• Non ci sono risultati.

2. LE POLITICHE AGRICOLE

2.8. Confronto tra i due PSR

La prima differenza da notare è che, in base alla zonizzazione adottata dal PSN, l'Umbria è divisa soltanto in due tipologie di zone, rurali intermedie e rurali con problemi complessivi di sviluppo, all'interno delle prime ricadono anche aree dove si concentrano le coltivazioni industriali, mentre in Puglia le aree in cui più si concentrano le coltivazioni industriali sono inserite nelle aree rurali ad agricoltura intensiva specializzata.

La differenza più macroscopica tra le due regioni è legata al mercato del lavoro e ai tassi di disoccupazione: mentre il PSR dell'Umbria testimonia di una situazione positiva96, in quello pugliese viene dato grande rilievo al problema e, come ai tempi della riforma agraria, la conduzione familiare dell'azienda è

96 “Il tasso di disoccupazione rimane costantemente inferiore a quello delle aree di

confronto, e si attesta al 5,2% nel 2003. Il mercato del lavoro quindi si presenta con una buona performance sia come incremento negli ultimi anni, del valore assoluto degli occupati e sia per una diminuzione del tasso di disoccupazione.” PSR Umbria 2007-2013, p. 12

valorizzata perché in grado di assorbire, almeno in parte, manodopera e ridurre il disagio sociale97.

In merito al sostegno all'agricoltura biologica, può essere sottolineato come le due regioni abbiano recepito in modo diverso l'enfasi posta dall'Unione Europea, sull'importanza rivestita da un modello di agricoltura sostenibile nella lotta alla desertificazione e alla repentinità dei cambiamenti climatici, e per la difesa della biodiversità, enfasi già in parte scemata, nel passaggio dalla scala europea a quella nazionale.

Lo scenario in cui i produttori agricoli sono collocati è sempre quello europeo e globale, non si rileva la volontà di incentivare un mercato locale che assicuri sbocchi commerciali ai produttori e sia in grado di rispondere alla domanda istituendo un circuito virtuoso tra domanda e offerta.

Le misure volte a migliorare la competitività delle aree rurali hanno come scopo l'immissione dei prodotti su un mercato internazionale e nei PSR analizzati il mercato locale non viene neanche menzionato. Questa è la conseguenza degli accordi internazionali, secondo i quali anche se un paese produce un alimento in quantità sufficienti, deve aprire il proprio mercato interno alle nazioni estere per questo stesso prodotto, anche in presenza di produzioni di qualità e antica tradizione locale, da indirizzare a loro volta su mercati internazionali.

“I PSR dovrebbero (creare) le condizioni per sbocchi alternativi a quelli convenzionali, come ad esempio le varie forme di filiera corta. Il principio della creazione di valore, che incorpora il miglioramento qualitativo e lo svolgimento in azienda di funzioni come le trasformazione e la vendita, diventa il perno di una strategia che oltretutto contribuisce alla competitività dei

97 In merito al corollario di sfruttamento, caporalato, lavoro nero, legato all'agricoltura

pugliese, è stato sottolineato (FAI-CISL, 2008) che la maggior attenzione posta, dagli stessi operatori del settore, alle condizioni di lavoro e di vita dei braccianti, fa sì emergere una condizione di sfruttamento atroce nelle campagne meridionali (Rapporto Annuale sull'Agricoltura in Italia 2008, Medici senza Frontiere), ma lascia nell'ombra le pur esistenti condizioni di sfruttamento nel resto d'Italia.

territori generando effetti di reputazione dovuti al contributo aziendale alla qualità ambientale e dei prodotti.”98

I PSR incentivano l'immissione sul mercato di prodotti a forte valore aggiunto: marchi di qualità, denominazione di origine protetta, identificazione geografica protetta, prodotti tipici, prodotti biologici. Ma, in mancanza di un legame diretto tra produttori e consumatori, i supermercati sono inondati di “prodotti tipici” a basso costo, che pur essendo di importazione, sfruttano l'immagine di un territorio, prodotti che non rendono tangibile il lavoro umano che c'è dietro, così che il valore aggiunto ricade esclusivamente sull'industria di trasformazione e la GDO. Infine, le norme imposte per accedere ai marchi sono tali da spingere molti produttori a rinunciarvi pur praticando nella realtà metodi di coltivazione biologici o provenienti dalle tradizioni locali (Perez-Vitoria, 2007).

La PAC, per rispondere alle precarie condizioni degli agricoltori, propone sì di convertire la produzione di massa in produzioni differenziate e di qualità, in modo da rispondere positivamente alla nuova crescente domanda della società postfordista, ma lo fa nuovamente legando i produttori all’industria con contratti di approvvigionamento, al fine di produrre “qualità industriale” da promuovere realizzando campagne di marketing.

Le misure proposte per far sopravvivere le piccole aziende contadine sono caratterizzate dalla multifunzionalità: le fattorie dovrebbero diventare ristoranti, alberghi, magari con piscina e tutti i comfort a cui sono abituate le persone di città, centri di didattica ambientale, e ricevere sovvenzioni per queste attività (Perez-Vitoria, 2007). La pluriattività è sempre stata praticata dai contadini, era dovuta alla ciclicità delle stagioni che scandiva le attività, ora però tutto il contesto è stato destrutturato e la maggior parte delle attività artigianali è stata assorbita dal settore industriale. La riappropriazione delle fasi

98 Gianluca Brunori (2010), “Per allargare l'orizzonte: ruolo, strategie e meccanismi di

sostegno all'agricoltura biologica oltre le misure agroambientali”, Atti del Seminario internazionale sul tema: L'agricoltura biologica nelle politiche di sviluppo rurale comunitarie

tra presente e futuro. Esperienze della programmazione 2007-2013 e prospettive nella riforma della PAC

di trasformazione del prodotto e della vendita, anch'esse rientranti nella auspicata multifunzionalità, sono come già detto, ostacolate dalle norme valide per l'industria di trasformazione e sproporzionate per la trasformazione artigianale, ”Le nuove fonti di impiego che si offrono nelle campagne rientrano

in strategie di sviluppo locale o nazionale definito da altri; gli “esperti” sono onnipresenti, orientano gli aiuti verso tale settore e definiscono le norme. È così che la maggior parte delle attività di piccola trasformazione agricola deve

ubbidire a regolamenti imposti, generalmente dall'Unione europea, come nel caso dei formaggi in fattoria. Anche i mercati all'aperto dovrebbero scomparire, soffocati dai regolamenti dissuasivi. Il turismo, presentato come panacea, significa spesso una riconversione dello spazio, dello stile di vita.”99 Il modello agricolo industriale che domina il mercato mondiale è in crisi sotto più di un aspetto: sotto l'aspetto della produzione, produce tonnellate di derrate destinate al macero mentre milioni di persone nel mondo soffrono la fame e milioni di produttori nei paesi ad economia avanzata non raggiungono un reddito adeguato; sotto l'aspetto ecologico, è un modello che ha generato l'inquinamento e l'erosione dei suoli agricoli, l'inquinamento e la salinizzazione delle falde freatiche e ridotto la biodiversitá. Nonostante questa crisi, mai viene messa in discussone la produzione di tipo industriale, l'unica, secondo gli esperti, in grado di sfamare la popolazione mondiale.

È necessario qui ricordare che “l'Europa, al di là delle dichiarazioni politiche, sembra più preoccupata di fare scelte che siano in sintonia con il modello di sviluppo dominante in ambito WTO, piuttosto che farsi carico di metterne in discussione uno nuovo per cercare di risolvere le drammatiche situazioni di fame e povertà e/o di sostenibilità ambientale presenti nel mondo.”100 Le politiche regionali, emanazione degli orientamenti europei, riflettono nelle proprie linee d'azione questa contraddizione alla radice stessa della politica europea.

99 Silvia Perez-Vitoria (2007), Il ritorno dei contadini, Jaka Book, Milano, p. 156. 100 Francesco Pennacchi (2008), “La centralità dell'agricoltura per lo sviluppo”, in

Questo è riscontrabile anche nel modo in cui la politica considera l'agricoltura di piccola scala, da una parte ammette che l'agricoltura europea si basi sulla conduzione familiare (Consiglio dei Ministri per l'Agricoltura, 1997), che questo modello di agricoltura faccia parte della società e della cultura europee e debba essere tutelato dagli interessi del mercato (Delors, 1990); dall'altra, le politiche di intervento pubblico (I e II Pilastro della PAC) sono volte ad una razionalizzazione del settore primario che trae giovamento, secondo l'interpretazione mainstream, dalla scomparsa della piccola azienda agricola e dalla concentrazione della produzione.

Quello che emerge confrontando le politiche regionali con i bisogni emersi durante la ricerca è un reciproco ignorarsi, non si riscontra coincidenza di obiettivi, né di strategie.

L'inadeguatezza delle politiche è confermata dai numeri che testimoniano della moria di aziende agricole.

Aziende agricole

Superficie totale Superficie agricola

utilizzata Regioni

2000 1990 % 2000 1990 % 2000 1990 %

Umbria 571.53 58.551 -2,4 642.492,25 685.060,1 -6,2 367.141,42 396.185,38 -7,3

Puglia 352.510 350.604 0,5 1.397.369,64 1.593.711,82 -12,3 1.258.933,69 1.453.864,57 -13,4

Aziende agricole, superficie totale e superficie agricola utilizzata regioni Umbria e Puglia. Anni 1990, 2000 e variazioni percentuali 2000-1990. V Censimento Generale dell'Agricoltura

La mancanza di riconoscimento dell'agricoltura contadina rende ugualmente inappropriate le politiche delle due regioni interessate rispetto a questi attori territoriali “inesistenti” se non sotto la forma di “custodi della natura”, da cui si desume che l'agricoltura contadina in sé non abbia un valore né economico né produttivo, quando invece potrebbe essere la risposta, o una delle risposte, alla crisi ecologica per la quale agricoltura e allevamento industriali figurano tra le prime cause.

III CAPITOLO