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La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

LE CARTE EUROPEE DEI DIRITT

2. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

2.1. La tutela dei diritti fondamentali nell’ordinamento comunitario prima della Carta di Nizza.

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – proclamata solennemente, da parte delle istituzioni comunitarie (Parlamento europeo, Consiglio e Commissione), in occasione del Consiglio europeo di Nizza del 7 dicembre 2000 e, successivamente, oggetto di una nuova proclamazione, in un testo leggermente modificato, avvenuta a Strasburgo (in una seduta speciale del Parlamento europeo) il 12 dicembre 200739 – costituisce il risultato della lenta e progressiva evoluzione che ha caratterizzato la tutela dei diritti fondamentali in ambito comunitario40.

Come noto, originariamente i trattati istitutivi delle Comunità europee non contenevano alcun riferimento ai diritti fondamentali. In essi, infatti, non soltanto mancava uno specifico catalogo dei diritti, ma neppure si faceva menzione della

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Qualora, infatti, l’impatto “sistemico” della tutela integrata di un certo diritto sia di segno negativo, l’ordinamento nazionale – per mano del legislatore, della Corte costituzionale o dei giudici comuni, ciascuno per le proprie competenze – dovrà far valere il proprio “margine di apprezzamento”, in modo da evitare il contestuale sacrificio di altri interessi costituzionalmente garantiti. Sulla dottrina del “margine di apprezzamento statale”, si vedano F. DONATI – P. MILAZZO, La dottrina del margine di apprezzamento nella giurisprudenza della Corte europea dei

diritti dell’uomo, in P.FALZEA –A.SPADARO –L.VENTURA (a cura di), La Corte costituzionale e

le Corti d’Europa, Torino, 2003, pp. 65-117, e P.TANZARELLA, Il margine di apprezzamento, in M.CARTABIA (a cura di), I diritti in azione, cit.

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In tale occasione, la Carta è stata proclamata dalle stesse istituzioni che l’avevano proclamata la prima volta, con l’unica differenza che il Consiglio era riunito, questa volta, a livello di Capi di Stato e di Governo, mentre a Nizza, nel 2000, era composto dai Ministri degli esteri degli Stati membri.

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Per un sintetico quadro di tale evoluzione, si vedano, tra gli altri, R. BIFULCO – M. CARTABIA –A.CELOTTO, Introduzione, in R.BIFULCO –M.CARTABIA –A.CELOTTO (a cura di),

L’Europa dei diritti. Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, Bologna,

2001; M.CARTABIA, L’ora dei diritti fondamentali nell’Unione Europea, in M.CARTABIA (a cura di), I diritti in azione, cit.; e, più dettagliatamente, V. SCIARABBA, Tra fonti e Corti. Diritti e

principi fondamentali in Europa: profili costituzionali e comparati degli sviluppi sovranazionali,

necessità di garantire loro una protezione nei confronti degli atti normativi comunitari. Secondo la dottrina, questo “silenzio” era principalmente dovuto al fatto che l’obiettivo perseguito inizialmente dai trattati fosse limitato alla realizzazione di un’integrazione esclusivamente economica, per cui non era apparso necessario predisporre una disciplina relativa ai diritti fondamentali, la cui tutela era stata, quindi, lasciata alla competenza esclusiva dei singoli Stati membri41.

Tale disinteresse dell’ordinamento comunitario per la protezione dei diritti fondamentali ha inizialmente trovato conferma anche nella giurisprudenza della Corte di giustizia, la quale, negli anni cinquanta e nei primi anni sessanta, ha escluso che rientrasse tra le proprie competenze il compito di verificare il loro rispetto da parte delle istituzioni comunitarie42.

Tuttavia, con l’affermazione del principio del primato delle norme comunitarie su quelle di diritto interno, anche di livello costituzionale – statuito espressamente dalla Corte di Lussemburgo con le sentenze Van Gend & Loos del 1963 e Costa c. Enel del 1964 – i giudici nazionali sono stati privati della possibilità di garantire i diritti fondamentali protetti dalle loro Costituzioni a fronte di eventuali violazioni derivanti dal diritto comunitario, cui si doveva riconoscere la prevalenza, anche sulle disposizioni costituzionali, nelle materie rientranti nella sua competenza.

Così, verso la fine degli anni sessanta, la Corte di giustizia – sulla spinta proveniente dalle giurisdizioni nazionali (in particolare, dalle Corti costituzionali tedesca ed italiana) – ha dato una svolta alla propria giurisprudenza in materia di diritti fondamentali, qualificandoli – per la prima volta con la sentenza Stauder del 1969 – come «principi generali del diritto comunitario di cui la Corte garantisce l’osservanza»43.

A partire da questa prima affermazione della salvaguardia dei diritti a livello comunitario, la giurisprudenza della Corte di Lussemburgo si è

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Si veda, a tal proposito, M.CARTABIA, L’ora dei diritti fondamentali nell’Unione Europea, cit., la quale rileva che, in realtà, «il vuoto dei trattati non era un vuoto di tutela», atteso che, in ambito comunitario, il ruolo principale in tema di tutela dei diritti era stato riconosciuto a favore delle Costituzioni nazionali e dei rispettivi giudici. L’A. evidenzia, inoltre, che un’altra ragione del silenzio dei trattati può essere rinvenuta nel «pluralismo culturale in tema di diritti fondamentali» esistente in Europa, che, dando vita a differenti standard di protezione dei diritti da Stato a Stato, avrebbe inizialmente impedito di stilare un catalogo dei diritti comune a tutti gli Stati membri.

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Cfr. Corte di giustizia, decisione 4 febbraio 1959, causa 1/58, Stork c. Alta Autorità CECA.

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Cfr. Corte di giustizia, decisione 12 novembre 1969, causa 29/69, Stauder c. Città di Ulm. V.SCIARABBA, Tra fonti e Corti, cit., mette in evidenza come già prima del 1969 si fossero verificate, nella giurisprudenza comunitaria, alcune importanti aperture in materia di diritti, soprattutto di carattere metodologico: in particolare, richiama la decisione del 13 giugno 1966, causa 56-58/1964, Consten e Grunding c. Commissione, che, nel recepire dagli ordinamenti degli Stati membri il principio di proporzionalità, costituirebbe un esempio di quel «peculiare metodo di “integrazione selettiva”» che ha permesso alla Corte di Lussemburgo di ricostruire i principi generali valevoli a livello comunitario, estraendoli dagli ordinamenti nazionali.

progressivamente sviluppata, con il riconoscimento, quali fonti di ispirazione di tale tutela, delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri44 e, successivamente, anche dei trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti dell’uomo «cui gli Stati hanno cooperato o aderito»45, tra i quali, specificamente, la CEDU46 (che diverrà un parametro di riferimento “privilegiato”).

Il vuoto di tutela dei diritti esistente a livello comunitario è stato, quindi, colmato dalla giurisprudenza della Corte di Lussemburgo, la quale ha sì sviluppato un sistema di protezione legato a dei riferimenti “esterni” (le tradizioni costituzionali comuni e i trattati internazionali sui diritti umani), ma ha, al contempo, mantenuto un margine di autonomia, vincolandosi soltanto a “tener conto” delle fonti richiamate, qualificate come «principi generali del diritto comunitario», e specificando che la tutela dei diritti deve essere garantita pur sempre «nel quadro degli obiettivi e della struttura della Comunità»47.

Peraltro, la Corte di giustizia, benché abbia riconosciuto che il proprio compito, in materia di diritti fondamentali, fosse principalmente quello di verificarne il rispetto da parte delle istituzioni comunitarie, ha esteso tale propria attività anche alle normative degli Stati membri che entrano, in qualche modo, nel campo di applicazione del diritto comunitario, secondo la c.d. dottrina della incorporation. L’unico limite esplicito a tale “allargamento” di competenza è stato fissato dalla stessa Corte nel divieto di sottoporre a controllo gli atti delle autorità nazionali relativi a materie estranee al diritto comunitario48. Al contrario, i giudici di Lussemburgo hanno ritenuto di dover estendere il loro sindacato sugli atti nazionali volti a dare attuazione alle normative comunitarie49, nonché nei casi in cui gli Stati membri invocano una delle cause di giustificazione ammesse per limitare una delle libertà economiche garantite dai trattati comunitari50.

Il riconoscimento dei diritti fondamentali della persona è rimasto per lungo tempo a livello esclusivamente giurisprudenziale, atteso che la prima “ratifica” normativa dell’operato della Corte di giustizia in merito è arrivata soltanto nel

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Cfr. Corte di giustizia, decisione 17 dicembre 1970, causa 11/70, Internationale

Handellsgesellschaft c. Einfuhr- und Vorratsstelle für Getreide und Futtermittel. 45

Cfr. Corte di giustizia, decisione 14 maggio 1974, causa 4/73, Nold c. Commissione.

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Il primo riferimento espresso della Corte di giustizia alla CEDU come fonte di ispirazione nella protezione dei diritti fondamentali dell’uomo a livello comunitario è contenuto nella sentenza del 28 ottobre 1975, causa 36/75, Rutili c. Ministre de l’intérieur.

47

Cfr. Corte di giustizia, decisione 17 dicembre 1970, causa 11/70, Internationale

Handellsgesellschaft, cit. 48

Si vedano, tra le altre, le decisioni Cinéthèque dell’11 luglio 1985, Kremzow del 29 maggio 1997 e Annibaldi del 18 dicembre 1997, nonché, più recentemente, l’ordinanza Vajnai del 6 ottobre 2005.

49

Cfr. Corte di giustizia, decisione 13 luglio 1989, causa 5/88, Wachauf c. Repubblica

federale di Germania. 50

Cfr. Corte di giustizia, decisione 18 giugno 1991, causa C-260/89, Elliniki Radiophonia

Tiléorassi AE (ERT) c. Dimotiki Etairia Pliroforissis e Kouvelas, nonché decisione 26 giugno

1992 con il Trattato di Maastricht, con cui si è finalmente deciso di inserire nel testo dei trattati un riferimento esplicito all’impegno di tutela assunto e sviluppato, in oltre vent’anni, dai giudici di Lussemburgo. Così, con l’art. 6 (all’epoca, art. F), secondo paragrafo, del Trattato sull’Unione Europea, è stato dato un appiglio testuale ad una giurisprudenza ormai pacifica, prevedendo, in termini generali, che «L’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario». Quindi, con il successivo Trattato di Amsterdam, oltre a confermare tale disposizione di principio, si è ulteriormente specificato (nel testo aggiornato del primo paragrafo dell’art. 6) che «L’Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, principi che sono comuni agli Stati membri»51.

2.2. L’elaborazione della Carta: anche l’Unione europea si dota di un catalogo scritto dei diritti fondamentali.

Tuttavia, il recepimento scritto del consolidato orientamento della Corte di giustizia in tema di diritti fondamentali, essendo stato posto in essere attraverso poche disposizioni di carattere generale – che, per di più, facevano rinvio, oltre che alla giurisprudenza, a fonti esterne all’Unione – lasciava inalterato il problema dell’individuazione di un catalogo scritto dei diritti tutelati a livello comunitario, che potesse offrire una sicura base di diritto positivo ai giudici di Lussemburgo, oltre che maggiore certezza ai cittadini europei. È questa una delle principali ragioni52 che hanno fatto maturare la decisione, adottata in occasione del Consiglio europeo di Colonia del 3 e 4 giugno 1999, di elaborare la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (che, come detto, è stata proclamata appena un anno e mezzo dopo, al Consiglio europeo di Nizza del 7 dicembre 2000).

L’elaborazione della Carta di Nizza ha avuto, quindi, la peculiare finalità di dare maggiore “visibilità” ai diritti già riconosciuti dalla giurisprudenza comunitaria53, attraverso la loro “ricognizione” e “codificazione” scritta54.

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Norma, questa, cui è stata attribuita specifica rilevanza ed effettività ad opera del successivo art. 7, ai sensi del quale può essere disposta la sospensione dei diritti spettanti in seno all’Unione ad uno Stato membro che si sia reso responsabile di una accertata violazione «grave e persistente» di uno (o più) dei principi previsti dall’art. 6, par. 1 (possibilità che il Trattato di Nizza ha poi esteso al caso di «evidente rischio» che tali violazioni possano verificarsi).

52

Per una disamina della motivazioni – “ufficiali” e non – che hanno portato alla redazione della Carta di Nizza, si veda V.SCIARABBA, Tra fonti e Corti, cit.

53

Il Preambolo della Carta statuisce, infatti, la necessità di «rafforzare la tutela dei diritti fondamentali, alla luce dell’evoluzione della società, del progresso sociale e degli sviluppi

Un’operazione, quindi, apparentemente volta soltanto a mettere un po’ di ordine in questa materia ed a rendere maggiormente conoscibili i diritti garantiti nell’ordinamento dell’Unione europea, attraverso la loro consacrazione nel testo della Carta.

In realtà, però, dalla scrittura della Carta sono derivate anche delle importanti novità contenutistiche, derivanti dal fatto che tale opera di ricognizione ha implicato anche una selezione – e quindi una scelta – su quali diritti includere e quali, per converso, escludere dal catalogo. Infatti, oltre al fatto che alcuni dei diritti previsti dalla Carta assumono connotati nuovi rispetto a quelli loro attribuiti dalle Costituzioni nazionali (anche in ragione del diverso contesto di riferimento, che incide sul loro contenuto), si deve rilevare che, da una parte, in essa sono stati inseriti diritti “nuovi” – che non trovano espresso riconoscimento né nella pregressa giurisprudenza della Corte di giustizia, né nelle Costituzioni degli Stati membri, né, infine, nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo – allo scopo, preannunciato nel Preambolo, di allargare il novero delle figure meritevoli di protezione, «alla luce dell’evoluzione della società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici»55; dall’altra parte, invece, si riscontra, nel testo della Carta, l’assenza di diritti generalmente riconosciuti dalle Costituzioni nazionali, come tutti quelli spettanti alle formazioni sociali ed ai gruppi intermedi (famiglia, partiti politici, confessioni religiose e così via)56.

scientifici e tecnologici, rendendo tali diritti più visibili in una Carta». Tale specifica funzione emerge anche dalle Conclusioni della presidenza del Consiglio europeo di Colonia, laddove si sostiene che, «allo stato attuale dello sviluppo dell’Unione europea, i diritti fondamentali vigenti a livello dell’Unione debbano essere raccolti in una Carta e in tal modo resi più manifesti», anche «al fine di sancirne in modo visibile l’importanza capitale e la portata per i cittadini dell’Unione».

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Anche tale profilo ricognitivo e codificatorio dei diritti già riconosciuti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia emerge dal Preambolo della Carta, laddove si specifica che essa «riafferma, nel rispetto delle competenze e dei compiti della Comunità e dell’Unione e del principio di sussidiarietà, i diritti derivanti in particolare dalle tradizioni costituzionali e dagli obblighi internazionali comuni agli Stati membri, dal trattato sull’Unione europea e dai trattati comunitari, dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dalle carte sociali adottate dalla Comunità e dal Consiglio d’Europa, nonché i diritti riconosciuti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee e da quella della Corte europea dei diritti dell’uomo».

55

Tra queste figure innovative di diritti rientrano, ad esempio, i diritti della persona nell’ambito della medicina e della biologia (art. 3), il diritto alla libertà ed alla sicurezza (art. 6), il diritto alla protezione dei dati personali (art. 8) ed i diritti del minore, degli anziani e dei disabili (artt. 24, 25 e 26).

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Nel testo della Carta di Nizza, le formazioni sociali non sono annoverate tra i titolari dei diritti in essa riconosciuti, ma, tutt’al più, sono prese in considerazione quali «proiezioni collettive di diritti individuali» (cfr. M.CARTABIA, L’ora dei diritti fondamentali nell’Unione Europea, cit.). Peraltro, questa scelta è indicativa della “impronta individualistica” della Carta. Su tale aspetto, si veda E. ROSSI, Tutela individuale e tutela collettiva dei diritti fondamentali europei, in P. COSTANZO (a cura di), La Carta europea dei diritti, Genova, Annali della Facoltà di Giurisprudenza di Genova, 2002, pp. 167-191.

Inoltre, contrariamente a quanto paventato da una parte della dottrina57, la redazione della Carta non ha frenato l’attivismo della Corte di giustizia e l’evoluzione della sua giurisprudenza in materia di diritti fondamentali, ma, tutto all’opposto, ha dato nuova linfa all’attività ermeneutica della Corte, la quale ha assunto sempre più frequentemente il ruolo di “Corte dei diritti” dell’Unione europea58, non affrontando più le questioni in materia di diritti fondamentali esclusivamente sotto un’ottica strettamente economica59.

2.3. L’ambito di applicazione della Carta.

Per ciò che riguarda l’ambito di applicazione della Carta, esso è espressamente individuato dall’art. 51 della stessa, il quale prevede che le sue disposizioni si applicano, in primo luogo, «alle istituzioni e agli organi e organismi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà» – atteso che è proprio nei confronti degli atti di tali soggetti che, a partire dalla sentenza Stauder del 1969, si è sviluppato il sistema di tutela dei diritti fondamentali a livello comunitario – nonché, in secondo luogo, «agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione». Quindi, anche sotto tale profilo, la Carta ha pienamente confermato l’orientamento sviluppatosi in oltre trent’anni di giurisprudenza della Corte di giustizia, recependo la c.d. dottrina della incorporation. Secondo tale dottrina – come si è visto supra – l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali definiti nell’ambito dell’Unione europea vale anche per gli Stati membri «soltanto quando agiscono nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione»60, cioè quando danno esecuzione alle norme comunitarie

57

Cfr., ad esempio, J.H.H.WEILER, La Costituzione dell’Europa, Bologna, 2003.

58

M.CARTABIA, I diritti fondamentali e la cittadinanza dell’Unione, in F.BASSANINI –G. TIBERI, Le nuove istituzioni europee. Commento al Trattato di Lisbona, Bologna, 2010, sottolinea come tale ruolo di «giurisdizione costituzionale delle libertà», assunto dalla Corte di giustizia, non solo non è stato mortificato, ma, al contrario, sarebbe stato esaltato proprio dalla disponibilità di un catalogo scritto di diritti. Per alcuni esempi di esercizio concreto di questo ruolo costituzionale da parte della Corte di Lussemburgo, si veda ancora M.CARTABIA, L’ora dei diritti fondamentali

nell’Unione Europea, cit. (spec. p. 37 ss.). 59

Cfr. M. CARTABIA, La Carta di Nizza, i suoi giudici e l’isolamento della Corte

costituzionale italiana, in A.PIZZORUSSO –R.ROMBOLI –A.RUGGERI –A.SAITTA –G.SILVESTRI (a cura di), Riflessi della Carta europea dei diritti sulla giustizia e la giurisprudenza

costituzionale: Italia e Spagna a confronto, Milano, 2003, pp. 201-225. 60

Cfr. Spiegazione relativa all’articolo 51 (versione 2007), la quale richiama anche la pregressa giurisprudenza della Corte di giustizia che ha fatto applicazione della dottrina dell’incorporation. Occorre, a tal proposito, precisare che, secondo alcuni commentatori, la formulazione testuale dell’art. 51, che estende l’applicazione della Carta agli Stati membri «esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione», avrebbe avuto portata restrittiva rispetto all’orientamento seguito dalla pacifica giurisprudenza della Corte di giustizia, che sarebbe stata quindi recepita in maniera soltanto “parziale”. Invece, proprio il testo della Spiegazione relativa

o invocano una delle cause di giustificazione ammesse dai trattati per derogare o fare eccezione al diritto comunitario, rimanendo, invece, esclusi da tale ambito di applicazione i casi in cui l’attività delle autorità nazionali «non presenti elementi di collegamento con nessuna delle situazioni contemplate nell’ordinamento comunitario»61.

Inoltre, l’art. 51 si preoccupa anche di ribadire l’intangibilità del riparto di competenze tra istituzioni comunitarie e Stati membri, nonché del principio di attribuzione e del principio di sussidiarietà62, e precisa espressamente (al paragrafo 2) che «La presente Carta non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per la Comunità e per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti dai trattati»63. In tal modo, si è voluto porre un divieto esplicito ad un possibile uso della Carta come «grimaldello per aprire all’Unione la strada verso l’esercizio di nuove competenze»64.

Tuttavia, questo dichiarato self restraint non è stato, in realtà, seguito anche nei fatti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, la quale, dopo la proclamazione della Carta dei diritti, ha messo da parte l’atteggiamento prudente adottato fino ad allora, promuovendo, al contrario, un ampliamento dell’incidenza dei diritti consacrati nella Carta a fattispecie che sembrerebbero rientrare nelle

all’art. 51 ha chiarito che la Carta trova applicazione nei confronti degli Stati membri quando questi agiscono «nel quadro» (versione 2000) – o «nell’ambito di applicazione» (versione 2007) – del diritto dell’Unione, quindi quando la loro attività rientra «nel cono d’ombra proiettato dal diritto comunitario» (cfr. M.CARTABIA, Art. 51, in R.BIFULCO –M.CARTABIA –A.CELOTTO (a cura di), L’Europa dei diritti, cit.). Da ciò emerge, pertanto, che l’ambito di applicazione della Carta è ben più ampio di quello che sembrerebbe desumersi dal tenore letterale della norma in questione, andando ad incidere su tutte le attività di competenza dell’Unione, indipendentemente dal fatto che il singolo atto venga posto in essere da un’istituzione comunitaria o da un organo nazionale. In merito alla funzione ed al valore delle Spiegazioni relative alla Carta dei diritti

fondamentali – elaborate dal Praesidium della Convenzione che aveva redatto la prima versione

della Carta di Nizza (nel 2000) ed aggiornate sotto la responsabilità del Praesidium della Convenzione incaricata di redigere la Costituzione europea (nel 2007) – si veda V.SCIARABBA,

Tra fonti e Corti, cit. (spec. cap. III, sez. V), nonché M.CARTABIA, I diritti fondamentali e la

cittadinanza dell’Unione, in F.BASSANINI –G.TIBERI, Le nuove istituzioni europee, cit., la quale esprime dubbi sull’efficacia e la legittimazione di tali Spiegazioni, sulla base della decisiva constatazione che «nessuna Costituzione è mai stata applicata secondo i rigidi canoni dell’original

intent, ma evolve e vive delle interpretazioni dei suoi interpreti (non solo giurisdizionali)» (p. 115). 61

Cfr. le già citate sentenze Kremzow del 29 maggio 1997 e Annibaldi del 18 dicembre 1997.

62

La seconda frase del paragrafo 1 dell’art. 51 precisa, infatti, che «i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive