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Il conflitto tra diritti inconciliabili.

CONFLITTI “TRAGICI” E CRISI DEL BILANCIAMENTO

1. Il conflitto tra diritti inconciliabili.

Come si è visto nel precedente capitolo, è largamente condivisa, in dottrina ed in giurisprudenza, l’idea che la tecnica più adatta a soddisfare l’esigenza di comporre i conflitti che possono concretamente venirsi a creare tra i diritti di rango costituzionale (e tra i valori di cui essi sono espressione) sia costituita dal bilanciamento. La funzione del bilanciamento, si è anche detto, è quella di individuare un punto di equilibrio verso il quale gli interessi confliggenti devono convergere, per fare in modo che ogni singola situazione di contrasto possa essere risolta senza giungere al sacrificio integrale di nessuno di essi, ma salvaguardando, quanto meno, il contenuto minimo o essenziale di ciascun diritto in gioco.

Il bilanciamento, quindi, si identifica, normalmente, non soltanto con il procedimento che è stato descritto, strutturato attraverso una serie di test volti a “pesare” i singoli diritti coinvolti in una specifica fattispecie concreta – vale a dire a valutare l’incidenza di ciascuno di essi, al fine di individuare la “regola” del caso – ma anche con l’esito di tale procedimento, che deve essere equilibrato, nel senso che – per usare una metafora “cromatica” – se un diritto è bianco e l’altro diritto è nero, l’esito del bilanciamento tra i due non dovrebbe essere né totalmente bianco né totalmente nero, bensì grigio (con una gradazione, più chiara o più scura, a seconda di quale dei due diritti in conflitto venga ritenuto meritevole di una tutela più intensa nel caso specifico). Un esito realmente “bilanciato”, dunque, si ha soltanto quando la prevalenza di un diritto non comporti l’integrale annullamento dell’altro o l’impossibilità di un suo esercizio, per quanto minimo.

Ma è sempre così? È sempre possibile giungere ad un compromesso tra posizioni valoriali che sembrano inconciliabili? È sempre vero che il bilanciamento si risolve con l’individuazione di un punto di equilibrio che, anche nel dare prevalenza ad uno dei diritti in conflitto, faccia salvo quanto meno il nucleo essenziale dell’altro? L’esito del bilanciamento è sempre “bilanciato”? A parere di chi scrive, la risposta deve essere negativa.

Come è stato anche evidenziato in dottrina, succede spesso che le diverse posizioni giuridiche che trovano tutela nell’ordinamento costituzionale, «nei casi critici, non sono lette in modo bilanciato, [ma] molto spesso sono giocate una

contro l’altra»1. Ci sono situazioni, cioè, in cui il conflitto può essere definito “tragico”2, che sono quelle in cui l’ordinamento giuridico, «teso e diviso tra richieste antagoniste, non può più ambire a sanzionare il minimo etico dei valori condivisi all’interno di una società […] perché è la società stessa a essere spaccata tra valori che si autointendono come irrinunciabili e inattenuabili e che, anche quando accettano la loro particolarità, si ritengono comunque più assoluti degli altri, perché più veri, più alti, più comprensivi»3.

In queste circostanze, la “tragicità” deriva dal fatto che, in presenza di un conflitto tra due diritti antagonisti, le opzioni di valore poste a sostegno dell’uno o dell’altro «si affermano in modo assoluto, nel senso che non ammettono compromessi, come del resto è proprio di tutti i valori fondamentali»4: l’esatto contrario, quindi, di quella «convivenza “mite”, costruita sul pluralismo e sulle interdipendenze e nemica di ogni ideale di sopraffazione», propugnata da Zagrebelsky5. Da ciò deriva che l’esito del bilanciamento, con cui si finirà per dare prevalenza ad uno solo dei diritti in contrasto, sarà visto come la soluzione necessaria ed inevitabile – la più “giusta” – da parte dei sostenitori dell’interesse risultato vincitore, poiché verrà letto come il trionfo dei valori ad esso sottesi; mentre, tutto all’opposto, verrà considerato come un’insopportabile costrizione da parte di coloro che propugnavano l’interesse risultato soccombente (anche se non integralmente sacrificato). In ogni caso, dunque, tale bilanciamento non potrà condurre ad una soluzione che sia condivisa ed accettata, come un ragionevole punto di equilibrio, da tutti, ma questa verrà intesa come il frutto di una scelta netta a favore di un certo valore ed a scapito di un altro, con esso antagonista: una scelta che, per ciò solo, è anch’essa “tragica”6.

1

Cfr. M.D’AMICO, I diritti contesi, cit., p. 20.

2

Riprendendo il termine utilizzato, nella letteratura americana, da G. CALABRESI – P. BOBBITT, Tragic choices, 1978, New York, trad. it. Scelte tragiche (a cura di C.M.MAZZONI e V. VARANO), II ed., Milano, 2006.

3

Così C.TRIPODINA, Dio o Cesare? Chiesa cattolica e Stato laico di fronte alla questione

bioetica, in www.costituzionalismo.it, 15 gennaio 2007. 4

Cfr. G.CALABRESI –P.BOBBITT, Scelte tragiche, cit., Presentazione, p. VIII.

5

Cfr. G.ZAGREBELSKY, Il diritto mite, cit., p. 12.

6

G.CALABRESI –P.BOBBITT, Scelte tragiche, cit., definiscono “scelta tragica” «quella che nasce dal conflitto di valori morali nei confronti dell’impossibilità di soddisfare la distribuzione di beni considerati essenziali» (cfr. Presentazione, p. VII). Come si può notare già da queste poche parole, l’ottica assunta dagli Autori è economico-giuridica, atteso che la loro analisi ha per oggetto i conflitti che possono nascere all’interno della società in merito alla distribuzione di risorse scarse. Qui, ovviamente, la questione affrontata è diversa, riguardando non “l’impossibilità di soddisfare la distribuzione di beni considerati essenziali”, ma bensì, potremmo dire – utilizzando un’espressione analoga – “l’impossibilità di soddisfare contemporaneamente la tutela di diritti considerati essenziali”. Non pare, quindi, azzardato il parallelismo operato in questa sede, atteso che, come nell’opera citata, anche qui la “tragicità” della scelta deriva dall’impossibilità di accontentare tutti: nell’analisi affrontata da Calabresi e Bobbitt per un problema di scarsità di risorse; in questo caso, invece, per l’inconciliabilità assoluta dei diritti di cui si chiede la tutela, o, comunque, dei valori ad essi sottesi.

La tragicità del conflitto – e della scelta operata per risolverlo – appare, tuttavia, ancor più evidente in tutte quelle situazioni in cui il bilanciamento tra due diritti fondamentali non può condurre ad una soluzione mediana, frutto di reciproche rinunce e concessioni, ma nelle quali, pur a seguito di un’effettiva ponderazione, l’esito di tale operazione deve necessariamente essere nel senso di dare piena applicazione e tutela ad un diritto, sacrificando integralmente l’altro, con cui si era posto in contrasto (per tornare alla metafora prima proposta, l’esito è totalmente bianco o totalmente nero, ma non grigio).

Si fa riferimento a quei casi in cui la situazione di conflittualità è tragica già solo per il fatto di porre a confronto due diritti che sono ritenuti entrambi inviolabili – in quanto espressione di valori supremi dell’ordinamento costituzionale – e che sono, tuttavia, nella singola fattispecie concreta, anche totalmente inconciliabili. In siffatte ipotesi, il bilanciamento servirà soltanto a soppesare le ragioni che si pongono a sostegno dell’uno o dell’altro diritto, per giungere poi ad un esito che, però, non potrà essere “intermedio” né “equilibrato”, ma dovrà consistere in una scelta netta tra i due7: anche in questo caso, quindi, una scelta “tragica”.

In questa seconda categoria di casi, pertanto, la “tragicità” deriva esclusivamente dall’impossibilità oggettiva di poter soddisfare entrambi i diritti in conflitto – rectius, di poter soddisfare uno dei due senza porre nel nulla l’altro – a prescindere dal conflitto valoriale che tale situazione reca insita in sé. Tuttavia, la prassi giudiziaria mostra che queste situazioni in cui si “sfidano” due diritti inviolabili – ed il cui unico esito è che “ne rimarrà soltanto uno” – sono anche quelle in cui sussiste una contrapposizione netta ed insanabile tra diversi universi valoriali: in sostanza, le concrete situazioni “tragiche” sono normalmente qualificabili come tali sotto entrambi i profili indicati.

Infatti, situazioni del genere si riscontrano, normalmente, con riferimento a questioni eticamente controverse: basti pensare, in ambito medico e bioetico, ai casi di fine vita (in cui occorre scegliere tra due diritti spettanti alla stessa persona, vale a dire il diritto alla vita ed il diritto all’autodeterminazione del malato), di aborto (dove il diritto alla vita del feto si contrappone al diritto alla salute – o, in casi estremi, anche alla vita – della gestante), di procreazione medicalmente assistita (in cui, con riferimento al tema della diagnosi preimpianto, può porsi un conflitto tra diritto alla vita dell’embrione e diritto dei genitori “ad avere figli sani”); oppure, al di fuori del campo della bioetica, un conflitto insanabile sembra porsi con riferimento alla dibattuta questione dei simboli religiosi e, in particolare, del crocifisso nelle aule (scolastiche e giudiziarie) e negli uffici pubblici (dove il conflitto può essere visto sotto diverse ottiche, essendo coinvolti principi supremi

7

In questo senso, l’esito del bilanciamento sembra coincidere con quanto sostenuto da R. GUASTINI, L’interpretazione dei documenti normativi, cit., p. 219 (già richiamato supra, cap. I, par. 4), a parere del quale esso consiste «nel sacrificare o scartare senz’altro un principio, applicando l’altro».

dell’ordinamento costituzionale, come il principio di laicità dello Stato, e vari diritti e libertà, in primis la libertà di coscienza e la libertà religiosa).

Per affrontare compiutamente il problema dei conflitti “tragici”, appare dunque necessario trattare, più nel dettaglio – sebbene soltanto sotto il profilo che qui interessa, senza dilungarsi sulle questioni di merito più “calde” in relazione alle singole fattispecie – alcuni di questi casi “difficili”.

In particolare, si è scelto di analizzare la questione del fine vita, che più di ogni altra si caratterizza per la tragicità del conflitto che incorpora, sotto entrambi i profili (sia perché la soluzione non potrà che condurre o al mantenimento in vita del malato contro la sua volontà, o alla sua morte, sia perché la scelta dell’una piuttosto che dell’altra soluzione sottintende una contrapposizione frontale tra i valori che le ispirano) e quella del crocifisso, in cui, invece, la tragicità si riscontra soprattutto con riferimento alle opzioni valoriali di riferimento, tant’è che anche quelle soluzioni che possono apparire ragionevoli vengono spesso lette come il frutto di una scelta netta e “di parte”. Il criterio di fondo nell’individuazione dei casi da trattare è, dunque, proprio quello, più volte citato, della tragicità del conflitto, ma non solo: si è, infatti, tenuto conto anche del fatto che si tratta di casi su cui non esiste una precisa scelta di campo da parte del legislatore ed in cui, quindi, la soluzione del conflitto viene posta nelle mani dei giudici8. Tali casi, inoltre, verranno trattati non in termini meramente teorici, analizzando cioè le questioni controverse che essi pongono in astratto, ma piuttosto si farà riferimento a concreti casi giudiziari, in cui tali problematiche sono state affrontate e, in qualche modo, risolte, proprio per esaminare i criteri che hanno condotto i giudici a decidere in un senso, piuttosto che in quello opposto.

8

Per questa ragione si è scelto, dunque, di non trattare questioni altrettanto tragiche come l’aborto, su cui il legislatore, con la legge n. 194 del 1978, ha già operato un bilanciamento, fissando un parametro certo (i tre mesi di gestazione), in relazione a cui valutare quale dei due diritti in conflitto debba essere ritenuto tendenzialmente prevalente; o, ancora, come la procreazione medicalmente assistita, sia perché, anche in questo caso, esiste una specifica disciplina normativa in materia (la legge n. 40 del 2004), ma, a prescindere da ciò (anche in considerazione del fatto che la predetta legge è stata, ed è tuttora, oggetto di numerosi rilievi di incostituzionalità, tant’è che sono attualmente pendenti davanti alla Corte costituzionale delle questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto alcune sue norme), soprattutto perché si pongono dei dubbi sulla tenuta costituzionale di alcuni dei diritti che possono entrare in conflitto in tale fattispecie: giusto per fare un esempio, riprendendo la specifica ipotesi prima indicata nel testo – quella della diagnosi preimpianto – al diritto alla vita dell’embrione (diritto che sembrerebbe essere certo ed incontestabile, mentre dei dubbi potrebbero porsi sul fatto che l’embrione possa in realtà essere titolare di un tale diritto) si contrappone, tra gli altri, il diritto dei genitori “ad avere figli sani”, la cui rilevanza costituzionale – o, ancor prima, la cui stessa esistenza – appare discutibile.