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Primo caso: la questione del fine vita.

CONFLITTI “TRAGICI” E CRISI DEL BILANCIAMENTO

2. Primo caso: la questione del fine vita.

La vita umana è o no un bene indisponibile? La salute è soltanto un diritto o è anche un dovere? È giuridicamente protetto il diritto a rifiutare le cure, anche quando tale rifiuto cagioni la morte? Una persona gravemente malata, senza alcuna speranza di guarigione, ha diritto a chiedere di essere “aiutata a morire”? Se sì, fin dove si può spingere questo “aiuto”?

Questi sono soltanto alcuni degli innumerevoli interrogativi che caratterizzano il dibattito sul tema del fine vita, per come esso si è sviluppato in ambito medico e giuridico, fino a coinvolgere, partendo da alcuni casi giudiziari che hanno fatto particolare scalpore, l’intera opinione pubblica nazionale.

La tematica del fine vita pone una quantità elevatissima di questioni controverse, che possono essere affrontate sotto numerosi punti di vista (medico, giuridico, morale, religioso, finanche economico), ragion per cui risulta impossibile, in questa sede, riuscire a dar conto di tutti i profili che, anche solo in un’ottica strettamente giuridica, meriterebbero di essere trattati per inquadrare le sue varie sfaccettature. Essa, pertanto, verrà affrontata soltanto con il limitato intento di analizzare il conflitto “tragico” che la caratterizza, attraverso un esame delle situazioni maggiormente problematiche che possono venirsi a creare e prendendo in considerazione le soluzioni emerse in sede giurisprudenziale, anche per cercare di capire se un effettivo bilanciamento, in questa materia, è concretamente possibile.

2.1. L’identificazione del conflitto “tragico”: diritto alla vita vs. diritto all’autodeterminazione e principio del consenso informato.

Primo passo di questa analisi non può che essere l’individuazione dei diritti in conflitto. In particolare, si vuole centrare l’attenzione soltanto su quei diritti che danno luogo al conflitto più evidente e più difficile da comporre, in ragione del fatto che si tratta di due diritti inviolabili del medesimo soggetto, il cui nucleo essenziale non potrebbe subire alcuna compressione o limitazione: da una parte, il diritto alla vita e, dall’altra, il diritto all’autodeterminazione della persona ammalata9.

Che si tratti, per entrambi, di diritti che godano di cittadinanza

9

Oltre a quelli annoverati nel testo, ci sono numerosi altri diritti e principi costituzionali che assumono specifica rilevanza nei casi di fine vita, tra i quali, ad esempio, il diritto alla salute del soggetto malato, in tutte le sue possibili manifestazioni (sia di segno positivo, che di segno negativo), le quali, comunque, possono essere in qualche modo ricomprese nell’uno o nell’altro dei diritti che animano il conflitto ritenuto centrale nella fattispecie; l’interesse pubblico alla salvaguardia della salute collettiva; la libertà di coscienza e quella religiosa, sia del malato che del medico; il dovere di solidarietà sociale.

costituzionale è fuor di dubbio. Il diritto alla vita, sebbene non espressamente menzionato nel testo della Costituzione, è stato qualificato dalla Corte costituzionale come «il primo dei diritti inviolabili dell’uomo riconosciuti dall’art. 2»10: ciò perché il bene della vita incarna il presupposto necessario per poter godere di tutti gli altri diritti fondamentali della persona. Il diritto all’autodeterminazione costituisce, invece, espressione dell’autonomia della persona e, quindi, del fondamentale diritto alla libertà personale, tutelato dall’art. 13 della Costituzione, nonché dall’art. 2, stante la sua inviolabilità (che, comunque, è espressamente garantita anche dallo stesso art. 13). Inoltre, in campo medico, l’autodeterminazione trova specifica protezione anche nell’art. 32, il quale, nel riconoscere il «fondamentale diritto» alla salute di ciascun individuo, precisa, però, al secondo comma, che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge».

E sono proprio queste ultime tre disposizioni (gli articoli 2, 13 e 32 Cost.) a costituire il fondamento costituzionale di uno dei principi fondamentali in materia di salute, quello del c.d. consenso informato11, che, «inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona», ponendosi come «sintesi di due diritti fondamentali […]: quello all’autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all’art.

10

Cfr. Corte cost. n. 223/1996, punto 4 del considerato in diritto. Il fondamento del diritto alla vita nel testo costituzionale, oltre che nell’art. 2, è stato individuato, in dottrina, anche nell’art. 13 (che, riguardando il diritto alla libertà personale, presupporrebbe l’inviolabilità del diritto alla vita), nell’art. 32 (perché la tutela della salute sarebbe finalizzata principalmente a tutelare la vita), o anche nell’art. 27 (che, al quarto comma, pone il divieto della pena di morte, letto come espressione della salvaguardia della vita). Il diritto alla vita trova, peraltro, esplicito riconoscimento nell’art. 2 della CEDU (ai sensi del quale «Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge»), nonché nell’art. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (il quale statuisce che «Ogni persona ha diritto alla vita»).

11

In ordine alla questione del consenso informato in campo medico, si vedano, tra gli altri, A. SANTOSUOSSO (a cura di), Il consenso informato. Tra giustificazione per il medico e diritto del

paziente, Milano, 1996; C.CASONATO, Consenso e rifiuto delle cure in una recente sentenza della

Cassazione, in Quad. cost., n. 3/2008, pp. 545-575; C.CASONATO, Il consenso informato. Profili

di diritto comparato, in Dir. pubbl. comp. eur., n. 3/2009, pp. 1052-1073;A.PIOGGIA, Consenso

informato e rifiuto di trattamenti sanitari, in www.astrid-online.it; C.CASONATO –F.CEMBRIANI,

Il rapporto terapeutico nell’orizzonte del diritto, e M.GRAZIADEI, Il consenso informato ed i suoi

limiti, entrambi in LLENTI –E.PALERMO –P.ZATTI (a cura di), Trattato di biodiritto, IV, I diritti

32, secondo comma, della Costituzione»12.

Il consenso informato del soggetto malato rappresenta l’elemento di legittimazione del rapporto terapeutico tra medico e paziente13, perché la decisione di curarsi dipende da una scelta di volontà di quest’ultimo. In definitiva, nessuno – a parte che nei casi eccezionali di trattamenti sanitari obbligatori previsti dalla legge, normalmente giustificati da esigenze di salute pubblica14 – può essere obbligato a sottoporsi ad alcun trattamento medico, in quanto «curarsi o non curarsi è un problema di libertà, o meglio di libera espressione di sé da parte del soggetto»15. Da ciò deriva, a fronte dell’informazione di carattere tecnico fornita dal medico, la «natura essenzialmente morale della decisione», derivante dal fatto che «nella sua essenza la scelta terapeutica è basata su un giudizio di compatibilità e coerenza della proposta medica con la struttura morale del paziente, con la rappresentazione della sua umanità, con l’immagine che ha di sé e che vuole lasciare: in una parola, con la sua dignità»16.

È, quindi, evidente che il consenso informato costituisce il principio cardine in materia di tutela della salute17, che vale anche con riferimento ai

12

Entrambe le citazioni sono tratte da Corte cost. n. 438/2008, punto 4 del considerato in

diritto, i cui principi sono stati ribaditi nella successiva sentenza n. 253 del 2009. 13

C.CASONATO, Consenso e rifiuto delle cure in una recente sentenza della Cassazione, cit., p. 547, dopo aver definito il consenso come «il risultato di un processo di condivisione degli elementi di certezza e di incertezza legati ad una determinata proposta diagnostica o terapeutica», ne sottolinea efficacemente la funzione svolta nel rapporto terapeutico tra medico e paziente, affermando che «il consenso è principio che non deve sostituire una solitudine (quella del medico che decideva in senso paternalistico) con un’altra solitudine (quella del paziente disinformato), ma che punta a fondare un’alleanza terapeutica la quale, senza poter cancellare le asimmetrie del rapporto, garantisce la possibilità dell’incontro delle volontà dei due protagonisti della relazione terapeutica». Come è stato rilevato da B.PEZZINI, Il diritto alla salute: profili costituzionali, in

Diritto e società, n. 1/1983, p. 21 ss., «la necessità del consenso contribuisce a far uscire il malato

dal cono d’ombra della soggezione al medico», per fargli «assumere consapevolmente ogni scelta, di tipo diagnostico e terapeutico, che coinvolga la propria salute ed il proprio corpo» (p. 87).

14

In questo senso, si veda la sentenza della Corte costituzionale n. 307 del 1990, secondo cui «la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 della Costituzione se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale» (punto 2 del considerato in diritto).

15

Cfr. A.D’ALOIA, Al limite della vita: decidere sulle cure, in Quad. cost., n. 2/2010, pp. 237-267, spec. p. 241.

16

Così C.CASONATO, Consenso e rifiuto delle cure in una recente sentenza della Cassazione, cit., pp. 547-548.

17

Esso, infatti, trova fondamento, oltre che nella Costituzione, in numerose norme di diritto comunitario ed internazionale, tra cui: l’art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (il cui paragrafo 2 dispone che, nell’ambito della medicina e della biologia deve essere in particolare rispettato, tra gli altri, «il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge»); l’art. 5 della Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla

trattamenti sanitari salva-vita18.

biomedicina, firmata ad Oviedo il 4 aprile 1997, ratificata dall’Italia con legge 28 marzo 2001, n. 145 (secondo cui «un trattamento sanitario può essere praticato solo se la persona interessata abbia prestato il proprio consenso libero ed informato»); l’art. 24 della Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176 (il quale dispone che «tutti i gruppi della società, in particolare i genitori ed i minori, ricevano informazioni sulla salute e sulla nutrizione del minore»). La Consulta, inoltre, ha rintracciato una espressa tutela del consenso informato anche in diverse norme di legge nazionali, tra cui l’art. 33 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), il quale prevede che «gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari» e che nessuno può essere obbligato ad un trattamento sanitario se ciò non è previsto da una legge. Anche il Codice di deontologia medica attribuisce specifico rilievo al consenso informato del paziente (statuendo, all’art. 35, primo comma, che «Il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso esplicito e informato del paziente», e all’art. 38, primo comma, che «Il medico deve attenersi, nell’ambito dell’autonomia e indipendenza che caratterizza la professione, alla volontà liberamente espressa della persona di curarsi»), nonché all’eventuale rifiuto delle cure da parte dello stesso (tanto da prevedere, all’art. 35, quarto comma, che «In ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona»).

Il principio del consenso informato è stato espressamente recepito anche dal disegno di legge attualmente in discussione in Parlamento, recante «Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento» (meglio noto come d.d.l.

Calabrò, dal nome del senatore che ha presentato alla Commissione Igiene e Sanità del Senato il

testo “unificato”, che raccoglie in sé i contenuti delle diverse iniziative parlamentari sul tema), il quale – nel testo approvato il 12 luglio 2011 dalla Camera dei Deputati, che ha modificato quello precedentemente approvato, in data 26 marzo 2009, dal Senato della Repubblica - all’art. 2, primo comma, dispone che «Salvo i casi previsti dalla legge, ogni trattamento sanitario è attivato previo consenso informato esplicito ed attuale del paziente prestato in modo libero e consapevole». Tuttavia, secondo C. CASONATO, Lo schema di testo unificato “Calabrò” su consenso e

dichiarazioni anticipate, in www.forumcostituzionale.it, 17 febbraio 2009 (il quale ha preso in

esame il testo originario del d.d.l., i cui principi di fondo sono rimasti più o meno inalterati), tale disegno di legge – qualificando la vita umana come «indisponibile» (art. 1, primo comma, lett. a) e l’attività medica e di assistenza come «esclusivamente finalizzate alla tutela della vita e della salute nonché all’alleviamento della sofferenza» (art. 1, primo comma, lett. c) – «svuoterebbe di significato il principio del consenso», concretizzandosi come un «tentativo di annullare la cifra morale del paziente», che verrebbe trattato «come una sorta di oggetto da riparare anche contro la sua volontà piuttosto che come soggetto di cura».

In merito a tale disegno di legge, si veda anche, con riferimento al suo testo originario, L. BRUNETTI, Brevi note a chiarimento di un equivoco e cenni al d.d.l. n. 1369 in discussione alla

Commissione Igiene e Sanità del Senato, in www.forumcostituzionale.it, 10 febbraio 2009; invece,

riguardo al testo approvato dalla Camera dei Deputati il 12 luglio 2011, si vedano F.MANNELLA,

Prime osservazioni sul d.d.l. in materia di “alleanza terapeutica, consenso informato e dichiarazioni anticipate di trattamento”: quando l’indisponibilità del diritto alla vita si traduce nell’impossibilità di autodeterminazione, in www.gruppodipisa.it, 11 agosto 2011, e F.BOTTI, Il

pluralismo religioso. Un antidoto per lo Stato laico, in www.forumcostituzionale.it, 19 settembre

2011.

18

È noto, a tal proposito, il caso – riportato da G.U.RESCIGNO, Dal diritto di rifiutare un

In tali circostanze entra in gioco quel conflitto tra diritto alla vita ed autodeterminazione del soggetto malato a rifiutare le cure, la cui “tragicità” si configura, in primo luogo, con la necessità di operare una scelta netta tra il preservare la vita del paziente contro la sua volontà, o, al contrario, rispettare la sua decisione, astenendosi dal curarlo per impedirne la morte: scelta, quest’ultima, che in nome del principio del consenso dovrebbe, almeno in teoria, prevalere. Peraltro, come è stato rilevato in dottrina, la possibilità di compiere una scelta libera e consapevole sulla propria morte – e, quindi, la stessa concreta verificazione di un conflitto tra tale scelta e la tutela della vita – ha perso i connotati della sporadicità, grazie all’evoluzione scientifica e tecnologica in campo medico, la quale ha reso possibile «procrastinare la fine oltre il punto in cui la vita ha ancora valore per il paziente stesso, anzi oltre il punto in cui questi è in grado di darle un valore»19: da ciò deriva che, spesso, tale possibilità di scelta «viene rivendicata […] non più contro la natura, ma contro l’invadenza della tecnica nelle fasi ultime della vita, come “nuovo diritto dell’uomo”»20.

2.2. Il conflitto tra i presupposti valoriali alla base delle due soluzioni antagoniste: etica della sacralità della vita “biologica” vs. etica della sacralità della vita “biografica” ed etica della qualità della vita.

Tuttavia, nonostante la larga condivisione di cui gode l’assunto che riconosce la centralità del principio del consenso informato in campo medico (ritenuto, dai più, del tutto pacifico ed incontestabile21), esistono in dottrina autodeterminazione intorno alla propria vita, in Dir. pubbl., n. 1/2008, pp. 85-112 – di una donna

con un piede in cancrena che, a fronte della necessità (prospettata dai medici) di amputazione del piede per impedire che la cancrena si diffondesse – e, quindi, per salvarle la vita – ha rifiutato tale specifico trattamento, con esiti per lei letali.

19

Cfr. H. JONAS, Tecniche di differimento della morte e il diritto a morire, in H.JONAS,

Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio di responsabilità, trad. it. a cura di P.BECCHI, Torino, 1997, p. 187.

20

Cfr. C.TRIPODINA, Il diritto nell’età della tecnica. Il caso dell’eutanasia, Napoli, 2004, p. 10, la quale, per qualificare questo “nuovo diritto”, richiama F.GIOVANNINI, Il diritto al limite, in

Democrazia e diritto, nn. 4-6/1988, p. 132, che parla di diritto «a sottrarsi alle pretese di una

medicina interpretata come sfida alla morte a qualsiasi costo, come ostinazione a prolungare la vita indipendentemente dalla sua qualità, […] diritto a non considerare il proprio definitivo limite biologico come avversario da combattere anche al prezzo di una sopravvivenza priva di senso, […] diritto a decidere se il momento di chiusura della propria finitezza debba essere delegato ad altri o faccia parte delle aspirazioni e delle possibilità che solo al singolo appartengono».

21

Si veda, in questo senso, L. CARLASSARE, La Costituzione, la libertà, la vita, in

www.costituzionalismo.it, 27 marzo 2009, la quale, con termini perentori, afferma che, in materia

di salute, «la volontà dell’interessato è sempre prevalente su ogni altra, anzi è l’unica determinante» e che «il diritto pieno di decidere è fuori discussione e, dunque, dev’essere garantito

posizioni discordanti, fondate essenzialmente sull’idea della assoluta indisponibilità della vita umana e, quindi, sulla sua necessaria prevalenza a discapito di qualsiasi volontà contraria22. Viene qui in gioco anche l’altro profilo di tragicità del conflitto tra diritto alla vita e scelta del malato di rifiutare le cure, vale a dire quello che contrappone i presupposti valoriali su cui si fondano le divergenti letture del dato costituzionale, in particolare, per quel che qui interessa, dell’art. 32 Cost.: da una parte, quella che ritiene che tale disposizione riconosca il diritto del malato di non curarsi, di rifiutare le cure o di chiederne l’interruzione (e, quindi, di essere lasciato morire) e, dall’altra, quella secondo cui è inammissibile rinvenire in tale articolo una garanzia costituzionale del risvolto negativo del diritto alla salute23, che viene da esso tutelato «come fondamentale diritto dell’individuo»24.

in qualunque situazione».

22

Tale diversa posizione è assunta, ad esempio, da S.MANGIAMELI, Autodeterminazione:

diritto di spessore costituzionale?, in www.forumcostituzionale.it, il quale, in termini generali,

disconosce l’esistenza di un generico diritto all’autodeterminazione dei singoli soggetti («secondo Costituzione, non di “autodeterminazione” dell’individuo si dovrebbe parlare, ai fini di una valutazione sulla meritevolezza della tutela costituzionale, ma delle singole scelte e decisioni che questo assume o compie»: cfr. p. 4). Inoltre, l’A. ribadisce con forza tale concetto con specifico riferimento al conflitto tra diritto a rifiutare le cure e diritto alla vita, in merito al quale sostiene che «la circostanza che il rifiuto della terapia e il lasciarsi morire […] non trovi una sanzione penale non vuol dire che la condotta rientri nell’esercizio di un diritto di libertà e che si possa considerare lecita secondo l’ordinamento. Infatti, questa condotta ancorché non sanzionata, per il fatto stesso che possa danneggiare la (propria) vita, o possa farla finire volontariamente, infrange il precetto legislativo che muove dall’indisponibilità del bene della vita» (p. 20). Ad ulteriore sostegno di tale tesi, l’A. afferma anche che, «nell’impostazione seguita dalla Costituzione, incentrata sulla nozione di persona umana (e sulla sua dignità come status che la contraddistingue, atta perciò a limitare le pretese individuali), […] non possono ritenersi storicamente comprese quelle impostazioni individualistiche che consentirebbero agli interessati di violare verso se stessi il principio di rispetto della persona umana, […] né perciò, a maggior ragione, possono permettersi pratiche che volontariamente mettano fine alla vita» (p. 24).

23

La pensa così A.NICOLUSSI, Al limite della vita: rifiuto e rinuncia ai trattamenti sanitari, in

Quad. cost., n. 2/2010, pp. 269-296, il quale paventa il rischio, da evitare, di una sorta di

«decostituzionalizzazione o revisione strisciante della Costituzione, quale si determinerebbe se l’art. 32 ne risultasse stravolto come avverrebbe senz’altro se, da norma che tutela espressamente la salute, venisse presentata come norma che tutela il suo contrario», sulla base della considerazione che, «dal momento che il primo comma afferma il valore della salute e la solidarietà a favore della salute di ciascuno […], quale base necessaria per una tutela pubblica della salute, il secondo comma verrebbe messo in contraddizione col primo se lo si leggesse come se contenesse la previsione di un fantomatico diritto di non essere sano, a sua volta veicolato dalla c.d. libertà terapeutica» (p. 277).

24

A tal proposito, A.D’ALOIA, Al limite della vita: decidere sulle cure, cit., p. 238, identifica il conflitto tra i diversi universi valoriali ponendo un interrogativo: «sono diritti costituzionali, quello di non curarsi, di rifiutare o di chiedere l’interruzione delle terapie in atto o prima dell’avvio del trattamento, o invece sono caricature, alterazioni del significato delle formule costituzionali (in questo caso dell’art. 32 sul diritto alla salute) e dello schema stesso dei diritti costituzionali che conterrebbe al suo interno una insopprimibile dimensione deontica tale da non permettere che sulla

In termini generali, si fa riferimento al conflitto che contrappone, da una