfrontaliera, processi di integrazione in entità sovranazionali.

A partire da una serie di linee argomentative centrate sul declino dello stato-nazione, sulla porosità dei confini politici, sul consolidamento di realtà sociali in continuo movimento, diversi autori hanno pertanto sostenuto la necessità di assumere la “mobilità” quale paradigma emergente nelle scienze umane e sociali (Sheller-Urry,

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2006) prospettando una svolta metodologica, nota in ambienti accademici, in termini di mobility turn (Büscher-Urry, 2009; Urry 2000a; 2000b).

La nuova centralità assunta dal fenomeno “mobilità” (Lash-Urry, 1994), è peraltro evidente se si osserva come la maggior parte delle recenti metafore e delle costruzioni concettuali, utilizzate per render conto delle trasformazioni globali in corso, ruoti intorno alle nozioni di movimento, flussi e trasformazioni nel tempo e nello spazio. Tuttavia parlare di mobilità non implica necessariamente essere mobili.

Molti autori hanno infatti posto l’accento sul crescente gap di mobilità, in cui la globalizzazione è piuttosto basata su crescenti restrizioni della circolazione (Sassen, 1999) e in cui tende ad emergere una realtà nella quale ai fenomeni di crescente ipermobilità che riguardano una ristretta cerchia di “cosmocratis” si affiancano tutta una serie di restrizioni alla libertà di movimento, a riprova di come la mobilità continui a rappresentare sostanzialmente una “risorsa scarsa”.

Rigettando una visione di “borderless”, quale compiuta espressione di un mondo post- moderno in cui l’attraversamento continuo dei confini costituirebbe la prova del superamento del ruolo svolto dalle nazioni sul controllo del proprio territorio, Cunningham e Heyman (2004), sostengono che se la mobilità, intesa in termini di processo sociale rappresenta uno dei modi attraverso i quali produrre e esperire il movimento, l’”enclosure” rappresenta il suo inverso, dal momento che sempre come processo sociale non induce bensì piuttosto tende a delimitare e a restringere le possibilità di movimento.

Le strategie di immobilizzazione, elemento strutturale (e funzionale) delle attuali trasformazioni globali, si basano su una configurazione sempre più accentuata del potere di sorveglianza e di controllo su immigrati, rifugiati e stranieri in generale, in cui l’aumento dei sistemi di sicurezza globale tende a essere giustificato “discorsivamente”, nella volontà di proteggere le popolazioni residenziali dalle popolazioni “mobili”, percepite e costruite come una categoria di rischio che individua un “sistema di stratificazione sociale”, teso a “imprigionare” nello spazio individui condannati alla fixity.

A tal proposito, Turner (2007), riprendendo un lavoro di Shamir (2005), sull’esistenza di un "regime globale della mobilità” alla base della produzione di nuovi sistemi di “closure” (Shamir, 2005), parla di crescenti fenomeni di ’”enclave society”, che

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prefigurano diverse forme di immobilità connesse anche ai processi di securizzazione in atto nell’attuale fase di globalizzazione:

“The growth of enclave societies makes the search for cosmopolitan values and institutions a pressing need, but the current trend towards the erection of walls against the dispossessed and the underclass appears to be inexorable” (Turner 2007: 301).

Per tali ragioni, in questa sede, si preferisce utilizzare il concetto speculare di “immobilità”, che consente di descrivere meglio la strutturale ineguaglianza e a- distribuzione della libertà di movimento e anche le diversificate strategie messe in atto per vincolare e/o fissare il movimento nello spazio.