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CONFINI STATALI E MURI INTERNI

CONFINI DELLO SPAZIO

Popolazione 1) a metà 2010; 2) proiezione 2025; 3) proiezione 2050:

4.5 CONFINI STATALI E MURI INTERNI

Definire quali sono i confini di Israele non è impresa facile, in quanto sul piano internazionale la condizione giuridica del territorio israeliano non è affatto omogenea.

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A sud, vigendo un trattato di pace firmato nel 1979 a seguito degli accordi di Camp David dell’anno prima con l’Egitto, si ha una linea di confine definita. Altrettanto ad ovest dove vi sono degli accordi con la Giordania (1994). Questa infatti rinunciò all’amministrazione dei territori perduti nel 1967. Rimane da definire la questione confinaria con la Siria, la quale non può rinunciare al Golan. A nord vige un accordo con il Libano, il cui confine è stato concordato con la supervisione dell’Onu nel 1978 dopo il ritiro di Israele dal Libano del sud. Ben più problematico è il settore che si affaccia alla valle del Giordano.

Un confine vero e proprio tra territori palestinesi ed Israele va riferito, dal punto di vista del diritto internazionale, alla vecchia risoluzione delle Nazioni Unite n. 181 del 1947. Non è però realistico allo stato attuale supporre un accordo tra Autorità palestinese ed Israele per realizzare tale soluzione, che realisticamente anche i palestinesi concordano sia oramai compromessa. La proposta più recente e quella dell’Arabia Saudita che nel 2002 ha proposto la definizione dei confini lungo quelli dell’armistizio del 1967. Anche questa ipotesi appare per altro superata dai fatti.

Se i confini di Israele con l’esterno non sono ancora chiaramente definiti e sono tutt’ora oggetto di contese, discussioni e chiarimenti, sicuramente all’interno dello stato si sta definendo in maniera molto concreta il confine di separazione tra Israele e Palestina. In realtà la Palestina oggi è ancora uno stato virtuale, con un territorio frammentato, ma soprattutto una sovranità limitata.

La costruzione della cosiddetta barriera di separazione, o di sicurezza, segna sul territorio un confine assolutamente definito e praticamente impermeabile. La decisione di avviare questa impresa è stata l’esplosione della seconda intifada (che significa scossa, brivido) palestinese del 2000. Essa fu la reazione a quella che venne considerata una provocazione di Ariel Sharon per una visita da lui effettuata assieme

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ad una delegazione del Likud, il suo partito, con la protezione di centinaia di polizzini in tenuta anti sommossa, alla spianata delle moschee.

Sharon intendeva sottolineare che la reale sovranità del luogo santo agli arabi era dello stato israeliano. La provocazione sortì effetto poiché venne effettuata in un momento di grandissima tensione con la popolazione araba, frustrata per il fallimento degli incontri negoziali di Camp David che si erano appena conclusi mentre Israele continuava nella sua politica degli insediamenti in territori della Cisgiordania.

Naturalmente in questo clima, da parte araba, i gruppi politici che si avvantaggiava nei consensi erano quelli estremistici di Hamas e della Jihad Islamica. Il fatto più significativo della seconda intifada fu l’attiva partecipazione alla rivolta di arabi israeliani, evento che non si era mai verificato prima. Fu anche caratterizzata da un alto numero di attentati suicidi palestinesi in centri di aggregazione sociali ebraici. Tale violenza portò il governo Israeliano a decidere la costruzione della barriera.

La motivazione fu quindi quella di preservare la popolazione ebraica da attentati suicidi organizzati dalla guerriglia palestinese.

Il progetto iniziale prevedeva la costruzione di circa 700 chilometri di barriere. Progetto che in realtà non è ancora definito a causa delle continue pressioni internazionali sulla sua legittimità.

Il primo progetto risale alla fine degli anni ‘90 ma viene approvato nel 2002 e prevedeva circa 140 chilometri di estensione tra Qalqilya, Tulkarm e Jenin. Altre tre fasi prevedevano la chiusura del sistema con la prosecuzione nella parte orientale costeggiando il fiume Giordano ed in quella occidentale da Hebron sino a Shima. Nella parte est del tracciato, il muro segue grossomodo quella che era la linea verde armistiziale. Il primo lotto era stato terminato nel 2004.

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La conseguenza pratica della costruzione della barriera è la formazione di enclave palestinesi del tutto isolate, che al termine del progetto arriveranno a confinare quasi 400.000 persone.

Il “muro” in realtà è un sistema complesso. Si compone di muri, barriere elettroniche, pertinenze militarizzate di sicurezza, fossati, chiusure elettroniche, accessi vigilati. Lungo il percorso la fascia di sicurezza può raggiungere perfino i 100 metri di larghezza. Del sistema fa parte anche il particolare regime amministrativo che in base alle ordinanze delle autorità di sicurezza decide di volta in volta i permessi di transito, la possibilità di risiedere o meno nei territori contigui. Ordinanze che valgono per i cittadini palestinesi ma non per i cittadini israeliani.

A Gerusalemme è stato costruito un muro di 8 metri di altezza per circa 40 di lunghezza, tutti nella parte est, per isolare i quartieri arabi tra cui Abu-Dis e Azariyye verso Betlemme. A nord costeggia i confini della municipalità in direzione Ramallah con il check point di Qualandia.

Una chiara presa di posizione in merito alla questione del muro è stata presa anche dai rappresentanti religiosi della città che nell’agosto del 2003 qualificandolo come un grave ostacolo al processo di pace oltre a cerare ingiustizia e isolamento.,

I firmatari sono il patriarca latino Michel Sabbah, quello armeno Torkom II, il custode di Terra santa Giulio Battistelli, l’arcivescovo copto Anba Abraham, quello siro Swerios Malki Murad, l’etiope Abba Cuostos, l’anglicano Riah Abu El-Assal, il vescovo evangelico-luterano Munib A. Younan, l’esarca greco-cattolico Mtanious Haddad e il vescovo siro cattolico Butros Malki.

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