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La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

LE CARTE EUROPEE DEI DIRITT

1. La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

1.1. La tradizionale collocazione della CEDU nell’ordinamento giuridico italiano e i tentativi dottrinali volti a darle copertura costituzionale.

Come noto, la CEDU e l’attività giurisdizionale della Corte di Strasburgo – la cui istituzione, disposta dall’art. 19 della Convenzione e volta ad assicurare il rispetto degli impegni assunti dagli Stati contraenti (e, quindi, a garantire il rispetto dei diritti ivi sanciti), costituisce la caratteristica peculiare del sistema da

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Atteggiamento, questo, apertamente contestato da L. FAVOREU, Corti costituzionali

nazionali e Corte europea dei diritti dell’uomo, cit., il quale sottolinea che «la cosa più

stupefacente è che, lungi dall’urtarsene, i giuristi ed i giudici di questi paesi applaudono, nella maggior parte dei casi, ogni nuovo “passo avanti” della Corte europea, e, talvolta, prevengono addirittura i “progressi” del diritto europeo» (p. 7).

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Sottolinea i risvolti negativi della tutela multilivello dei diritti M. LUCIANI,

Costituzionalismo irenico e costituzionalismo polemico, in Giur. cost., n. 2/2006, pp. 1643-1668, a

parere del quale «il costituzionalismo multilivello presenta una visione armonica dei rapporti tra le varie istanze decisionali che non corrisponde alla realtà e (auspicando un “dialogo” tra le Corti che non sempre è praticato e non sempre è possibile) occulta la dimensione dello scontro», dovuto alla presenza di «distinte sfere della legalità, il cui coordinamento risulta problematico», in ragione del fatto che ognuna di esse reca con sé «anche prospettive e valori diversi, che possono confliggere e di fatto confliggono, mettendo in gravissimo imbarazzo gli operatori giuridici nazionali» (pp. 1664-1666). Alla luce di questo e di altri profili problematici (tra i quali quello secondo cui «il costituzionalismo multilivello finisce per accantonare il problema della legittimazione democratica»), quindi, l’A. contesta – allo stesso modo di Favoreu (v. nota precedente) – l’esaltazione dei risvolti positivi della moltiplicazione delle istanze di protezione dei diritti, operata da molti giuristi, ed afferma che, al contrario, «occorre rifuggire […] i rischi di un

costituzionalismo irenico che si limiti a celebrare i trionfi dei diritti fondamentali grazie alla

giurisdizione (anzi: alle giurisdizioni) e tornare ad un costituzionalismo polemico che si misuri con il potere» (p. 1668).

essa creato – sono state oggetto, soprattutto negli ultimi anni, di un’attenta riflessione da parte della dottrina costituzionalistica, nonché della giurisprudenza (costituzionale e non), in particolare in merito agli effetti giuridici che esse possono produrre all’interno dell’ordinamento nazionale.

In passato, la questione dei rapporti tra l’ordinamento giuridico interno ed il sistema CEDU è stata affrontata esclusivamente in termini di rapporti tra fonti del diritto. Pertanto, nel nostro Paese, si è ritenuto che la Convenzione esplicasse la stessa efficacia normativa della fonte con cui essa è stata recepita, vale a dire la forza di una comune legge ordinaria9. Da tale ricostruzione derivavano alcuni aspetti problematici, come il fatto che l’eventuale contrasto tra una norma di legge interna e la CEDU avrebbe comportato l’applicazione del criterio cronologico, con la possibilità, quindi, che una qualsiasi fonte primaria, successiva alla legge di recepimento della CEDU, avesse l’effetto di abrogare quest’ultima; o, ancora, l’impossibilità per la Corte costituzionale di utilizzare la Convenzione come parametro per il controllo sulle leggi.

Tuttavia, alla luce del contenuto “costituzionale” della Convenzione, e nel tentativo di valorizzarne questo profilo sostanziale, la dottrina ha elaborato diverse teorie con l’obiettivo di attribuire ad essa una copertura costituzionale o, quanto meno, un valore superiore a quello della legge ordinaria10. In particolare, tale copertura costituzionale è stata di volta in volta individuata dai vari commentatori, alternativamente o cumulativamente, nelle seguenti disposizioni costituzionali:

a) Art. 2 Cost.: il richiamo a tale disposizione è stato operato da quegli autori (in primis Barbera11) che l’hanno qualificata come una norma a fattispecie

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Conformemente a quanto è avvenuto nel Regno Unito, in Germania ed in alcuni Paesi del nord Europa, ma diversamente da altri Stati europei, dove alla Convenzione è stato riconosciuto rango costituzionale (Austria, Paesi Bassi) o, comunque, sovraordinato alla legge (Francia, Spagna, Portogallo, Grecia e Paesi dell’est europeo). Per uno sguardo comparato su tale problematica, si veda L.MONTANARI, I diritti dell’uomo nell’area europea tra fonti internazionali

e fonti interne, Torino, 2002, nonché F.BIONDI DAL MONTE, La ricostruzione dei rapporti tra

ordinamento CEDU e ordinamento interno in Germania e Francia: quale scelta per la Corte costituzionale italiana?, e A.DI MARTINO, L’efficacia delle sentenze della Corte EDU nel diritto

interno: proposta per una soluzione interpretativa del contrasto tra giudicati alla luce di una pronuncia del Bundesverfassungsgericht, entrambi in R.BIN –G.BRUNELLI –A.PUGIOTTO –P. VERONESI (a cura di), All’incrocio tra Costituzione e CEDU. Il rango delle norme della

Convenzione e l’efficacia delle sentenze di Strasburgo, Torino, 2007. 10

Per un sintetico quadro delle posizioni emergenti, a tal proposito, in dottrina, si vedano, tra gli altri, G. SORRENTI, Le Carte internazionali sui diritti umani: un’ipotesi di «copertura»

costituzionale «a più facce», in Politica del diritto, n. 3/1997, pp. 349-402; A.COLELLA, Verso un

diritto comune delle libertà in Europa. Riflessioni sul tema dell’integrazione della CEDU nell’ordinamento italiano, in www.forumcostituzionale.it; D. TEGA, La Cedu e l’ordinamento

italiano, in M.CARTABIA (a cura di), I diritti in azione, Bologna, 2007; M.CARTABIA, La CEDU e

l’ordinamento italiano: rapporti tra fonti, rapporti tra giurisdizioni, in R.BIN –G.BRUNELLI –A. PUGIOTTO –P.VERONESI (a cura di), All’incrocio tra Costituzione e CEDU, cit.

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“aperta”12, attraverso la quale si è ritenuto di poter canalizzare nel nostro ordinamento i diritti riconosciuti nel testo della Convenzione, in modo da integrare il catalogo contenuto nella Carta costituzionale ed elevandoli, così, al suo medesimo rango13.

b) Art. 10, primo comma, Cost.: una parte della dottrina14 ha sostenuto che l’adattamento automatico previsto da tale norma costituzionale andrebbe applicato anche con riferimento ad alcune disposizioni della CEDU, le quali non sarebbero altro che una codificazione di consuetudini internazionali o principi internazionali generalmente riconosciuti. Tuttavia, tale tesi (che è rimasta minoritaria) è andata incontro ad una serie di critiche, tra le quali quella secondo cui essa potrebbe dar luogo a qualche problema di disomogeneità riguardo al valore giuridico della Convenzione, che risulterebbe costituita da alcune norme di rango costituzionale (in quanto espressione di principi consuetudinari del diritto internazionale) e da altre di livello inferiore (trattandosi di semplici disposizioni di diritto internazionale pattizio, come tali aventi un rango pari alla fonte interna di recepimento).

c) Art. 11 Cost.: qualche autore15 ha ritenuto che anche la CEDU, al pari dei trattati istitutivi delle Comunità europee e dell’Unione europea, rientrerebbe

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Si veda, però, anche G.SORRENTI, Le Carte internazionali sui diritti umani: un’ipotesi di

«copertura» costituzionale «a più facce», cit., la quale sostiene che «la clausola dell’art. 2 Cost.

costituisce il valore costituzionale di “copertura” delle Carte internazionali sui diritti umani», pur precisando che ciò vale «non solo sposando la concezione dell’interpretazione “aperta” dell’art. 2 Cost., bensì per una acquisizione di fatto comune relativa al “contenuto aperto” degli stessi diritti fondamentali positivizzati» (spec. p. 371).

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A tal proposito, M. CARTABIA, La CEDU e l’ordinamento italiano: rapporti tra fonti,

rapporti tra giurisdizioni, cit., rileva che buona parte del dibattito sulla natura aperta o chiusa

dell’art. 2 Cost. «si giocava intorno al problema di trovare un ancoraggio testuale al riconoscimento dei nuovi diritti» e che proprio la CEDU «si presterebbe a tale scopo», consentendo una lettura dell’art. 2 “aperta”, ma non del tutto indeterminata, in quanto legata al testo della Convenzione. Tuttavia, l’A. sottolinea che il riferimento alla CEDU non centra l’obiettivo di arginare la creatività e l’attivismo dei giudici, atteso che «finisce per delegare a giudici esterni […] la determinazione dei contenuti dei nuovi diritti, alterando contemporaneamente i bilanciamenti tracciati dalla Costituzione italiana» (p. 14).

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Cfr. R.QUADRI, Diritto internazionale pubblico, Napoli, 1968, il quale ha sostenuto che l’art. 10, primo comma, Cost. farebbe riferimento anche al diritto internazionale pattizio, in virtù del principio consuetudinario pacta sunt servanda, che implicherebbe la volontà del legislatore costituente di adeguare l’ordinamento nazionale a tutti i trattati internazionali stipulati dallo Stato italiano, con la conseguenza che, per il loro recepimento, non sarebbero neppure necessari specifici atti di adattamento. Tale posizione è stata, in parte, condivisa da Barile (cfr. P.BARILE,

Rilievi sull’adattamento automatico del diritto interno al diritto internazionale, in Studi parmensi,

vol. XVIII, L’eguaglianza delle armi nel processo civile, 1977, p. 5 ss.) il quale, diversamente da Quadri, ha tuttavia evidenziato la necessità di specifici atti di adattamento per i singoli strumenti pattizi. Si veda, infine, anche A.D’ATENA, Problemi relativi al controllo di costituzionalità delle

norme di adattamento ai trattati internazionali, in Giur. cost., 1967, p. 592 ss. 15

Cfr. P. MORI, Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Patto delle Nazioni unite e

tra i trattati attraverso i quali lo Stato italiano, ai sensi della seconda parte di tale disposizione, consente alle limitazioni di sovranità necessarie ad assicurare la pace e la giustizia tra le Nazioni. Quindi, ritenendo tale articolo riferibile anche alla Convenzione europea, dovrebbero essere estesi ad essa anche i principi statuiti dalla giurisprudenza costituzionale per affermare il primato del diritto comunitario sul diritto interno (compresa la dottrina dei controlimiti).

Dal canto suo, la giurisprudenza costituzionale16 ha tenuto, per lungo tempo, un orientamento univoco sul tema, ritenendo che alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo – come ad ogni altro trattato internazionale – andasse riconosciuta la stessa efficacia della fonte che l’ha resa esecutiva nell’ordinamento giuridico nazionale – quindi, della legge ordinaria – escludendo che essa potesse ricevere copertura costituzionale per il tramite di uno degli articoli sopra menzionati. In particolare, la Corte ha costantemente negato che essa rientrasse nell’ambito di applicazione dell’art. 10, primo comma, della Costituzione, stante la sua natura di fonte di diritto internazionale pattizio, i cui principi non potevano essere qualificati come consuetudini internazionali generalmente riconosciute17, nonché dell’art. 11 Cost., atteso che nei confronti della CEDU – a differenza di quanto avviene per i trattati comunitari – non era individuabile alcuna limitazione della sovranità statale18.

Ritenendo, dunque, che la Convenzione avesse il medesimo rango di una qualsiasi fonte interna di rango legislativo, l’eventuale contrasto con essa di una norma di legge nazionale non avrebbe potuto dar vita ad una questione di legittimità costituzionale, ma, al contrario, si sarebbe risolto in un mero conflitto tra leggi ordinarie, risolvibile con l’applicazione del criterio cronologico.

1.2. I primi segnali di svolta nei rapporti tra ordinamento interno e CEDU.

La Corte costituzionale ha cominciato a mettere in dubbio questa

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Per una dettagliata rassegna della giurisprudenza costituzionale (fino al maggio 2006) sul ruolo ricoperto dalla CEDU nell’ordinamento nazionale, si veda B.RANDAZZO, La Convenzione

europea dei diritti dell’uomo nella giurisprudenza costituzionale, in www.cortecostituzionale.it. 17

Tale orientamento, in termini generali, è stato seguito dalla Consulta sin dalla risalente sentenza n. 32 del 1960 (che ha trovato conferma nella successiva sentenza n. 68/1961). Con esplicito riferimento alla CEDU, invece, esso è stato affermato per la prima volta nella sentenza n. 104 del 1969 e poi costantemente ribadito (cfr., ex plurimis, Corte cost. nn. 188/1980 e 323/1989).

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Cfr., ex plurimis, Corte cost. n. 188 del 1980. In merito all’art. 2 Cost., invece, B. RANDAZZO, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo nella giurisprudenza costituzionale, evidenzia come la Corte, nei casi in cui è stata chiamata a pronunciarsi su questioni di «costituzionalità-convenzionalità» sulla base del parametro dell’art. 2 Cost. (e, di conseguenza, sulla eventualità di dare copertura costituzionale alla CEDU attraverso questo articolo), sia «sempre riuscita ad evitare di pronunciarsi sul punto».

ricostruzione del rapporto tra la CEDU e l’ordinamento interno quando, con la sentenza n. 10 del 199319, ha riconosciuto un particolare regime giuridico alle fonti internazionali pattizie, con specifico riferimento alle disposizioni della Convenzione europea, qualificandole come «norme derivanti da una fonte riconducibile ad una competenza atipica e, come tali, insuscettibili di abrogazione o modificazione da parte di disposizioni di legge ordinaria».

Sebbene tale decisione, con cui è stata messa in evidenza l’atipicità della CEDU e la sua particolare forza passiva, sia rimasta del tutto isolata e non abbia avuto un seguito nella giurisprudenza costituzionale, essa tuttavia mostra la sopravvenuta consapevolezza del Giudice delle leggi circa la difficoltà di risolvere il problema della posizione da attribuire alla CEDU nell’ordinamento interno sul piano, rigidamente formale, del rapporto tra fonti del diritto.

E l’inadeguatezza di tale soluzione è emersa in tutta la sua evidenza alla luce della accresciuta importanza assunta dal sistema di Strasburgo nella tutela dei diritti fondamentali20, ed in particolar modo dalla giurisprudenza della Corte europea, soprattutto a seguito dell’entrata in vigore del Protocollo n. 11 (avvenuta nel novembre del 1998), con cui è stata resa effettiva la possibilità per ogni individuo di adire direttamente la Corte, attraverso lo strumento del ricorso individuale21 (ex art. 34 CEDU). La centralità del ruolo della Corte europea dei

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Decisione che, secondo M.CARTABIA, La CEDU e l’ordinamento italiano: rapporti tra

fonti, rapporti tra giurisdizioni, cit., ha segnato «uno spartiacque storico rispetto all’epoca

precedente».

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Importanza percepita anche dai giudici comuni, i quali hanno cercato di dare rilevanza alle norme della CEDU all’interno dell’ordinamento nazionale, come si evince, ad esempio, da Cass. pen., S.U., 8 maggio 1989, n. 1191 (sentenza Polo Castro), che ha posto le condizioni per il riconoscimento di una «immediata operatività, in Italia, delle norme della Convenzione», e Cass. pen., Sez. I, 12 maggio 1993, n. 2194 (sentenza Medrano, di poco successiva alla sentenza della Corte cost. n. 10/1993), in cui, recependo i principi fissati dalla richiamata pronuncia della Corte costituzionale, è stata riconosciuta una «particolare forza di resistenza della normativa di origine convenzionale rispetto normativa ordinaria successiva […] dovuta alla natura di principi generali dell’ordinamento che alle disposizioni della Convenzione deve essere riconosciuta, in conseguenza del suo inserimento nell’ordinamento italiano». La sentenza Medrano appare anche interessante perché, in essa, la Suprema Corte, pur escludendo il parallelo con il diritto comunitario, ha richiamato la giurisprudenza della Corte di giustizia, secondo la quale i giudici nazionali devono applicare la CEDU in quanto vincolati ai principi generali del diritto comunitario, tra cui tali norme rientrano, e ciò – ha aggiunto la Cassazione – a maggior ragione dopo l’inserimento della lettera F nel Trattato di Maastricht (cfr., a tal proposito, B.RANDAZZO, Giudici comuni e Corte

europea dei diritti, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2002, pp. 1303-1383, nonché in P.FALZEA –A. SPADARO –L.VENTURA (a cura di), La Corte costituzionale e le Corti d’Europa, Torino, 2003, pp. 217-287). Si tratta, comunque, di orientamenti non costanti nella giurisprudenza comune che, sul tema, appare parecchio disomogenea.

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Lo strumento del ricorso diretto dei singoli alla Corte era stato, in realtà, già introdotto dal Protocollo n. 9, entrato in vigore nel 1994 (prima di allora, i singoli avevano soltanto la possibilità di adire la Commissione, qualora lo Stato interessato avesse accettato tale evenienza). Tuttavia, sotto la vigenza del Protocollo n. 9 (poi abrogato dal Protocollo n. 11), la sottoposizione alla giurisdizione della Corte e la possibilità di essere coinvolti in un giudizio (promosso da privati)

diritti dell’uomo nella protezione dei diritti fondamentali ha ulteriormente evidenziato l’impossibilità di affrontare tale problematica nell’ottica limitata del rapporto tra le fonti, ma ha spostato l’asse dei rapporti tra il sistema europeo e quello nazionale sul piano dei rapporti tra giudici o, come è stato rilevato in dottrina, «sulla dimensione dinamica o giurisdizionale, più che su quella statica delle fonti del diritto»22. Da ciò è emersa la necessità di affrontare la questione in esame in una prospettiva più ampia, che non tenga conto soltanto dei rapporti tra le fonti, ma impostandola in termini di «rapporti tra ordinamenti»23, o, comunque, dando maggior rilievo ai contenuti delle norme della Convenzione, secondo l’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo24.

La stessa Corte costituzionale ha seguito questa strada, cercando di dare maggiore rilievo alla CEDU sul piano interpretativo, sviluppando la tecnica della c.d. interpretazione conforme, ai sensi della quale la legislazione interna deve essere interpretata in modo da non porsi in contrasto con le norme dei trattati sottoscritti dallo Stato, sul presupposto che gli organi statali non intendano violare gli obblighi assunti in ambito internazionale. In questo senso si può leggere la sentenza n. 388 del 1999, in cui la Consulta, pur confermando il rango sub- costituzionale delle norme pattizie, ha voluto porre in secondo piano tale aspetto («indipendentemente dal valore da attribuire alle norme pattizie»), per centrare la propria attenzione sul profilo sostanziale della tutela dei diritti umani, sottolineando che essi «trovano espressione, e non meno intensa garanzia, nella Costituzione» e riconoscendo che, comunque, «al di là della coincidenza nei cataloghi di tali diritti, le diverse formule che li esprimono si integrano, completandosi reciprocamente nella interpretazione»25. Emerge, così, un nuovo corso della giurisprudenza costituzionale sul modo di intendere la CEDU, cui viene riconosciuto un ruolo fondamentale sul piano dell’interpretazione26.

davanti ad essa erano rimessi all’accettazione di determinate clausole da parte degli Stati contraenti. È stato, quindi, il Protocollo n. 11 a generalizzare lo strumento del ricorso individuale, sottraendolo alla disponibilità degli Stati.

22

Cfr. M. CARTABIA, La CEDU e l’ordinamento italiano: rapporti tra fonti, rapporti tra

giurisdizioni, cit. 23

Cfr. ancora M.CARTABIA, La CEDU e l’ordinamento italiano: rapporti tra fonti, rapporti

tra giurisdizioni, cit. 24

Cfr. D.TEGA, La Cedu e l’ordinamento italiano, cit. (e gli autori dalla stessa citati: cfr., in particolare, p. 74, nota 21), la quale sottolinea l’importanza di affrontare la questione dei rapporti tra le Carte dei diritti e la Costituzione alla luce del «criterio contenutistico».

25

Cfr. Corte cost. n. 388 del 1999, punto 2 del considerato in diritto. Muovendo da tale pronuncia, D.TEGA, La Cedu e l’ordinamento italiano, cit., mette in evidenza la tendenza della Corte di fornire un’interpretazione dei diritti «arricchita» dal riferimento alle Carte dei diritti – le quali, in tal modo, «assurgono a ricognizione delle tendenze emergenti in materia di c.d. nuovi diritti» – e, alla luce di ciò, parla di «incorporazione, a fini interpretativi, delle norme internazionali nel parametro costituzionale».

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Peraltro, dopo qualche anno, la Corte costituzionale ha cominciato a fare espresso riferimento, oltre che al testo della Convenzione, anche alla giurisprudenza della Corte di

1.3. La vera svolta: il nuovo art. 117, primo comma, Cost. e le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 della Corte costituzionale.

Successivamente, come noto, è intervenuto in maniera decisiva sul tema anche il legislatore costituzionale che, con la legge costituzionale n. 3 del 2001 (di riforma del Titolo V), ha introdotto il nuovo testo dell’art. 117, primo comma, della Costituzione, ai sensi del quale la potestà legislativa, sia statale che regionale, deve essere esercitata «nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». Si è avuto, così, il primo esplicito riconoscimento costituzionale dell’efficacia, all’interno dell’ordinamento nazionale, delle norme comunitarie e – per quel che qui soprattutto interessa – di quelle poste dalle fonti internazionali pattizie.

Tuttavia, con riferimento al vincolo derivante dagli «obblighi internazionali», tale disposizione è rimasta “inattuata” per diversi anni, nonostante la dottrina più accorta ne abbia rilevato, sin dall’inizio, la portata innovativa. Infatti, diversi autori hanno evidenziato come essa, pur non determinando un innalzamento di rango – da legislativo a costituzionale – delle fonti pattizie, abbia comunque attribuito loro una particolare capacità di resistenza all’abrogazione da parte di leggi ordinarie successive e la funzione di parametro interposto nei giudizi di costituzionalità, stante la possibilità di sollevare la questione di legittimità costituzionale, per violazione indiretta dell’art. 117, primo comma, Cost., nei confronti di una qualsiasi disposizione di legge interna che si ponga in contrasto con le norme internazionali27.

Strasburgo, così riconoscendo pure ad essa un particolare valore interpretativo e mostrando, una volta di più, come ormai – nella disciplina dei rapporti tra ordinamento interno e sistema CEDU – occorresse dare prevalenza al profilo contenutistico, piuttosto che a quello legato alla sistematica delle fonti (cfr., ex plurimis, Corte cost. n. 154/2004, n. 299/2005 e n. 61/2006). Tale accresciuta importanza della giurisprudenza della Corte europea è stata rilevata anche dalla nostra Corte di Cassazione, la quale, con le sentenze delle Sezioni Unite civili nn. 1338, 1339, 1340 e 1341 del 2004, ha riconosciuto l’esigenza di adottare un’interpretazione delle disposizioni interne conforme alle decisioni di Strasburgo, attribuendo loro un valore sostanzialmente vincolante (nello specifico, in materia di risarcimento del danno per irragionevole durata dei processi).

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Cfr. M.CARTABIA, La CEDU e l’ordinamento italiano: rapporti tra fonti, rapporti tra

giurisdizioni, cit. Sostanzialmente identica è la posizione di diversi altri autori, tra cui D.TEGA, La

Cedu e l’ordinamento italiano, cit., M.LUCIANI, Le nuove competenze legislative delle Regioni a

statuto ordinario. Prime osservazioni sui principali nodi problematici della l. cost. n. 3 del 2001,

in www.associazionedeicostituzionalisti.it e F. SORRENTINO, Nuovi profili costituzionali dei